Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 7452 del 14.01.2020, la Prima Sezione di questa Corte, a seguito di impugnazione da parte del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bari, annullava con rinvio per nuovo esame l'ordinanza datata 1°.07.2019 con cui la Corte di appello medesima, in funzione di giudice dell'esecuzione, investito della richiesta di F.A., riconosceva la continuazione fra i reati di estorsione continuata e aggravata commessi dall'inizio dell'anno 2013 al mese di ottobre 2014, e di partecipazione a sodalizio di stampo mafioso e ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, facenti capo al così detto clan DC. (reati commessi dal 1.11.2007 sino all'attualità), di cui alle sentenze pronunciate in data 15.02.2018 e 21.05.2014 dalla Corte di appello della medesima città, e determinava la pena complessiva in anni nove, mesi otto di reclusione ed euro 700,00 di multa.
La citata Prima Sezione, annullava il provvedimento allora impugnato per carenze motivazionali determinanti la manifesta illogicità della giustificazione data osservando che «il dato concernente il carattere strumentale delle estorsioni, pur estranee al programma criminoso attorno al quale si era formata l'adesione al sodalizio, rispetto alla operatività dell'associazione è stato ritenuto sufficiente per ritenere che esse siano state deliberate unitamente alla consumazione del delitto associativo, ma senza indicare alcun ulteriore dato specifico, relativo alle estorsioni commesse, che fosse stato considerato sin dal momento in cui era iniziata la consumazione del reato associativo», fondando la nozione di "medesimo disegno criminoso" «sulla esistenza di un nesso di strumentalità solo astratto, senza l'indicazione di alcun elemento significativo del fatto che al momento dell'adesione al sodalizio criminoso il condannato avesse preso in considerazione la futura commissione di quel specifico reato» e senza considerare il « dato cronologico - la distanza di sei anni fra la consumazione del reato associativo e la commissione della prima estorsione in danno di N. F. - che costituisce uno dei principali indicatori, in senso positivo ovvero negativo, della continuazione.»
2. Pronunciandosi in sede di rinvio, la Corte di appello di Bari, con ordinanza del 30.09.2021, ritenuto impossibile il riconoscimento effettivo della continuazione tra le condotte delittuose processate nelle due sentenze richiamate, atteso che il dato della mera consecutività in ordine temporale intercorrente tra le condotte non è di per sé idoneo a sorreggere la prova della ricorrenza del vincolo ex. art. 81 cod. pen., ha rigettato l'istanza depositata in data 12.03.2019 dal F. intesa al riconoscimento del vincolo della continuazione, evidenziando come non potesse ravvisarsi quella deliberazione iniziale richiesta ai fini del riconoscimento della continuazione, anche perché le estorsioni erano state perpetrate allorquando la partecipazione associativa era cessata in virtù della pronuncia di condanna di primo grado (dato questo incerto sia nel an che nel quando all'atto dell'assunzione deliberativa).
3. Avverso l'indicata ordinanza del 30.09.2021 ha proposto ricorso per cassazione F.A., attraverso il difensore di fiducia, Avv. G.G., denunciando con un unico motivo vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) del codice di rito in relazione alla ritenuta insussistenza di un medesimo disegno criminoso in considerazione della distanza temporale intercorrente tra la data di cessazione della condotta associativa (che, secondo la Corte, cessava la propria attività il 30.08.2012) e il primo reato di estorsione (in ottobre 2013).
Si osserva che la data di ritenuta cessazione dell'associazione coincide con la data della pronuncia di primo grado, sicché è pacifico che tale limite è solo formale - essendo il fenomeno giuridico elaborato in riferimento alla c.d. contestazione aperta - e non sufficiente a decretare l'effettiva cessazione del vincolo con interruzione della condotta partecipativa.
Trattasi, dunque, di criterio non sovrapponibile a una verifica della sicura protrazione dell'attività sociale da parte dell'identico sodalizio e, nel caso di specie, ad avviso della difesa, non vi è alcun elemento che deponga per la rescissione del pactum sceleris con conseguente recesso del ricorrente posto che, secondo la giurisprudenza di legittimità e la dottrina prevalente, la sentenza di condanna non è di per sé idonea ad escludere la sussistenza del medesimo disegno criminoso con i reati successivamente commessi.
A sostegno si evidenzia che questa Corte ha sempre sostenuto che la cessazione della condotta di partecipazione, fenomeno diverso dalla cessazione della permanenza dell'organo associativo, non si verifica nemmeno con la detenzione in carcere o con altra misura limitativa della libertà personale, bensì con la disgregazione della compagnie, con la morte ovvero con il recesso da parte del sodale espresso per facta concludentia.
