Ciò contrasta, infatti, con l'art. 12 della c.d. direttiva Bolkestein, che dispone un divieto in tal senso, ed essendo essa norma eurounitaria self-executing, come tale prevale sulla normativa interna, a prescindere dal fatto che le concessioni in questione rivestano interesse transfrontaliero certo.
Il Comune predisponeva gli atti funzionali all'estensione per i prossimi 10 anni del termine di durata delle concessioni demaniali marittimecon finalità turistico-ricreative, concessioni che sono state poi concretamente prorogate.
Ritenendo la delibera e le proroghe contrastanti con gli artt. 49 e 56 TFUE nonché con la normativa unionale oggetto della c.d. direttiva Bolkestein (direttiva n. 2006/123/CE), l'AGCM notificava al Comune parere motivato di cui all'
Con la sentenza n. 2192 del 1° marzo 2023, il Consiglio di Stato si sofferma sulla questione vertente sulla proroga automatica di tutte le concessioni demaniali marittime nel territorio comunale, precisando se tale atto si ponga in contrasto con il diritto europeo e, in particolare, con la direttiva Bolkestein, il cui art. 12 vieta agli Stati membri di stabilire procedure di rinnovo automatico delle concessioni in scadenza.
Ebbene, le doglianze dell'AGCM in tal senso devono essere accolte, precisando che il suddetto art. 12 della direttiva ha quale obiettivo quello di aprire il mercato delle attività economiche il cui esercizio richiede l'uso di risorse naturali scarse, sostituendo al regime caratterizzato dall'automaticità uno che assicuri la
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«Pur essendo auspicabile (come si dirà nel prosieguo con maggiore dettaglio) che il legislatore intervenga, in una materia così delicata e sensibile dal punto di vista degli interessi coinvolti, con una disciplina espressa e puntuale, non vi è dubbio, tuttavia, che nell'inerzia del legislatore, l'art. 12 della direttiva 2006/123 e i principi che essa richiama, tenendo anche conto di come essi sono stati più volti declinati dalla giurisprudenza europea e nazionale, già forniscono tutti gli elementi necessari per consentire alle Amministrazioni di bandire gare per il rilascio delle concessioni demaniali in questione, non applicando il regime di proroga ex lege». |
In ossequio a ciò, in presenza di un contrasto tra una normativa interna e una normativa unionale autoesecutiva, come nel caso concreto, deve darsi precedenza alla seconda, disapplicando la prima, a prescindere dal fatto che le concessioni prese in considerazione rivestano interesse transfrontaliero certo e con riferimento tanto ai giudici, quanto alla P.A..
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza (ud. 16 febbraio 2023) 1° marzo 2023, n. 2192
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con deliberazione della Giunta comunale 19/11/2020, n. 27, il Comune di Manduria, preso atto di quanto disposto dall’art. 1, commi 682, 683 e 684 della L. 30/12/2018, n. 45 e dall’art. 182, comma 2, del D.L. 19/5/2020, n. 34, conv. in L. 17/7/2020, n. 77, ha dato indicazioni al Responsabile del competente servizio per la predisposizione degli atti finalizzati all’estensione, sino al 31/12/2033, del termine di durata delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative.
Tali concessioni sono state, poi, concretamente prorogate con apposite annotazioni apposte in calce ai relativi titoli.
Ritenendo la detta delibera e le concrete proroghe, in contrasto con gli artt. 49 e 56 del TFUE e, in generale, con la normativa unionale contenuta nella direttiva 12/12/2006, n. 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkestein), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha notificato al comune il parere motivato di cui all’art. 21 bis della L. 10/10/1990, n. 287, evidenziando l’esigenza del previo espletamento di procedure a evidenza pubblica al fine di assicurare il rispetto dei principi di concorrenza e di libertà di stabilimento, anche in ambito transfrontaliero, significando, in particolare, il contrasto della normativa nazionale di proroga delle concessioni di cui trattasi con la direttiva n. 2006/123/CE, con conseguente obbligo di disapplicazione da parte di tutti gli organi dello Stato, sia giurisdizionali sia amministrativi.
