Svolgimento del processo
La vicenda origina dalla querela sporta nei confronti dell’appellante per taluni fatti da quest’ultimo commessi nella qualità di socio della -OMISSIS-, ipotizzati come configurabili il reato di cui all’art. 640 c.p. (truffa) e per i quali, all’esito delle indagini preliminari svolte, la Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di -OMISSIS- decideva di procedere, con la notifica di un decreto di citazione a giudizio, per il diverso delitto di insolvenza fraudolenta, di cui all’art. 641 c.p..
Il giudizio penale si concludeva con la pronuncia della sentenza del Tribunale Ordinario di -OMISSIS- di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato contestato all’imputato.
Nel frattempo, il CSM trasmetteva al Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS- gli atti delle indagini che avevano coinvolto l’appellante per le valutazioni di competenza ai sensi dell’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017. All’esito dell’istruttoria procedimentale condotta anche in contradittorio con l’appellante, il Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS- proponeva al Consiglio Giudiziario, in data 5 aprile 2019, l’adozione della misura della sospensione cautelare delle funzioni giudiziarie esercitate nella qualità di giudice onorario di pace ai sensi dell’art. 18 D.P.R. n. 198/2000.
In data 17 aprile 2019, la Sezione Autonoma della Magistratura Onoraria del Consiglio Giudiziario della Corte di Appello di -OMISSIS- condivideva la predetta proposta, a sua volta, proponendo al CSM la sospensione cautelare dell’appellante dalle funzioni giudiziarie onorarie.
Con deliberazione del 13 gennaio 2021, notificata il 20 gennaio 2021, il CSM disponeva la misura cautelare richiesta, sospendendo l’appellante dalle funzioni giudiziarie esercitate nella qualità di giudice onorario di pace.
Quest’ultimo ricorreva al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, per sentire annullare, previa concessione della chiesta misura cautelare, il provvedimento disciplinare adottato nei suoi confronti per poi impugnare con motivi aggiunti il successivo decreto di sospensione cautelare dalle funzioni emanato dal Ministero della Giustizia.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, la Corte d’Appello di -OMISSIS- ed il Tribunale di -OMISSIS- si costituivano in giudizio opponendosi all’accoglimento del ricorso.
Con sentenza n. -OMISSIS-pubblicata il 23 dicembre 2021 e non notificata da alcuna delle parti in causa, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. I rigettava il ricorso, compensando le spese processuali.
Con appello notificato il 21 giugno 2022 e depositato il 27 giugno 2022, l’appellante impugnava la predetta pronuncia per domandarne la riforma riproponendo tutti i motivi di ricorso già dedotti nel giudizio di primo grado.
Con ordinanza cautelare n. -OMISSIS- il Collegio non accoglieva l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata proposta dall’appellante.
Si costituivano il Consiglio Superiore della Magistratura, il Ministero della Giustizia, la Corte d’Appello di -OMISSIS- ed il Tribunale di -OMISSIS- con memoria di mera forma.
All’udienza pubblica del 6 dicembre 2022, il Collegio, dopo avere udito i procuratori delle parti costituite presenti, tratteneva l’appello in decisione.
Motivi della decisione
I. – In via preliminare, in ragione della proposta impugnazione e della reiterazione di tutti i motivi dedotti in prime cure, il Collegio osserva che è riemerso l'intero thema decidendum del giudizio di primo grado, che perimetra necessariamente il processo di appello ex art. 104 c.p.a..
Pertanto, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, il Collegio prende direttamente in esame gli originari motivi posti a sostegno del ricorso introduttivo (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1137 del 2020; Consiglio di Stato sez. IV, 27/12/2021, n.8633).
II. – I primi due motivi del ricorso introduttivo di primo grado possono essere congiuntamente esaminati, in quanto entrambi contraddistinti da censure di nullità per ragioni tra loro connesse.
II.1. – Con il primo motivo del ricorso introduttivo di primo grado si lamenta la nullità del provvedimento impugnato per difetto assoluto di attribuzione e violazione della riserva assoluta di legge di cui all’art. 108 co.1 Cost..
Secondo l’appellante, infatti, l’art. 10 co. 2 della L. 21 novembre 1991, n. 374, pur non prevedendo la possibilità della sospensione cautelare per i giudici onorari, espressamente statuiva l’applicabilità delle disposizioni in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari, in quanto compatibili, al punto da indurre la Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni Unite, a ritenere applicabili ai giudici di pace, come l’appellante, le richiamate disposizioni, salvo il limite della compatibilità, senza la necessità di un ulteriore intervento normativo preordinato ad assicurare l’estensione anche della sanzione disciplinare della sospensione cautelare, non sussistendo alcuna situazione particolare di impedimento o d’incompatibilità (Cassazione civile sez. un., 1 ottobre 1997, n.9616).
In seguito veniva promulgata la L. n. 468/1999 contemplante all’art. 22 un’espressa delega al Governo per l’emanazione, ai sensi dell’art. 17 co.1 L. n. 400/1988, di un regolamento di coordinamento ed attuazione delle disposizioni di cui al Capo I, statuenti modifiche, in generale, alla legge 21 novembre 1991 n. 374 ed, in particolare, alla disciplina della decadenza, della dispensa e delle sanzioni disciplinari (art. 7) prevista dall’art. 9 della predetta legge.
