Per la Corte, il diritto dell'UE non ha imposto né escluso tale rimborso, ma lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità, purchè sia esercitata nel rispetto dei principi di non discriminazione, proporzionalità e trasparenza.
La controversia trae origine dalla richiesta degli operatori di telecomunicazioni italiani di ottenere dai Giudici nazionali l'annullamento del decreto del 2017 che aveva stabilito il rimborso parziale delle spese connesse alle operazioni di intercettazione di comunicazioni. Gli operatori, che hanno l'obbligo di effettuare tali operazioni in caso di richiesta proveniente dalle autorità giudiziarie, sostenevano che gli importi previsti dal decreto non coprono integralmente i costi sostenuti.
Il Consiglio di Stato rimette la questione alla CGUE chiedendo se il diritto dell'UE imponga il rimborso integrale dei costi effettivamente affrontati dagli operatori per l'esecuzione di siffatte operazioni di intercettazione.
Con la sentenza nella causa C-339/21 del 16 marzo 2023, la CGUE afferma che «il diritto dell'Unione non osta a una normativa nazionale che non prevede il rimborso integrale dei costi effettivamente sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica quando tali fornitori assicurano la possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare intercettazioni legali di comunicazioni elettroniche, purché tale normativa sia non discriminatoria, proporzionata e trasparente».
Sulla questione, la Corte osserva che il Codice delle comunicazioni elettroniche europee prevede la possibilità per gli Stati membri di assoggettare l'autorizzazione generale per la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica a determinate condizioni, tra cui quella di assicurare la possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare intercettazioni legali.
Pertanto, prosegue la CGUE, il Legislatore dell'UE non ha imposto né escluso il rimborso, da parte degli Stati membri, dei costi sostenuti dalle imprese che assicurano la possibilità di effettuare intercettazioni legali.
CGUE, Quinta Sezione, sentenza 16 marzo 2023, causa C-339/21
«Rinvio pregiudiziale – Reti e servizi di comunicazione elettronica – Direttiva (UE) 2018/1972 – Articolo 13 – Condizioni apposte all’autorizzazione generale – Allegato I, parte A, punto 4 – Possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare intercettazioni legali – Articolo 3 – Obiettivi generali – Normativa nazionale in materia di rimborso dei costi connessi alle attività d’intercettazione imposte agli operatori di telecomunicazione dalle autorità giudiziarie – Assenza di meccanismi di rimborso integrale – Principi di non discriminazione, proporzionalità e trasparenza»
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 18, 26, 49, 54 e 55 TFUE, degli articoli 3 e 13 della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il codice delle comunicazioni elettroniche europeo (GU 2018, L 321, pag. 36), nonché degli articoli 16 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di varie controversie che oppongono, da un lato, la Colt Technology Services SpA, la Wind Tre SpA, la Telecom Italia SpA e la Vodafone Italia SpA (in prosieguo, insieme: gli «operatori di telecomunicazioni interessati») al Ministero della Giustizia (Italia), al Ministero dello Sviluppo economico (Italia) e al Ministero dell’Economia e delle Finanze (Italia), nonché, in taluni casi, a seconda del procedimento, alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Reggio Calabria, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma (Italia) e alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Locri (Italia) e, dall’altro, il Ministero della Giustizia, il Ministero dello Sviluppo economico, la Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Reggio Calabria, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma alla Wind Tre, in merito a una normativa nazionale che, a fronte di un canone forfettario annuale, obbliga tutti gli operatori di telecomunicazioni operanti sul territorio nazionale a fornire, su richiesta dell’autorità giudiziaria, servizi di intercettazione di telecomunicazioni.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 Ai sensi del considerando 1 della direttiva 2018/1972:
«Le direttive (...) 2002/20/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni) (GU 2002, L 108, pag. 21)], 2002/21/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro) (GU 2002, L 108, pag. 33)] (...) hanno subito sostanziali modifiche. Poiché si rendono necessarie nuove modifiche, a fini di chiarezza è opportuno procedere alla loro rifusione».