Successivamente, poiché l’amministrazione comunale non si è adeguata ai rilievi mossi dall’Autorità, quest’ultima ha impugnato la menzionata delibera, n. 27/2020 con ricorso al T.A.R. Puglia – Lecce, il quale, con sentenza 29/6/2021, n. 981, per un verso, lo ha dichiarato inammissibile e, per altro verso, ritenuto di doverlo, comunque, esaminare nel merito, lo ha respinto.
Avverso la sentenza ha proposto appello l’AGCM.
Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio il Comune di Manduria, la Lega Navale Italiana e la Ca.De.Me. Campo dei Messapi s.r.l. (d’ora in poi solo Ca.De.Ma.), la quale ha, anche, proposto appello incidentale.
Con successive memorie tutte le parti, a eccezione del comune, hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 16/2/2023 la causa è passata in decisione.
In via preliminare va disattesa la richiesta di sospensione “impropria” del presente giudizio, avanzata sia dalla Ca.De.Ma., sia dalla Lega Navale Italiana, in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea su varie questioni pregiudiziali, concernenti la direttiva Bolkestein, sottopostele dal T.A.R. Puglia - Lecce con ordinanza 11/5/2022, n. 743.
E invero, la facoltà del giudice di procedere alla sospensione impropria del giudizio fa capo ad un potere ampiamente discrezionale che trova la propria giustificazione nel principio di economia dei mezzi processuali.
Tale facoltà va contemperata col disposto dell'art. 73, comma 1-bis, del c.p.a. il quale stabilisce, espressamente, che il rinvio della trattazione della causa può essere disposto solo per casi eccezionali.
Alla luce delle esposte considerazioni, se il giudizio può essere, comunque, definito, indipendentemente dalla decisione della questione pregiudiziale sollevata in una diversa causa, non c’è spazio per la sospensione impropria, la quale, ove accordata, comporterebbe una violazione del principio di ragionevole durata del processo, fissato dall’art. 111, comma 2, cost., il quale assume particolare rilievo nel processo amministrativo in cui vengono in gioco interessi pubblici.
Nel caso di specie, le questioni dedotte possono essere risolte, come più sotto verrà meglio puntualizzato, alla luce dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato nelle sentenze 9/11/2021, nn. 17 e 18 e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza 14/7/2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15 Promoimpresa, e tanto basta a negare la reclamata sospensione del processo.
E del resto, nel caso di specie ricorre una delle situazioni in presenza delle quali, in base alla sentenza 6/10/1982, in C-283/81, Cilfit (di recente, ribadita, sia pure con alcuni correttivi volti a renderla più flessibile, dalla Corte di giustizia, Grande Camera, nella sentenza 6/10/2021, in C-561/19), i giudici nazionali di ultima istanza non sono sottoposti all'obbligo di rinvio pregiudiziale. La questione controversa è stata, infatti, già oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia e gli argomenti invocati per superare l'interpretazione già resa dal giudice europeo non appaiono idonei a indurre ragionevoli dubbi, come confermato anche dal fatto che i principi espressi dalla sentenza Promoimpresa sono stati recepiti da tutta la giurisprudenza amministrativa nazionale sia di primo che di secondo grado, con l'unica isolata eccezione del T.A.R. Puglia- Lecce.
Nell’economia del presente giudizio assume rilievo pregiudiziale la trattazione dell’appello incidentale.
Col primo motivo si deduce che il Tribunale avrebbe errato a disattendere l’eccezione di inammissibilità del ricorso promosso da AGCM, basata sull’illegittimità costituzionale della norma, di cui dell’art. 21-bis, della L. n. 287/1990, che attribuisce all’Autorità la legittimazione “ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato”.
Il giudice di prime cure in realtà si sarebbe limitato a affermare l’esistenza del potere di agire senza esaminare la prospettata questione di costituzionalità, incentrata sul fatto che il potere d’impugnazione sarebbe sganciato da ogni collegamento col carattere soggettivo imposto alla giurisdizione amministrativa, di modo che l’azione sarebbe finalizzata unicamente a perseguire la legalità dell’azione amministrativa.