Pertanto, si ritiene che l'assenza degli elementi testè richiamati comporta la matrice mafiosa delle singole condotte estorsive e svela ex se l'unicità della deliberazione criminosa, diversamente opinando, non troverebbero giustificazione le somme di denaro devolute dalla persona offesa N. ai componenti del clan DC. nell'anno 2014 a titolo di "spartenza" per i detenuti del clan, come attestato, a riprova della partecipazione e dell'affectio societatis ancora in itinere tra il prevenuto e il clan, dallo stesso G.u.p. in seno alla pronuncia di primo grado sul reato estorsivo, che ha considerato tali "elargizioni" finalizzate al mantenimento degli affiliati del clan, compreso il F..
Posto in conclusione che il ricorrente non ha mai tranciato il legame associativo, nonostante la formale individuazione del dies ad quem nella data di pronuncia della sentenza di primo grado e che le dichiarazioni della stessa persona offesa nei delitti di estorsione certificano che l'associazione e i suoi obiettivi sono strettamente collegati alle condotte estorsive della prima pronuncia anche in considerazione del fatto che è certo che, anche in costanza di carcerazione (in periodo successivo all'agosto 2012), il ricorrente ha continuato a percepire la "spartenza" proprio in ragione della sicura e permanente partecipazione al clan, si chiede l'unificazione dei reati giudicati con le sentenze richiamate.
Sul punto si eccepisce infine che gli illeciti non costituiscono mera espressione di un'abitualità criminosa o di scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente consumazione di reati, ma sono parte integrante di un unico programma.
4. Il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte, C.A., ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1.Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Occorre innanzitutto partire dalla sentenza di annullamento del provvedimento che aveva riconosciuto originariamente la continuazione nel caso di specie, emessa, nel presente procedimento, dalla prima Sezione di questa Corte in data 14.1.2020. Essa ha innanzitutto osservato, in premessa, delineando in tal modo i parametri valutativi a cui doveva attenersi il giudice del rinvio - dai quali non si può neppure nella presente sede prescindere - che la continuazione tra reato associativo e uno o più reati-fine va riconosciuta solo ove si accerti che nel momento della condivisione, da parte del partecipe, del generale programma criminoso del sodalizio - che è il momento della consumazione del delitto associativo - fosse precisato, e noto al partecipe, non solo un indeterminato programma delittuoso, ma anche la futura commissione di reati che risultino specificati, se non nel tempo e nelle modalità esecutive, comunque in relazione ad uno specifico dato fattuale idoneo a caratterizzare l'oggettività del fatto.
Dunque, il giudizio sulla continuazione va rapportato al momento deliberativo del primo reato, che, nel caso di reato associativo, coincide con il momento in cui il soggetto inizia a partecipare al sodalizio, mentre la successiva condotta partecipativa, che si protrae nel tempo trattandosi di fattispecie di reato permanente, riguarda ancora la consumazione del reato, ma non il momento deliberativo (Sez. 1, 09/11/2017, Giglia, Rv. 271984). L'oggetto del giudizio è la sussistenza di un disegno criminoso comune a più reati, e dunque una previsione di futuri reati indicati in termini tali da consentirne la individuazione specifica.
Si deve quindi escludere che la mera qualità di reato fine dell'associazione - prosegue la sentenza di annullamento - ovvero la mera strumentalità rispetto alla operatività del sodalizio siano elementi di per sé idonei a giustificare l'accertamento di un disegno criminoso comune al reato associativo, da una parte, e all'ulteriore e successivo reato, che sia fine o strumentale al sodalizio, dall'altra. Le menzionate caratteristiche, infatti, consentono solo di ritenere che al momento dell'adesione al sodalizio l'associato abbia previsto la successiva commissione di un certo tipo di reati, perché rientranti nel programma associativo o perché evidentemente connessi al raggiungimento dei fini del gruppo criminale, ma non anche la futura commissione di reati specificamente individuati.
Ha concluso questa Corte che l'ordinanza dinanzi ad essa impugnata non ha fatto applicazione dei principi esposti, in quanto, al fine di riconoscere la continuazione, ha valorizzato unicamente l'accertato, tramite l'applicazione della menzionata aggravante, nesso delle condotte estorsive con il reato associativo; indi ha così statuito: < < ''Va dunque pronunciato annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Bari perché provveda, in diversa composizione, a nuovo esame della istanza proposta da F.A.. In sede di rinvio, il giudice dell'esecuzione dovrà applicare i seguenti principi di diritto:
" La nozione di medesimo disegno criminoso, di cui all'art. 81, comma 2, cod. pen., presuppone che il soggetto si sia, nel medesimo contesto, rappresentato, almeno nelle loro linee essenziali, la commissione di una pluralità di fatti-reato, e quindi va distinta da una generica ed astratta deliberazione criminosa, priva di riferimento a specifici dati fattuali concernenti l'oggettività del reato";
- "Nel caso di commissione di reati aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1 cod. pen., il mero dato della strumentalità del reato rispetto al delitto associativo non è sufficiente a giustificare la sussistenza di un comune disegno criminoso, ravvisabile solo ove, con riferimento all'epoca di iniziale consumazione del delitto associativo, emergano dati significativi di una contestuale rappresentazione, nelle linee essenziali, dell'ulteriore fatto reato ritenuto strumentale rispetto alla fattispecie associativa". > >
Questa Corte ha inoltre, precisato che la motivazione non potrà prescindere dalla considerazione del dato cronologico concernente la distanza intercorrente fra la consumazione dei diversi reati.
