…anche se il Comune è stato successivamente nominato custode del sito. Per il Consiglio di Stato, tale nomina non trasferisce sul custode, non responsabile dell'abbandono, gli obblighi di provvedere alla rimozione di essi.
La controversia trae origine da un'ordinanza con la quale il Comune appellante ordinava alla società appellata l'avvio delle operazioni di rimozione dei rifiuti presenti in un sito industriale abbandonato di pertinenza di questa nell'interesse esclusivo di non recare pregiudizio alla salute pubblica e all'ambiente. Tale sito era stato abbandonato dopo che la società aveva cessato l'attività nel 2005 con conseguente messa in liquidazione del 2006.
La società proponeva ricorso dinanzi al TAR, il quale lo accoglieva ritenendo che il Comune non aveva dimostrato la sussistenza del presupposto di legge per emanarla, ossia la necessità e l'urgenza «di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile».
Contro tale decisione del TAR, il Comune propone impugnazione, notificando l'appello sia alla società che al fallimento. Quest'ultimo resiste chiedendo che il gravame sia dichiarato inammissibile sul rilievo che in fallimento non potrebbe essere destinatario di un'ordinanza come quella impugnata, non disponendo, fra l'altro, di fondi per eseguirla. Sulla questione, aggiunge che il sito è sotto sequestro, e che spetterebbe al Comune, nominato custode, di provvedere in merito.
Investito della questione, il Consiglio di Stato esamina anzitutto l'eccezione per cui il fallimento con tale non potrebbe essere destinatario di un'ordinanza del tipo di quella impugnata. In primis, precisa che tale ordinanza è stata emanata prima che il fallimento della società fosse dichiarato, e pertanto in un momento in cui la legittimazione passiva della stessa sussisteva pacificamente.
Ciò posto, il Consiglio ribadisce quando affermato dall'Adunanza Plenaria secondo cui «l'onere di ripristino e di smaltimento rifiuti ricade sulla curatela fallimentare e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare». Infatti, «l'abbandono di rifiuti costituisce una diseconomia esterna, ovvero un'esternalità negativa, derivante dall'attività di impresa, e, dunque, un costo di cui i creditori della massa fallimentare stessa debbono farsi carico al fine di potersi avvantaggiare dell'eventuale residuo attivo della procedura».
Dello stesso avviso la Cassazione, la quale sostiene che «il fallimento del trasgressore non estingue l'illecito amministrativo dell'abbandono di rifiuti, stante la non assimilabilità del suddetto evento fattuale alla morte del reo».
Parimenti infondata è l'eccezione relativa al difetto di legittimazione passiva, secondo la quale, a prescindere dal fallimento dell'impresa, provvedere alla rimozione dei rifiuti spetterebbe al Comune in quanto custode del sito.
Sulla questione, il Consiglio di Stato afferma che «il fallimento dell'impresa è legittimato ad essere destinatario di provvedimenti che ordinano la rimozione dei rifiuti, anche se il comune è stato nominato custode del sito. L'essere stati successivamente nominati custodi di un'area occupata da rifiuti abbandonati non trasferisce sul custode stesso, non responsabile dell'abbandono, gli obblighi di provvedere alla rimozione di essi».
Premesso ciò, Palazzo Spada si occupa del motivo di gravame ribadendo che «le ordinanze di necessità ed urgenza presuppongono la ricorrenza di una situazione di pericolo non fronteggiabile con mezzi ordinari. L'esercizio del relativo potere non è precluso dall'esistenza di una serie di rimedi tipici per far fronte alle situazioni di emergenza di una data specie, in particolare dai rimedi legalmente contemplati in tema di abbandono di rifiuti e di bonifica dei siti inquinati».
Applicando questi principi al caso di specie, il Consiglio di Stato accoglie l'appello con sentenza n. 2208 del 2 marzo 2023.