La doglianza non merita condivisione risultando la prospettata questione di costituzionalità manifestamente infondata.
La disposizione, lungi dall'introdurre un’ipotesi eccezionale di giurisdizione amministrativa di diritto oggettivo, in cui l'azione giurisdizionale mira alla tutela di un interesse generale, che potrebbe porre problemi di compatibilità con l'art 103 Cost., delinea piuttosto un ordinario potere di azione, riconducibile alla giurisdizione di tipo soggettivo, benché riferito ad un’Autorità pubblica.
La norma, invero, non introduce un generalizzato controllo di legittimità, bensì un potere di iniziativa che, integrando quelli conoscitivi e consultivi già attribuiti all'Autorità garante dagli artt. 21 e seguenti della L. n. 287 del 1990, risulta finalizzato a contribuire a una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato (Corte Cost. 14/02/2013, n. 20).
La particolare legittimazione ad agire di cui si discute non può dirsi generalizzata, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato.
L'interesse sostanziale, a tutela del quale l’AGCM può ricorrere, ex art. 21-bis della citata L. n. 287/1990, assume i connotati dell'interesse a un bene della vita, nella specie quello al corretto funzionamento del mercato, che trova tutela a livello comunitario e costituzionale, e del quale l’AGCM, secondo la L. n. 287/1990, è, istituzionalmente, portatrice.
L'Autorità, quindi, in base alla menzionata normativa, è preposta alla salvaguardia di un interesse che si soggettivizza in capo ad essa come posizione qualificata e differenziata rispetto a quella degli altri attori del libero mercato, circostanza questa idonea a fondare la legittimazione processuale di cui all'art. 21-bis citato.
La scelta del legislatore di attribuire all’Autorità un potere di agire a tutela di tale interesse, costituisce un’opzione di stretto diritto positivo, che lungi dall’essere contraria al vigente quadro costituzionale, si inserisce, anzi, nell'ambito degli strumenti di garanzia di effettività del corrispondente valore costituzionale, garantendone una tutela completa.
Il quadro legislativo e giurisprudenziale offre, del resto, sempre più frequenti esempi di legittimazione ad agire, in qualche modo sganciata dai canonici criteri di individuazione della situazione di interesse legittimo.
Si pensi, in primo luogo, alle due ipotesi di legittimazione delle associazioni di categoria ad agire a tutela degli interessi collettivi e degli interessi diffusi previste dall'art. 4 della L. 11/11/2011, n. 180 (legittimazione delle associazioni rappresentate in almeno cinque camere di commercio e delle loro articolazioni territoriali e di categoria ad agire in giudizio sia a tutela di interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale, sia a tutela di interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti; legittimazione delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale, regionale e provinciale ad impugnare gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi).
Un altro esempio si rinviene nel D. Lgs. 20/12/2009, n. 198, che, in attuazione dell'art. 4 della L. 4/3/2009, n. 15, ha riconosciuto ai “titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori” il potere di agire al fine di “ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio”.
Un’ulteriore esempio ancora può trarsi dall’art. 52, comma 4, del D.Lgs. 15/12/1997, n. 446, in materia di “Potestà regolamentare generale delle province e dei comuni”, secondo il quale “Il Ministero delle finanze può impugnare i regolamenti sulle entrate tributarie per vizi di legittimità avanti gli organi di giustizia amministrativa”.
Al riguardo, si è ritenuto che tale disposizione attribuisca “…al ministero dell'economia e delle finanze una sorta di legittimazione straordinaria a ricorrere alla giustizia amministrativa, per l'annullamento dei regolamenti e degli atti in materia di tributi adottati dall'ente locale, per motivi di legittimità. Tale legittimazione … prescinde dall'esistenza di una lesione di una situazione giuridica tutelabile in capo allo stesso dicastero, configurandosi come una legittimazione ex lege, esclusivamente in funzione e a tutela degli interessi pubblici la cui cura è affidata al Ministero dalla stessa legge (cfr. Cons. Stato, sez. 3, parere del 14 luglio 1998)” (così Cons. Stato, 17/1/2018, n. 267).