In attuazione dell’art. 22 L. n. 468/1999 è stato, quindi, emanato il d.P.R. 10 giugno 2000, n. 198, recante all’art. 17 un’apposita disciplina per i procedimenti disciplinari ed all’art. 18 un’espressa regolamentazione della sospensione cautelare dalle funzioni giudiziarie onorarie del giudice di pace, distinguendo due ipotesi: da un lato, la sospensione obbligatoria da disporre in caso di sottoposizione del giudice di pace a misura cautelare personale (co. 1, 2, 3); e, dall’altro, la sospensione facoltativa, prevedendo all’uopo un rinvio agli artt. 30 e 31 co.2 R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, ossia alla disciplina prevista per i magistrati ordinari (co. 4).
Sennonché, in seguito, le disposizioni da ultimo menzionate sono state abrogate dall’art. 31 D.Lgs. n. 109/2006, con conseguente inapplicabilità ai giudici di pace delle nuove norme introdotte per i procedimenti disciplinari da istruire nei confronti dei magistrati ordinari, in quanto non espressamente richiamate dall’art. 18 d.P.R. 10 giugno 2000 n. 198.
Dopo di che, con il D.Lgs. n. 116/2017 è stata disposta una riforma organica della magistratura onoraria, prevedendosi, per quanto in questa sede di interesse, all’art. 33 l’abrogazione dell’art. 9 L. n. 374/1991 (rubricato “Decadenza, dispensa, sanzioni disciplinari”) ed all’art. 32 co. 11 e 12 un’apposita disciplina transitoria per i procedimenti disciplinari pendenti all’entrata in vigore della nuova normativa.
E poiché l’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017, contemplante la nuova regolamentazione dei procedimenti disciplinari da istruire nei confronti dei magistrati onorari, non prevede la sospensione cautelare dall’esercizio delle funzioni, il provvedimento adottato nei confronti dell’appellante sarebbe nullo per difetto assoluto di attribuzione.
II.2 – Con il secondo motivo del ricorso introduttivo di primo grado si lamenta la nullità del provvedimento impugnato per le medesime ragioni già dedotte con il primo motivo, poiché il potere di sospensione cautelare dall’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie non potrebbe disporsi neanche in virtù del richiamato orientamento dalla Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni Unite, enunciato con la pronuncia dell’1 ottobre 1997 n. 9616, considerato che il D.Lgs. n. 109/2006 ha abrogato gli artt. 30 e 31 co.2 R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511 richiamati dall’art. 18 co. 4 D.P.R. 198/2000, ossia dal regolamento attuativo dell’art. 22 L. 24 novembre 1999 n. 468 in relazione all’art. 10 co. 2 L. 21 novembre 1991 n. 374, statuente l’applicabilità ai giudici di pace delle disposizioni in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari, in quanto compatibili, a sua volta, abrogato dall’art. 33 D.Lgs. n. 116/2017.
Secondo, infatti, l’appellante, il legislatore nel 2017 avrebbe deciso di non richiamare le disposizioni previste per i magistrati ordinari, dettando una disciplina organica ed autonoma per i giudici onorari, senza, però, prevedere la sospensione cautelare dalle funzioni giudiziarie onorarie, non essendo, all’uopo, ammissibili interpretazioni analogiche in ossequio alla riserva assoluta di legge prevista dall’art. 108 co.1 Cost..
II.3. – Il Collegio osserva che il mutamento del quadro normativo di riferimento ha determinato l’introduzione di una nuova disciplina preordinata a decretare una riforma organica della magistratura onoraria, in modo da dettare un complesso di regole quanto più uniforme possibile per le varie componenti esercenti la funzione giudiziaria onoraria ed ossia i giudici di pace (istituiti con la Legge 21 novembre 1991 n. 374), i giudici onorari di tribunale ed i viceprocuratori onorari presso i tribunali (istituiti in coincidenza con la soppressione delle preture e l’istituzione del giudice unico di tribunale ad opera del D.Lgs. n. 51/1998, artt. 42 bis e ss. R.D. n. 12/1941).
Il D.Lgs. n. 116/2017, infatti, detta una disciplina per tutte le componenti della predetta magistratura onoraria, prevedendo, per quanto di interesse in questa sede, all’art. 21 un’apposita regolamentazione delle sanzioni disciplinari applicabili, ed ossia la decadenza (qualora venga meno taluno dei requisiti necessari per essere ammesso alle funzioni ed ai compiti dell’incarico di magistrato onorario ricoperto), la dispensa (allorché si verifichi un impedimento per una durata superiore a sei mesi) e la revoca (in caso di accertata inidoneità ad esercitare le funzioni giudiziarie o i compiti dell’ufficio del processo).
L’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017 non prevede anche la sospensione cautelare dall’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie.
Donde, il dubbio interpretativo in ordine all’eventuale persistenza o elisione per scelta del legislatore di siffatto potere.
II.3.1. – Sennonché, la nullità del provvedimento amministrativo per difetto di attribuzione ex art. 21 septies L. n. 241/1990 presuppone la totale assenza della norma attributiva del potere.
Come noto, l’invalidità del provvedimento di cui all'art. 21 septies L. n. 241/1990 citato ha carattere eccezionale e il difetto assoluto di attribuzione, quale causa di nullità del provvedimento amministrativo, ricorre soltanto in caso di cosiddetta carenza di potere in astratto, vale a dire quando l'Amministrazione esercita un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce, essendo tale vizio configurabile solo nei casi in cui un atto non possa essere radicalmente emanato da una autorità amministrativa, in quanto priva di alcun potere nel settore, neppure condividendone la titolarità con un'altra amministrazione, configurandosi altrimenti un’illegittimità per vizio di incompetenza (cfr. Consiglio di Stato sez. II, 14 gennaio 2022, n.272; Cons. Stato, Sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5266; Sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5671; Sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5228; Sez. V, 10 gennaio 2017, n. 45; Cons. Stato, IV, 19 dicembre 2007, n. 2273; id., V, 2 novembre 2011, n. 5843; id., VI, 27 gennaio 2012, n. 372; id., V, 30 agosto 2013, n. 4323).
