Nei casi di prestazioni svolte in epoca antecedente alla modifica dell'art. 2233 c.c. e del D.L. n. 1/2012, le convenzioni di questo tipo vanno considerate nulle in applicazione del principio di inderogabilità dei minimi tariffari, salvo che sussistano motivi di rinuncia meritevoli di tutela.
Svolgimento del processo
L'Avv. CT chiese al Tribunale di Salerno, Sezione Distaccata di Eboli, ingiungersi a MC il pagamento della somma di € 2877,49 a titolo di compensi professionali, fino alla data di rinuncia del mandato, relativo per l'attività prestata innanzi al Tribunale di Roma in un giudizio con citazione collettiva.
Propose opposizione il C ed eccepì l'inesistenza del credito professionale, deducendo di aver corrisposto all'Avv. T un acconto di f 150.000, concordato con tutti gli altri assistiti dall'Avv. T e che l'accordo prevedeva, in caso di esito positivo della lite, la corresponsione all'avvocato del 10% dell'importo ricavato da ogni singolo medico mentre nessun ulteriore compenso era dovuto in caso di esito negativo. Poiché in data 4.7.2002 l'avv. T aveva rinunciato al mandato, null'altro era dovuto.
L'Avv. T si costituì per resistere all'opposizione.
Il Tribunale di Salerno accolse l'opposizione, evidenziando, in relazione all'accordo intervenuto tra le parti che, ferma restando la nullità degli accordi diretti a determinare, anteriormente all'esecuzione della prestazione professionale, era valida la rinuncia in tutto o in parte al compenso, purchè non sia posta in essere per aggirare la norma imperativa sui minimi di tariffa ma dia espressione dell'autonomia contrattuale, essendo in gioco diritti disponibili. Dichiarò, quindi, che nulla era dovuto all'Avv. T e revocò il decreto ingiuntivo.
La Corte d'appello di Salerno confermò la decisione di primo grado.
La Corte di merito, per quel che ancora rileva in questa sede, evidenziò che era stata l'Avv. T a proporre il patto di quota lite e che l'ulteriore importo del 10% in caso di vittoria era dovuta non in sostituzione ma in aggiunta all'onorario, ovvero a titolo di premio; aggiunse che la rinuncia al compenso costituiva espressione dell'autonomia contrattuale, ragione per la quale, escluse la sussistenza del divieto di violazione dei minimi tariffari.
Per la cassazione della sentenza d'appello ha proposto ricorso L'Avv. CT sulla base di due motivi.
Ha resistito con controricorso CA
Il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell'art. 380- bis c.p.c., di manifesta fondatezza del ricorso.
In prossimità dell'udienza, il controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2233 c.c., 2237 c.c., dell'art 24 della L.794/42, D.M. n. 585/94, D.M. n. 127/2004, nonché l'omessa e insufficiente motivazione relativamente ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 c.p.c., per non aver esaminato, la Corte di appello di Salerno, la causa dell'intervenuto recesso dell'Avv. T determinato dall'omessa consegna, da parte del Dott. C del certificato di specializzazione, documento necessario ai fini della difesa nel procedimento in corso. Inoltre, la Corte di merito non avrebbe tenuto conto che, anche in caso di recesso, spetta all'avvocato il pagamento del corrispettivo per l'attività svolta; conseguentemente, il patto di quota lite sarebbe nullo ed in violazione dei minimi tariffari.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2721 e ss. c.c., art. 2233, comma 3 c.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 c.p.c., perché la Corte di appello avrebbe ritenuto l'esistenza di un accordo tra le parti in ordine alle modalità di pagamento del compenso ed alla rinuncia, in caso di esito negativo del procedimento, sulla base di presunzioni e delle prove testimoniali, nonostante il requisito della forma scritta richiesto dal comma 3 dell'art. 2233 c.c. Inoltre, anche nell'ipotesi in cui fosse configurabile il c.d palmario, sarebbe prevista la forma scritta ad substantiam.
I motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.
L'art.2233 c.c., nella versione ratione temporis applicabile antecedente al D.L. n. 223 del 2006- così disponeva: «Gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni».
La norma vietava il patto di quota lite ma non prevedeva la forma scritta ad substantiam per provare la misura del compenso professionale sicchè è corretta la decisione della Corte di merito che ha fatto ricorso alla prova testimoniale al fine di verificare il contenuto dell'accordo tra le parti.
La Corte di merito, all'esito della prova testimoniale ha accertato che l'Avv. T aveva redatto un ricorso collettivo in favore del e e di altri soggetti, percependo, per ognuno di essi, un acconto di euro 150.000 ed aveva concordato con tutti gli altri assistiti che, in caso di esito positivo della lite, essi avrebbero corrisposto il 10% dell'importo ricavato, medico mentre nessun ulteriore compenso avrebbe percepito in caso di esito negativo della lite.
La Corte d'appello, con affermazioni assolutamente inconciliabili tra loro ha affermato la validità del patto di quota lite (pag.8 della sentenza impugnata), salvo ritenere che non si trattava di patto di quota lite ma di palmario.
