Pertanto, per accertare l'appartenenza al Condominio di fondi ubicati in un'area separata rispetto all'edificio in cui si trovano gli appartamenti condominiali, esso non ha alcuna rilevanza.
Il Condominio chiedeva al Tribunale di Torino la condanna del convenuto a reintegrare i condomini nel possesso del cortile adibito ad uso parcheggio che il medesimo aveva impedito tramite l'apposizione di un lucchetto alla sbarra di accesso posizionata nell'area antistante l'edificio condominiale.
Il ricorso veniva accolto, ma il convenuto citava dinanzi al medesimo Tribunale il...
Svolgimento del processo
1. Con ricorso possessorio del giugno 2006, il Condominio S. (sito in omissis) chiedeva al Tribunale di Torino – Sezione distaccata di Susa di condannare il sig. G. B. a reintegrare i condòmini nel possesso del cortile adibito ad uso parcheggio che il resistente aveva loro impedito di esercitare apponendo un lucchetto alla sbarra di accesso – posizionata dallo stesso Condominio – all’area antistante l’edificio condominiale.
Detto ricorso veniva accolto con ordinanza di reintegrazione nel possesso del cortile in favore del Condominio.
Con atto di citazione del 10 aprile 2008, il B. evocava in giudizio, sempre dinanzi al Tribunale di Torino – Sezione distaccata di Susa, il già menzionato Condominio per ottenere la declaratoria di inesistenza di qualsiasi diritto in capo a quest’ultimo in relazione agli appezzamenti di terreno prospicienti l’edificio condominiale e ciò in forza dell’atto di acquisto del 29 gennaio 2004, che ne comprovava la sua titolarità, con conseguente condanna al rilascio degli stessi in suo favore.
Si costituiva in giudizio il Condominio convenuto che, oltre ad instare per il rigetto dell’avversa pretesa, spiegava riconvenzionale diretta ad accertare il suo diritto di proprietà sui terreni oggetto della controversia, in virtù della natura condominiale della contestata area cortilizia o, in subordine, l’acquisto della proprietà di quest’ultima per usucapione, attesa la durata ultraventennale del possesso da parte dei condòmini.
Istruita la causa anche tramite c.t.u., il Tribunale di Torino (a cui era stata accorpata la Sezione distaccata di Susa), con sentenza n. 5736/2014, rigettava la domanda principale e accoglieva quella riconvenzionale, accertando che la proprietà dell’area controversa apparteneva al Condominio S., condannando il B. al pagamento delle spese di lite.
2. Sul gravame interposto da quest’ultimo e nella resistenza dell’appellato Condominio, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 2227/2017 (pubblicata il 13 ottobre 2017), lo rigettava, condannando l’appellante alla rifusione delle spese processuali del grado per la misura di 2/3 e compensandole per il restante terzo.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte piemontese riteneva che il Condominio convenuto in primo grado aveva, in effetti, svolto un’eccezione riconvenzionale, contrapponendo – rispetto alla pretesa dedotta dal B. - una situazione di fatto e di diritto preesistente, con il mero rigetto della rivendica da questi proposta, volta alla difesa della proprietà comune derivante dal Regolamento di condominio (art. 3), registrato l’11 giugno 1976 e trascritto presso la competente Conservatoria il 23 giugno 1976, precedente dunque di ventotto anni l’atto di acquisto dei beni immobili indicati nella citazione introduttiva del giudizio da parte dell’appellante del 29 dicembre 2004.
Inoltre, per quanto riguardava il merito, il giudice di seconde cure osservava che l’unico dante causa da cui le parti in conflitto traevano la loro titolarità sull’area oggetto di conflitto era l’Immobiliare S. e che, rispetto al titolo opposto dal B., il Condominio aveva eccepito l’appartenenza del cortile alla proprietà comune ai sensi del citato art. 3 del Regolamento condominiale (atto – come evidenziato - precedente all’acquisto in proprietà dell’attore e ad esso opponibile), quale area riconducibile ai c.d. distacchi ivi indicati.