In definitiva, l’art. 21-bis della L. n. 287/1990 assegna all’Autorità una legittimazione straordinaria, che si inserisce in un sistema nel quale rileva il principio di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico (Cons. Stato, Sez. VI, 30/4/2018, n. 2583; 15/5/2017, n. 2294) del tutto coerente con i parametri costituzionali di cui agli artt. 103 e 113 Cost.
Col secondo motivo si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere irrilevante, ai fini dell’ammissibilità del gravame, l’omessa impugnazione delle circolari nn. 25/2/2019, n. 4184 e 28/10/2019, n. 21804, nonché degli ulteriori atti di indirizzo espressi dall’Ufficio demanio della Regione Puglia.
Con tale atti, infatti, l’amministrazione regionale avrebbe inteso garantire, con effetto vincolante, una gestione unitaria, a livello regionale, dell’art. 1, commi 682 e ss., della L. n. 145/2018, esercitando il proprio potere di “programmazione, indirizzo e coordinamento generale”, ai sensi dell’art. 6, comma 1, della L.R. 10/4/2015, n. 17 e in coerenza con il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, comma 1, Cost..
La doglianza è infondata.
Al riguardo è sufficiente rilevare che, attraverso gli atti di che trattasi, la regione per un verso si è limitata a dare indicazioni procedurali per l’attuazione della proroga legale, mentre nella specie ciò che si contesta e la possibilità, a monte, di procedere alla proroga, per altro verso, ha espresso il proprio avviso sulla natura asseritamente vincolante della normativa statale e, com’è noto, dalle circolari interpretative di norme primarie non sorge alcun vincolo per il giudice (Cons. Stato, Sez. V, 29/11/2013, n. 5714).
Col terzo motivo si denuncia l’errore commesso dal giudice di prime cure nel non aver rilevato l’inapplicabilità alla fattispecie della direttiva Bolkestein, atteso che, oggetto delle concessioni demaniali, sarebbe un bene e non un servizio, data la prevalenza della componente fisica, come sarebbe confermato anche dalla Direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23/2/2014.
Nemmeno questa doglianza merita condivisione.
Al riguardo è sufficiente richiamare quanto al riguardo stabilito dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato nelle sentenze gemelle 9/11/2021, nn. 17 e 18, nelle quali si è affermato che: <<Non ha pregio neanche l'argomento volto a contestare la qualificazione della concessione demaniale con finalità turistico-ricreativa in termini di autorizzazione di servizi ai sensi dell'art. 12 della direttiva 2006/123. Come si è visto, a sostegno di tale posizione si osserva, in sintesi, che la concessione attribuisce il bene (rectius, il diritto di sfruttarlo), ma non autorizza l'esercizio dell'attività e che le attività svolte dal concessionario non sono sempre attività di servizi.
Tale impostazione risulta, tuttavia, meramente formalistica, perché valorizza la distinzione, propria del diritto nazionale, tra concessione di beni (come atto con effetti costitutivi/traslativi che attribuisce un diritto nuovo su un'area demaniale) e autorizzazione di attività (come atto che si limita a rimuovere un limite all'esercizio di un diritto preesistente).
