La Cassazione esclude una disparità di trattamento tra i componenti delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale applicati e quelli assegnati. Ognuno di essi percepisce infatti il compenso fisso connesso alla titolarità dell'ufficio in cui è incardinato e il compenso variabile in ragione dell'attività concretamente svolta.
Un giudice tributario chiedeva al Tribunale di Torino di condannare il MEF a pagargli il compenso fisso per lo svolgimento dell'attività giurisdizionale svolta presso la Commissione tributaria regionale per un periodo di 19 mesi. Nello specifico, l'attore, vicepresidente di sezione presso la CTP di Vercelli, era stato applicato come componente...
Svolgimento del processo
1. Il Dott. A. C., giudice tributario, chiedeva al Tribunale di Torino, in qualità di giudice del lavoro, che il Ministero dell’Economia e delle Finanze fosse condannato a pagargli il compenso fisso per lo svolgimento dell’attività giurisdizionale svolta presso la Commissione tributaria centrale per un periodo di 19 mesi (decorrenti a partire dal 1.6.2012 sino al 31.12.2013) a seguito di delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria n. 818 del 15.5.2012.
Più in particolare il C., vicepresidente di sezione presso la Commissione tributaria provinciale di Vercelli, era stato applicato con delibera n. 818/12 del 15/5/2012 del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria come componente presso la 3a sezione regionalizzata della Commissione tributaria centrale istituita presso la Commissione tributaria regionale di Torino (ivi al IV° Collegio).
Tale applicazione, derivata dalla istituzione di nuovi sedi prima non esistenti disposta ai sensi dell’art. 1, comma 351, della l. n. 244/2007 al fine di razionalizzare e smaltire l’arretrato delle Commissioni territoriali centrali, aveva avuto inizio il 10 giugno 2012 ed era durata fino al 31 dicembre 2013 data ultima di conclusione dei lavori del IV° Collegio (e cioè per 19 mesi).
Per tale attività il Ministero convenuto non aveva corrisposto al ricorrente il (doppio) compenso fisso asseritamente spettantegli e pari ad euro 311,00 al mese e ciò sulla sorta del d.m. adottato dal MEF in data 4.3.2009 interpretato nel senso che dovesse essere percepito soltanto il compenso fisso più favorevole, senza possibilità di cumulo con il compenso fisso percepito quale componente della Commissione tributaria di appartenenza.
A fondamento del ricorso il C. aveva posto il richiamo, operato dall’art. 1, comma 354, della legge n. 244/2007, all’art. 13 del d.lgs. n. 545/1992 e sostenuto che, alla luce di detta previsione normativa, il d.m. adottato dal MEF dovesse essere disapplicato.
2. Il Tribunale, condividendo la tesi attorea, aveva accolto la domanda ritenendo che il richiamo normativo di cui all’art. 1, comma 354, della l. n. 244/2007 implicasse il riconoscimento ai giudici applicati del compenso nella sua globalità, sia nella componente variabile sia in quella fissa e, per l’effetto, condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze al versamento della somma di euro 5.909,00 in favore del C., oltre interessi di mora al saggio legale a decorrere dal 31.1.2016 al saldo effettivo.
La decisione era impugnata dal MEF e la Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza di prime cure, respingeva la domanda.
3. La Corte territoriale, richiamata la normativa rilevante in causa, riteneva che l’applicazione non comportasse in sé l’assunzione della titolarità di un secondo ufficio ovvero l’incardinamento in esso ma era un istituto attinente alla modalità di svolgimento del servizio caratterizzata dalla temporaneità e motivata da situazioni straordinarie e contingenti.
Riteneva che il richiamo all’art. 13 del d.lgs. n. 545/1992 quanto alla determinazione del compenso dovesse essere inteso in modo coerente con la stessa normativa sulla composizione delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale (che non erano neoistituiti organi di giustizia tributaria).
Aggiungeva che riconoscere ai giudici tributari applicati il doppio compenso fisso avrebbe introdotto nel sistema una nota distonica non giustificata.
Evidenziava che il sistema del compenso, come delineato dal d.m. del 4.4.2009, che aveva ribadito il divieto di cumulo prevedendo la spettanza del solo compenso fisso più alto, non determinava alcuna disparità di trattamento.