Pertanto, il giudice di appello confermava quanto statuito dal primo giudice, e cioè che il cortile era da considerarsi – ai sensi dell’art. 1117 c.c. – un bene facente parte della proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliare dell’edificio condominiale, come risultante anche dalla c.t.u. disposta in corso di causa, per la quale i c.d. distacchi citati nel Regolamento di condominio “altro non sono che l’attuale area cortiliva al netto delle aree di terzi”, rilevando come la relazione dello stesso c.t.u. dovesse ritenersi fonte oggettiva di prova in quanto, oltre che valutazione tecnica, costituiva anche un accertamento di particolari situazioni di fatto (c.d. consulenza percipiente), rilevabile solo attraverso specifiche strumentazioni tecniche.
3. Avverso la citata sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, il B. G., resistito con controricorso dal Condominio S..
In prossimità dell’adunanza camerale programmata per il 13 dicembre 2022, la difesa del ricorrente depositava memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
Tolta la causa dal ruolo, essa veniva nuovamente fissata per la camera di consiglio del 22 febbraio 2023.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – la violazione degli artt. 102, 112 e 354 c.p.c. o, in subordine, la nullità della sentenza impugnata per violazione degli stessi articoli.
In particolare, con tale doglianza, il B. deduce che la Corte distrettuale aveva mal interpretato la difesa contrapposta, relativa ad una tutela di tipo reale, svolta dal Condominio in primo grado, travisandone gli elementi testuali e qualificandola come eccezione riconvenzionale. Aggiunge il ricorrente che dalla corretta qualificazione della riconvenzionale la Corte di appello avrebbe, invece, dovuto far derivare la carenza della legittimazione attiva dell’amministratore del Condominio nella difesa della proprietà comune e, dunque, la illegittimità del rigetto della richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti dei condòmini.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la nullità della sentenza per violazione degli artt. 948, 1138 e 2697 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., affermando che né il Regolamento di condominio né le risultanze di c.t.u. potevano costituire prove piene dalle quali desumere la proprietà comune dell’area cortilizia oggetto di causa in capo al Condominio appellato.
3. Con la terza doglianza, il ricorrente prospetta – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione degli artt. 1107, 1138, 1372, 2643 e 2644 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale aveva – con l’impugnata sentenza - statuito che il Regolamento condominiale costituiva atto precedente rispetto al suo titolo di acquisto e che, pertanto, fosse a lui opponibile, dovendo, invece, detto Regolamento ritenersi ininfluente nei confronti dei terzi acquirenti.
4. Con la quarta censura, il ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione degli artt. 948 e 2967 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., contestando la sentenza di appello, la quale, nell’affermare che i mappali per cui era causa corrispondessero ai c.d. distacchi citati nell’art. 3 del Regolamento condominiale, aveva operato un “indebito salto logico”, stante la mancanza di una prova sul punto.
5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la nullità della sentenza per violazione degli artt. 1362, 1363, 1365, 1366 e 1367 c.c., laddove la Corte distrettuale – nel ritenere erroneamente che l’estensore (riconducibile all’Immobiliare S., che era stata anche la venditrice nell’atto di acquisto immobiliare con lui concluso nel 2004) del Regolamento di condominio nel riferirsi ai c.d. distacchi avesse inteso porre riguardo agli appezzamenti alienati ad esso ricorrente - aveva violato i principi sulla interpretazione dei contratti, quando invece, se davvero la Immobiliare S. avesse, nel 1976, considerato i mappali sul lato sud del Condominio quali corrispondenti ai distacchi di cui all’art. 3 del Regolamento, non avrebbe potuto vendere nulla ad esso B. nel 2004, non trovandosi più nella disponibilità del bene.
6. Con il sesto ed ultimo motivo, il ricorrente si duole – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – della violazione dell’art. 1117 c.c., sul presupposto che l’area corrispondente al controverso cortile non poteva ritenersi una parte comune, non essendo richiamato nel Regolamento di condominio e dato che il c.t.u. lo aveva indentificato nei c.d. distacchi sulla base di un’erronea operazione ermeneutica, peraltro al netto delle aree di terzi.
7. Rileva il collegio che il primo motivo è privo di fondamento e deve, perciò, essere rigettato, non versandosi – in relazione alla natura della causa e alle situazioni sostanziali fatte valere – in una ipotesi di litisconsorzio necessario implicante la partecipazione di tutti i condòmini del Condominio convenuto in giudizio (singoli condòmini, peraltro, nemmeno individuati specificamente nel ricorso).
