La richiesta di consulenza tecnica d'ufficio e di valutazione della possibile rilevabilità ictu oculi della falsità della sottoscrizione impugnata è ritenuta una valida indicazione di prove della falsità e dunque comporta l'ammissibilità della querela di falso.
Il Tribunale di Monza dichiarava inammissibile la querela di falso proposta dall'avvocato con la quale era stata impugnata la sottoscrizione al medesimo attribuita apposta su un avviso di ricevimento postale nell'ambito di un giudizio vertente sulla verifica della legittimità di un ruolo esattoriale.
A seguito di gravame, la Corte d'Appello...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 3560/2017, il Tribunale di Monza dichiarava inammissibile la querela di falso proposta dall’Avv. A.B. - che agiva in proprio a sensi dell’art. 86 c.p.c. – con la quale aveva impugnato la sottoscrizione a lui attribuita apposta sull’avviso di ricevimento postale del 9 agosto 2014 prodotto dal Comune di Monza – nel giudizio innanzi al Giudice di pace avente ad oggetto la verifica della legittimità del ruolo esattoriale n. (omissis) portato dalla cartella di pagamento n. (omissis) emanata dall’Agente per la riscossione Equitalia s.p.a. – relativo alla notificazione del precedente verbale di accertamento n. (omissis) del 4 luglio 2014 per una violazione prevista dal codice della strada (risalente all’anno 2014).
2. Pronunciando sul gravame interposto dall’Avv. B. e nella costituzione dell’appellato Comune di Monza, la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 5664/2018, respingeva l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite del grado. A sostegno dell’adottata decisione, il giudice di appello rilevava che l’appellante non aveva mai contestato la corrispondenza della fotocopia del documento prodotto dal Comune di Monza all’originale e che l’acquisizione di quest’ultimo agli atti processuali avrebbe potuto costituire un incombente rilevante solo nel caso in cui il giudizio, avente ad oggetto la querela di falso, avesse superato il vaglio di ammissibilità. A tal proposito, sul presupposto che nessuna prova era stata richiesta né prodotta con l’atto introduttivo del giudizio, la Corte di appello affermava che non era stato rispettato il dettato normativo per cui la querela di falso deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione degli elementi di prova delle falsità (art. 221 c.p.c.), onde, stante l’assenza dei requisiti minimi necessari per la validità della querela, non appariva neppure censurabile l’omessa assegnazione dei termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c.
Inoltre, la Corte territoriale riteneva che non potesse essere condiviso l’assunto dell’appellante in base al quale la denunciata falsità avrebbe potuto essere rilevata “ictu oculi”, anche perché negli atti di provenienza del querelante non risultava presente alcuna sottoscrizione per esteso che potesse costituire un elemento di raffronto ed, in ogni caso, non spettava al giudice investito della querela di falso il dovere di ricercare d’ufficio gli elementi di prova della falsità del documento impugnato.
3. Avverso la predetta sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, l’appellante soccombente. L’intimato Comune di Monza ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione dell’art. 214 c.p.c., sul presupposto dell’erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva affermato che lo stesso non aveva mai contestato la corrispondenza della fotocopia del contenuto prodotto dal Comune di Monza al documento originale né provveduto all’acquisizione dell’originale del documento in giudizio.
In particolare, con tale doglianza, il ricorrente, oltre ad affermare che il disconoscimento può riguardare tanto la conformità della copia all’originale quanto l’autenticità della scrittura o della sottoscrizione, deduce di aver formalmente e tempestivamente disconosciuto detta sottoscrizione apposta sul documento prodotto contro di lui, pur se in mera copia fotostatica, non avendo potuto agire diversamente in quanto, non essendo nel possesso del predetto documento in originale, non aveva potuto effettuare la comparazione tra lo stesso originale (in esclusivo possesso del Comune di Monza) e la copia, ovvero verificare la corrispondenza o meno fra i due esemplari, né il Comune aveva mai assolto alle reiterate richieste di produzione dell’originale del documento in giudizio.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.p.c., nonché degli artt. 214, 215 e 216 c.p.c., sostenendo che avesse errato la Corte territoriale nell’affermare che l’acquisizione dell’originale del documento avrebbe potuto costituire incombente rilevante solo nel caso in cui il giudizio, avente ad oggetto la querela di falso, avesse superato il vaglio di ammissibilità, ribadendo, come già fatto con il primo motivo di ricorso, che non avrebbe potuto effettuare il disconoscimento con riguardo all’esemplare originale del medesimo documento non avendone la disponibilità.