4. Per la cassazione della sentenza il dott. C. ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi cui ha opposto difese con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
5. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 24 lett. m) bis d.lgs. n. 545/1992, in relazione all’art. 1, commi 351 e 354, l. n. 244/2007, nonché dei principi generali dettati dal d.lgs. n. 545/1992 siccome ritenuti inapplicabili, per deroga, alla fattispecie in esame.
Sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che le nuove 21 sedi della Commissione Tributaria Centrale siano mera riorganizzazione della vecchia Commissione tributaria centrale e non nuovi uffici.
Rileva che il fabbisogno di personale di tali sedi non è parametrato alla pianta organica fino ad allora esistente ma programmaticamente destinato ad essere rimpinguato con il ricorso al personale asseritamente ‘avventizio’ senza bisogno di bandire concorsi.
Critica anche la richiamata incompatibilità di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 545/1992 (posta dalla Corte territoriale a sostegno dell’esistenza di una mera riorganizzazione e non della creazione di nuovi uffici) sostenendo che, nella specie, è stato lo stesso legislatore a prevedere il ‘cumulo’ di due incarichi con ciò derogando, per il limitato periodo di cui all’applicazione-duplicazione, all’art. 8.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 13 e 24 l. n. 244/2007, e conseguente profilo di illegittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., della sentenza n. 257/2019 della Corte d’appello di Torino.
Censura la sentenza impugnata deducendo l’errore sulla distinzione tra componenti ‘assegnati’ e ‘giudici applicati’.
Assume che il legislatore si è avvalso di un uso, se non improprio, quantomeno atecnico del termine ‘applicati’, che richiama un istituto disomogeneo rispetto a quello disegnato dalla finanziaria del 2008.
Sottolinea che nello specifico gli ‘applicati’ non sono stati sollevati da nessuno dei compiti inerenti alla funzione di provenienza.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 354, l. n. 244/2007 e dell’art. 13 d.lgs. n. 545/1992 e conseguente profilo di illegittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., della sentenza
n. 257/2019 della Corte d’appello di Torino, nella parte in cui non ha ritenuto integralmente applicabile la norma ultima cit. espressamente individuata dal Legislatore come parametro per la determinazione dei compensi spettanti ai giudici componenti delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale provenienti dalle Commissione tributarie regionali o provinciali.
Assume che la fonte legislativa richiamata dalla finanziaria del 2008 implica che si debba riconoscere sia il compenso variabile sia il compenso fisso e che la non cumulabilità prevista dal d.m. del 2009 non trova riscontro in alcuna previsione positiva o negativa.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1, comma 354, l. n. 244/2007, in relazione all’art. 13 d.lgs. n. 545/1992, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Censura sotto altro aspetto la sentenza impugnata e cioè nella parte in cui non si è ritenuto sussistere disparità di trattamento economico tra i giudici applicati (provenienti dalle Commissioni tributarie regionali o provinciali) ed i componenti assegnati (provenienti dalla Commissione tributaria centrale) per effetto dell’omesso riconoscimento del compenso fisso.
Critica l’operato riferimento al compenso attribuito solo sul presupposto della titolarità dell’ufficio e senza alcun riferimento all’attività giurisdizionale effettivamente svolta, in tutto assimilabile a quella dei componenti assegnati.
5. I motivi, da trattare congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati.
6. Occorre ricordare che con d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), le commissioni tributarie di cui al regio decreto-legge 7 agosto 1936, n. 1639, convertito nella legge 7 giugno 1937, n. 1016 e successive modificazioni (commissioni che erano nate già nei primi decenni dell’Unità d’Italia, come organi amministrativi), furono riordinate in: Commissioni tributarie di primo grado, con sede e competenza territoriale identica a quella dei Tribunali, Commissioni tributarie di secondo grado, con sede nei capoluoghi di provincia, e una Commissione tributaria centrale.
In particolare, la Commissione tributaria centrale aveva sede in Roma ed era composta dal Presidente, dai Presidenti di sezione e da sei membri per ogni sezione. Il numero delle sezioni era fissato e poteva essere variato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per le finanze di concerto con il Ministro di grazia e giustizia.