II.3.2. – Nella fattispecie è vero che il D.Lgs. n. 116/2017 non contempla espressamente il potere di sospensione dall’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie, ma è pur vero che il potere di cui si discute è di natura prettamente cautelare, ossia provvisorio e, come tale, soggiace alle logiche dei provvedimenti strumentali a soddisfare esigenze di carattere transitorio.
II.3.3. – Donde, la possibilità, in ossequio al principio di continenza, di desumerne l’esistenza da norme attributive di poteri più ampi, in quanto determinanti una definitiva e non transitoria regolamentazione del rapporto amministrativo intercorrente tra la P.A. e l’interessato che, nella circostanza, si rinviene nell’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017 nella parte in cui espressamente prevede la revoca del magistrato onorario dall’incarico ricoperto allorché, come ritenuto rilevante nella circostanza, abbia tenuto in ufficio o fuori una condotta tale da compromettere il prestigio delle funzioni attribuitegli.
Se, infatti, sussiste il potere di revocare l’atto di preposizione all’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie, ossia il decreto di nomina del giudice di pace adottato dal Ministero della Giustizia previa deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura ai sensi (all’epoca) di quanto previsto dall’art. 4 bis co.1 L. 21 novembre 1991 n. 374 introdotto dall’art. 2 L. 24 novembre 1999 n. 468, non può che ritenersi sussistente, in quanto a fortiori contemplato in ossequio al principio di continenza, anche il (minore) potere di sospendere provvisoriamente e transitoriamente l’efficacia di siffatto atto per riscontrate e comprovate esigenze cautelari, deponendo in tal senso le seguenti ragioni.
II.3.4. – La prima, di natura teleologica, è identificabile con gli interessi pubblici e privati intercettati dal potere esercitato. Infatti, la sospensione cautelare dall’esercizio delle funzioni giudiziarie se, da un lato, tutela le evidenti esigenze pubbliche della collettività connesse all’attività giudiziaria esercitata dal Giudice di Pace, dall’altro, tutela anche il Giudice di Pace interessato dal provvedimento adottato, riconoscendogli una fase di quiescenza del rapporto intercorrente con l’Amministrazione della giustizia che potrebbe, una volta superate le ragioni cautelari poste a fondamento della sospensione decretata, anche risolversi con la prosecuzione dell’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie in precedenza sospese, a differenza di quanto, invece, si prospetterebbe in caso di dichiarata carenza di potere in astratto.
Qualora, infatti, all’Amministrazione della giustizia fosse preclusa la possibilità di sospendere transitoriamente dall’incarico il Giudice di Pace coinvolto da fatti ritenuti di significativa rilevanza disciplinare in quanto idonei a compromettere il prestigio delle funzioni giudiziarie onorarie attribuite, non sarebbe possibile altra evenienza che l’immediata revoca del decreto ministeriale di nomina, con conseguente definitiva interruzione del rapporto ed impossibilità di decretarne un’eventuale futura prosecuzione se non a fronte di un annullamento d’ufficio o giurisdizionale che potrebbe anche mai avvenire. Diversamente, la sospensione degli effetti garantisce la salvaguardia dei preminenti interessi pubblici tutelati nella prospettiva di una futura e completa istruttoria da condurre nel rispetto del contraddittorio con l’interessato al fine di accertare la sussistenza dei presupposti per la prosecuzione o definitiva interruzione del rapporto amministrativo intercorrente tra la P.A. ed il destinatario del provvedimento cautelare.
II.3.5. – La seconda ragione, di carattere sistematico, è rinvenibile, invece, nella legge fondamentale del potere amministrativo, ed ossia nella L. n. 241/1990 che all’art. 21 quater riconosce, in generale, allo stesso organo che ha emanato il provvedimento amministrativo il potere di sospenderne l’esecuzione al ricorrere di gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, così rappresentando la sospensione dell’efficacia quale potere minore e connesso a quello (più ampio) di adozione di un certo provvedimento, in ragione dell’evidente connessione sussistente con la norma attributiva di quel determinato potere di amministrazione attiva, quest’ultima legittimando l’Autorità competente non soltanto formalmente ad esercitare il potere riconosciutogli, ma anche a consentirle un pieno governo delle conseguenze del potere esercitato, al punto da implicitamente ammettere financo la facoltà di sospendere l’efficacia del provvedimento tipico emanato.
Il Consiglio di Stato, infatti, ha da tempo affermato che (Consiglio di Stato sez. III, 25 agosto 2020, n.5196; Consiglio di Stato sez. III, 28 marzo 2019, n.2075; Consiglio di Stato sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 823; sez. IV, 13 giugno 2013, n. 3276; sez. V, 18 dicembre 2012, n. 6507; sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 905):
a) ai sensi degli artt. 7, comma 2, e 21 quater l. 7 agosto 1990 n. 241, la Pubblica Amministrazione dispone di un generale potere di natura cautelare e di durata temporanea, consistente nella sospensione degli effetti dell'atto amministrativo precedentemente adottato, al quale però si accompagna la necessità della previsione di un termine che salvaguardi l'esigenza di certezza della posizione giuridica della parte, così scongiurando il rischio di una illegittima sospensione sine die. Il suddetto parametro temporale risulta oggi rigidamente presidiato da una disposizione di chiusura, introdotta dall'articolo 6 comma 1 lettera c) della l. 124/2015 ed a mente della quale "La sospensione non può comunque essere disposta o perdurare oltre i termini per l'esercizio del potere di annullamento di cui all'articolo 21-nonies".
b) affinché il potere cautelare dell'Amministrazione possa ritenersi correttamente esercitato, come del resto previsto dall'art. 21 quater, comma 2, l. n. 241 del 1990, è indispensabile che sussistano gravi ragioni, cioè circostanze tali da rendere quanto meno inopportuno che un provvedimento emanato, non inficiato da vizi macroscopici o facilmente riconoscibili, continui a svolgere i propri effetti per evitare che questi possano definitivamente alterare e compromettere il substrato fattuale sul quale incide (Consiglio di Stato sez. III, 28/03/2019, n. 2075).