4 L’articolo 3 di tale direttiva, intitolato «Obiettivi generali», ai paragrafi 1 e 2 enuncia quanto segue:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nello svolgere i compiti di regolamentazione indicati nella presente direttiva, le autorità nazionali di regolamentazione e le altre autorità competenti adottino tutte le ragionevoli misure necessarie e proporzionate per conseguire gli obiettivi di cui al paragrafo 2. (...)
(...)
2. Nel contesto della presente direttiva, le autorità nazionali di regolamentazione e le altre autorità competenti, nonché [l’Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche (BEREC)], la Commissione [europea] e gli Stati membri perseguono ciascuno dei seguenti obiettivi generali, che non sono elencati in ordine di priorità:
(...)
b) promuovere la concorrenza nella fornitura delle reti di comunicazione elettronica e delle risorse correlate (…) e nella fornitura dei servizi di comunicazione elettronica e dei servizi correlati;
c) contribuire allo sviluppo del mercato interno rimuovendo gli ostacoli residui (…) per gli investimenti in e la fornitura di reti di comunicazione elettronica, servizi di comunicazione elettronica, risorse correlate e servizi correlati in tutta l’Unione [europea] (...)».
5 L’articolo 12 di detta direttiva, intitolato «Autorizzazione generale per le reti e i servizi di comunicazione elettronica», al paragrafo 1, prima frase, prevede quanto segue:
«Gli Stati membri garantiscono la libertà di fornire reti e servizi di comunicazione elettronica, fatte salve le condizioni stabilite nella presente direttiva».
6 L’articolo 13 della direttiva 2018/1972, intitolato «Condizioni apposte all’autorizzazione generale, ai diritti d’uso dello spettro radio e delle risorse di numerazione e obblighi specifici», è così formulato:
«1. L’autorizzazione generale per la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica, i diritti d’uso dello spettro radio e i diritti d’uso delle risorse di numerazione possono essere assoggettati esclusivamente alle condizioni elencate nell’allegato I. Tali condizioni sono non discriminatorie, proporzionate e trasparenti. (...)
(...)
3. L’autorizzazione generale contiene solo le condizioni specifiche del settore e indicate nelle parti A, B e C dell’allegato I e non riproduce le condizioni che sono imposte alle imprese in virtù di altre normative nazionali.
(...)».
7 L’allegato I di tale direttiva precisa, nella parte A e secondo il titolo di quest’ultima, le «Condizioni generali che possono corredare l’autorizzazione generale». Tra queste figura, al punto 4, la seguente condizione:
«Possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare [intercettazioni legali] delle comunicazioni in conformità del regolamento (UE) 2016/679 [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1),] e della direttiva 2002/58/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU 2002, L 201, pag. 37)]».
8 Ai sensi dell’articolo 125, la direttiva 2018/1972 ha abrogato e sostituito, in particolare, la direttiva 2002/20, come era stata modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 (GU 2009, L 337, pag. 37) (in prosieguo: la «direttiva 2002/20»), nonché la direttiva 2002/21, come era stata modificata dalla direttiva 2009/140 (in prosieguo: la «direttiva 2002/21»), a decorrere dal 21 dicembre 2020; i riferimenti alle direttive 2002/20 e 2002/21 devono considerarsi fatti alla direttiva 2018/1972 e devono leggersi secondo la tavola di concordanza di cui all’allegato XIII di quest’ultima direttiva.
Diritto italiano
9 L’articolo 28 del decreto legislativo del 1° agosto 2003, n. 259 – Codice delle comunicazioni elettroniche (supplemento ordinario alla GURI n. 214, del 15 settembre 2003; in prosieguo: il «Codice delle comunicazioni elettroniche»), rubricato «Condizioni apposte all’autorizzazione generale, ai diritti di uso delle frequenze radio e dei numeri», nella versione applicabile alle controversie di cui ai procedimenti principali, al comma 1 dispone quanto segue:
«L’autorizzazione generale per la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica, i diritti di uso delle frequenze radio e dei numeri possono essere assoggettati esclusivamente al rispetto delle condizioni elencate, rispettivamente, nelle parti A, B e C dell’allegato n. 1. Tali condizioni devono essere non discriminatorie, proporzionate e trasparenti e, nel caso dei diritti d’uso delle frequenze radio, conformi all’articolo 14 del Codice. L’autorizzazione generale è sempre sottoposta alla condizione n. 11 della parte A dell’allegato n. 1».