Questa distinzione, di stampo giuridico-formale, deve essere rivisitata nell'ottica funzionale e pragmatica che caratterizza il diritto dell'Unione, che da tempo, proprio in materia di concessioni amministrative, ha dato impulso ad un processo di rilettura dell'istituto in chiave sostanzialistica, attenta, più che ai profili giuridico-formali, all'effetto economico del provvedimento di concessione, il quale, nella misura in cui si traduce nell'attribuzione del diritto di sfruttare in via esclusiva una risorsa naturale contingentata al fine di svolgere un'attività economica, diventa una fattispecie che, a prescindere dalla qualificazione giuridica che riceve nell'ambito dell'ordinamento nazionale, procura al titolare vantaggi economicamente rilevanti in grado di incidere sensibilmente sull'assetto concorrenziale del mercato e sulla libera circolazione dei servizi. Dall'art. 4, punto 1, della direttiva 2006/123 risulta che per "servizio", ai fini di tale direttiva, si intende qualsiasi attività economica non salariata di cui all'articolo 57 TFUE, fornita normalmente dietro retribuzione. In particolare, "un'attività di locazione di un bene immobile [...], esercitata da una persona giuridica o da una persona fisica a titolo individuale, rientra nella nozione di «servizio», ai sensi dell'articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123" (Corte di giustizia, Grande sezione, 22.9.2020, C-724/2018 e C-727/2018, punto 34).
La stessa decisione della Commissione 4 dicembre 2020 relativa al regime di aiuti SA. 38399 2019/C (ex 2018/E) "Tassazione dei porti in Italia" contiene l'affermazione per cui "la locazione di proprietà demaniali dietro il pagamento di un corrispettivo costituisce un'attività economica". È allora evidente che il provvedimento che riserva in via esclusiva un'area demaniale (marittima, lacuale o fluviale) ad un operatore economico, consentendo a quest'ultimo di utilizzarlo come asset aziendale e di svolgere, grazie ad esso, un'attività d'impresa erogando servizi turistico-ricreativi va considerato, nell'ottica della direttiva 2006/123, un'autorizzazione di servizi contingentata e, come tale, da sottoporre alla procedura di gara.
Del resto, come ricordato dalla Corte di giustizia nella più volte citata sentenza Promoimpresa, "il considerando 39 della direttiva in questione precisa che la nozione di regime di autorizzazione dovrebbe comprendere, in particolare, le procedure amministrative per il rilascio di concessioni". E la stessa sentenza ha chiaramente affermato che "tali concessioni possono quindi essere qualificate come autorizzazioni, ai sensi delle disposizioni della direttiva 2006/123, in quanto costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica".
L'Adunanza plenaria non può che condividere tali conclusioni e ribadire che le concessioni di beni demaniali per finalità turistico-ricreative rappresentano autorizzazioni di servizi ai sensi dell'art. 12 della direttiva c.d. servizi, come tali sottoposte all'obbligo di gara>>.
Col quarto motivo si lamenta che il Tribunale non avrebbe pronunciato sulle eccezioni di inammissibilità del ricorso, qui riproposte, con le quale si era dedotto che:
a) rispetto alla Ca.De.Me., non sarebbe configurabile alcuna lesione della concorrenza, in quanto l’area demaniale in concessione avrebbe carattere di pertinenza della proprietà privata della medesima e sarebbe raggiungibile, esclusivamente, per il tramite di quest’ultima
b) non fosse ipotizzabile alcuna scarsità della risorsa naturale in quanto su 16 km di coste, di cui 3 km sono destinati a concessioni demaniali, solo 500 metri sarebbero attualmente oggetto di concessione.
Nessuna dei due profili di censura merita accoglimento.
Con riguardo al primo occorre prioritariamente rilevare che costituisce oggetto d’impugnazione un atto di carattere generale, con cui il comune, senza specifico riferimento alla concessione dell’appellante incidentale, ha dato indicazione ai propri uffici per l’automatica proroga di tutte le concessioni demaniali marittime in essere nel territorio comunale e tale atto, di per sé, si pone in contrasto con il diritto europeo più volte richiamato.
Conseguentemente è ininfluente, ai fini di causa, la specifica situazione della Ca.De.Me., la quale potrà, eventualmente, assumere rilevanza solo in relazione al concreto provvedimento con cui dovesse essere negata l’estensione della durata della concessione.
