
A differenza del reato di pericolo di messa in vendita di prodotti alimentari non genuini ex art. 516 c.p., quello previsto all'art. 515 c.p. è un reato di danno che sussiste, nella forma consumata o tentata, rispettivamente nell'ipotesi di materiale consegna della merce all'acquirente o di atti univocamente diretti a tale fine.
La Corte d'Appello confermava la responsabilità dell'imputato in ordine al reato
Svolgimento del processo
Con sentenza emessa in data 1 febbraio 2022 la Corte di appello di Ancona, pronunziando a seguito della avvenuta impugnazione da parte dell'imputato della precedente sentenza emessa, in data 22 gennaio 2019 dal Tribunale di Pesaro, ha confermato la decisione da quest'ultimo presa nel senso della affermazione della penale responsabilità di M. Z.F. in ordine al reato a lui contestato, avente ad oggetto la ripetuta violazione dell'art. 515 cod. pen., per avere, con più condotte poste in essere nell'esecuzione di un unico disegno criminoso, immesso in commercio - consegnandole in un caso ad un supermercato di Pesaro - n. 6 bottiglie di olio di oliva recanti la dicitura "aromatizzato tartufo bianco" e - in un altro caso, consegnandole ad un altro supermercato sempre di Pesaro - n. 17 bottiglie di olio di oliva recanti una analoga dicitura, in un'etichetta apposta sul retro della bottiglia, atte ad ingannare l'acquirente rispetto alle reali qualità del prodotto, contenendo questo, oltre all'olio di oliva, solo aromi artificiali e non essendo stato, pertanto, preparato utilizzando alcuna essenza tratta dal citato tubero, e della condanna del predetto M., in qualità di legale rappresentante della M. Spa, alla pena di giustizia.
La sentenza emessa dalla Corte dorica è stata oggetto di ricorso per cassazione da parte dell’imputato, il quale, assistito dalla sua difesa fiduciaria, ha articolato 5 motivi di impugnazione.
Con il primo motivo di ricorso la difesa del M. ha lamentato il vizio di motivazione in relazione alla affermazione della sua responsabilità in ordine al primo capo di imputazione; afferma, infatti, il ricorrente che le condotte contestate nei due distinti capi di imputazione siano fra loro diverse e che la motivazione della sentenza di condanna riguarda esclusivamente la condotta contestata al M. relativamente al secondo dei due capi di imputazione, essendo, pertanto, rimasta immotivata la condanna riguardante la prima condotta.
Con il secondo motivo di impugnazione è contestata la mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento oggettivo dei reati contestati; rileva, infatti, la ricorrente difesa che, per quanto concerne la prima delle due imputazioni è la stessa Corte di appello ad affermare che la dizione "olio aromatizzato" non sarebbe atta ad ingannare il consumatore in relazione alla presenza o meno di essenza naturale di tartufo bianco all'interno del prodotto commercializzato dall'imputato; mentre, con riferimento alla seconda imputazione, si osserva che è stata ritenuta la capacità decettiva della etichetta posteriore della bottiglia contenente il prodotto in questione, ma non è stata considerata la ben più evidente etichetta posta nella parte anteriore la quale riportava la indicazione, già ritenuta legittima, "aromatizzato al tartufo bianco”.
Ha osservato, in particolare, la difesa ricorrente che pare fuori luogo la attenzione che nella sentenza impugnata è riservata alla tutela da accordarsi al consumatore finale, tendenzialmente non particolarmente avveduto secondo quanto riportato in sentenza, laddove si osservi che i beni erano stati consegnati dalla M. non a tale tipologia di utente ma a due supermercati, il cui ufficio acquisti è composto da professionisti del settore; aggiunge il ricorrente che dal tenore della sentenza neppure appare chiaro se i prodotti indicati nel libello accusatorio elevato in danno del M. fossero stati effettivamente ceduti ai due supermercati, ovvero da questi messi in vendita per conto della M. verso i terzi avventori dei predetti supermercati.
Il terzo motivo di impugnazione ha ad oggetto il ritenuto vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo dei reati ascritti; ritiene la difesa del M. che la motivazione della sua condanna è, quanto all'elemento soggettivo, declinata esclusivamente sul modello del "non poteva non sapere” il M., in quanto legale rappresentante della società produttrice dell'olio in discorso, quali fossero le strategie commerciali da essa utilizzate; una tale argomentazione, rileva la citata difesa determina una forma di responsabilità oggettiva, non ammissibile nel nostro ordinamento.
Il quarto motivo di impugnazione ha ad oggetto il vizio di motivazione e di violazione di legge in punto di applicazione dell'art. 131-bis cod. pen.; ad avviso della Corte di appello il fatto contestato non potrebbe essere considerato di scarsa offensività; ometterebbe di considerare, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale il fatto che il giudizio ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. è un giudizio che deve essere eseguito ex post in funzione degli effetti che la condotta ha determinato, "non potendosi trasformare in un giudizio prognostico" avente ad oggetto una futura ed eventuale condotta criminale.