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza (ud. 19 gennaio 2023) 2 marzo 2023, n. 2208
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Si controverte dell’ordinanza, meglio indicata in epigrafe, con la quale il Comune (intimato in prime cure) appellante ha imposto alla società (ricorrente in prime cure) appellata, letteralmente la “rimozione dei rifiuti” presenti in un sito industriale abbandonato di pertinenza di questa (doc. A in I grado ricorrente appellata, ordinanza in questione).
2. I fatti storici rilevanti ai fini di causa si riassumono così come segue.
2.1 La società appellata è proprietaria in Comune di Rende, località contrada Lecco, di un sito industriale di circa 50 mila mq di superficie, nel quale dal 1969 ha prodotto acido tannico – sostanza di interesse commerciale principalmente perché utilizzata nella concia delle pelli- e pannelli di truciolato di legno utilizzando come materia prima appunto legno di castagno ed altri legni bianchi; per questo ciclo produttivo, che utilizza una matrice acquosa per estrarre le fibre dal legno stesso, ha realizzato in particolare tre bacini artificiali, scavati direttamente nel terreno con argini sopraelevati e senza impermeabilizzazione del fondo, denominati “laghetti 4, 5 e 6”, con una capacità di circa 75 mila metri cubi ciascuno i primi due e circa 100 mila metri cubi il terzo; in questi laghetti scaricava le acque di processo con i relativi scarti di lavorazione.
2.2 La società ha cessato la produzione nel sito nel 2002, il 1 agosto 2005 ha formalmente cessato l’attività, il 5 aprile 2006 è stata posta in liquidazione, ed il sito è stato nella sostanza abbandonato. Risulta in particolare da indagini svolte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza che la falda acquifera sottostante e prossima ai laghetti, in particolare il 4 e il 5, è fortemente contaminata da metalli pesanti, quali ferro, alluminio, manganese. arsenico, cromo, nichel, cobalto e piombo, rendendosi quindi necessaria una bonifica per prevenire conseguenze peggiori (per tutte queste notizie, v. la motivazione del decreto di sequestro penale preventivo GIP Tribunale Cosenza 22 novembre 2015 in proc. pen. 4548/2015 R.G.N.R. e n.5856/2015 R.GIP di quel Tribunale, prodotto come doc. 2 in allegato alla memoria 8 novembre 2022 del Fallimento e non contestato quanto ai fatti storici).
2.3 Risulta effettivamente che sia stato avviato, ma sia tuttora in corso senza a tutt’oggi risultati di qualche rilievo un procedimento di bonifica del sito. In particolare, con nota della società 11 febbraio 2008 prot. n.2430, la società ha chiesto all’allora competente Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti nella Regione Calabria l’approvazione di un piano di caratterizzazione ai sensi dell’art. 242 d. lgs. 3 aprile 2006 n.152 (doc. 3 in I grado ricorrente appellata).
2.4 Ciò tuttavia non ha avuto seguito, perché in base alla l.r. Calabria 12 agosto 2002 n.34 e alla delibera attuativa della Giunta 9 marzo 2009 n.107, la competenza in materia è passata ai Comuni.
2.5 Il Comune di Rende, con deliberazione della Giunta 29 maggio 2012 n.59 ha quindi approvato il piano di caratterizzazione del sito (doc. 6 in I grado ricorrente appellata).
2.6 Quando però si è trattato di procedere alla bonifica propriamente detta, la conferenza di servizi ritualmente convocata a questo fine dal Comune, nella seduta del 22 maggio 2013, non ha approvato il progetto presentato dalla società. A fronte di ciò, il Comune ha agito in due direzioni.
2.7 In primo luogo, con ordinanza contingibile e urgente 23 maggio 2013 n.51 (doc. 1 in I grado ricorrente appellata) ha ingiunto alla società di avviare la rimozione dei rifiuti liquidi presenti nei laghetti 4 e 5.
2.8 In secondo luogo, con deliberazione della Giunta 31 maggio 2013 n.41, ha formalmente respinto la proposta di piano di bonifica (doc. 2 in I grado ricorrente appellata, ove anche i dati della conferenza di servizi).