Al di là di ciò, come correttamente dedotto dall’AGCM, dalla relazione tecnica prodotta nel giudizio di primo grado dalla stessa Ca.De.Me., si ricava come non sia affatto vero che l’area in concessione sia raggiungibile esclusivamente attraverso la sua struttura alberghiera, né è dirimente il fatto che la stessa abbia carattere pertinenziale rispetto a tale struttura.
Relativamente al secondo profilo basta richiamare le affermazioni delle menzionate sentenze dell’Adunanza Plenaria n. 17 e 18 del 2021 secondo cui: << nel settore delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, le risorse naturali a disposizione di nuovi potenziali operatori economici sono scarse, in alcuni casi addirittura inesistenti, perché è stato già raggiunto il – o si è molto vicini al – tetto massimo di aree suscettibile di essere date in concessione>>.
Considerato che, ai fini di stabilire l’entità della risorsa in questione, occorre aver riguardo alla situazione del territorio comunale (Corte Giust. UE, 14/7/2016, in cause riunite C-458/14 e 67/15) e che, come emerge dalle stesse affermazioni dell’appellante incidentale, nel Comune di Manduria l’arenile concedibile per finalità turistico ricreative è di appena 3 km, di cui 500 mt già assegnati in concessione, deve ritenersi che nel detto comune sia dimostrata la scarsità del bene di che trattasi.
Esaurita la trattazione dell’appello incidentale, può passarsi all’esame di quello principale.
Col primo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel dichiarare inammissibile il ricorso sul presupposto dell’omessa deduzione di censure di incostituzionalità nei confronti dei commi 682 e 683 dell’art. 1 della L. n. 145/2018, qualificate come norme provvedimento.
Il giudice di prime cure non avrebbe, infatti, considerato che le critiche mosse dall’appellante alla delibera impugnata si appuntavano sull’omessa disapplicazione della normativa nazionale per contrasto con la direttiva Bolkestein, che, con norma self executing (l’art. 12), vieterebbe agli Stati membri di stabilire procedure di “rinnovo automatico” delle concessioni in scadenza.
Conseguentemente, nell’economia del presente giudizio, sarebbe del tutto irrilevante l’omessa deduzione di censure di costituzionalità, atteso che nella fattispecie l’antinomia concretamente fatta valere riguarderebbe il rapporto tra il diritto interno e quello europeo dotato di efficacia diretta, nell’ordinamento interno per il tramite di norme sovranazionali c.d. “auto-esecutive”.
In ogni caso, il ricorso non avrebbe potuto essere dichiarato inammissibile, stante la norma di cui all’art. 23 della L. 11/3/1953, n. 87, che consente al giudice di sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale.
Col secondo motivo si censura l’appellata sentenza per aver affermato l’assenza di lesività della delibera impugnata riconnettendosi la stessa direttamente all’art. 1, commi 682 e 683 della L. n. 145/2018.
Difatti, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, attraverso la contestata delibera il comune avrebbe dato concreta attuazione a una disciplina normativa interna contraria all’art. 12 della citata direttiva n. 2006/123/CE e quindi da disapplicare.
Le due doglianze, che si prestano a una trattazione congiunta, meritano accoglimento.
Va, in primo luogo, rilevato che, con la delibera n. 27/2020 e con gli atti sulla base della stessa adottati, il Comune ha espressamente inteso dare attuazione alla disciplina dettata dai commi 682 e 683 dell’art. 1 della L. n. 145/2018, disponendo la proroga delle concessioni in essere.
Il che, indipendentemente dalla configurabilità delle suddette disposizioni come legge-provvedimento, ha indubbiamente dato luogo a una lesione concreta e attuale dell'interesse, alla libertà di concorrenza e al corretto funzionamento del mercato, di cui l'Autorità è istituzionalmente portatrice, posto che il comune, anziché orientarsi per l'applicazione del diritto unionale, attivando, di conseguenza, le procedure a evidenza pubblica per la riassegnazione delle concessioni scadute, ha scelto di adeguarsi alla normativa interna disponendo l’estensione automatica del termine di scadenza delle concessioni in essere.
Non è quindi dubbio l'interesse dell'AGCM all'immediata impugnazione degli atti gravati.