Con la riforma del 1972 l’elenco dei tributi su cui erano competenti le commissioni tributarie fu notevolmente ampliato (e ulteriori ampliamenti intervennero negli anni successivi). Furono cambiate anche le modalità di nomina dei componenti, spettante al Presidente del Tribunale per le Commissioni di primo grado e al Presidente della Corte d’appello per quelle di secondo grado; metà delle nomine avveniva su designazione dei consigli comunali, per le Commissioni di primo grado, e del Consiglio provinciale, per quelle di secondo grado; l’altra metà sulla base di elenchi formati dall’Amministrazione delle finanze (ma il Tribunale e la Corte d’appello potevano richiedere elenchi alle camere di commercio e agli ordini professionali degli avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ingegneri). Infine, furono modificate le norme di procedura, avvicinandole maggiormente a quelle del processo civile. Con la riforma del 1972, le Commissioni tributarie, pur continuando a rivestire la qualifica di organi amministrativi, vennero inserite in un sistema propriamente giurisdizionale. Tali modifiche portarono la Corte costituzionale a qualificare le Commissioni tributarie come organi giurisdizionali (v. sentenza n. 287 del 27 dicembre 1974 con riguardo non solo alle nuove Commissioni tributarie, così come “revisionate” dalla legge di riforma, ma anche alle preesistenti commissioni).
Successivamente, con l’approvazione del nuovo processo tributario di cui al d.lgs. n. 545/1992 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e al d.lgs. n. 546/1992 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) fu ulteriormente accentuato il carattere giurisdizionale delle commissioni tributarie (per la prima volta il legislatore definiva le Commissioni tributarie come giudici esercenti un’attività giurisdizionale, e, come tali, venne riconosciuto loro il potere di emettere sentenza) con maggiori garanzie di indipendenza per i componenti, anche grazie all’introduzione di un organo di autogoverno, e norme di procedure ancor più vicine a quelle del processo civile. La nomina dei componenti, effettuata sulla base di criteri specificamente indicati, non determinava la costituzione di un rapporto di pubblico impiego (si trattava, in altri termini, di giudici onorari), prevedendosi per detti componenti un compenso fisso mensile e un compenso aggiuntivo per ogni ricorso deciso.
Con la riforma del 1992 la Commissione tributaria centrale venne soppressa e cessava di funzionare il 31 dicembre 1995 (art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 545/1992). Dal 1° gennaio 1996 si insediarono le Commissioni tributarie provinciali e regionali, in luogo delle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado, pure soppresse (art. 42, commi 1 e 2).
La Commissione centrale restava, dunque, in carica, solo per la definizione dei
ricorsi pendenti fino all’anno 1996.
La legge finanziaria 2004 (l. 24 dicembre 2003, n. 350) stabilì, quindi, che «Le controversie concernenti il trattamento economico per l’esercizio delle funzioni di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, che comunque non configura mai attività di pubblico impiego, sono devolute alla competenza del giudice ordinario» (art. 3, comma 121).
In seguito, al fine «di ridurre le spese a carico del bilancio dello Stato e di giungere ad una rapida definizione delle controversie pendenti presso la Commissione tributaria centrale», con l’art. 1, comma 351, della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria per l’anno 2008), a decorrere dal 1° maggio 2008, il numero delle sezioni della Commissione tributaria centrale venne ridotto a 21, con sede presso ciascuna commissione tributaria regionale del capoluogo di ogni regione e presso le commissioni tributarie di secondo grado di Trento e di Bolzano, alle quali vennero riassegnati i procedimenti pendenti.
Si previde espressamente che: «A tali sezioni sono applicati come componenti, su domanda da presentare al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria entro il 31 gennaio 2008, i presidenti di sezione, i vice presidenti di sezione e i componenti delle commissioni tributarie regionali istituite nelle stesse sedi [...]» ed ancora che: «I presidenti di sezione ed i componenti della Commissione tributaria centrale, nonché il personale di segreteria, sono assegnati, anche in soprannumero rispetto a quanto previsto dall’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636, su domanda da presentare, rispettivamente, al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria ed al Dipartimento per le politiche fiscali entro il 31 gennaio 2008, a una delle sezioni di cui al primo periodo. Ai presidenti di sezione, ai componenti e al personale di segreteria della Commissione tributaria centrale trasferiti di sede ai sensi del periodo precedente non spetta il trattamento di missione […]»; «in difetto di domande, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria provvede d’ufficio entro il 31 marzo 2008»; «qualora un componente della Commissione tributaria centrale sia assegnato ad una delle sezioni di cui al primo periodo, ne assume la presidenza».