2.9 L’ordinanza contingibile e urgente 51/2013 è stata annullata con sentenza del T.a.r. Calabria Catanzaro sez. I 30 luglio 2014 n.1225, che non consta appellata, per mancanza appunto del presupposto della necessità ed urgenza.
3. Successivamente, presso il sito abbandonato si riscontravano esalazioni maleodoranti ed incendi, protrattisi sino all’episodio che rileva ai fini di causa. Infatti, il giorno 29 agosto 2015. personale del Corpo forestale dello Stato è intervenuto sul posto, ed ha rilevato che in due dei tre laghetti era in atto un incendio di tipo sotterraneo, che bruciava lentamente il rifiuto accumulato negli invasi stessi e liberava nell’atmosfera fumi acri e maleodoranti; rilievi successivamente svolti hanno confermato la presenza nell’aria di una concentrazione superiore a quanto consentito di benzo(a)pirene, notoriamente un idrocarburo nocivo (v. sempre la motivazione del decreto di sequestro sopra citato, non contestata nemmeno quanto a questo fatto storico).
4. A fronte di ciò, il sindaco del Comune ha emanato l’ordinanza 27 agosto 2015 n. 139 per cui è causa (doc. A in I grado ricorrente appellata, cit.), con la quale ha ordinato alla società “l'avvio delle operazioni di rimozione dei rifiuti presenti nei bacini nn. 4 e 5” entro un breve termine, motivando così come ora si riassume.
4.1 L’ordinanza richiama lo stato dei luoghi così come lo si è illustrato, ed il fenomeno dell’emissione di fumi maleodoranti; evidenzia in particolare un intervento dei Vigili del Fuoco avvenuto il 26 agosto 2015, verosimilmente per estinguere l’incendio sotterraneo di cui si è detto.
4.2 L’ordinanza dà atto dell’inquinamento del sito, come da piano di caratterizzazione approvato nei termini sopra descritti; dà atto poi che due successive diffide dell’amministrazione comunale alla società perché essa provvedesse non hanno avuto effetto alcuno.
4.3 L’ordinanza pertanto rileva che “l'emissione di fumi e l'accendersi degli incendi possono essere arrestati con la rimozione dei rifiuti depositati nei bacini n. 4 e 5 e ciò nell'interesse esclusivo di non recare pregiudizio alla salute pubblica e all'ambiente in genere” e ritenuta la necessità, indifferibilità ed urgenza di provvedere dispone così come si è detto, richiamando in modo espresso l’art. 50 comma 5 del T.U. 18 agosto 2000 n.267, per cui “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale”.
5. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha accolto il ricorso della società e annullato quest’ordinanza. In motivazione, ha ritenuto che essa non avesse dimostrato la sussistenza del presupposto di legge per emanarla, ovvero la “necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile”, non fronteggiabili con mezzi ordinari (motivazione, § 2.1 del diritto); ha poi ritenuto che in particolare nel caso di specie, data la pendenza del procedimento di bonifica, la procedura ordinaria per far fronte alla situazione fosse stata già attivata e che quindi l’intervento con un mezzo straordinario non fosse ammissibile.
6. Poco dopo, con sentenza del Tribunale civile di Cuneo 5 agosto 2016 n.37, la società è stata dichiarata fallita.
7. Contro la sentenza del T.a.r. ha proposto impugnazione il Comune intimato, con appello che è stato notificato sia alla società che al fallimento e contiene un unico motivo di violazione degli artt. 50 e 54 TUEL 267/2000 ed eccesso di potere per travisamento del fatto. Il Comune sostiene infatti di avere emesso l’ordinanza non per conseguire l’obiettivo della bonifica del sito, ma per fronteggiare una ben determinata e specifica situazione di emergenza, ovvero l’incendio dei rifiuti di cui si è detto, che sarebbe andata a sovrapporsi al contesto complessivo; di conseguenza, deduce che avrebbe imposto alla società non la bonifica, ma un’attività specifica e definita volta ad ovviare al pericolo così determinatosi.