10 Detto allegato n. 1 contiene un elenco esaustivo delle condizioni che possono corredare le autorizzazioni generali (parte A), i diritti di uso delle frequenze radio (parte B) e i diritti di uso delle numerazioni (parte C). Il punto 11 della parte A del medesimo allegato menziona, in particolare, la condizione di «assicurare le prestazioni ai fini di giustizia, di cui all’articolo 96 del Codice [delle comunicazioni elettroniche], fin dall’inizio dell’attività».
11 L’articolo 96 di tale codice, intitolato «Prestazioni obbligatorie», così recita:
«1. Le prestazioni a fini di giustizia effettuate a fronte di richieste di intercettazioni e di informazioni da parte delle competenti autorità giudiziarie sono obbligatorie per gli operatori; i tempi ed i modi sono concordati con le predette autorità fino all’approvazione del decreto di cui al comma 2.
2. Ai fini dell’adozione del canone annuo forfettario per le prestazioni obbligatorie di cui al comma 1, con decreto del Ministro della giustizia e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 31 dicembre 2017, è attuata la revisione delle voci di listino di cui al decreto del Ministro delle comunicazioni 26 aprile 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 104 del 7 maggio 2001. Il decreto:
a) disciplina le tipologie di prestazioni obbligatorie e ne determina le tariffe, tenendo conto dell’evoluzione dei costi e dei servizi, in modo da conseguire un risparmio di spesa di almeno il 50 per cento rispetto alle tariffe praticate. Nella tariffa sono ricompresi i costi per tutti i servizi contemporaneamente attivati o utilizzati da ogni identità di rete;
b) individua i soggetti tenuti alle prestazioni obbligatorie di intercettazione, anche tra i fornitori di servizi, le cui infrastrutture consentono l’accesso alla rete o la distribuzione dei contenuti informativi o comunicativi, e coloro che a qualunque titolo forniscono servizi di comunicazione elettronica o applicazioni, anche se utilizzabili attraverso reti di accesso o trasporto non proprie;
c) definisce gli obblighi dei soggetti tenuti alle prestazioni obbligatorie e le modalità di esecuzione delle stesse, tra cui l’osservanza di procedure informatiche omogenee nella trasmissione e gestione delle comunicazioni di natura amministrativa, anche con riguardo alle fasi preliminari al pagamento delle medesime prestazioni.
(...)».
12 Conformemente a tale articolo 96, comma 2, le prestazioni obbligatorie fornite dagli operatori di telecomunicazioni e le relative tariffe sono state precisate con il decreto interministeriale del Ministro della Giustizia e del Ministro dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, del 28 dicembre 2017 – Disposizione di riordino delle spese per le prestazioni obbligatorie di cui all’articolo 96 del decreto legislativo n. 259 del 2003 (GURI n. 33, del 9 febbraio 2018; in prosieguo: il «decreto interministeriale del 28 dicembre 2017»).
Controversie nei procedimenti principali e questione pregiudiziale
13 Ai sensi del diritto italiano, e in particolare dell’articolo 96 del Codice delle comunicazioni elettroniche, gli operatori di telecomunicazioni sono tenuti, in caso di richiesta proveniente dalle autorità giudiziarie, ad effettuare operazioni di intercettazione di comunicazioni (vocali, informatiche, telematiche e di dati), a fronte di un canone annuo forfettario.