Ciò posto, non ha pregio, come rilevato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, nelle citate sentenza n. 17 e 18 del 2021, <<… la tesi volta a sostenere che la disposizione in questione (l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE) non potrebbe considerarsi self-executing, perché non sufficientemente dettagliata o specifica.
Il livello di dettaglio che una direttiva deve possedere per potersi considerare self-executing dipende, invero, dal risultato che essa persegue e dal tipo di prescrizione che è necessaria per realizzare tale risultato. Da questo punto di vista, l'art. 12 della direttiva persegue l'obiettivo di aprire il mercato delle attività economiche il cui esercizio richiede l'utilizzo di risorse naturali scarse, sostituendo, ad un sistema in cui tali risorse vengono assegnate in maniera automatica e generalizzata a chi è già titolare di antiche concessioni, un regime di evidenza pubblica che assicuri la par condicio fa i soggetti potenzialmente interessati. Rispetto a tale obiettivo, la disposizione ha un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale che prevede la proroga ex lege fino al 2033 e ad imporre, di conseguenza, una gara rispettosa dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità. Pur essendo auspicabile (come si dirà nel prosieguo con maggiore dettaglio) che il legislatore intervenga, in una materia così delicata e sensibile dal punto di vista degli interessi coinvolti, con una disciplina espressa e puntuale, non vi è dubbio, tuttavia, che nell'inerzia del legislatore, l'art. 12 della direttiva 2006/123 e i principi che essa richiama, tenendo anche conto di come essi sono stati più volti declinati dalla giurisprudenza europea e nazionale, già forniscono tutti gli elementi necessari per consentire alle Amministrazioni di bandire gare per il rilascio delle concessioni demaniali in questione, non applicando il regime di proroga ex lege.
27. Alla luce delle considerazioni che precedono deve, quindi, ritenersi che anche l'art. 12 della direttiva 2006/123 sia applicabile al rilascio e al rinnovo delle concessioni demaniali marittime, con conseguente incompatibilità comunitaria, anche sotto tale profilo, della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica e generalizzata delle concessioni già rilasciate>>.
Orbene, in base a ormai più che pacifici e consolidati principi in materia di rapporto tra normativa interna e normativa unionale autoesecutiva, in caso di contrasto tra le due deve darsi precedenza alla seconda, con conseguente necessità che tutte le autorità dello stato membro, siano essi organi giurisdizionali o pubbliche amministrazioni, disapplichino la norma interna a favore di quella sovranazionale (Corte Cost., 24/6/2010, n. 227; 15/4/2008, n. 102; 11/7/1989, n. 389; 8/6/1984, n. 170; Cons. Stato, A.P. n. 17 e 18 del 2021 citate, Sez. VI, 2/2/2001, n. 430).
Alla luce degli esposti principi, i rilievi sulla base dei quali il Tribunale ha dichiarato il ricorso inammissibile sono del tutto inconferenti, atteso che l’odierna appellante aveva dedotto il contrasto dell’art. 1, commi 682 e 683, della L. n. 145/2018 con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, e ciò era sufficiente a far sorgere il dovere del giudice di prime cure di pronunciare nel merito della prospettata questione di compatibilità della norma interna e della delibera comunale che ne ha fatto applicazione, col diritto unionale.
Col terzo motivo si contesta l’affermazione del giudice di prime cure secondo cui l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE non avrebbe carattere autoesecutivo, per cui, in assenza di norme interne di dettaglio e attuative, relative, tra l’altro, alle modalità con cui attivare le procedure a evidenza pubblica, lo stesso non sarebbe immediatamente applicabile.
Il Tribunale, infatti, non avrebbe colto che non era stata dedotta la natura self executing della direttiva nella sua interezza o del suo art. 12, bensì della specifica e puntuale “norma di divieto”, contenuta in tale articolo, la quale ha sicuramente “efficacia diretta”, prevedendo un obbligo chiaro, preciso, completo e incondizionato a carico degli Stati membri.
