Pertanto, non è sufficiente respingere la domanda di risoluzione per inadempimento per stabilire il rigetto di quella di accertamento, poiché la rivendicazione della titolarità del segno implica un'azione di natura reale.
La srl attrice stipulava con la società convenuta una transazione con l'intento di porre fine a un pluriennale controversia circa l'uso del patronimico nel campo delle rispettive attività di onoranze funebri svolte da entrambe nel medesimo territorio.
L'attrice conveniva il giudizio la controparte imputandole inadempimenti all'accordo...
Svolgimento del processo
L’8-11-2003 venne stipulata una transazione tra l’Agenzia A.P. s.r.l. e la Pompe Funebri A.P. di F.C. & c. s.a.s., col fine di porre termine a una pluriennale controversia circa l’uso del patronimico “A.P.” nel campo delle rispettive attività di onoranze funebri, svolte da entrambe nel territorio della provincia di Monza e Brianza.
Nell’anno 2014 l’Agenzia P. convenne in giudizio la Pompe Funebri C. imputandole inadempimenti all’accordo transattivo e chiedendo di questo la risoluzione, con conseguente decadenza della convenuta dall’uso del marchio.
L’attrice chiese altresì l’accertamento della titolarità esclusiva del segno, la cui registrazione le era stata nel frattempo rilasciata, o comunque la convalidazione, nonché la condanna della convenuta ai danni da inadempimento e da concorrenza sleale.
La società Pompe Funebri C. si costituì e spiegò, a sua volta, domande riconvenzionali di risoluzione della transazione per inadempimento dell’attrice, per avere essa registrato in mala fede il segno a proprio nome, e di nullità del relativo marchio, con inibitoria all’uso e risarcimento dei danni.
L’adito Tribunale di Milano (i) respinse entrambe le domande di risoluzione, (ii) respinse la riconvenzionale di nullità del marchio, (iii) inibì alla convenuta la pubblicizzazione del servizio di “casa funeraria” fino all’accertamento delle autorità amministrative in ordine alla sussistenza dei requisiti sanitari, (iv) fissò una penale giornaliera per il caso di violazione del comando anzidetto, (v) condannò la convenuta ai danni per l’importo, equitativamente determinato, di 5.000,00 EUR, oltre interessi.
La sentenza fu appellata dall’attrice, e la convenuta si costituì resistendo.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica l’8-11- 2019, ha accolto il gravame con riguardo alla quantificazione del danno patito dalla Agenzia P. a causa della avversa pubblicizzazione ed erogazione del servizio di “casa funeraria”, determinandolo nella più congrua misura di 30.000,00 EUR tenuto conto della durata della condotta illecita.
Avverso la sentenza, successivamente corretta in parti che qui non interessano, l’Agenzia P. ha proposto ricorso per cassazione in due motivi.
L’intimata ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione
I. Col primo mezzo la ricorrente impugna, ai sensi dell’art. 360,
n. 5, cod. proc. civ. e per motivazione assente o apparente, la statuizione di rigetto della domanda di accertamento della titolarità esclusiva del marchio “A.P.”, perché fondata su un erroneo richiamo all’istituto dell’assorbimento in rapporto al rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento della transazione.
Il motivo è fondato nella parte involgente il vizio integrato dalla motivazione solo apparente, il quale ridonda in vizio assoluto di motivazione.
II. La fattispecie di motivazione apparente si ha quando dalla motivazione del giudice del merito non si riesca a comprendere quale sia stata la ratio decidendi.
Rispetto alla domanda di rivendicazione della titolarità del marchio, che l’attrice aveva pacificamente riproposto in appello, come dalla sentenza si evince, dopo che il tribunale su questa non si era pronunciato nonostante il rigetto della riconvenzionale di nullità, la corte d’appello si è limitata ad affermare che il rigetto della domanda anzidetta doveva discendere dal rigetto dell’appello nella parte finalizzata a risolvere la transazione.
Ma una tale motivazione non esprime alcuna concreta ratio, dal momento che l’appellante aveva evidenziato di aver regolarmente provveduto a registrare il marchio patronimico.
E anche di ciò la sentenza ha dato atto.
Le domande di accertamento della titolarità di un marchio e di risoluzione per inadempimento di una transazione volta a disciplinarne semplicemente l’utilizzo nel rapporto con un’impresa concorrente restano tra loro distinte per petitum e per causa petendi.
Dunque non basta dire che è respinta la seconda per inferirne la ragione di rigetto della prima, perché la rivendicazione della titolarità del segno implica un’azione di natura reale e tutela il diritto assoluto all'uso esclusivo del marchio come bene autonomo, a prescindere dal fatto che per transazione si sia convenuto che anche un’impresa concorrente possa utilizzare lo stesso segno col corredo di accorgimenti finalizzati a evitare la confusione tra le attività.
In questa prospettiva, quindi, la sentenza è nulla perché caratterizzata da una motivazione solo parvente, visto che la scarna considerazione sopra menzionata non soddisfa il minimo costituzionale della giustificazione finalizzata a far emergere la effettiva ragione di rigetto (v. Cass. Sez. U n. 8053-14).
III. Col secondo mezzo si censura la sentenza per violazione degli artt. 1453 e 1455 cod. civ., per non aver tenuto conto, nell’affrontare il tema della intervenuta pubblicizzazione di una “casa funeraria” da parte della convenuta, del ruolo che il principio di buona fede deve svolgere nel modulare i confini dell’inadempimento rilevante per la risoluzione del contratto.
Il motivo è inammissibile.
IV. La sentenza di merito ha stabilito che in effetti la condotta della Pompe Funebri C., per quanto illegittima in ordine alla pubblicità del servizio di “casa funeraria”, si era comunque mantenuta
nel confine del logo assegnato dall’accordo transattivo, e anche nel perimetro dell’indirizzo dello stabile destinato allo svolgimento della propria attività.
In ciò la corte territoriale ha ravvisato l’elemento dirimente per affermare che la pratica pubblicitaria non avesse costituito una violazione (grave) dell’accordo transattivo.
La ricorrente assume che invece la violazione si sarebbe dovuta reputare esistente in base all’integrazione del negozio dovuta al principio di buona fede.
Ma al riguardo il motivo è generico, poiché salvo il richiamo del principio niente è detto onde potersi stabilire in qual senso la necessità di intendere la transazione secondo buona fede avrebbe avuto incidenza sulla valutazione del comportamento della convenuta, che tenuto conto dei limiti stabiliti dal contratto è stato considerato non integrare un inadempimento grave delle obbligazioni da esso discendenti.
V. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo. L’impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla stessa corte d’appello, in diversa composizione, per nuovo esame.
La corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio
svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla corte d’appello di Milano anche per le spese del giudizio di cassazione.