Come correttamente ricostruito dalla Corte torinese, la composizione delle sezioni delocalizzate della Commissione tributaria centrale vedeva, quindi, chiamati a svolgervi le funzioni sia componenti già incardinati nel ruolo della Commissione tributaria centrale (che ivi erano dunque assegnati a domanda ovvero d’ufficio, ossia trasferiti, ancorché senza trattamento di missione) sia componenti incardinati nel diverso ruolo delle Commissioni tributarie regionali - poi anche provinciali, v. infra - (che ivi erano soltanto applicati).
Ancora successivamente, al fine di ridurre il contenzioso della Commissione tributaria centrale di contenere la durata dei processi tributari nei termini di durata ragionevole, il d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, in legge 22 maggio 2010, n. 73 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie), disponeva all’art. 3 bis, lett. a), che il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria provvedesse, entro il 30 settembre 2010, su domanda da presentare al medesimo Consiglio entro il 31 luglio 2010, all’applicazione presso le sezioni regionali della Commissione tributaria centrale «anche dei presidenti di sezione, dei vice presidenti di sezione e dei componenti delle commissioni tributarie provinciali istituite nelle sedi delle sezioni stesse» (nel caso qui all’esame, il dott. C., giudice della Commissione tributaria provinciale di Vercelli è stato applicato, a sua domanda, alla Sezione Regionale del Piemonte della ex Commissione tributaria centrale).
Il termine previsto per l’esaurimento dell’attività della Commissione tributaria centrale veniva successivamente differito al 31 dicembre 2013, dall’art. 29, comma 16 decies, del d.l. n. 216/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 14/2012; da ultimo, è stato differito al 31 dicembre 2014, dall’art. 9, comma 2, d.l. n. 150/2013.
Per completezza si ricorda che, a partire dal giorno 16 settembre 2022, in attuazione della legge 31 agosto 2022, n. 130, le Commissioni tributarie provinciali e le Commissioni tributarie regionali sono state sostituite dalle Corti di giustizia tributaria di primo grado e di secondo grado.
7. Per quanto in questa sede rileva, il dato testuale tanto dell’art. 1, comma 351 bis della l. n. 244/2007 quanto del d.l. n. 40/2010 è chiaro nel riferimento ad una ‘applicazione’ presso le sezioni regionali della ex Commissione tributaria centrale.
E, del resto, ciò è del tutto in linea con lo scopo della normativa sopra ricordata che è stato quello di definire i procedimenti già pendenti dinanzi alla Commissione tributaria centrale.
8. Quanto alla remunerazione dei giudici ‘applicati’, va osservato che la l. n. 244/2007 stabiliva, all’art. 1, comma 354, che: «A decorrere dal 1° maggio 2008 i compensi dei presidenti di sezione e dei componenti della Commissione tributaria centrale sono determinati esclusivamente a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, facendo riferimento ai compensi spettanti ai presidenti di sezione ed ai componenti delle commissioni tributarie regionali».
La richiamata disposizione di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 545/1992, nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 11, comma 1, lettera a) del d.l. 8 agosto 1996, n. 437, convertito con modificazioni dalla l. 24 ottobre 1996, n. 556, prevedeva (e prevede ancora) che: «1. Il Ministro delle finanze con proprio decreto di concerto con il Ministro del tesoro determina il compenso fisso mensile spettante ai componenti delle commissioni tributarie (comma, poi, ulteriormente modificato dall’art. 1, comma 1, lettera o), numero 1), della Legge 31 agosto 2022, n. 130). 2. Con il decreto di cui al comma 1, oltre al compenso mensile viene determinato un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito, anche se riunito ad altri ricorsi, secondo criteri uniformi, che debbono tener conto delle funzioni e dell’apporto di attività di ciascuno alla trattazione della controversia, compresa la deliberazione e la redazione della sentenza, nonché, per i residenti in comuni diversi della stessa regione da quello in cui ha sede la commissione, delle spese sostenute per l’intervento alle sedute della commissione. Il compenso è liquidato in relazione ad ogni provvedimento emesso».