Infatti, correttamente la Corte di appello ha – con l’impugnata sentenza - confermato quella di primo grado, rilevando che la stessa non potesse considerarsi “inutiliter data”, in quanto, essendo rimasta immutata in capo ai condòmini la qualità di (asseriti) comproprietari dell’area circostante il fabbricato condominiale e, dunque, non risultando modificata la situazione preesistente, non si imponeva, sotto il profilo dell’interesse sostanziale delle parti, l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i distinti condòmini.
Oltretutto, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 22886/2010 e Cass. n. 22911/2018), la legittimazione passiva dell'amministratore di condominio non incontra, ex art. 1131, comma 2, c.c., limiti e sussiste - anche in ordine all'interposizione di ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario - in relazione a ogni tipo di azione, anche reale o possessoria, promossa da terzi o da un singolo condòmino nei confronti del Condominio medesimo relativamente alle parti comuni dello stabile condominiale (tali dovendo estensivamente ritenersi anche quelle esterne, purché adibite all'uso comune di tutti i condòmini), trovando ragione nell'esigenza di facilitare l'evocazione in giudizio del Condominio, quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condòmini.
La Corte di appello ha, poi, chiarito che il Condominio si era limitato a contrapporre alla domanda di rivendicazione del B. una situazione di fatto e di diritto preesistente a sé favorevole, diretta, cioè, alla difesa della proprietà comune derivante dal Regolamento di condominio, registrato l’11 giugno 1976 e trascritto il 23 giugno successivo, ovvero prima dell’atto di acquisto dei beni immobili da parte dell’appellante, così limitandosi a svolgere un’eccezione riconvenzionale paralizzatrice dell’avversa domanda, implicante, perciò, l’assunzione di una posizione difensiva non riconducibile alla proposizione di una vera e propria domanda riconvenzionale.
8. Ad avviso del collegio sono, invece, fondati il secondo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente in quanto connessi, per le ragioni che seguono. Va rilevato che la Corte di appello – come già il giudice di primo grado – ha ritenuto di poter accertare la sussistenza della prova della comune proprietà dell’area controversa sulla scorta del confronto tra il Regolamento di condominio – che, all’art. 3, elencava, tra le parti comuni, i c.d. “distacchi” – e le risultanze della C.T.U. (di natura percipiente), a cui si era fatto necessariamente ricorso per identificare con certezza, per l’appunto, i previsti distacchi con l’area circostante il fabbricato condominiale.
Inoltre, la Corte piemontese ha affermato come non era discutibile che il regolamento condominiale, debitamente trascritto, fosse opponibile ai terzi acquirenti in epoca successiva, richiamando in proposito quanto statuito con la sentenza di questa Corte n. 2546/1994.
Senonché, il collegio rileva che il ragionamento svolto e il risultato raggiunto nell’impugnata sentenza non sono condivisibili in punto di diritto.
Infatti, la Corte di appello non ha considerato che l’autonomo titolo di acquisto (per atto pubblico del 29 dicembre 2004 concluso con la S. Immobiliare s.a.s.) da parte del B. del fondo su cui il Condominio S. ha accampato la sua pretesa rivendicatoria, in virtù della natura stessa dell’area e delle previsioni del Regolamento di condominio registrato e trascritto nel giugno 1976, non atteneva ad un immobile facente parte del complesso immobiliare e che l’odierno ricorrente non rivestiva la qualità di condòmino dello stesso, donde l’inopponibilità nei suoi confronti del citato Regolamento, dedotto in giudizio – dal controricorrente Condominio - quale unico titolo asseritamente idoneo a comprovare la proprietà sull’area oggetto di causa, essendo, invece, necessaria l’allegazione e la produzione di un legittimo titolo propriamente petitorio formatosi precedentemente in suo favore e da contrapporre a quello esistente in capo al B..
