Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato quella del Tribunale di Milano del 15 marzo 2021 che aveva ritenuto (omissis) responsabile del reato di cui all'art. 389 cod. pen., condannandolo alla pena di mesi due di reclusione.
Il fatto addebitato all'imputato è così ricostruibile: con sentenza emessa in data 8 febbraio 2005 dal Tribunale di Milano (divenuta irrevocabile il 17 aprile 2013) era stato condannato per bancarotta fraudolenta alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione, oltre alla pena accessoria dell'interdizione dall'esercizio di impresa per la durata di anni dieci. La pena principale veniva condonata nella misura di anni tre di reclusione; per i rimanenti mesi otto veniva disposta la sospensione della pena ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen., con trasmissione degli atti al Tribunale di Sorveglianza per la decisione in ordine all'istanza di concessione di misura alternativa alla detenzione.
In conseguenza del positivo esito dell'affidamento in prova, con provvedimento del 23 giugno 2016 il Tribunale di Sorveglianza dichiarava l'estinzione della pena principale e degli ulteriori effetti della sentenza di condanna.
In data 21 novembre 2018 iscriveva presso il registro delle imprese l'imprese individuale denominata "
Nonostante la successiva comunicazione con la quale era intimata al medesimo la cancellazione in ragione della pena accessoria, l'imputato non vi provvedeva, venendo la stessa cancellata d'ufficio.
La Corte di appello, decidendo in camera di consiglio senza intervento delle parti ai sensi dell'art. 23-bis, comma 1, I. 18 dicembre 2020, n. 176, disattendeva i motivi di gravame con cui si rappresentava: - che la pena principale era stata condonata nella misura di anni tre di reclusione e sospesa nei residui mesi otto di reclusione dal P.M. ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. pen.; - che non sussisteva il dolo, essendo l'imputato incorso in errore determinato dall'affidamento riposto sui provvedimenti di indulto e di sospensione della pena principale; - che fosse riconosciuta la causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen.; - che non fosse stato applicato il minimo edittale.
2. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il difensore di deducendo:
2.1. la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'estinzione della pena accessoria per svolgimento dell'affidamento in prova al servizio sociale. La Corte territoriale non ha considerato che nel 2016 l'esito positivo dell'affidamento in prova aveva estinto la pena detentiva e ogni altro effetto penale, quindi anche la pena accessoria, con conseguente venir meno dell'elemento oggettivo del reato. Tale era stata del resto la richiesta formulata dal P.G. con la requisitoria scritta.
2.2. la violazione di legge con riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo, dal momento che l'imputato era caduto in un errore di fatto sull'elemento costitutivo del reato.
3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi dell'art. 23, commi 8 e 9, d.l. n. 137 del 2020, senza l'intervento delle parti.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato ed assorbente.
2. La Corte territoriale ha ritenuto la responsabilità dell'imputato in ordine al reato di "Inosservanza di pene accessorie" per aver iscritto nel registro delle Imprese l'impresa individuale " nel corso dell'anno, trasgredendo alla pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale per anni dieci, applicatagli con sentenza emessa in data 8 febbraio 2005 dal Tribunale di Milano (divenuta irrevocabile il 17 aprile 2013).
3. Non è peraltro condivisibile l'assunto della Corte di appello che ha ritenuto che l'iscrizione dell'impresa nel registro delle Imprese, risalente al (omissis), fosse avvenuta in costanza di esecuzione della pena accessoria.
Invero, un risalente orientamento secondo il quale il tempo di espiazione della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, in quanto modalità esecutiva della sola pena detentiva, non può essere utilmente computato anche ai fini della contemporanea espiazione di una pena accessoria (Sez. 1 n. 13499 del 09/03/2011, Lieto, Rv. 249865), è stato superato dalla successiva elaborazione giurisprudenziale, per la quale l'esito positivo dell'affidamento in prova determina l'automatica estinzione delle pene accessorie, posto che queste sono definite dall'art. 20 cod. pen. "effetti penali" della condanna e che l'art. 47, comma dodicesimo, I. 26 luglio 1975, n. 354 collega all'esito favorevole della prova l'estinzione, oltre che della pena detentiva, anche di "ogni altro effetto penale" (Sez. 1, n. 21106 del 15/09/2020, dep. 2021, Mittica, Rv. 281368; Sez. 1, n. 52551 del 29/09/2014, Argenti, Rv. 262196) Tale interpretazione è condivisa da questo Collegio, in quanto aderente al dato testuale della disposizione in esame, nonché all'espressa indicazione normativa, di cui all'art. 20 cod. pen., in forza della quale le pene accessorie sono considerate appartenere agli effetti penali della condanna, cui conseguono
di diritto.
Nel caso di specie, in data 23 giugno 2016, il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha dichiarato l'esito positivo dell'affidamento in prova, come si evince dal certificato del casellario giudiziario in atti, dando luogo non solo all'estinzione della pena detentiva, ma anche di ogni altro effetto penale. Pertanto, essendo intervenuta l'estinzione nel , legittimamente nel 2 poteva esercitare un'impresa commerciale.
Il rilievo era peraltro ben rappresentato nella requisitoria scritta del P.G. in data 8 agosto 2022, la cui presenza in atti è menzionata dalla Corte, pur senza riferimento al contenuto.
4. Va inoltre considerato che, come rappresentato dal P.G. nella requisitoria scritta, la norma in applicazione della quale la pena accessoria è stata disposta, ovvero l'art. 216, ult. comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, con la sentenza 25 settembre 2018, n. 222, nella parte in cui determinava la durata di tale sanzione in dieci anni, anziché in misura variabile «fino a dieci anni». La pena accessoria applicata nei confronti del ricorrente, dunque, in quanto determinata nell'anzidetta misura fissa, in applicazione della legge allora vigente, è successivamente divenuta illegittima, con conseguente necessità, ove non ne fosse stata dichiarata l'estinzione, di un intervento del giudice dell'esecuzione secondo il diverso e più favorevole parametro conseguente all'intervento del Giudice delle leggi.
5. Ne consegue che, pur non rilevando - come osservato dalla Corte – la sospensione della pena disposta dal Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen., avendo la norma ad oggetto esclusivamente l'esecuzione della pena detentiva, l'imputato avrebbe dovuto essere assolto perché il fatto non sussiste alla luce della intervenuta declaratoria di estinzione della condanna e degli effetti penali.
6. Alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.