In esecuzione della legge finanziaria del 2008, è stato, quindi, emanato il d.m. 4 marzo 2009 che, all’art. 1, comma 1, ha previsto che il compenso fisso mensile spettante: «a decorrere dal 1° maggio 2008 e fino al 31 dicembre 2009, a ciascun componente della commissione tributaria centrale, è determinato nella misura di: a) Euro 415,00 per il presidente della commissione tributaria centrale; b) Euro 363,00 per il presidente della sezione; c) Euro 363,00 per il presidente della sezione regionale, come individuato ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto ministeriale in data 20 marzo 2008; d) Euro 337,00 per il presidente del collegio, come individuato ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del decreto ministeriale in data 20 marzo 2008; e) Euro 311,00 per il componente della sezione regionale».
Al comma 2 il d.m. ha previsto che: «I compensi di cui al comma 1 non sono tra loro cumulabili» ed all’art. 1, comma 3, ha stabilito che: «Ai componenti delle commissioni tributarie regionali e quelle di secondo grado di Trento e Bolzano, applicati anche alla sezione della commissione tributaria centrale, spetta il trattamento più favorevole, senza possibilità di cumulo tra i compensi stabiliti per i rispettivi incarichi».
Ha quindi fissato, all’art. 2, per i componenti, anche applicati, della Commissione tributaria centrale il compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito.
Il suddetto d.m. 4 marzo 2009 (intervenuto prima del d.l. n. 40/2010) non faceva, ovviamente, riferimento ai componenti delle Commissioni tributarie provinciali applicati (previsti, appunto, dal d.l. n. 40/2010).
L’Amministrazione finanziaria ha comunque utilizzato il medesimo criterio di cui al d.m. 4 marzo 2009 per tutti i giudici applicati (e cioè sia a quelli originariamente previsti sia a quelli di cui alla normativa del 2010) per una evidente parità di trattamento.
Del resto, una integrazione ex post del bacino da cui attingere per l’applicazione alle sezioni della Commissione tributaria centrale, in assenza di disposizioni di segno contrario, non poteva che comportare l’estensione anche a tale categoria di giudici applicati della disciplina prevista dal legislatore della finanziaria del 2007 e quindi dal d.m. del 2009.
9. Tanto chiarito, va evidenziato quanto segue.
Non può revocarsi in dubbio che la scelta del legislatore di sopprimere la Commissione tributaria centrale e di sostituirla, per la definizione dei procedimenti già pendenti dinanzi alla prima, con le 21 sezioni nei capoluoghi di regione o provincia autonoma sia stata una scelta determinata dalla contingente necessità di ridurre le spese a carico del bilancio dello Stato e di giungere ad una rapida definizione delle controversie pendenti (v. sul punto Cass., Sez. Un., 31 maggio 2017, n. 13722).
Nell’ambito del sopra ricordato intento il legislatore non ha creato nuovi organi di giustizia amministrativa, ma ha riorganizzato le sezioni della Commissione tributaria centrale, riducendone il numero e stabilendo che le stesse avrebbero avuto sede presso le 21 Commissioni tributarie regionali.
Anche l’istituto dell’applicazione è stato introdotto per far fronte alla suddetta necessità, essendo stati chiamati a svolgere le funzioni delle sezioni delocalizzate sia componenti già incardinati nel ruolo della Commissione tributaria centrale (che ivi erano dunque assegnati, ossia trasferiti) sia componenti incardinati nel diverso ruolo delle Commissioni tributarie regionali o, in un successivo momento temporale, provinciali (che ivi erano soltanto applicati).
Del resto, proprio con riguardo alla giustizia tributaria, una applicazione per ragioni di necessità è stata prevista dall’art. 24, lett. m-bis) d.lgs. n. 545/1992, introdotto dall’art. 16 quater, comma 1, lett. e) del d.l. 28 dicembre 2001 n. 452, convertito con modificazioni dalla l. n. 16/2002 secondo cui, in caso di necessità, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria dispone «l’applicazione di componenti presso altra commissione tributaria o sezione staccata, rientrante nello stesso ambito regionale, per la durata massima di un anno».
Si tratta, con ogni evidenza, del ricorso ad un istituto (quello dell’applicazione) che non recide il rapporto con la Commissione tributaria di appartenenza, che - infatti - prosegue.