Ritiene il collegio che l'accordo configuri un patto di quota lite in quanto la determinazione del compenso era ancorata all'esito della lite e consisteva in una percentuale che il cliente avrebbe percepito in caso di esito positivo; il compenso variava in funzione dei benefici ottenuti in conseguenza dell'esito favorevole della lite e il tratto caratterizzante il contratto era dato, appunto, dal rischio, perché il risultato da raggiungere non era certo nel quantum né, soprattutto, nell'an.
L'aleatorietà del contratto era suffragata all'assenza del compenso in favore del difensore in caso di esito negativo del giudizio.
La percentuale concordata nella misura del 10% in caso di esito positivo costituiva la misura del compenso dell'avvocato in sostituzione dell'onorario e non invece, come stabilito dalla Corte d'appello, una somma di denaro in aggiunta all'onorario, a titolo di premio (cosiddetto palmario), o di compenso straordinario per l'importanza e difficoltà della prestazione professionale ( Cassazione civile sez. II, 26/04/2012, n.6519; Cass. Civ. 18.6.1986, n.4078).
A nulla rileva la circostanza che il patto di quota lite non sia stato dedotto dalle parti nel giudizio di primo grado e che possa essere stato lo stesso avvocato a darvi causa.
Le Sezioni Unite, con la nota sentenza del 12/12/2014 n. 26243, hanno affermato che la nullità debba essere sempre oggetto di rilievo ed indicazione da parte del giudice con riguardo a tutte le azioni di impugnativa negoziale, sicché può dirsi espunta dal nostro ordinamento ogni ipotesi di limitazione posta alla rilevabilità officiosa della nullità.
Hanno osservato le Sezioni Unite che la sentenza dichiarativa della nullità di un contratto per un motivo diverso da quello allegato dalla parte corrisponde pur sempre alla domanda originariamente proposta, sia per causa petendi (inidoneità del contratto a produrre effetti a causa della sua nullità), sia per petitum (la declaratoria di invalidità e di conseguente inefficacia ab origine dell’atto).
Con successiva pronuncia del 22/03/2017, n. 7294, le Sezioni Unite hanno affermato che il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione - e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia - trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un'eccezione in senso lato, rilevabile d1ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c ( Cass. Civ. Sez. VI , N.19251 del 2018).
Nel caso di specie, in primo grado il profilo della nullità del contratto era stata rilevata sotto il profilo dell'inderogabilità dei minimi tariffari sicchè l'Avv. T ben poteva sottoporre al giudice d'appello un ulteriore profilo di nullità del contratto in quanto si trattava di eccezione rilevabile anche d'ufficio, afferente ai fatti costitutivi della domanda.
La sentenza impugnata erra ulteriormente laddove afferma che l'Avv. T , una volta percepito l'acconto dal cliente, avesse rinunciato all'incarico ed al compenso.
In tema di liquidazione degli onorari di avvocato e procuratore in materia civile, qualora le prestazioni siano state svolte in epoca antecedente alla modifica dell1art. 2233 c.c. e del d.l. n. 1 del 2012, in applicazione del principio dell'inderogabilità dei minimi tariffari stabilito dall'art. 24 della I. n. 794 del 1942, sono nulle le convenzioni stipulate tra una parte ed il proprio legale, ove esse contemplino una rinuncia totale o parziale ai suddetti minimi, salvo che sussistano motivi di rinuncia meritevoli di tutela che devono essere oggetto di accertamento da parte del giudice di merito. (Sez. 2 -, Sentenza n. 8539 del 06/04/2018).
E' consentita al professionista la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari, che possono consistere nell'affectio, nella benevolentia, così come in considerazioni di ordine sociale o di convenienza.
Il principio dell'inderogabilità dei minimi tariffari, stabilito dall'art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato e procuratore, non trova, pertanto, applicazione nel caso di rinuncia, totale o parziale, alle competenze professionali, allorché quest'ultima non risulti posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa sui minimi di tariffa.
Sotto questo riflesso la retribuzione costituisce un diritto patrimoniale disponibile e la convenzione relativa può concretarsi, sul piano sostanziale, anche in un accordo transattivo, in quanto tale, pienamente lecito, rientrando esso nella libera autonomia dispositiva delle parti contraenti, alle quali è soltanto inibito di infrangere il divieto legale sancito dal citato art. 24, e cioè quello di predeterminare consensualmente l'ammontare dei compensi
professionali in misura inferiore ai minimi tariffari.
Al di fuori di questa ipotesi sono nulli i patti in deroga ai minimi della tariffa professionale. ( Cass. 10393/1994).
Nel caso di specie, la Corte di merito non ha accertato le ragioni per le quali l'Avv. T avesse rinunciato al compenso, non risultando che la gratuità del compenso fosse riconducibile a motivi di carattere personale, di ordine sociale o di convenienza.
Il ricorso va, pertanto accolto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Salerno in diversa composizione.
Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Salerno in diversa composizione.