3. Con la terza doglianza, il ricorrente prospetta – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione dell’art. 221, comma 2, c.p.c., deducendo l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in cui si era ritenuto che lo stesso non aveva provveduto – come suo onere, il cui assolvimento è prescritto a pena di nullità – ad indicare gli elementi e le prove della falsità, avendo invece, oltre ad invocare il sequestro dell’impugnato documento e a sollecitare il giudice a verificare la rilevabilità “ictu oculi” della denunciata falsità, chiesto disporsi l’accertamento della sussistenza di quest’ultima mediante l’espletamento di una c.t.u. grafologica.
4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 183, comma 6, e 221 c.p.c., nella parte in cui la Corte di appello, con la gravata sentenza, non aveva concesso i termini di cui al citato art. 183, comma 6, c.p.c., come da richiesta reiterata in sede di precisazione delle conclusioni.
5. Con il quinto ed ultimo motivo, il ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – la nullità della sentenza impugnata per violazione del medesimo art. 183, comma 6, c.p.c., in quanto la mancata assegnazione dei termini da detta norma previsti aveva prodotto una lesione del suo diritto di difesa.
6. Ritiene il collegio che – rilevata, pregiudizialmente, l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, come formulata da controricorrente, in ordine all’asserita applicabilità dell’art. 360-bis c.p.c., non ricadendosi, all’evidenza, in alcuna delle ipotesi dallo stesso contemplate – i primi due motivi possano essere esaminati congiuntamente, siccome tra loro connessi.
È necessario fare una premessa sugli aspetti fattuali rimasti accertati in causa per meglio comprendere i profili giuridici prospettati con le due censure, e ciò anche in funzione della disamina del successivo terzo motivo.
Occorre, in proposito, porre in risalto che, dallo stesso svolgimento del processo operato in ricorso (v. pagg. 2-5), l’odierno ricorrente, a fronte della produzione nel giudizio dinanzi al Giudice di pace della copia dell’avviso di ricevimento recante la sua apparente sottoscrizione di ricevuta notificazione, aveva disconosciuto tempestivamente detta sottoscrizione, deducendone la falsità, e, in dipendenza della dichiarazione del legale rappresentante dell’opposto Comune di Monza di volersi avvalere del documento impugnato, ha manifestato la volontà di voler impugnare con querela di falso lo stesso documento (come da atto di citazione introduttivo del giudizio incidentale di querela di falso dinanzi al Tribunale di Monza, previa sospensione del giudizio principale in corso davanti al Giudice di pace di Monza, ai sensi dell’art. 313 c.p.c.).
Con tale querela – riportata nel suo contenuto per esteso alle pagg. 4-6 del ricorso – il B. aveva denunciato la falsità della suddetta sottoscrizione (sul documento prodotto in copia), da ritenersi perciò allo stesso non attribuibile, concludendo nel senso, per l’appunto, che ne venisse accertata e dichiarata la sua sussistenza. Aggiungeva, in via istruttoria (in relazione all’art. 224 c.p.c.), che fosse disposto il sequestro del documento impugnato, che venisse ordinato al Comune convenuto il deposito in originale del medesimo e che fosse disposta consulenza tecnica onde accertare la falsità della sottoscrizione apposta sul contestato avviso di ricevimento postale, chiedendo, infine, che si ordinasse la comunicazione degli atti al P.M. (quale interveniente necessario).
Orbene, da tale sviluppo del giudizio culminato nella proposizione della querela di falso dinanzi al Tribunale di Monza, emerge che la sottoscrizione apposta sulla prodotta copia dell’avviso di ricevimento era stata ritualmente disconosciuta dal B. e che, a seguito della dichiarazione del Comune di Monza di volersene avvalere e senza che detto Ente avesse proposto istanza di verificazione, il B. aveva inteso impugnare direttamente con querela di falso la sottoscrizione del contestato documento, anche se prodotto solo in copia (cfr. Cass. n. 32219/2018). Appare, perciò, evidente che la questione sulla mancata o meno contestazione della corrispondenza della fotocopia del documento in questione a quello in originale era irrilevante in relazione all’introduzione del giudizio incidentale di falso, poiché quest’ultimo risulta essere stato proposto direttamente con riferimento alla sottoscrizione apposta sulla fotocopia del controverso avviso di ricevimento, a seguito della dichiarazione del Comune di Monza di volersene avvalere e senza attendere che quest’ultimo formulasse istanza di verificazione (proponibile anche con riguardo alla fotocopia di un documento), intendendo, così, far dichiarare direttamente la falsità della sottoscrizione in questione (con efficacia “erga omnes”: cfr., ad es., Cass. n. 19413/2017) come apparentemente risultante apposta sulla prodotta fotocopia e allo stesso riferita.