In termini generali, tale istituto si distingue dal ‘comando’, in quanto non comporta la prestazione del servizio presso Amministrazione diversa da quella di appartenenza e ancor più dal ’distacco’, in quanto non comporta la prestazione del servizio presso un diverso Ente.
Ed infatti, con l’applicazione si dispone unicamente la temporanea ed eccezionale utilizzazione del dipendente a mansioni della stessa qualifica o anche di qualifica diversa, sempre però della medesima carriera, presso diverso organo o ufficio della medesima Amministrazione (cfr., al riguardo, quanto al pubblico impiego, l’art. 31 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, non abrogato dal d.lgs. n. 165/2001).
E tuttavia, connotato comune tra applicazione, comando e distacco è quello di non comportare alcuna soluzione di continuità nel rapporto di servizio: dato, questo, confermato dalla circostanza che in tutti e tre i casi l’onere economico per il personale grava comunque sull’Amministrazione di appartenenza.
10. Ne deriva, allora, che rapportando l’indicato principio alla situazione qui in esame, dalla applicazione non deriva alcuna soluzione di continuità nel rapporto di servizio (onorario) ed i giudici tributari applicati continuano ad appartenere, durante l’applicazione, al ruolo della Commissione tributaria di provenienza con mantenimento della titolarità del posto e della funzione presso la Commissione di appartenenza e pertanto continuano da questa a percepire il compenso fisso.
11. Chiarito il quadro normativo di riferimento, occorre precisare, quanto al trattamento economico dei giudici tributari ‘applicati’, che, ai sensi del ricordato art. 13, comma 2, d.lgs. n. 545/1992, l’applicazione temporanea dei componenti delle Commissioni tributarie regionali o provinciali alle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale dà diritto a percepire il compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito.
La questione che si pone è se tale applicazione comporti anche il riconoscimento del (doppio) compenso fisso reclamato.
Secondo la Corte territoriale dirimente ai fini della risoluzione di tale questione è l’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 545/1992; tale disposizione, nel disciplinare le incompatibilità operanti con riguardo agli organi giurisdizionali tributari, sancisce il principio secondo cui
«nessuno può essere componente di più commissioni tributarie».
Pare evidente, ad avviso dei giudici di merito, che, se è fatto espresso divieto di assumere contemporaneamente le vesti di componente di diverse commissioni tributarie, allora - logicamente - deve escludersi la possibilità di percepire più volte il gettone fisso mensile riconosciuto in ragione dell’appartenenza a ciascuna commissione.
12. In realtà, l’applicazione dei componenti delle Commissioni tributarie regionali o provinciali alle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale non determina affatto l’assunzione contemporanea di un secondo ufficio e, dunque, non determina, in deroga al sistema e al divieto di cumulo contenuto nel d.lgs. n. 545/1992, la titolarità anche dell’ufficio di componente della Commissione centrale.
Ed allora, il rinvio che l’art. 1, comma 354, ultimo periodo fa all’art. 13 del d.lgs. n. 545/1992 quanto alla determinazione del compenso dei presidenti di sezione e dei componenti della Commissione tributaria centrale deve essere interpretato in modo sistematicamente coerente alle premesse sulla composizione delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale ed all’istituto dell’applicazione come sopra delineato.
Così, anche a prescindere dalla previsione di cui all’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 545/1992, va escluso che sussista il diritto a percepire il richiesto ulteriore compenso fisso, attesa l’unicità del rapporto funzionale a base dello stesso, restando fermo, in capo al ricorrente, il diritto normativamente previsto dalla legge a percepire «il trattamento più favorevole, senza possibilità di cumulo, tra i compensi stabiliti per i rispettivi incarichi».
Non è, infatti, il richiamo all’art. 13 contenuto nell’art. 1, comma 354, della legge n. 244/2007 che comporta automaticamente l’attribuzione sia del compenso fisso, sia di quello variabile, ma la portata e il significato del suddetto richiamo non possono prescindere dall’istituto dell’applicazione, dal momento che il legislatore del 2007 ha disciplinato la composizione delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale proprio facendo riferimento a tale istituto e senza prevedere che i giudici tributari applicati diventassero - in deroga al sistema e al divieto di cumulo contenuto nel d.lgs. n. 545/1992 - titolari anche dell’ufficio di componenti della Commissione centrale.