14 Nell’ambito delle loro attività, gli operatori di telecomunicazioni interessati sono stati tenuti a fornire siffatte operazioni di intercettazione. Ai sensi di tale articolo 96, comma 2, gli importi che essi percepivano a tal fine, e che erano stati inizialmente stabiliti con decreto del Ministro delle Comunicazioni del 26 aprile 2001, sono stati modificati dal decreto interministeriale del 28 dicembre 2017.
15 Conformemente a tale disposizione, la modifica è consistita, in particolare, in una riduzione di almeno il 50% dei rimborsi delle spese connesse a dette operazioni di intercettazione.
16 Gli operatori di telecomunicazioni interessati, con distinti ricorsi proposti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia), hanno chiesto l’annullamento del decreto interministeriale del 28 dicembre 2017, sostenendo che i compensi che le autorità italiane sono tenute ad attribuire loro ai sensi di tale decreto non coprirebbero integralmente i costi sostenuti per fornire le prestazioni obbligatorie connesse all’intercettazione di comunicazioni elettroniche disposta dalle autorità giudiziarie nazionali competenti.
17 Con le sentenze nn. 4594/2019, 4596/2019, 4600/2019 e 4604/2019 del 9 aprile 2019, tale giudice ha respinto i ricorsi con la motivazione che non era dimostrato che le tariffe fissate dal decreto non fossero sufficienti a compensare i costi sostenuti dagli operatori per lo svolgimento delle operazioni di intercettazione.
18 Gli operatori di telecomunicazioni interessati nonché, per quanto riguarda la sentenza n. 4604/2019 che aveva parzialmente accolto il ricorso della Wind Tre per un altro motivo, il Ministero della Giustizia, il Ministero dello Sviluppo economico, la Procura generale presso la Corte d’appello di Reggio Calabria, la Procura presso il Tribunale di Cagliari e la Procura presso il Tribunale di Roma hanno interposto appello avverso tali sentenze dinanzi al Consiglio di Stato (Italia), giudice del rinvio.
19 Con ordinanza del 13 febbraio 2020, tale giudice ha sottoposto alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione degli articoli 18, 26 e 102 e seguenti TFUE. Poiché tale domanda non soddisfaceva i requisiti stabiliti all’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, essa è stata respinta, con ordinanza del 26 novembre 2020, Colt Technology Services e a. (C-318/20, non pubblicata, EU:C:2020:969), in quanto manifestamente irricevibile.
20 A seguito della riassunzione dei procedimenti principali, il giudice del rinvio ritiene ancora di essere tenuto, nella sua qualità di giudice di ultima istanza, ad adire nuovamente la Corte in via pregiudiziale per ottenere un’interpretazione esatta del diritto dell’Unione, rilevante ai fini delle controversie di cui è investito.
21 A tal riguardo, esso spiega di nutrire dubbi quanto al rapporto tra l’articolo 13 della direttiva 2008/1972 e talune norme del diritto primario dell’Unione.
22 Esso precisa che gli operatori di telecomunicazioni interessati sostengono dinanzi ad esso che la normativa nazionale contestata, in primo luogo, integra una discriminazione fondata sulle dimensioni dell’impresa, giacché le piccole imprese sarebbero proporzionalmente meno penalizzate rispetto ai grandi operatori; in secondo luogo, crea una discriminazione in base alla nazionalità, giacché le imprese non stabilite in Italia sarebbero favorite rispetto agli operatori stabiliti in Italia; in terzo luogo, crea un’alterazione della concorrenza a livello dell’Unione, atteso che introduce un ostacolo strutturale ed indebito all’ingresso nel mercato italiano da parte degli operatori stranieri, e, in quarto luogo, viola il diritto al libero esercizio di un’attività commerciale in quanto realizza un’espropriazione sostanziale delle capacità imprenditoriali di operatori economici privati che è sproporzionata rispetto allo scopo di interesse pubblico invocato.
23 Il giudice del rinvio rileva tuttavia che, in forza dell’articolo 13 e dell’allegato I della direttiva 2018/1972, l’autorizzazione generale per la fornitura di servizi di comunicazione può essere sottoposta dal diritto nazionale alla condizione dell’esecuzione delle intercettazioni disposte dalle autorità giudiziarie e che il solo limite previsto, in via generale, da tale articolo 13 è che le condizioni previste siano non discriminatorie, proporzionate e trasparenti.