Non è discutibile, infatti, che l'efficacia probatoria (piena) della copia fotostatica della scrittura privata conforme all'originale alterato o contraffatto si presta ad essere rimossa con il giudizio di falso. Invero, la sentenza che, definendolo, dichiari tale copia affetta da falsità materiale, riverbera i propri effetti anche sull'originale eventualmente presente, perché se è il fatto rappresentato (la prova), non il documento in sé (il mezzo di prova), a costituire il fulcro del giudizio di verità/falsità, esso si presenta identico, per effetto della loro giuridica corrispondenza, tanto nella copia, quanto nell'originale.
Si osserva, poi, che le questioni dei limiti, dei tempi, dei modi e dell’onere della prova relativi alla produzione dell’originale del documento oggetto della proposta querela di falso rimangono relegate all’interno del giudizio conseguente alla sua autorizzata “presentazione”, con la relativa conseguente valutazione di ammissibilità ai sensi dell’art. 222 c.p.c. (ultima parte).
Pertanto, alla stregua delle svolte argomentazioni, i due motivi in esame possono essere dichiarati inammissibili per difetto di interesse del ricorrente e, del resto, l’accertamento della mancata contestazione – da parte del B. - della corrispondenza della fotocopia del documento prodotto dal Comune di Monza al documento in originale non ha costituito propriamente una ratio decidendi posta a fondamento del giudizio di inammissibilità della querela di falso compiuto nell’impugnata sentenza, essendosi con essa solo affermato che l’acquisizione dell’originale avrebbe potuto costituire un incombente necessario solo nel caso in cui la querela fosse stata ritenuta ammissibile.
7. È fondato, invece, il terzo motivo.
Invero, l’atto di proposizione della querela di falso – il cui contenuto risulta completamente riprodotto nel ricorso e come è stato in precedenza puntualmente richiamato – era munito dei requisiti minimi per poter essere dichiarato ammissibile in relazione al disposto di cui all’art. 221 c.p.c., poiché contenente, oltre alla sollecitazione di disporre il sequestro dell’impugnato documento (ai sensi dell’art. 224 c.p.c., che, peraltro, presuppone che la querela sia prima dichiarata ammissibile), la richiesta di ordinare alla controparte il deposito dell’originale e disporre, se del caso (avendo il querelante chiesto anche di verificare la possibilità della rilevazione ictu oculi della denunciata falsità, in ipotesi possibile: cfr. Cass. n. 10874/2018), c.t.u. onde accertare la falsità della sottoscrizione apparentemente apposta sull’avviso di ricevimento postale in questione e da ritenersi attribuita – ad avviso del Comune di Monza - alla mano del ricorrente.
Questa richiesta costituisce una valida e sufficiente indicazione di acquisizione di prove della falsità, essendo la c.t.u. uno strumento istruttorio idoneo a consentire (in via preferenziale) la verifica dell’autenticità o meno della sottoscrizione impugnata di falsità, anche attraverso il confronto con le scritture di comparazione (cfr. Cass. n. 743/1974 e Cass. n. 3131/1980).
L’accoglimento di questo motivo comporta l’assorbimento degli altri due, rilevandosi, peraltro, che una questione sulla possibile nullità del processo per mancata concessione dei termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. si può porre solo nel successivo giudizio di merito conseguente all’autorizzata presentazione della querela (una volta superata la precedente fase di ammissibilità della proposizione della stessa), previo interpello della parte che ha prodotto la scrittura – anche solo in copia – con il quale dichiara di volersene valere in giudizio (art 222 c.p.c.).
8. In definitiva, in virtù delle complessive ragioni esposte, deve essere accolto il terzo motivo, vanno rigettati i primi due e dichiarati assorbiti i restanti, enunciandosi - con riferimento al motivo ritenuto fondato - il seguente principio di diritto (dal quale conseguirà la valutazione di ammissibilità della proposta querela di falso): “in tema di querela di falso, la richiesta di consulenza tecnica d'ufficio (implicitamente mirata a formare scritture di comparazione) e di valutazione della possibile rilevabilità “ictu oculi” della falsità della sottoscrizione impugnata può ritenersi valida indicazione di prove della falsità e, in quanto tale, comporta l’ammissibilità della querela stessa”.
Da ciò consegue la cassazione dell’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto con il derivante rinvio della causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che, oltre ad uniformarsi all’enunciato principio di diritto, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo, dichiara inammissibili i primi due ed assorbiti i restanti.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.