Ciò rende irrilevanti i rilievi con i quali il ricorrente critica la sentenza impugnata per aver affermato che le sezioni regionalizzate sono solo una diversa modalità organizzativa della vecchia Commissione tributaria centrale, dovendo ribadirsi che nessuna nuova titolarità è stata assegnata né è stata introdotta deroga alcuna al divieto di cumulo legislativamente previsto.
Ritenere che l’art. 1, comma 354, della l. n. 244/2007, tramite il rinvio all’art. 13, abbia attribuito ai componenti applicati il diritto a conseguire il doppio compenso (sia quali componenti della Commissione tributaria regionale o provinciale, sia quali componenti della sezione regionale della Commissione tributaria centrale) non solo non risulta legittimato dal tenore letterale della disposizione (che fa riferimento ai «compensi dei presidenti di sezione e dei componenti della Commissione tributaria centrale», senza alcuna esplicita indicazione di un doppio compenso per gli applicati), ma introduce nel sistema una nota distonica rispetto allo scopo, questo sì espresso, di «ridurre le spese a carico dello Stato».
13. Il d.m. 4 marzo 2009, allora, senza essere contrario alla norma primaria, si inserisce in modo del tutto coerente in tale quadro normativo e sistematico là dove, in premessa, considera dichiaratamente «la necessità di attribuire ai componenti delle sezioni regionali della commissione tributaria centrale il medesimo trattamento economico spettante ai componenti delle commissioni tributarie regionali» (in tal senso correttamente intendendo la finalità di equiparazione esplicitata dal legislatore con il rinvio all’art. 13 del d.lgs. n. 545/1992).
Del pari è in sintonia con il sistema il d.m. nella parte in cui ha determinato i compensi fissi utilizzando quale parametro quello delle Commissioni tributarie regionali, modulandoli inoltre in ragione delle funzioni svolte (Presidente della Commissione tributaria centrale, Presidente della sezione, Presidente della sezione regionale, Presidente del collegio e componente della sezione regionale) ed anche quando ha previsto per i componenti delle Commissioni tributarie regionali e di secondo grado di Trento e Bolzano, applicati anche alle sezioni della Commissione tributaria centrale, il trattamento più favorevole, senza possibilità di cumulo, al fine di non generare disparità di trattamento, in coerenza con l’istituto della applicazione in generale e del d.lgs. n. 545/1992.
14. Né può dirsi che tale previsione abbia determinato una disparità di trattamento tra i componenti delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale applicati e quelli assegnati: ognuno di essi percepisce il compenso fisso connesso alla titolarità dell’ufficio in cui è incardinato e il compenso variabile in ragione dell’attività concretamente svolta.
L’esercizio di funzioni, separate e aggiuntive rispetto a quelle già svolte, è congruamente compensato dal riconoscimento del compenso variabile (previsto in relazione ad entrambi gli incarichi svolti, in quanto collegato al numero delle sentenze depositate) e l’unico profilo eventuale di disparità di trattamento - che si sarebbe verificato là dove, ad esempio, un componente della Commissione tributaria regionale fosse stato nominato Presidente della sezione regionale o Presidente del collegio (con corrispondente compenso fisso maggiore) - è stato superato proprio dal d.m. 4 marzo 2009 che ha previsto il diritto al più favorevole tra i due compensi.
Al contrario, una mancata previsione in tal senso avrebbe determinato una disparità di trattamento tra giudici in servizio presso le sezioni regionali in quanto i componenti applicati sarebbero stati compensati in maniera diversa da quelli ‘effettivi’ ivi assegnati (percependo questi ultimi un compenso fisso e uno variabile mentre gli applicati due compensi fissi: uno per l’incarico presso la Commissione tributaria di provenienza e uno come applicati presso la Commissione tributaria regionale).
15. In conclusione, deve affermarsi che, presupponendo l’applicazione alle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale dei componenti delle Commissioni tributarie regionali e provinciali, l’unicità dell’ufficio, non può che derivarne anche una congruente disciplina dei compensi, che non possono essere duplicati, ma solo adeguati alle concrete funzioni esercitate dal giudice tributario, anche in ossequio al principio ribadito dal legislatore di contenere la spesa pubblica.
16. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
17. Alla reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.
18. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 2.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.