24 Pertanto, esso ritiene che né il diritto derivato dell’Unione vigente in materia né i principi generali del Trattato FUE ai quali si riferiscono gli operatori di telecomunicazioni interessati impongano il rimborso integrale dei costi effettivamente affrontati dagli operatori per l’esecuzione di tali intercettazioni e, pertanto, che essi non ostino ad una normativa nazionale che non preveda un tale rimborso integrale e, inoltre, vincoli a un obiettivo di risparmio di spesa la revisione dei rimborsi da riconoscere.
25 In particolare, esso sottolinea che le tariffe previste in via generale dal Codice delle comunicazioni elettroniche sono assolutamente analoghe per tutti gli operatori che offrano servizi in Italia, che devono essere computate dall’amministrazione tenendo conto sia dell’evoluzione dei costi e dei progressi tecnologici che hanno reso talune prestazioni meno onerose sia del fatto che tali prestazioni perseguono finalità generali di primario interesse pubblico e possono essere fornite esclusivamente dagli operatori di telecomunicazioni, e che tali tariffe sono pubbliche. La condizione apposta all’autorizzazione generale per la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica di cui trattasi nei procedimenti principali sarebbe quindi non discriminatoria, proporzionata e trasparente, conformemente a tale articolo 13. Inoltre, e in ogni caso, il propedeutico apprestamento delle risorse necessarie a tali intercettazioni costituirebbe un costo intrinseco ineludibile dell’attività commerciale di prestazione di servizi di telecomunicazione, dal momento che la fornitura di tali servizi è, allo stato attuale, soggetta ad un’autorizzazione generale e quest’ultima è sottoposta alla condizione controversa.
26 Ciò premesso, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Dica la Corte se gli articoli 18, 26, 49, 54 e 55 del TFUE, gli articoli 3 e 13 della [direttiva 2018/1972], nonché gli articoli 16 e 52 della [Carta], ostino ad una normativa nazionale che, nel delegare all’autorità amministrativa il compito di stabilire il compenso da riconoscere agli operatori di telecomunicazioni per lo svolgimento obbligatorio delle attività di intercettazione di flussi di comunicazioni disposte dall’autorità giudiziaria, non imponga di attenersi al principio dell’integrale ristoro dei costi concretamente affrontati e debitamente documentati dagli operatori in relazione a tali attività e, inoltre, vincoli l’autorità amministrativa al conseguimento di un risparmio di spesa rispetto ai pregressi criteri di computo del compenso».
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
27 Il governo italiano contesta la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale. Da un lato, il Consiglio di Stato, non prospettando alcun ragionevole dubbio sull’interpretazione del diritto dell’Unione, avrebbe utilizzato il meccanismo pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE in modo contrario a quanto la Corte avrebbe recentemente precisato nella sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi (C-561/19, EU:C:2021:799). Dall’altro, la questione sollevata sarebbe ipotetica. Invero, il Consiglio di Stato non avrebbe fornito gli elementi di fatto dai quali emerga che le tariffe fissate dalla normativa di cui trattasi non sono sufficientemente remunerative per gli operatori. Orbene, solo qualora le tariffe non fossero remunerative il quesito posto sarebbe rilevante.
28 A tal riguardo, occorre ricordare che è vero che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno può, nel rispetto delle condizioni ricordate ai punti da 40 a 46 della sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi (C-561/19, EU:C:2021:799), astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità, qualora l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C-561/19, EU:C:2021:799, punti 39 e 47 nonché giurisprudenza ivi citata).
29 Tuttavia, la presunta chiarezza delle risposte alle questioni sollevate non impedisce in alcun modo a un giudice nazionale di sottoporre alla Corte questioni pregiudiziali (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2008, UGT-Rioja e a., da C-428/06 a C-434/06, EU:C:2008:488, punti 42 e 43).