Infine, con il quinto motivo di ricorso è contestata la mancata assunzione di una prova decisiva in sede di riapertura della istruttoria in sede di gravame, con violazione del diritto di difesa e dei principi del giusto processo; lamenta nella specie il ricorrente come gli sia stato impedito di dimostrare che, a differenza di quanto segnalato in sentenza, la indicazione contenuta nelle etichette per cui è processo non rispondeva ad una lunga prassi ma sarebbe stata frutto "di un mero errore, limitato a poche bottiglie, immediatamente emendato".
La dimostrazione di tale dato attraverso la riapertura dell'istruttoria dibattimentale, avrebbe consentito ai giudicanti di meglio apprezzare la effettiva offensività della condotta.
Motivi della decisione
Il ricorso è risultato fondato nei limiti di quanto di ragione.
Privo di pregio è il primo motivo di impugnazione; ritiene, infatti, il Collegio che la motivazione data nella sentenza ora impugnata in relazione alla doglianza riguardante la idoneità decettiva delle etichettature presenti sulle bottiglie di olio di oliva commercializzate dalla M. Spa giustificata la pronunzia di condanna a carico del prevenuto.
Invero, quale che fosse la collocazione della indicazione contenuta nella etichettatura applicata sulle bottiglie di olio presenti sugli scaffali di vendita dei due supermercati richiamati in sede di contestazione giudiziale mossa a carico del M., laddove la stessa - sia che fosse posta in posizione frontale rispetto alla bottiglia, sia che fosse posta in posizione opposta - avesse avuto un contenuto decettivo del cliente, essa avrebbe in ambedue i casi integrato gli estremi del reato in contestazione.
L'elemento che qui appare determinante come fattore idoneo ad attribuire agli occhi del cliente una qualità particolare che, invece, il prodotto non ha è la indicazione - in caratteri grafici maggiorati e cromaticamente differenziati rispetto al restante corpo delle lettere utilizzate per formare il breve testo illustrativo del prodotto posto in commercio - "Tartufo bianco", presente in tutte le etichette richiamate in sede di imputazione, idonea ad attirare l'attenzione del consumatore in maniera tale da fare sorgere in lui la legittima aspettativa che un ingrediente di detto genere (cioè il tartufo bianco, prodotto notoriamente di elevato pregio gastronomico) fosse stato utilizzato nella composizione del condimento in questione e non che sia stato aggiunto a questo il solo "aroma" del tartufo ottenuto attraverso prodotti chimici di sintesi industriale e non attraverso la immissione di un prodotto naturale.
Tralasciando, sia pur brevemente, la trattazione del secondo e del terzo motivo di impugnazione, e passando, invece, all’esame del quarto motivo di impugnazione, il quale concerne l'errata applicazione, ad avviso della ricorrente difesa, dell’art. 131-bis cod. pen., si osserva che non coglie nel segno la ricorrente difesa nell'affermare che la valutazione sulla particolare tenuità del fatto ai fini dell'applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. debba essere eseguita ex post sui fatti per come determinatisi per effetto della condotta realizzata.
Ed invero - a prescindere dal dato secondo il quale appare del tutto fuori contesto il richiamo, contenuto nel ricorso ora in esame, ad una "futura eventuale e potenziale condotta criminosa", posto che, ai fini della applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen., ci si deve trovare di fronte ad una condotta già esaurita nella sua rilevanza penale, essendo presupposto della particolare tenuità del fatto sub specie poenalis che, comunque, un reato, sia pure caratterizzata da una minima offensività, si sia già perfezionato e non sia rimasto a livello di mera potenzialità - si osserva che la valutazione che deve essere fatta dal giudice ai fini della applicabilità della citata norma non è affatto una valutazione da operare ex post ma è, anzi, una valutazione che deve tenere conto anche della possibile gravità degli effetti della condotta posta in essere, sebbene questi non si siano determinati.
Diversamente, dovrebbe concludersi, in termini chiaramente paradossali, che, fatti salvi i limiti oggettivi che sono fissati dall'art. 131-bis cod. pen. alla praticabilità dell’istituto, in tutti i casi di tentativo (o quanto meno di tentativo incompiuto) dovrebbe entrare in giuoco la non punibilità per la particolare tenuità del fatto.
Riguardo al quinto motivo di impugnazione se ne rileva la infondatezza posto che, per un verso, non è ammissibile la richiesta di rinnovazione istruttoria volta ad una nuova escussione di un teste già esaminato in primo grado laddove la stessa sia finalizzata - come testualmente emerge dalla non contestata sintesi del motivo di appello articolato dalla ricorrente difesa sul punto contenuta nella sentenza emessa dalla Corte anconetana - alla "interpretazione delle dichiarazione rese in primo grado" dal medesimo teste, trattandosi di compito cui può attendere direttamente il giudice del gravame riesaminando le dichiarazioni per come verbalizzate nel corso del qiudizio di primo grado, senza il bisogno, ove non avvertito da tale stesso giudice, di rinnovare la prova testimoniale; mentre, per quanto concerne l'esame dell'altra teste indicata, tale Lungaroni Andreina, la quale avrebbe dovuto riferire in ordine ai modi ed ai tempi di sostituzione delle etichettature indicate nel capo di imputazione, si tratterebbe di dichiarazioni aventi ad oggetto condotte realizzate post delictum, le quali, sulla base della legge vigente al memento in cui !a presente decisione è stata assunta e tanto più a! momento in cui è stata deliberata la sentenza ora in questione, non avrebbero avuto alcun rilievo né ai fini della sussistenza del reato né ai fini della eventuale valutazione della possibilità di applicare la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen (sulla irrilevanza dei comportamenti posti in essere in epoca successiva alla commissione del reato ai fini della applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. nella sua versione vigente al momento dei fatti e della presente decisione: Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 gennaio 2020, n.