Inoltre, diversamente da quanto affermato dal medesimo giudice, l’applicabilità del divieto contenuto nell’art. 12 della direttiva Bolkestein opererebbe indipendentemente dal fatto che le concessioni prese in considerazione rivestano interesse transfrontaliero certo.
Non sarebbe nemmeno condivisibile l’affermazione secondo cui le spiagge non costituirebbero una risorsa scarsa.
Col quarto mezzo di gravame si lamenta che, diversamente da quanto sostenuto dal giudice di primo grado, l’obbligo di disapplicare la normativa interna contrastante col diritto unionale, sussisterebbe anche in capo alla pubblica amministrazione.
Si sostiene, infatti, che quest’ultima dovrebbe “- nel caso di una direttiva – attenersi all’applicazione della norma nazionale, di certa ed immediata esecutività, non potendosi consentire la violazione di legge certa ed applicabile alla fattispecie, sulla base di un soggettivo quanto opinabile convincimento della natura self executing di una direttiva comunitaria, attraverso una interpretazione abrogante nella specie non consentita”.
Solo il giudice, in definitiva, avrebbe il potere di disapplicare la norma nazionale non coerente col diritto dell’Unione.
Le due censure, entrambe infondate, possono essere affrontate in unico contesto.
Ai fini della sua reiezione è sufficiente fare riferimento ai principi enunciati, in sede nomofilattica, nelle citate sentenze dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 2021 con le quali, in coerenza con l’orientamento in materia espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza Promoimpresa, è stato affermato che:
a) l'art. 12 della direttiva 2006/123/CE, laddove sancisce il divieto di proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative è norma self executing e quindi immediatamente applicabile nell’ordinamento interno, con la conseguenza che le disposizioni legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle suddette concessioni sono con essa in contrasto e pertanto, non devono essere applicate (cfr., in termini, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VII, 21/2/2023, n. 1780; 6/7/2022, n. 5625; 15/9/2022 n. 810);
b) il dovere di disapplicare la norma interna in contrasto con quella eurounitaria autoesecutiva, riguarda, per pacifico orientamento giurisprudenziale, tanto i giudici quanto la pubblica amministrazione (Corte Cost., 11/7/1989, n. 389; Cons Stato Sez. VI, 18/11/2019 n. 7874; 23/5/2006, n. 3072; Corte Giust. UE, 22/6/1989, in C- 103/88, Fratelli Costanzo, e 24/5/2012, in C-97/11, Amia);
c) l’art. 12 della menzionata direttiva 2006/123/CE, prescinde del tutto <<dal requisito dell'interesse transfrontaliero certo, atteso che la Corte di giustizia si è espressamente pronunciata sul punto ritenendo che "l'interpretazione in base alla quale le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 si applicano non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato membro è conforme agli scopi perseguiti dalla suddetta direttiva" (Corte di giustizia, Grande Sezione, 30 gennaio 2018, C360/15 e C31/16, punto 103)>>;
d) come più sopra rilevato in sede di esame dell’appello incidentale, i fini dell’applicabilità dell’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative deve ritenersi sussistente il requisito della scarsità della risorsa naturale a disposizione di nuovi potenziali operatori economici.
In conclusione giova soltanto soggiungere che, sulla base di quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, con le ricordate sentenze nn. 17 e 18 del 2021, non solo i commi 682 e 683 dell’art. 1 della L. n. 145/2018, ma anche la nuova norma contenuta nell’art. 10-quater, comma 3, del D.L. 29/12/2022, n. 198, conv. in L. 24/2/2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in frontale contrasto con la sopra richiamata disciplina di cui all’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato.
L’appello principale dev’essere, pertanto, accolto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli principale e incidentale, come in epigrafe proposti, così dispone:
a) accoglie l’appello principale e, per l'effetto, in riforma della gravata sentenza accoglie il ricorso di primo grado e annulla i provvedimenti con esso impugnati;
b) respinge l’appello incidentale.
Spese del doppio grado compensate.