30 Inoltre, quanto al fatto che il governo italiano sostiene che la questione sollevata è ipotetica in quanto si basa, a suo avviso, sull’erronea premessa che i rimborsi previsti dalla normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali non coprono i costi effettivamente sostenuti dagli operatori interessati, va ricordato che, nell’ambito della procedura istituita dall’articolo 267 TFUE, la Corte è legittimata a pronunciarsi unicamente sull’interpretazione di un testo normativo dell’Unione sulla scorta dei fatti che le vengono indicati dal giudice nazionale (sentenza del 12 gennaio 2023, DOBELES HES, C-702/20 e C-17/21, EU:C:2023:1, punto 85 e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, non spetta alla Corte mettere in discussione la premessa fattuale su cui si fonda la domanda di pronuncia pregiudiziale.
31 Difatti, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che esso individua sotto la propria responsabilità, del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 27 ottobre 2022, Climate Corporation Emission Trading, C-641/21, EU:C:2022:842, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).
32 Nel caso di specie occorre osservare che, nella parte in cui la questione sollevata verte sull’interpretazione degli articoli 18, 26, 49, 54 e 55 TFUE nonché degli articoli 16 e 52 della Carta, il giudice del rinvio non ha precisato né i motivi che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione di tali disposizioni, né il collegamento che esso stabilisce tra queste ultime e la normativa nazionale applicabile alle controversie di cui ai procedimenti principali, cosicché la Corte non dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alla questione sollevata nella misura in cui essa riguarda tali disposizioni. Nella parte in cui, invece, essa verte sulle disposizioni della direttiva 2018/1972, la domanda di pronuncia pregiudiziale precisa non solo gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, ma evidenzia anche le ragioni per cui il giudice del rinvio si interroga al riguardo. Inoltre, la relazione tra tali interrogativi e l’oggetto delle controversie di cui ai procedimenti principali, la cui realtà effettiva non è peraltro contestata, si evince chiaramente da tale domanda.
33 Pertanto, nella parte in cui verte sulla direttiva 2018/1972, la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.
Sulla questione pregiudiziale
34 In via preliminare, occorre rilevare che il giudice del rinvio chiede l’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2018/1972. Tuttavia, dal fascicolo di cui dispone la Corte si evince che la normativa nazionale applicabile alle controversie di cui ai procedimenti principali recepiva una direttiva anteriore alla direttiva 2018/1972, vale a dire la direttiva 2002/20, la quale, conformemente all’articolo 125 della direttiva 2018/1972, è stata abrogata e sostituita da quest’ultima solo con effetto dal 21 dicembre 2020, vale a dire successivamente all’adozione del decreto interministeriale del 28 dicembre 2017 e alla proposizione, da parte degli operatori di telecomunicazioni interessati, dei ricorsi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, diretti all’annullamento di tale decreto.
35 Se il giudice del rinvio dovesse in ultima analisi constatare che le controversie di cui ai procedimenti principali rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2002/20, va precisato che la risposta fornita nella presente sentenza sarebbe trasponibile a tale atto precedente. Infatti, come risulta dal considerando 1, la direttiva 2018/1972 ha segnatamente proceduto ad una rifusione delle quattro direttive precedenti, come modificate, che disciplinavano il settore delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, compresa la direttiva 2002/20, senza aver apportato modifiche rilevanti ai fini della presente causa alle disposizioni la cui interpretazione è necessaria per risolvere le controversie di cui ai procedimenti principali, che si tratti del loro tenore letterale, del loro contesto o del loro obiettivo.
36 In particolare, l’articolo 13, paragrafo 1, prima e seconda frase, nonché paragrafo 3, e il punto 4 della parte A dell’allegato I della direttiva 2018/1972 riprendono, senza modifiche di sostanza rilevanti nel caso di specie, le disposizioni, rispettivamente, di cui all’articolo 6, paragrafi 1 e 3, nonché all’allegato, parte A, punto 11, della direttiva 2002/20.
