La Cassazione esamina il contenuto dell'art. 36, comma 4, D.P.R. n. 602/1973 nel testo ratione temporis vigente, ponendo l'accento sulle ipotesi di “occultamento” delle attività sociali.
La CTR Campania rigettava l'appello proposto contro la sentenza pronunciata dalla CTP Napoli di inammissibilità del ricorso proposto dal contribuente, ex amministratore di una società ormai cancellata dal registro delle imprese, ricorso che aveva ad oggetto un avviso di accertamento relativo proprio a tale società estinta.
Al contrario di quanto ritenuto dalla CTP,...
Svolgimento del processo
1. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, rigettava l’appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n.31340/5/2014 di inammissibilità del ricorso proposto da B. P., n.q. di ex amministratore della T. S.r.l., società già attiva nel commercio di materiale elettronico e tele- fonia e cancellata dal registro delle imprese in data 24.1.2013, avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2010 per II.DD. e IVA notificatogli il 23.12.2013.
2. In particolare, il giudice di prime cure dichiarava inammissibile il ricorso in quanto presentato oltre il termine dell’art.21 del d.lgs. n.546 del 1992, decisione non condivisa dalla CTR che riteneva tempestivo il ricorso introduttivo e, disattese le questioni preliminari, inclusa la doglianza di emissione dell’atto impositivo nei confronti di società estinta, nel merito non condivideva la prospettazione dell’appellante e confermava le riprese traenti origine da operazioni contestate come soggettivamente inesistenti nel quadro di frodi carosello.
3. Avverso la sentenza propongono ricorso A. P. e P. B., affidato a quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso. La difesa di parte contribuente ha depositato istanza di trattazione in pubblica udienza della causa, fissata dalla Corte in considerazione della particolare rilevanza delle questioni di diritto poste dal ricorso. Parte contribuente ha da ultimo depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
4. In via preliminare va rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione attiva in capo a P. A. il quale, sin dall’intestazione del ricorso, afferma di agire per la cassazione della sentenza di appello quale ex socio e successore della estinta società T. s.r.l., cancellata dal registro delle imprese dal 24.1.2013. Tuttavia, non solo egli non era parte del giudizio in primo e secondo grado, come si evince dalla lettura della sentenza impugnata, ma lo stesso avviso di accertamento riprodotto in ricorso non risulta a lui intestato e né a lui notificato, bensì al P. B. n.q. di amministratore nell’ultimo biennio prima della estinzione della società, ex art.36 comma 4 d.P.R. 602 del 1973, sul presupposto che abbia posto in essere una condotta di "occultamento delle attività sociali”. Le spese di lite sono compensate tra le parti, considerata la perfetta sovrapposizione di difese con quelle di P. B., in assenza di alcun aggravio per l’Agenzia.
5. Tanto premesso, i motivi di ricorso devono essere scrutinati dalla Corte con riferimento alla posizione di P. B..
5.1. Con il primo motivo - in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. - parte ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe violato gli artt. 2495 cod. civ., 52 del d.P.R. n.633 del 1972, 39 del d.P.R. n.600 del 1973, là dove ha ritenuto valido l'accertamento notificato al B., dal momento che alla cancellazione dal registro delle imprese, intervenuta il 24.1.2013, conseguono l'estinzione retroattiva delle società di capitali e la nullità di eventuali atti di accertamento emessi nei loro confronti, secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite della Corte.
6. Il motivo è infondato. L’art. 2495, comma 2, cod. civ., rubricato cancellazione della società, e invocato dalla società dispone: «Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società».
Sulla scorta di tale previsione il contribuente prospetta la nullità dell’atto impositivo e del prodromico p.v.c. in quanto notificati alla società, soggetto al tempo inesistente, dal momento che la T. S.r.l. è stata cancellata dal registro delle imprese il 24.1.2013 con perdita di ogni legittimazione, il liquidatore è divenuto privo di poteri di rappresentanza e il B. al tempo non ne era legale rappresentante.
7. Tuttavia, il Collegio osserva che la presente fattispecie non riguarda la responsabilità del liquidatore della società poi cancellata, né la responsabilità del socio quale successore del soggetto estinto nelle obbligazioni tributare di cui la società era titolare. Al contrario, fin dall’atto impositivo, come si legge a pag.10 del ricorso, l’Amministrazione finanziaria ha fondato la propria pretesa nei confronti P. B. sul disposto dell’articolo 36, comma 4, del d.P.R. n.602/1973, rubricato “Responsabilità ed obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci” il quale, nel testo applicabile ratione temporis in vigore dal 01/01/1974 al 13/12/2014, dispone:
«Le responsabilità previste dai commi precedenti sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili.».