8. Il Fallimento ha resistito, con memoria 8 novembre 2017, e chiesto che l’appello sia dichiarato inammissibile perché un fallimento non potrebbe essere destinatario di un’ordinanza come quella impugnata, non disponendo fra l’altro di fondi per eseguirla, e comunque respinto nel merito.
9. Con atti depositati rispettivamente il 26 febbraio 2021 e il 15 marzo 2021, in ottemperanza all’ordinanza del Presidente titolare 3 febbraio 2021 n.119, il Comune ed il Fallimento hanno confermato l’interesse alla decisione e depositato la nota spese.
10. Con memorie 7 settembre e 19 dicembre 2022 per il Comune e con replica 28 dicembre 2022 per il Fallimento, le parti hanno ribadito le rispettive difese. Il Fallimento in particolare ha evidenziato che il sito è sotto sequestro, e che spetterebbe a suo dire al Comune, nominato custode, di provvedere in merito.
11. Alla pubblica udienza del giorno 19 gennaio 2023, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
12. In via preliminare, va dichiarata inammissibile, perché depositata tardivamente ai sensi degli artt. 73 comma 1 c.p.a. e 4 d. att. c.p.a., la memoria della parte appellante, depositata appunto il giorno 19 dicembre 2022 alle ore 16.47: sul punto, per tutte, C.d.S. sez. IV 5 agosto 2021 n.5767.
13. Sempre in via preliminare, vanno respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso in appello proposte dal Fallimento appellato.
13.1 È anzitutto infondata l’eccezione per cui il fallimento come tale non potrebbe essere destinatario di un’ordinanza del tipo di quella impugnata. In linea di fatto, va precisato che, nei termini sopra esposti, l’ordinanza stessa è stata emanata prima che il fallimento della società fosse dichiarato, e quindi in un momento in cui la legittimazione passiva della stessa sussisteva pacificamente. Ciò posto, così come ritenuto dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio nella sentenza 26 gennaio 2021 n.3, l'onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all'art. 192 del d.lgs. 152/2006 ricade sulla curatela fallimentare e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare.
13.2 Così come ritenuto dall’Adunanza plenaria, infatti, l'abbandono di rifiuti costituisce una diseconomia esterna, ovvero un’esternalità negativa, derivante dall'attività di impresa, e quindi un costo di cui i creditori della massa fallimentare stessa debbono farsi carico per potere, corrispondentemente, avvantaggiarsi dell’eventuale residuo attivo della procedura.
13.3 Allo stesso risultato si giunge poi per altra via, considerando che l’abbandono di rifiuti ricade nell’ampia categoria degli illeciti amministrativi, che secondo costante giurisprudenza non si estinguono per fallimento del trasgressore, trattandosi di evento non equiparabile alla morte del reo: sul principio, si veda per tutte Cass. pen. sez. VI 25 luglio 2017 n.49055.
13.4 Che poi il fallimento stesso, a suo dire, non disponga dei mezzi economici necessari per fare quanto l’ordinanza prescrive è un problema di fatto, che può riguardare l’eseguibilità concreta del provvedimento, ma non ne inficia certo la legittimità.
13.5 È parimenti infondata l’eccezione, qualificabile come ulteriore eccezione di difetto di legittimazione passiva - secondo la quale, a prescindere dal fallimento dell’impresa, provvedere alla rimozione dei rifiuti spetterebbe al Comune in quanto custode del sito - dato che con tutta evidenza l’esser stati successivamente nominati custodi di un’area occupata da rifiuti abbandonati non trasferisce sul custode stesso non responsabile dell’abbandono gli obblighi di provvedere alla rimozione di essi.