37 Inoltre, tra le due disposizioni della direttiva 2018/1972 prese in considerazione dal giudice del rinvio nella sua questione, solo l’articolo 13 sembra direttamente rilevante ai fini della soluzione delle controversie di cui ai procedimenti principali, anche se l’analisi della questione deve tenere conto degli obiettivi fissati all’articolo 3 di tale direttiva. Per contro, è l’allegato I, parte A, punto 4, di quest’ultima a prevedere la condizione in relazione alla quale la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali è stata adottata.
38 Pertanto, si deve ritenere che, con la sua questione, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se l’articolo 13, letto alla luce dell’articolo 3, e l’allegato I, parte A, punto 4, della direttiva 2018/1972 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non impone che si proceda al rimborso integrale dei costi effettivamente sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica quando tali fornitori assicurano la possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare intercettazioni legali di comunicazioni elettroniche.
39 Secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto del tenore letterale delle stesse, ma anche del loro contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui esse fanno parte (sentenza del 20 giugno 2022, London Steam-Ship Owners’ Mutual Insurance Association, C-700/20, EU:C:2022:488, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).
40 Occorre ricordare che l’articolo 13, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2018/1972 prevede che l’autorizzazione generale per la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica possa essere assoggettata unicamente alle condizioni elencate nell’allegato I di tale direttiva, mentre la seconda frase di tale disposizione precisa che tali condizioni sono non discriminatorie, proporzionate e trasparenti. Il paragrafo 3 di tale articolo precisa, inoltre, che l’autorizzazione generale comprende solo le condizioni specifiche del settore interessato e indicate nell’allegato I, parti da A a C, di detta direttiva. Tra tali condizioni figura, al punto 4 di tale parte A, che elenca le condizioni generali che possono corredare una siffatta autorizzazione generale, la condizione di assicurare la possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare intercettazioni legali.
41 Dalla formulazione di tali disposizioni risulta che, oltre all’obbligo, per gli Stati membri che decidono di apporre all’autorizzazione generale per la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica la condizione di cui all’allegato I, parte 4, punto 4, della direttiva 2018/1972, di prescrivere tale condizione in modo non discriminatorio, proporzionato e trasparente, il legislatore dell’Unione non ha imposto né escluso il rimborso, da parte degli Stati membri interessati, dei costi sostenuti dalle imprese interessate quando esse assicurano la possibilità di effettuare intercettazioni legali conformemente a quanto prevede tale condizione.
42 Pertanto, in assenza di precisazioni al riguardo nella direttiva 2018/1972, gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità in materia. Di conseguenza, l’articolo 13 e l’allegato I, parte A, punto 4, di quest’ultima non possono essere letti nel senso che tali disposizioni impongano agli Stati membri di prevedere il rimborso, a maggior ragione integrale, di tali eventuali costi.
43 Tale lettura di dette disposizioni è supportata sia dal contesto in cui esse si inseriscono sia dagli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2018/1972. In particolare, da un lato, se è vero che l’articolo 12, paragrafo 1, prima frase, di tale direttiva, il quale riprende il contenuto dell’articolo 3, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2002/20, prevede che gli Stati membri garantiscano la libertà di fornire reti e servizi di comunicazione elettronica, si deduce dallo stesso tenore letterale di tale disposizione che tale libertà può essere esercitata solo nel rispetto delle condizioni stabilite da detta direttiva. Non può quindi derivarne un obbligo di rimborso a carico degli Stati membri, nel senso asserito dagli operatori di telecomunicazioni interessati.
44 Dall’altro lato, è giocoforza constatare che un tale obbligo non può neppure essere dedotto dagli obiettivi generali di cui all’articolo 3 della direttiva 2018/1972, alla cui realizzazione gli Stati membri sono tenuti a provvedere tramite le autorità nazionali di regolamentazione e le altre autorità competenti. Ciò vale, in particolare, per l’obiettivo di promuovere la concorrenza nella fornitura delle reti di comunicazione elettronica, previsto a tale articolo 3, paragrafo 2, lettera b), e per quello di contribuire allo sviluppo del mercato interno, previsto nella stessa disposizione, lettera c), i quali in precedenza figuravano, sostanzialmente, nell’articolo 8, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2002/21. Infatti, dalla loro formulazione non emerge alcuna volontà del legislatore dell’Unione di limitare la discrezionalità degli Stati membri, quanto all’attuazione della condizione prevista dall’allegato I, parte A, punto 4, della direttiva 2018/1972, aldilà dei requisiti ricordati ai punti 41 e 42 della presente sentenza.
45 Pertanto, poiché tale discrezionalità deve essere esercitata nel rispetto dei principi di non discriminazione, proporzionalità e trasparenza, affinché l’articolo 13, letto alla luce dell’articolo 3, e l’allegato I, parte A, punto 4, della direttiva 2018/1972 non ostino a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nei procedimenti principali – che non impone che si proceda al rimborso integrale dei costi effettivamente sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica quando tali fornitori assicurano la possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare intercettazioni legali delle comunicazioni elettroniche – detta normativa deve essere conforme a tali principi.
46 Nel caso di specie, risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale e dal fascicolo di cui dispone la Corte che, in primo luogo, i rimborsi previsti dalla normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali in relazione alla condizione di assicurare la possibilità di effettuare intercettazioni legali, di cui in Italia è corredata l’autorizzazione generale e la cui conformità alla direttiva 2018/1972 non è contestata, sono analoghi per tutti gli operatori che offrono servizi di comunicazione elettronica in Italia, in quanto i rimborsi sono previsti sulla base di tariffe forfettarie unitarie, fissate per tipologia di prestazione di intercettazione espletata.
47 In secondo luogo, come precisato dal giudice del rinvio, secondo la normativa italiana applicabile tali tariffe devono essere calcolate dall’amministrazione tenendo conto dei progressi tecnologici del settore che hanno reso talune prestazioni meno onerose, nonché del fatto che tali prestazioni sono essenziali al perseguimento di finalità generali di primario interesse pubblico e che possono essere fornite solo dagli operatori di telecomunicazioni.
48 In terzo luogo, il giudice del rinvio ha precisato che, conformemente alla medesima normativa, tali tariffe sono fissate tramite un atto amministrativo formale, che è pubblicato e liberamente consultabile.
49 Date tali circostanze, risulta che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali, nella parte in cui prevede i rimborsi controversi, è effettivamente non discriminatoria, proporzionata e trasparente, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare.
50 Inoltre, poiché tale giudice si interroga anche sulla possibilità, per uno Stato membro che ha previsto il rimborso dei costi sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica quando, conformemente alla direttiva 2018/1972, tali fornitori assicurano la possibilità di effettuare intercettazioni legali, di ridurre, in un’ottica di risparmio della spesa pubblica, la misura dei rimborsi praticati in precedenza, occorre aggiungere che, tenuto conto del margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri nell’attuare la condizione prevista dall’allegato I, parte A, punto 4, di tale direttiva, quest’ultima non può ostare a tale riduzione, purché la normativa nazionale controversa sia non discriminatoria, proporzionata e trasparente.
51 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 13, letto alla luce dell’articolo 3, e l’allegato I, parte A, punto 4, della direttiva 2018/1972 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che non impone che si proceda al rimborso integrale dei costi effettivamente sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica quando tali fornitori assicurano la possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare intercettazioni legali di comunicazioni elettroniche, purché tale normativa sia non discriminatoria, proporzionata e trasparente.
Sulle spese
52 Nei confronti delle parti nei procedimenti principali la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
L’articolo 13, letto alla luce dell’articolo 3, e l’allegato I, parte A, punto 4, della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che non impone che si proceda al rimborso integrale dei costi effettivamente sostenuti dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica quando tali fornitori assicurano la possibilità per le autorità nazionali competenti di effettuare intercettazioni legali di comunicazioni elettroniche, purché tale normativa sia non discriminatoria, proporzionata e trasparente.