Ebbene, appare evidente, leggendo il provvedimento impugnato emesso dal giudice dell'esecuzione di Bari in sede di rinvio, come esso abbia fornito risposta esauriente rispetto ai punti evidenziati nella sentenza di annullamento da parte del giudice del rinvio, avendo egli correttamente osservato che alla stregua degli atti processuali, in particolare del dato della temporale intercorrente tra le suddette condotte, non possa effettivamente darsi conto del riconoscimento dell'unicità di un disegno criminoso che abbia avvinto le condotte di cui alle sentenze indicate in premessa. La circostanza che si sia dato risalto anche alla data della sentenza di primo grado emessa dal G.u.p. presso il Tribunale di Bari il 30.8.2012, costituente il limite cronologico estremo di protrazione del vincolo associativo, fortemente criticata in ricorso, non costituisce, a ben vedere, il perno intorno a cui ruota il rigetto della richiesta del ricorrente, avendo il provvedimento impugnato inteso nella sostanza evidenziare come il dato della mera consecutività di ordine temporale intercorrente tra le suddette condotte - per essere state quelle estorsive consumate negli anni 2013 2014 rispetto all'inizio della partecipazione associativa dell'esecutato collocabile nel 2007, protrattasi sino alla sentenza di primo grado ossia interrottasi prima dell'esecuzione dei reati estorsivi - non sia di per sé idoneo a sorreggere la prova della ricorrenza del vincolo ex articolo 81 c.p., ad esso opponendosi quello di ordine qualitativo. Tale valutazione si pone in continuità con quanto osservato da questa Corte nella sentenza di annullamento che aveva evidenziato che < < si deve quindi escludere che la mera qualità di reato fine dell'associazione ovvero la mera strumentalità rispetto alla operatività del sodalizio siano elementi di per sé idonei a giustificare l'accertamento di un disegno criminoso comune al reato associativo, da una parte, e all'ulteriore e successivo reato, che sia fine o strumentale al sodalizio, dall'altra. Le menzionate caratteristiche, infatti, consentono solo di ritenere che al momento dell'adesione al sodalizio l'associato abbia previsto la successiva commissione di un certo tipo di reati, perché rientranti nel programma associativo o perché evidentemente connessi al raggiungimento dei fini del gruppo criminale, ma non anche la futura commissione di reati specificamente individuati > >.
Partendo da tali premesse, conclude il provvedimento impugnato che, pur potendosi astrattamente intravedere nel conseguimento del profitto estorsivo una modalità per assicurare in capo all'estorsore la stabilità del vincolo associativo mediante la distribuzione della "spartenza", appare impraticabile in specie tale configurazione di legame in quanto le incursioni estorsive processate si collocano tutte dall'ottobre 2013 in poi ovvero allorquando l'associazione ha ormai cessato la propria vitalità sin dal 30/08/2012; pertanto dal punto di vista prospettico appare oltremodo inverosimile che F. nell'atto di deliberare la propria adesione associativa si possa essere prefigurato di compiere estorsioni a sodalizio estinto ovvero rispetto a un evento incerto all'atto dell'assunzione deliberativa, sia nell' an che nel quando oltre che in carenza di qualsivoglia motivazione realistica.
Pur nella non perfetta espressione del concetto, il giudice del rinvio ha piuttosto inteso evidenziare che la notevole distanza temporale intercorsa tra il momento iniziale partecipativo-adesivo (2007) e quello esecutivo dei reati estorsivi, in mancanza di elementi che dimostrassero la previa deliberazione di reati specificamente individuati al momento dell'adesione - oggetto di segnalazione in termini di criticità nella pronuncia di annullamento - impedisse di giungere a ravvisare la chiesta continuazione tra i reati in argomento; laddove la indicata cesura della sentenza di primo grado rispetto alla partecipazione associativa ha comunque di fatto impedito la emergenza di elementi ulteriori utili ai fini di una compiuta ricostruzione della medesimezza del disegno criminoso (la cui valutazione in positivo è stata in definitivo ritenuta complicata dal dato processuale in questione ritenuto idoneo ad incidere negativamente sulla identificazione di quella specificità che, come sopra detto, a maggior ragione, s'impone allorquando si versi nell'ipotesi della continuazione tra reato associativo e reati fine); laddove, peraltro, è lo stesso ricorrente ad esprimersi genericamente quanto alla medesimezza del clan in funzione del quale avrebbe successivamente agito F. nel realizzare le estorsioni, la cui identità ovviamente non dipende dal fatto che porti il medesimo nome.