2216).
Deve, invece, all'opposto osservarsi, riprendendo le fila del discorso precedentemente sospeso, che è fondato il secondo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la motivazione sulla ricorrenza dell'elemento oggettivo del reato.
Invero, le imputazioni riguardanti il M. hanno, ambedue ad oggetto la violazione dell'art. 515 cod. pen.; tale disposizione sanzione la condotta di chi, nell’esercizio di un’attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile che, per rimanere nella presente fattispecie, sia per qualità diversa da quella dichiarata.
Ora, premesso che, effettivamente, la descrizione del prodotto oggetto del reato (''olio aromatizzato al tartufo bianco" oppure "condimento a base di olio extravergine di oliva al tartufo bianco"), attraverso la indicazione, graficamente esaltata, del tartufo bianco parrebbe idonea ad ingannare il consumatore sulla reale qualità del prodotto stesso, essendo evidentemente cosa ben diversa l'insaporire un condimento con l'aroma effettivamente estratto dall'alimento da esso caratterizzato rispetto alla medesima operazione eseguita ricorrendo, come fatto dalla impresa diretta dal M., ad aromi artificiali prodotti attraverso sintesi chimiche, deve, tuttavia, osservarsi che il reato deve intendersi perfezionato non solamente al momento della messa in commercio del prodotto, ma al momento in cui questo diviene effettivamente oggetto di una compravendita.
Come è, infatti, stato segnalato dalla giurisprudenza di questa Corte, mentre il reato di cui all'art. 516 cod. pen., cioè la messa in vendita di prodotti alimentari non genuini è reato di pericolo il quale si realizza nel momento delle semplice immissione sul mercato di sostanze alimentari non genuine come genuine ed è, in quanto relativo ad una fase preliminare alla relazione commerciale vera e propria tra due soggetti, rappresentativo di una forma di tutela anticipata del bene interesse protetto, il reato di cui all'art. 515 cod. pen. è un reato di danno che, invece, sussiste, ne!!a ferma consumata o tentata, nell'ipotesi rispettivamente di materiale consegna della merce all'acquirente o di atti univocamente diretti a tale fine (Corte di cassazione, Sezione III penale, 30 novembre 2016, n. 50745).
Nel caso di specie la Corte di Ancona non ha adeguatamente chiarito se la condotta penalmente rilevante deve intendersi riferita al rapporto esistente fra la M. e le organizzazioni commerciali, le quali detenevano per la vendita i prodotti in questione (nel quale caso, tuttavia, apparirebbe per un verso inspiegabile i! riferimento contenuto nella sentenza impugnata alla diligenza del consumatore finale quale parametro cui ancorare il criterio di riconoscibilità della qualità del prodotto commercializzato dal M. e, per altro verso, insondato il tipo di rapporto giuridico intercorso fra tali organizzazioni ed il M. stesso) ovvero quello intercorrente fra il M. e gli acquirenti finali del prodotto in questione.
Un tale chiarimento non è, d'altra parte, irrilevante ai fini della qualificazione giuridica del reato in questione, e quindi in relazione all'elemento oggettivo dello stesso, posto che solo nel primo caso sarebbe riscontrabile una fattispecie di reato consumato, mentre nel secondo caso, non essendo stata documentata alcuna effettiva cessione del prodotto in questione ad almeno un esponente della generalità dei clienti dei supermercati ove lo stesso era stato posto in vendita, la fattispecie astrattamente riscontrabile sarebbe quella del delitto tentato (su tale qualificazione della condotta realizzata attraverso la mera esposizione per la vendita di un prodotto non avente le qualità promesse: Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 ottobre 2018, n. 43622).
Risultando assorbito il terzo motivo di impugnazione, posto che la verifica dell'elemento soggettivo della condotta si giustifica in quanto emerga la astratta qualificabilità di essa nell'ambito del paradigma normativo riguardante l'elemento oggettivo del reato stesso (atteggiandosi, peraltro, in termini diversi il dolo in caso di delitto consumato e di delitto tentato, quanto meno sotto il profilo della rilevanza del dolo eventuale: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 16 aprile 2012, n. 14342), !a sentenza impugnata, in relazione al tema sopra indicato deve essere annullata, stante la descritta carenza motivazionale, con rinvio, stante la unicità della Sezione penale della Corte distrettuale dorica alla analoga Corte di Perugia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.