Con riguardo al caso in esame, il potere di sospensione cautelare dalle funzioni giudiziarie onorarie esercitate soddisfa i richiamati requisiti tanto sul piano teleologico, quanto sul piano eziologico, poiché tanto funzionale alla tutela delle medesime esigenze generali della collettività connesse all’Amministrazione della giustizia e garantite dall’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017, quanto strumentale rispetto al più ampio potere di revoca previsto dalla disposizione da ultimo menzionata, di cui costituisce un potere minore, peraltro, giustificabile anche nell’ottica del rispetto del principio di proporzionalità, eludendo il rischio che a fronte di esigenze cautelari meramente transitorie l’Amministrazione si determini con provvedimenti di definitiva revoca del decreto ministeriale di conferimento dell’incarico di Giudice di Pace.
Ed invero, con riferimento in generale alla sospensione facoltativa disposta a seguito di procedimento penale – a norma del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 91 (fra le altre, Cass. nn. 147/2013, 15941/2013, 26287/2013, 13160/2015, 9304/2017, 10137/2018, 20708/2018, 7657/2019, 9095/2020) – ed in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa (C.d.S., Ad plen. 28 febbraio 2002 n. 2) e costituzionale (Corte Cost. 6 febbraio 1973 n. 168), la Corte di Cassazione ha chiarito che la sospensione cautelare, in quanto misura interinale, ha il carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l'esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella sospensione disciplinare, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti.
Può, dunque, concludersi che la mancata previsione nel D.Lgs. n. 116/2017 di un espresso potere di sospensione dall’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie non può ritenersi indicativa della volontà del legislatore di escludere la possibilità di irrogare un siffatto provvedimento cautelare.
Donde, l’infondatezza dei primi due motivi esaminati, non essendo il provvedimento impugnato nullo per difetto di attribuzione.
III. – Con il terzo motivo del ricorso introduttivo si lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per falsa applicazione dell’art. 18 d.P.R. n. 198/2000, degli artt. 21 e 22 D.Lgs. n. 109/2006, violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., eccesso di potere per contraddittorietà estrinseca, poiché: 1) il Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS- non poteva proporre al Consiglio giudiziario l’esercizio di un potere di sospensione previsto da una norma regolamentare, ossia l’art. 18 d.P.R. n. 198/2000, non più applicabile in quanto attuativa di una legge ormai abrogata e, peraltro, richiamante una disposizione, ossia l’art. 31 R.G.L. n. 511/1946, a sua volta, abrogata; 2) non sarebbe, poi, ammissibile un’applicazione analogica dell’art. 18 d.P.R. n. 198/2000, essendo l’ordinamento dei magistrati sottoposto alla riserva assoluta di legge di cui all’art. 108 co.1 Cost.; 3) sussisterebbe una chiara contraddittorietà tra la proposta del Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS-, formulata ai sensi dell’art. 18 D.P.R. n. 198/2000, e la delibera del C.S.M., che, invece, ha ritenuto applicabili gli artt. 21 e 22 del D.Lgs. n. 109/2006 previsti per i magistrati ordinari in quanto espressione di un principio generale immanente al sistema a tutela dell’immagine della funzione giurisdizionale del corretto esercizio di essa, come tale estensibile anche alla magistratura onoraria.
III.1. – Con riguardo al primo profilo di illegittimità dedotto, il Collegio si riporta a quanto già argomentato in relazione al punto II, sussistendo un fondamento normativo del potere nell’occasione esercitato dall’Amministrazione giudiziaria e non risultando quindi violato il generale principio di tipicità e tassatività.
In secondo luogo, occorre precisare che l’art. 18 d.P.R. n. 198/2000 non può ritenersi abrogato dal D.Lgs. n. 116/2017.
Ed invero, sebbene i regolamenti di mera esecuzione ed attuazione siano suscettibili di sopravvenuta inefficacia in caso di abrogazione della normativa primaria di riferimento della quale costituiscono disciplina attuativa, il d.P.R. n. 198/2000 non può considerarsi un regolamento meramente attuativo delle disposizioni di cui al capo I della legge 24 novembre 1999 n. 468, essendo anche, come chiaramente desumibile dall’art. 1, una normativa di coordinamento della disciplina concernente i Giudici di Pace che, per quanto di interesse in questa sede, procedimentalizza all’art. 18 un potere già rinveniente il suo fondamento in una norma primaria costituita, in precedenza, dalla legge 21 novembre 1991 n. 374 ed oggi dall’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017.
Il che, di per sé, esclude la sopravvenuta inefficacia quale conseguenza dell’abrogazione delle disposizioni della legge 21 novembre 1991 n. 374 menzionate nell’art. 33 D.Lgs. n. 116/2017.
Né, peraltro, in quest’ultima norma si rinviene un espresso riferimento al d.P.R. n. 198/2000.
Pertanto, non può ritenersi il richiamato regolamento implicitamente abrogato dal D.Lgs. n. 116/2017.
Con riguardo, poi, a quanto affermato nella sentenza appellata in relazione alla ritenuta natura dinamica e sostitutiva del rinvio contemplato dall’art. 18 co. 4 d.P.R. n. 198/2000 agli artt. 30 e 31 R.D. n. 511/1946, con conseguente intendimento di un richiamo agli attuali artt. 21 e 22 D.Lgs. n. 109/2006, il Collegio condivide le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di prime cure, osservando, poi, che, quand’anche non si condividesse la tesi sostenuta dal T.A.R. Lazio, il potere cautelare sospensivo avrebbe, comunque, un suo fondamento normativo primario direttamente desumibile dall’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017, in quanto potere implicito strumentale rispetto all’espresso potere di revoca delle funzioni giudiziarie onorarie.
III.2. – Il che rileva anche ai fini della doglianza con la quale si lamenta l’incompatibilità della ritenuta applicazione analogica dell’art. 18 d.P.R. n. 198/2000 con la riserva di legge di cui all’art. 108 co.1 Cost., considerato, infatti, che il fondamento normativo del potere esercitato sarebbe desumibile dalla richiamata disposizione avente forza di legge e non da un regolamento.
L’art. 18 D.P.R. n. 198/2000, infatti, è una norma regolatrice del potere e non anche costitutiva del potere.
Pertanto, la censura è destituita di fondamento.
III.3. – Con riguardo, poi, alla dedotta contraddittorietà della motivazione degli atti a confronto, si osserva, da un lato, che il riferimento all’art. 18 D.P.R. n. 198/2000 contemplato nella proposta del Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS- non era erroneo per le anzidette ragioni, e, dall’altro, che il richiamo agli artt. 21 e 22 D.Lgs. n. 109/2006 previsto nella delibera del C.S.M. deve intendersi in senso indicativo dell’esistenza di un generale potere immanente al sistema che, in quanto preordinato alla tutela dell’immagine e del corretto esercizio della funzione giurisdizionale, “deve trovare applicazione in tutti i casi in cui vi sia il pericolo di lesione” (pag. 2 della delibera consiliare impugnata).
Né, peraltro, potrebbe pervenirsi a differente conclusione condividendo le censure dell’appellante, poiché, quand’anche il predetto richiamo agli artt. 21 e 22 D.Lgs. n. 109/2006 fosse ritenuto erroneo, il provvedimento impugnato non sarebbe, comunque, illegittimo in quanto espressione di un potere cautelare agevolmente desumibile dall’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017, in ragione del richiamo ai presupposti previsti per l’esercizio del potere di revoca, contemplando la delibera impugnata un chiaro riferimento alla citata disposizione normativa nella parte in cui al comma 5 statuisce che “La revoca è altresì disposta quanto il magistrato onorario tenga in ufficio o fuori una condotta tale da compromettere il prestigio delle funzioni attribuitegli”.
Pertanto, il terzo motivo è infondato.
IV. – Con il quarto motivo di ricorso si lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per falsa applicazione dell’art. 18 d.P.R. n. 198/2000, degli artt. 21 e 22 D.Lgs. n. 109/2006, violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., violazione degli artt. 1, 2, 3 L. n. 241/1990, eccesso di potere per travisamento, contraddittorietà estrinseca, sviamento, poiché: 1) il C.S.M. avrebbe erroneamente ritenuto l’appellante autore di condotte tenute in ufficio e fuori tali da compromettere il prestigio delle funzioni attribuitegli, al punto da meritare l’adozione delle sanzioni disciplinari di cui all’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017, per poi affermare la necessaria applicabilità delle disposizioni stabilite per i magistrati professionali a causa della mancata previsione di un’apposita disciplina per i giudici onorari; 2) nessuna condotta tenuta in ufficio sarebbe stata contestata all’appellante, essendo, semmai, da considerare rilevanti le condotte serbate al di fuori dell’ufficio; 3) erronea sarebbe l’affermazione secondo cui la società di cui l’appellante sarebbe socio ed amministratore di fatto avrebbe sede in un Comune (ossia quello di -OMISSIS-) compreso nel circondario di competenza dell’ufficio del Giudice di Pace di -OMISSIS-, presso il quale l’interessato esercita le sue funzioni giudiziarie onorarie, rientrando il Comune di -OMISSIS-, invece, nel circondario dell’ufficio del Giudice di Pace di -OMISSIS-.
IV.1. – Con riguardo al primo profilo di illegittimità dedotto, il Collegio osserva che l’impugnata delibera del C.S.M. ha correttamente dato atto della carenza di un’espressa disposizione normativa che, tuttavia, può essere superata dall’applicazione delle disposizioni concernenti gli illeciti disciplinari dei magistrati professionali in quanto espressione di un principio generale immanente al sistema e, dunque, estensibile anche alla magistratura onoraria, essendo volta a tutelare l’immagine della funzione giurisdizionale ed il corretto esercizio della stessa, dovendo, dunque, “trovare applicazione in tutti i casi in cui vi sia il pericolo di lesione”.
Il concetto espresso, infatti, non si traduce in un’applicazione analogica del D.Lgs. n. 109/2006 a casi in esso non rientranti, ma giustifica la mera attuazione di talune regole in quanto parametro di riferimento per l’esercizio di un potere di sospensione cautelare che, proprio poiché di carattere generale ed immanente al sistema, è insito nel più ampio ed espresso potere di revoca.
Non sussiste, dunque, la dedotta contraddizione nella motivazione del provvedimento impugnato, poiché il fondamento normativo del potere nell’occasione esercitato deve rinvenirsi pur sempre nell’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017, dovendosi intendere il richiamo agli artt. 21 e 22 D.Lgs. n. 109/2006 meramente preordinato a mutuare le regole disciplinanti la sospensione dall’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie sul piano della specificazione delle gravi ragioni in presenza delle quali, ai sensi dell’art. 21 quater L. n. 241/1990, è possibile, in generale, il ricorso al potere cautelare.
IV.2. – Con riguardo, poi, alla contestazione secondo cui nessuna condotta tenuta in ufficio sarebbe stata contestata all’appellante, essendo, semmai, da considerare rilevanti le condotte serbate al di fuori dell’ufficio, il Collegio osserva che la circostanza è vera ma non decisiva, dal momento che il provvedimento cautelare è stato adottato per i fatti in relazione ai quali l’appellante è stato imputato nel processo conclusosi con la pronuncia del Tribunale ordinario di -OMISSIS- di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
Pertanto, la doglianza, di per sé, non inficia la legittimità del provvedimento impugnato.
IV.3. – Analoghe considerazioni valgono anche in relazione all’ulteriore circostanza contestata, concernente l’erronea affermazione secondo cui la società della quale l’appellante sarebbe socio ed amministratore di fatto avrebbe sede in un Comune rientrante nell’ambito del circondario di competenza dell’ufficio del Giudice di Pace di -OMISSIS- presso il quale l’interessato esercita le sue funzioni giudiziarie onorarie, poiché, sebbene, come correttamente dedotto, il Comune di -OMISSIS- rientri, invece, nel circondario dell’ufficio del Giudice di Pace di -OMISSIS-, le esigenze cautelari di tutela avvertite dal C.S.M. non sono in modo alcuno inficiate.
La ragione, infatti, del provvedimento adottato si rinviene nella tutela della funzione giudiziaria in sé considerata e nel discredito alla medesima potenzialmente arrecato dalla condotta tenuta fuori dall’ufficio dall’appellante, non rilevando anche il profilo della localizzazione territoriale a fronte della non decisiva rilevanza per la delibera del C.S.M. impugnata che i fatti in questione siano stati commessi all’interno o meno del territorio rientrante nel circondario dell’ufficio presso il quale l’interessato svolgeva le funzioni di Giudice di Pace.
Il motivo, pertanto, è infondato.
V. – Con il quinto motivo di ricorso si lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per falsa applicazione dell’art. 18 d.P.R. n. 198/2000, degli artt. 21 e 22 D.Lgs. n. 109/2006, violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., violazione degli artt. 1, 2, 3 L. n. 241/1990, eccesso di potere per travisamento, contraddittorietà estrinseca, sviamento, poiché sarebbero state acriticamente recepite le ricostruzioni fattuali contemplate nel capo di imputazione del decreto di rinvio a giudizio, senza espletare un’accurata ed approfondita attività istruttoria, come, invece, sarebbe stato doveroso, tenuto conto che, per il reato contestato all’appellante non procedibile d’ufficio, sarebbe stata sporta una querela tardiva da parte di una persona non legittimata in quanto diversa da quella presuntivamente offesa, senza, poi, considerare l’estraneità dell’appellante rispetto ai fatti in questione, tenuto conto che il controverso rapporto contrattuale da cui è scaturita la vicenda è intercorso tra due società e che, peraltro, l’accusa sarebbe confutata dalla totale carenza di prova.
V.1. – Il proposto motivo palesa la finalità di dimostrare la dedotta carenza di istruttoria inficiante la legittimità dell’impugnato provvedimento mediante la prospettazione di talune eccezioni processual-penalistiche ed una ricostruzione dei fatti contestati che comproverebbero tanto l’innocenza dell’appellante in relazione all’accusa del reato di insolvenza fraudolenta a lui imputato, quanto l’omesso approfondimento di tutte le circostanze del caso da parte del Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS-, del Consiglio giudiziario e del C.S.M..
Il Collegio osserva che la vicenda penalistica di cui l’appellante è stato protagonista appare essere stata valutata in funzione delle esigenze cautelari da tutelare con l’impugnato provvedimento.
La ragione, infatti, della decretata sospensione dalle funzioni giudiziarie onorarie esercitate si rinviene nell’esigenza di garantire i preminenti interessi pubblici coinvolti nell’ottica dell’adozione di un provvedimento che, in quanto di natura cautelare e di durata transitoria, presupponeva un accertamento sommario, volto a verificare la sussistenza di un fumus boni iuris e di un periculum in mora giustificanti la decisione adottata in relazione non tanto alla rilevanza penale dei fatti imputati all’appellante, quanto al rapporto tra il discredito ingenerato dalla vicenda nel suo complesso considerata ed il prestigio della funzione giurisdizionale coinvolta.
Il che induce a ritenere sufficiente l’istruttoria espletata rispetto alle finalità cautelari perseguite.
Sebbene, infatti, il Pubblico Ministero avesse, in un primo momento, chiesto l’archiviazione del procedimento, in seguito ha citato in giudizio l’appellante, imputandogli il reato di insolvenza fraudolenta e promuovendo contro di lui un giudizio penale che si concludeva con la pronuncia da parte del Tribunale di -OMISSIS-, Sez. pen. I, della sentenza n. -OMISSIS- di non doversi procedere per maturata prescrizione.
Donde, una rilevante conseguenza direttamente promanante dalle norme del codice di procedura penale.
L’art. 129 c.p.p., infatti, prevede al co.1 che in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara d’ufficio con sentenza, precisandosi al co.2 che, qualora ricorra una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulti evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta.
Ne consegue che, ai sensi dell'art. 129, secondo comma, cod. proc. pen. in caso di dubbio sulla responsabilità dell’imputato, deve prevalere la formula di proscioglimento per estinzione del reato.
Il che rileva nella fattispecie poiché, con riguardo al caso in esame, il Tribunale di -OMISSIS- non ha pronunciato una sentenza di assoluzione ma si è limitato a dichiarare estinto il reato per prescrizione, con ciò escludendo la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 129 co. 2 c.p.p.
Di conseguenza, non sussiste la dedotta illegittimità per difetto di istruttoria e l’adozione di un provvedimento amministrativo cautelare preordinato a salvaguardare i superiori interessi pubblici connessi all’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie appare giustificata.
Il Collegio al riguardo condivide le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado.
Il motivo, pertanto, è infondato.
VI. – Con il sesto motivo si lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per falsa applicazione dell’art. 18 d.P.R. n. 198/2000, degli artt. 21 e 22 D.Lgs. n. 109/2006, violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., violazione degli artt. 1, 2, 3 L. n. 241/1990, eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, travisamento, sviamento, poiché né la proposta del Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS-, né la delibera del C.S.M. spiegherebbero le ragioni per le quali i fatti contestati all’appellante comproverebbero la sua incompatibilità con la prosecuzione dell’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie, peraltro, svolte da quasi 20 anni.
VI.1. – Il dedotto difetto di motivazione non sussiste.
Il Collegio, infatti, osserva che per l’emanazione di un provvedimento di sospensione cautelare è sufficiente una valutazione sommaria dei fatti considerati di cui l’Amministrazione giudiziaria ha dato contezza. Già, infatti, nella nota del Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS- del 5 aprile 2019 si dava atto dell’esame delle allegazioni difensive dell’appellante e della loro non idoneità a confutare il coinvolgimento del medesimo nella vicenda oggetto del procedimento penale di cui sopra.
Né, peraltro, può ascriversi rilievo decisivo alla tardività della querela sporta nei confronti dell’appellante o alla carenza di legittimazione del suo autore, poiché, come chiarito nell’impugnata delibera del C.S.M., la rilevanza disciplinare dei fatti in questione è stata valutata anche a prescindere dal loro disvalore penale.
Il motivo, pertanto, è infondato.
VII. – Con il settimo motivo si lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per falsa applicazione dell’art. 18 d.P.R. n. 198/2000, degli artt. 21 e 22 D.Lgs. n. 109/2006, violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., violazione degli artt. 1, 2, 3 L. n. 241/1990, violazione dei principi di proporzionalità e gradualità delle misure cautelari, eccesso di potere per irrazionalità ed illogicità manifeste, sviamento, poiché la sospensione cautelare dalle funzioni giudiziarie onorarie sarebbe stata disposta ben oltre 2 anni dopo l’avvio del relativo procedimento disciplinare, in violazione del termine massimo di un anno previsto dall’ormai non applicabile d.P.R. n. 198/2000, e sarebbe comunque sproporzionata rispetto alle circostanze in questione, protraendosi per oltre tre anni per fatti commessi oltre otto anni prima, con conseguente carenza di qualsivoglia esigenza cautelare.
VII.1. – Il motivo è destituito di fondamento, poiché la tempistica seguita è il risultato di una complessa e delicata istruttoria originata con la trasmissione al Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS-, in data 10 aprile 2018, degli atti ad opera del C.S.M. concernenti la vicenda penale in cui l’appellante era coinvolto, a seguito del rigetto da parte del G.I.P. presso il Tribunale di -OMISSIS- della richiesta di archiviazione formulata dalla Procura della Repubblica.
In data 5 giugno 2018, infatti, la Presidenza della Corte d’Appello di -OMISSIS- procedeva all’audizione dell’appellante, dopo avere acquisito ulteriori informazioni dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-.
Dopo di che, si attendevano ulteriori sviluppi sino a quando le indagini preliminari ancora in corso non si concludevano con il decreto di citazione a giudizio dell’appellante comunicato con le missive del 6 novembre 2018 e del 7 gennaio 2019 dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di -OMISSIS-, seguite dalla trasmissione in data 28 gennaio 2019 ad opera del C.S.M. dell’ulteriore nota della Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di -OMISSIS-.
Infine, il Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS- inoltrava al Consiglio Giudiziario, Sezione Autonoma Magistratura Onoraria, la proposta poi recepita dal C.S.M.
Il chiaro collegamento con le indagini penali avviate nei confronti dell’appellante dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- imponeva un ragionevole periodo di attesa che la Corte d’Appello di -OMISSIS- ha correttamente osservato, per poi chiudere la fase istruttoria ed attivare il procedimento disciplinare sanzionatorio conclusosi con l’impugnato provvedimento di sospensione cautelare dall’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie.
Peraltro, come correttamente osservato nella sentenza appellata, l’art. 18 del d.P.R. n. 198/2000 non contempla alcun termine perentorio.
Inoltre, occorre precisare che le esigenze cautelari vanno valutate al tempo dell’attualità, ossia al momento in cui deve disporsi la misura e poiché il pregiudizio per l’esercizio delle funzioni giudiziarie è sempre attuale in ragione della permanente e continua esigenza di tutelare l’immagine ed il prestigio della magistratura, la censura non coglie nel segno.
Il motivo, pertanto, è infondato, come l’intero ricorso introduttivo del giudizio di primo grado che, dunque, deve essere respinto.
VIII. Con successivi motivi aggiunti veniva impugnato il decreto ministeriale del 15 giugno 2021 con il quale il Ministro della Giustizia ha disposto la sospensione cautelare dell’appellante dall’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie, domandandosene l’annullamento tanto per illegittimità derivante dalla già dedotta invalidità degli atti impugnati con il ricorso introduttivo, quanto per taluni vizi propri che di seguito si esaminano.
