Per la Suprema Corte no, non potendo in ogni caso dirsi legittimo il possesso del bene perché il terreno era comunque di proprietà pubblica.
La Corte d'Appello confermava la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato l'imputato alla pena di giustizia e al risarcimento del danno verso la parte civile in relazione al reato di invasione arbitraria di un edificio.
Contro tale decisione, l'imputato propone ricorso in Cassazione deducendo:
- La mancata considerazione di una...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Napoli emessa il 3 maggio 2019 che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile in relazione al reato di invasione arbitraria di un edificio di mq. 75 da lui stesso realizzato su suolo pubblico (artt. 633 e 639-bis cod.pen.).
2. Ricorre per cassazione S. P., deducendo:
1) violazione di legge in ordine alla ritenuta responsabilità.
Secondo il ricorrente, la Corte non avrebbe tenuto in considerazione una circostanza decisiva, costituita dal fatto che il terreno sul quale il ricorrente aveva costruito il manufatto abusivo fosse di proprietà della Protezione Civile al momento della occupazione di esso da parte dell'imputato, e tale ente non aveva mai denunciato l'occupazione abusiva, sicché al momento del successivo esproprio effettuato dal Comune di P. egli era già nel possesso del terreno e non poteva realizzare alcuna arbitraria occupazione del manufatto abusivo da lui costruito e per il quale nel 1995 aveva presentato domanda di condono;
2) violazione di legge per non avere la Corte rilevato l'intervenuta prescrizione del reato, dovendosi far decorrere l'occupazione dal 1993, allorquando era avvenuta l'occupazione del terreno, trattandosi di reato istantaneo ad effetti permanenti;
3) violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. Quanto al primo motivo, deve ricordarsi il pacifico principio di diritto secondo il quale, la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici consiste nell'introduzione dall'esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione, atteso che la norma di cui all'art. 633 cod. pen. non è posta a tutela di un diritto, bensì di una situazione di fatto, dovendosi escludere il reato ogni qualvolta l'autore sia entrato legittimamente in possesso del bene (Sez. 2, n. 40571 del 21/05/2013, Pispicia, Rv. 257328; Sez. 2, n. 51754 del 03/12/2013, Papasidero, Rv. 258063).
Nel caso in esame, il ricorrente non contesta la circostanza che egli aveva occupato abusivamente il terreno sul quale aveva poi costruito il manufatto abusivo da lui abitato.
Il terreno era, comunque, di proprietà pubblica, poco importando che al momento della invasione arbitraria fosse di proprietà della Protezione Civile (come sostiene il ricorrente) e successivamente del Comune di P. (sul punto, Sez. 7, ordinanza n. 27249 del 17/05/2022, Falleti, Rv. 283323, secondo cui, ai fini della perseguibilità di ufficio del delitto di invasione di terreni o edifici, devono considerarsi "pubblici" - secondo la nozione che si ricava dagli art. 822 e seg. cod. civ., mutuata dal legislatore penale - i beni appartenenti a qualsiasi titolo allo Stato o ad un ente pubblico, e quindi non solo i beni demaniali ma anche quelli facenti parte del patrimonio disponibile o indisponibile degli enti predetti, e "destinati ad uso pubblico" quelli che appartengono a privati e detta destinazione abbiano concretamente avuto).
La Protezione Civile è un servizio pubblico nazionale istituito con la legge n. 225 del 24 febbraio 1992.
E' irrilevante, altresì, il fatto che tale organismo pubblico, come sostiene il ricorrente, avesse prestato iniziale acquiescenza, mai denunciando l'occupazione arbitraria del terreno.
Tale circostanza non scrimina il comportamento contro la legge (cfr. Sez. 2, n. 40822 del 09/10/2008, Iaccarino, Rv. 242242, a proposito della occupazione sine titulo di un alloggio di proprietà dell'Istituto Autonomo Case Popolari).
Ne consegue che allorquando il ricorrente aveva costruito il manufatto abusivo sul terreno arbitrariamente occupato, aveva continuato nella sua originaria occupazione illegittima del fondo, addirittura aggravandola attraverso la condotta che gli viene contestata costituita dalla occupazione dell'abitazione illecitamente costruita.
Nel che, la rilevanza penale del fatto.
2. E' infondato anche il secondo motivo.
L'oramai consolidata giurisprudenza di legittimità ritiene che, il delitto di invasione di edifici, di cui all'art. 633 cod. pen., ha natura permanente quando l'occupazione si protrae nel tempo, determinando un'immanente limitazione della facoltà di godimento spettante al titolare del bene, con la conseguenza che il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui cessa l'occupazione, con l'allontanamento dell'occupante dall'edificio (Sez. 2, n. 46692 del 02/10/2019, Tomasello, Rv. 277929; Sez. 2, n. 29657 del 27/03/2019, Cerullo, Rv. 277019; Sez. 2, n. 16363 del 13/02/2019, Bevilacqua, Rv. 276096).
E' pacifico che, nel caso in esame, la condotta del ricorrente si sia protratta nel tempo, attraverso l'occupazione arbitraria dell'immobile abusivo riscontrata ancora nel 2010 dal personale della Polizia di Stato, secondo quanto evidenziato a fg. 3 della sentenza impugnata.
Il ricorrente non ha provato di essersi allontanato dall'immobile in una data significativa ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, sicché, tenuto conto della contestazione accusatoria "aperta" («dal 2010 con condotta perdurante»), deve ritenersi che l'illecito si sia protratto fino alla data della sentenza di primo grado (3 maggio 2019) e non è caduto in prescrizione.
In questo senso, Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018, Vetrano, Rv. 274458.
3. E' manifestamente infondato il terzo motivo.
La Corte ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche avuto riguardo alla gravità del fatto, specificamente ancorata alla modalità della condotta perdurante nel tempo.
Si è fatto espresso riferimento, quindi, ad uno dei parametri di cui all'art. 133 cod. pen., dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768).
Inoltre, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, ai fini della determinazione della pena, il giudice - così come si è verificato nel caso in esame - può tenere conto di uno stesso elemento (nella specie la gravità della condotta) che abbia attitudine ad influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del "ne bis in idem" (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, P.G., Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep.2014, Debbiche Elmi, Rv. 258011).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.