14. Ciò premesso, l’appello, nell’unico motivo di cui esso consta, è fondato e va accolto, per le ragioni ora esposte.
14.1 Prima di tutto e per chiarezza va ricordato che l’ordinanza impugnata è dichiaratamente emessa ai sensi dell’art. 50 d.lgs. 267/2000 (doc. A in I grado ricorrente appellata, cit.) e ciò costituisce un dato di fatto da cui questo Giudice non può prescindere nel valutarne la legittimità.
14.2 Ciò posto, com’è noto le ordinanze di necessità ed urgenza presuppongono in generale, per costante giurisprudenza, che ci si trovi di fronte ad una situazione di pericolo non fronteggiabile con mezzi ordinari: per tutte, C.d.S. sez. IV 25 marzo 2022 n.2193 e sez. V 12 giugno 2017 n.2847. Per quanto poi riguarda più specificamente il caso di specie, l’esercizio del relativo potere non è precluso dall’esistenza di una serie di rimedi tipici per far fronte alle situazioni di emergenza di una data specie, in particolare dai rimedi previsti dal d. lgs. 152/2006 in tema di abbandono di rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, essendo del tutto possibile che nel caso concreto questi rimedi risultino inadeguati (in proposito, per tutte, C.d.S. sez. IV 26 giugno 2021 n.4802, in particolare al § XII 4.3, sez. IV 31 maggio 2021 n.4145, relativa proprio ad un caso di rifiuti abbandonati, e sez. IV 1 giugno 2021 n.4200, relativa ad un caso di compresenza, nello stesso sito, di una situazione di inquinamento e di una distinta situazione di abbandono di rifiuti).
14.3 Applicando questi principi al caso di specie, si deve ritenere la legittimità dell’ordinanza impugnata e quindi la fondatezza del motivo di appello.
14.4 In primo luogo, deve ritenersi dimostrata la sussistenza di una concreta situazione di pericolo per l’igiene e l’incolumità pubbliche, situazione dovuta non al mero fatto della presenza sul posto dei rifiuti, che effettivamente è risalente, ma all’improvvisa evoluzione in negativo del loro stato, che per ragioni non conosciute, ma irrilevanti ai fini del decidere, ne ha provocato la combustione spontanea, innescando gli incendi di cui si è detto e che l’ordinanza cita.
14.5 Che si trattasse di una situazione di effettivo pericolo risulta poi dai rilievi dell’ARPA Calabria svolti sul posto e riportati nella motivazione del decreto di sequestro penale di cui si è detto, non contestata quanto al fatto specifico, secondo i quali il fumo “acre e maleodorante” che ristagnava sul posto presentava una concentrazione illegale di benzo(a)pirene, sostanza notoriamente inquinante e cancerogena, pari a 5,67 ng/m3 a fronte di un valore obiettivo limite di 1 ng/m3.
14.6 È poi evidente che, nel caso concreto, i rimedi ordinari, previsti in questo caso dal d.lgs. 152/2006 erano rimasti inefficaci, dato che, come si è detto più volte, la procedura di bonifica del sito non aveva, e non ha allo stato, condotto ad alcun esito favorevole.
14.7 Tanto premesso, l’istruttoria e la motivazione dell’ordinanza impugnata si desume per rinvio dagli atti istruttori da essa citati, ovvero dai sopralluoghi della Polizia locale e dal verbale di intervento dei Vigili del Fuoco, che appunto hanno riscontrato l’incendio e l’emissione dei fumi maleodoranti, per ovviare a ciò, come correttamente dedotto dal Comune appellante, impone poi una misura congrua, ovvero la rimozione dei rifiuti che dell’incendio sono stati la causa.
14.8 In conclusione, quindi, l’appello va accolto e per conseguenza, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di I grado, così come in dispositivo.
15. Nella novità e particolarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa eccezionali ragioni, ex artt. 26 c.p.a. e 92 c.p.c. per compensare per intero fra le parti le spese di ambedue i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 9073/2016), lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di I grado (T.a.r. per la Calabria n. 1833/2015 R.G.).
Compensa per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.