Infatti, il principio affermato con la su richiamata sentenza di questa Corte non è conferente nel caso di specie, poiché non è rimasto affatto accertato che il B. (il quale ha, invero, escluso tale circostanza, senza che il Condominio appellato sia riuscito a provare il contrario) era stato un successivo acquirente di piani dell’edificio condominiale o di loro porzioni (da parte di un precedente condòmino proprietario), né che era stato un diretto compratore di un bene facente parte del costituito Condominio da parte della stessa società costruttrice che aveva predisposto il Regolamento condominiale, la quale gli aveva, invece, alienato un distinto e separato bene a titolo esclusivo dopo il completamento della costruzione dell’edificio condominiale.
Pertanto, non può ritenersi che il Condominio abbia allegato e prodotto in giudizio un titolo idoneo in forza del quale vedersi riconosciuta la proprietà degli stessi immobili rivendicati dall’attuale ricorrente sulla scorta del suo menzionato atto pubblico di acquisto, non potendo identificarsi il solo titolo frapposto dal Condominio nel Regolamento condominiale, siccome diretto soltanto a disciplinare i rapporti tra i condòmini, ma non tra il Condominio e i terzi ad esso estranei (e, quindi, a questi ultimi non opponibile), da cui deriva – come evidenziato - l’inapplicabilità del precedente giurisprudenziale di legittimità richiamato nell’impugnata sentenza (Cass. n. 2546/1994).
Va, quindi, correttamente riaffermato il principio (fissato, tre le altre, in Cass. n. 8012/2012 e in Cass. n. 9105/2013) - al quale dovrà uniformarsi il giudice di rinvio – che, in tema di Condominio negli edifici, in base all'art. 1117 c.c., l'estensione della proprietà condominiale ad edifici o fondi separati ed autonomi rispetto al complesso immobiliare in cui ha sede il Condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo immobile (fabbricato o terreno) nella proprietà del Condominio stesso, qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente negli atti in cui, attraverso la vendita dei singoli appartamenti, il Condominio risulta costituito. Ne consegue che, ai fini dell'accertamento dell'appartenenza al Condominio di fondi ubicati in un’area separata rispetto all'edificio in cui si trovano gli appartamenti condominiali, nessun rilievo va ascritto in proposito al Regolamento di Condominio, non costituendo esso un titolo di proprietà (avendo la sola funzione di disciplinare l’uso della cosa comune e la ripartizione delle spese), aggiungendosi, inoltre, che nemmeno l'uso promiscuo di un bene fa presumere la contitolarità dei beni che se ne servono e da esso traggono vantaggio.
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha pure puntualizzato che l’estensione della comunione sul suolo, come dispone l’art. 1117 c.c., postula che su uno stesso terreno insistano diversi piani o porzioni di piani costituenti un unico edificio, sicché gli immobili fra loro separati, ancorché eretti su suolo originariamente appartenente al medesimo proprietario, non soggiacciono alla presunzione di comunanza posta dalla suddetta norma. In altri termini, questa presunzione di comunanza del suolo su cui insiste il fabbricato condominiale non opera in direzione inversa, nel senso che non si presume comune ogni altro immobile, separato ed autonomo, eretto od insistente sul medesimo suolo su cui è sorto lo stabile condominiale; infatti, l’originaria titolarità in capo al medesimo proprietario dell’unico terreno in cui in tempi diversi siano stati costruiti l’edificio condominiale e il fabbricato distinto (o sia stata mantenuta, sul piano petitorio, separata una parte del suolo prima indiviso), non costituisce quest’ultimo come parte del Condominio stesso, se ciò non risulta dal relativo titolo di provenienza.
9. In definitiva, previo rigetto del primo, vanno accolti il secondo e terzo motivo (dalla cui ritenuta fondatezza deriva l’assorbimento dei restanti, che attengono all’interpretazione del contenuto del Regolamento condominiale, sul presupposto, ritenuto però erroneo per effetto dell’accoglimento dei citati due motivi, che esso costituisse un idoneo titolo di acquisto, da parte del Condominio, da contrapporre al titolo petitorio fatto valere dal B., non risultandone emersi altri, invece legittimamente opponibili all’attuale ricorrente), con la conseguente cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, la quale, oltre ad uniformarsi al principio di diritto in precedenza enunciato, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti i restanti.
Cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione.