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22 marzo 2023
Il fallimento dell’impresa può essere destinatario di provvedimenti che ordinano la rimozione di rifiuti abbandonati…

…anche se il Comune è stato successivamente nominato custode del sito. Per il Consiglio di Stato, tale nomina non trasferisce sul custode, non responsabile dell'abbandono, gli obblighi di provvedere alla rimozione di essi.

La Redazione

La controversia trae origine da un'ordinanza con la quale il Comune appellante ordinava alla società appellata l'avvio delle operazioni di rimozione dei rifiuti presenti in un sito industriale abbandonato di pertinenza di questa nell'interesse esclusivo di non recare pregiudizio alla salute pubblica e all'ambiente. Tale sito era stato abbandonato dopo che la società aveva cessato l'attività nel 2005 con conseguente messa in liquidazione del 2006.
La società proponeva ricorso dinanzi al TAR, il quale lo accoglieva ritenendo che il Comune non aveva dimostrato la sussistenza del presupposto di legge per emanarla, ossia la necessità e l'urgenza «di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile».
Contro tale decisione del TAR, il Comune propone impugnazione, notificando l'appello sia alla società che al fallimento. Quest'ultimo resiste chiedendo che il gravame sia dichiarato inammissibile sul rilievo che in fallimento non potrebbe essere destinatario di un'ordinanza come quella impugnata, non disponendo, fra l'altro, di fondi per eseguirla. Sulla questione, aggiunge che il sito è sotto sequestro, e che spetterebbe al Comune, nominato custode, di provvedere in merito.

Investito della questione, il Consiglio di Stato esamina anzitutto l'eccezione per cui il fallimento con tale non potrebbe essere destinatario di un'ordinanza del tipo di quella impugnata. In primis, precisa che tale ordinanza è stata emanata prima che il fallimento della società fosse dichiarato, e pertanto in un momento in cui la legittimazione passiva della stessa sussisteva pacificamente.
Ciò posto, il Consiglio ribadisce quando affermato dall'Adunanza Plenaria secondo cui «l'onere di ripristino e di smaltimento rifiuti ricade sulla curatela fallimentare e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare». Infatti, «l'abbandono di rifiuti costituisce una diseconomia esterna, ovvero un'esternalità negativa, derivante dall'attività di impresa, e, dunque, un costo di cui i creditori della massa fallimentare stessa debbono farsi carico al fine di potersi avvantaggiare dell'eventuale residuo attivo della procedura».
Dello stesso avviso la Cassazione, la quale sostiene che «il fallimento del trasgressore non estingue l'illecito amministrativo dell'abbandono di rifiuti, stante la non assimilabilità del suddetto evento fattuale alla morte del reo».

Parimenti infondata è l'eccezione relativa al difetto di legittimazione passiva, secondo la quale, a prescindere dal fallimento dell'impresa, provvedere alla rimozione dei rifiuti spetterebbe al Comune in quanto custode del sito.
Sulla questione, il Consiglio di Stato afferma che «il fallimento dell'impresa è legittimato ad essere destinatario di provvedimenti che ordinano la rimozione dei rifiuti, anche se il comune è stato nominato custode del sito. L'essere stati successivamente nominati custodi di un'area occupata da rifiuti abbandonati non trasferisce sul custode stesso, non responsabile dell'abbandono, gli obblighi di provvedere alla rimozione di essi».

Premesso ciò, Palazzo Spada si occupa del motivo di gravame ribadendo che «le ordinanze di necessità ed urgenza presuppongono la ricorrenza di una situazione di pericolo non fronteggiabile con mezzi ordinari. L'esercizio del relativo potere non è precluso dall'esistenza di una serie di rimedi tipici per far fronte alle situazioni di emergenza di una data specie, in particolare dai rimedi legalmente contemplati in tema di abbandono di rifiuti e di bonifica dei siti inquinati».

Applicando questi principi al caso di specie, il Consiglio di Stato accoglie l'appello con sentenza n. 2208 del 2 marzo 2023.

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