Del resto, è pacifico, che in tema di reato associativo, ossia di reato permanente, l'accertamento contenuto nella sentenza di condanna delimita la protrazione temporale della permanenza del reato con riferimento alla data finale cui si riferisce l'imputazione ovvero alla diversa data ritenuta in sentenza, o, nel caso di contestazione c.d. aperta - come nel caso di specie - alla data della pronuncia di primo grado (sicché la successiva prosecuzione della medesima condotta illecita già oggetto di accertamento può essere valutata esclusivamente quale presupposto per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i vari episodi, cfr. Sez. 2, n. 680 del 19/11/2019, dep. 2020, D'Alessandro, Rv. 277788; Sez. 6, n. 3054 del 14/12/2017, dep. 2018, Olivieri, Rv. 272138); fermo restando che in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta "aperta" o a "consumazione in atto", senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola di "natura processuale" per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all'accusa l'onere di fornire la prova a carico dell'imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all'indicato ultimo limite processuale (Sez. 2, Sentenza n. 23343 del 01/03/2016, Rv. 267080 - 01 ).
Né potrebbe assumere rilievo l'eventuale mancato accertamento nella sentenza di primo grado - o da parte del g.e. - della data dell'ultimo atto esplicativo dell'associazione (che secondo la giurisprudenza di questa Corte deve essere accertato dal giudice dell'esecuzione, cosi Sez. 1, n. 21928 del 17/03/2022, Rv. 283121 - 01 secondo cui in tema di reato permanente contestato nella forma cosiddetta " aperta", qualora in sede esecutiva debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della condotta e questa non sia stata precisata nella sentenza di condanna, spetta al giudice dell'esecuzione l'accertamento mediante l'analisi accurata degli elementi a sua disposizione, per come emersi nel giudizio di merito), dal momento che qui ciò non rileva perché tale eventuale accertamento non potrebbe che avere ad oggetto, comunque, i fatti sino alla sentenza di primo grado, non potendo il giudice dell'esecuzione estendere il giudicato a fatti successivi alla sentenza di primo grado; sicchè il g.e. potrebbe al più verificare che il reato si è consumato, rectius la permanenza partecipativa è cessata ancora prima della data della sentenza di primo grado, ma in tal caso aumenterebbe la distanza temporale tra il reato associativo e i reati estorsivi; questi, pertanto, al più potrebbero essere sintomo di prosecuzione della partecipazione associativa rispetto a un ulteriore segmento associativo della medesima associazione o di altro aggregato associativo, nel caso di specie, però, ancora tutto da accertare.
Lo sbarramento determinato dalla sentenza di primo grado consegue alla necessità di delimitare la condanna a quanto verificatosi in precedenza e al contempo di non estendere il giudicato ai fatti successivi - che altrimenti andrebbero esenti da pena ove dovessero essere ricompresi nella precedente condanna per la medesima associazione criminosa (laddove essi potranno piuttosto essere riconosciuti in continuazione, come ulteriore ipotesi partecipativa, in prosieguo della precedente, ove autonomamente accertati e ne ricorrano i presupposti); allo stesso modo la necessità che la valutazione relativa al medesimo disegno criminoso debba retroagire all'atto dell'adesione al clan - e non della costituzione dell'associazione - evita di configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto - altrimenti - tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all'art. 416-bis cod. pen.(cfr. Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Rv. 279430 - 01).
Sicchè, allorquando si tratta di continuazione tra reato associativo e reati fine, la verifica tesa a ricostruire il momento deliberativo non può prescindere dalla duplicità dei piani derivanti dal fatto che a quello più generico legato all'adesione al programma associativo criminoso si deve accompagnare quello più specifico della deliberazione di eseguire determinati reati ricompresi nel bagaglio associativo, che per essere ricompresi sotto il vincolo del medesimo disegno criminoso necessitano di una certa specificità identificativa; specificità identificativa che, in mancanza di altri elementi non indicati neppure dal ricorrente, non può - come già evidenziato dalla sentenza di annullamento - identificarsi nel carattere, astratto, strumentale delle estorsioni, pur estranee al programma criminoso attorno al quale si era formata l'adesione al sodalizio, rispetto alla operatività dell'associazione; un qualche ulteriore dato specifico, relativo alle estorsioni commesse, avrebbe dovuto essere considerato dal ricorrente sin dal momento in cui era iniziata la consumazione del reato associativo; dato specifico di cui non fa menzione neppure il ricorrente.
Sicchè il ricorso oltre che manifestamente infondato è anche aspecifico.
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.