IX. – L’appellante lamenta la violazione e o falsa applicazione degli artt. 17 e 18 D.P.R. n. 198/2000, nonché la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., poiché non sarebbero stati rispettati i termini di conclusione del procedimento disciplinare previsti dall’ormai abrogato d.P.R. n. 198/2000, essendo stato emanato l’impugnato decreto ministeriale tre anni dopo l’avvio del procedimento e sei mesi dopo la delibera di sospensione del C.S.M.
IX.1. – Al riguardo, il Collegio si riporta a quanto già dedotto al punto VII.1., precisando che la tempistica del procedimento conclusosi con l’adozione degli impugnati provvedimenti è stata contraddistinta, tra l’altro, dalla corretta attesa degli esiti delle indagini preliminari condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-.
L’appellante lamenta la violazione del termine annuale di cui all’art. 17 co.9 D.P.R. n. 198/2000 decorrente dall’iscrizione della notizia di rilevanza disciplinare nell’apposito registro curato dal Presidente della Corte d’Appello.
Il Consiglio di Stato osserva che il procedimento disciplinare previsto dalla richiamata normativa concerne i casi di decadenza, dispensa, censura o revoca del giudice di pace e non anche l’adozione di un provvedimento cautelare, non a caso contemplata nella disposizione immediatamente successiva.
L’art. 18 D.P.R. n. 198/2000, infatti, richiama al co.4, in tema di sospensione facoltativa dall’esercizio delle funzioni giudiziarie, la casistica contemplata dagli artt. 30 e 31 co.2 R.D. n. 511/1946 (oggi da intendersi quella prevista dagli artt. 21 e 22 D.Lgs. n. 109/2006), affermando anche l’applicazione del procedimento previsto ai precedenti commi 2 e 3 riguardanti la diversa fattispecie del giudice di pace sottoposto a misura cautelare personale e secondo cui “il presidente della corte d'appello, non appena acquisita notizia dell'esecuzione della misura cautelare, richiede la sospensione dalle funzioni di giudice di pace al consiglio giudiziario, integrato ai sensi dell'art. 16. Il consiglio giudiziario, verificata la fondatezza della richiesta, trasmette gli atti al Consiglio superiore della magistratura affinché dichiari la sospensione.
3. Il Consiglio superiore della magistratura, adottato il provvedimento di cui al comma 2, lo comunica al consiglio giudiziario che provvede ai sensi dei commi 6 e seguenti dell'art. 17”.
Il necessario coordinamento della richiamata disciplina per la sua corretta applicazione alla differente ipotesi della sospensione dalle funzioni giudiziarie onorarie nei casi in cui il giudice di pace sia stato protagonista di fatti per i quali non sia stato sottoposto a misura cautelare personale implica che la richiesta di sospensione del Presidente della Corte d’Appello venga formulata una volta acquisita la notizia di rilevanza disciplinare nella sua interezza, eventualmente anche all’esito di un’adeguata istruttoria che evidenzi tutti gli elementi utili a giustificare il provvedimento cautelare richiesto.
Se, infatti, nell’ipotesi in cui il giudice di pace sia sottoposto a misura cautelare personale l’obbligo di trasmissione della richiesta è automaticamente configurabile con l’acquisizione della notizia, a fronte dei gravi indizi di colpevolezza accertati dal giudice penale, fuori da questi casi, invece, il Presidente della Corte d’Appello è tenuto ad eseguire una ponderata valutazione dei fatti di cui è venuto a conoscenza, soltanto all’esito potendo decidere se formulare la richiesta o meno, non sempre essendo la rilevanza disciplinare di talune condotte ictu oculi evidente, come nel caso in esame.
Donde, l’opportuna attesa da parte del Presidente della Corte d’Appello di -OMISSIS- della conclusione delle indagini preliminari condotte a carico dell’appellante dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-, nella prospettiva di avere un quadro probatorio più chiaro dei fatti in questione.
Una volta disposta la sospensione cautelare da parte del C.S.M. con la delibera del 13 gennaio 2021 è stato adottato il conseguente decreto ministeriale anch’esso di sospensione cautelare, ma non è stato attivato anche il procedimento disciplinare di cui all’art. 17 co.6 e seguenti del D.P.R. n. 198/2000, secondo quanto previsto dall’art. 18 co.3 D.P.R. n. 198/2000, non essendo stata formulata dal Consiglio Giudiziario alcuna proposta di revoca delle funzioni giudiziarie onorarie nei confronti dell’appellante.
Donde, l’inapplicabilità del termine annuale previsto dall’art. 17 co.9 D.P.R. n. 198/2000.
Il motivo, pertanto, è infondato.
X. – Con l’ultimo motivo si lamenta, infine, la violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., eccesso di potere per contraddittorietà manifesta, illogicità, irrazionalità, poiché l’impugnato decreto ministeriale erroneamente affermerebbe di trarre il proprio fondamento dall’art. 21 D.Lgs. n. 116/2017, quando, in realtà, la richiamata disposizione normativa non contempla il potere di disporre la sospensione cautelare dall’esercizio delle funzioni giudiziarie onorarie.
X.1. – Al riguardo è sufficiente richiamare quanto già dedotto in relazione al fondamento del potere cautelare esercitato, in ossequio al principio di continenza.
XI. – Pertanto, anche i motivi aggiunti sono infondati e, di conseguenza, l’appello deve essere respinto.
XII. – La decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016 n. 3176), con la conseguenza che (Consiglio di Stato sez. VI, 31/08/2021, n.6119) gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
XIII. – La peculiare complessità delle questioni di diritto dedotte giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese processuali del grado di appello compensate.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante e tutte le persone fisiche menzionate.