8. Il contribuente è stato attinto dall’atto impositivo nella qualità di amministratore nel biennio antecedente alla messa in liquidazione della società e, nel testo ratione temporis vigente, l’art. 36 d.P.R. n. 602/73, al comma 4 prevede la responsabilità di coloro che hanno avuto l’amministrazione della società nel periodo di tempo biennale antecedente alla messa in liquidazione. Il titolo di responsabilità non è però auto- matico, e sussiste alla alternativa condizione che costoro abbiano compiuto, in quel biennio, operazioni di liquidazione o occultamento di attività sociali, ad esempio operando sul piano contabile, o comunque diminuendo la garanzia patrimoniale della società e ponendo in essere attività di evasione d’imposta a danno dell’erario.
9. Questa seconda ipotesi, l’”occultamento”, è quella contestata dall’Agenzia al contribuente e non è soggetta alle condizioni poste per le ipotesi di cui ai commi 1 e 3 del medesimo art.36 cit., perché la legge fa riferimento ad una formula ampia, idonea a ricomprendere tutte le attività che abbiano determinato, in qualsiasi modo, un occultamento di attivo sociale.
Ciò è confermato dalla stessa costruzione della norma, che precisa come l’”occultamento” dell’attivo si possa determinare “anche”, ma non esclusivamente, mediante omissioni in contabilità: qualunque attività di occultamento rileva e integra la fattispecie. Pertanto, secondo il Collegio nello scopo della norma suddetta, non può che rientrare anche l'occultamento di attività sociali realizzato dall'amministratore attraverso la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali per il periodo di imposta rilevante, oppure attraverso la redazione e presentazione di dichiarazioni infedeli, elementi tutti idonei a determinare un “occultamento” dell’attivo della società.
10. Dev’essere perciò affermato il seguente principio di diritto:
«In tema di società di capitali estinte per cancellazione dal registro delle imprese, l’art.36, comma 4, d.P.R. n. 602/1973, nel testo ratione temporis vigente, estende la legittimazione passiva all’obbligazione tributaria e la responsabilità, non soggetta alle condizioni poste per le ipotesi di cui ai commi 1 e 3 del medesimo art.36, anche agli amministratori che abbiano compiuto, nel corso degli ultimi due periodi di imposta antecedenti alla messa in liquidazione, operazioni di liquidazione ovvero abbiano “occultato” attività sociali, “anche” ma non esclusivamente attraverso omissioni in contabilità, ad esempio mancando di presentare le dichiarazioni fiscali o attraverso la reda- zione e presentazione di dichiarazioni infedeli.».
11. Nel caso di specie, l’avviso di accertamento, riprodotto alle pagg.5 e ss. del ricorso, è stato notificato in data 23.12.2013 a B. P. quale amministratore della società, posta in liquidazione il 10.1.2012 ed estinta, per avvenuta cancellazione dal registro delle imprese, in data 24.1.2023. Inoltre, come si legge nell’avviso ed è fatto incontestato, P. B. è stato amministratore della società dall’8.6.2011 al 10.1.2012 - e, dunque, in uno degli «ultimi due periodi d'imposta precedenti alla messa in liquidazione» ai fini dell’art.36 comma 4 cit. alla norma citata. Infine, è del pari pacifica la presentazione di dichiarazioni infedeli per l’anno di imposta 2010 da parte della T. S.r.l., avendo la stessa posto in essere plurime ed ingenti operazioni soggettivamente inesistenti per il periodo di imposta. Ciò si evince dall’accertamento di merito compiuto dal giudice d’appello alle pagg.3 e ss. della motivazione della sentenza, che ha integralmente confermato il contenuto sul punto dell’atto impositivo riprodotto a pag.7 del ricorso, non contestato nel presente giudizio. Pertanto, legittimamente il B. è stato attinto dalla notifica del p.v.c. e dell’atto impositivo in forza dell’art.36, comma 4, d.P.R. n. 602/1973, nel testo ratione temporis vigente.
12. Con il secondo motivo - agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. - parte ricorrente deduce la violazione da parte della sentenza impugnata degli artt. 29 del d.l. n.78 del 2010 e dell’art.145 cod. proc. civ., riqualificata la posizione del B. quale socio e non quale l.r. della società nel periodo della presentazione dell’infedele dichiarazione accertata, e ritenuta l’irrilevanza dell’inesistenza di attivo in base al bilancio finale di liquidazione dichiarata nel bilancio finale di liquidazione, perché determinato su contabilità ritenuta inattendibile dalla stessa GdF, il ricorrente afferma che poiché la notifica dell’avviso non sarebbe stata effettuata secondo l’art. 145 cod. proc. civ. (nella sede della persona giuridica, o al suo l.r., o all’incaricato, o al portiere), essa non «si tradurrebbe nella sua legale conoscenza da parte della società» (pag. 26 riga 6 pres. ric.) e quindi sarebbe inesistente.
13. La doglianza è inammissibile, perché fondata sull’erroneo presupposto che l’avviso di accertamento sia stato notificato alla società, mentre come sopra visto ha attinto il B., e non quale ex socio e successore nei debiti della società come supposto nel motivo, bensì quale responsabile dell’infedele dichiarazione societaria nella qualità di amministratore rivestita nel biennio anteriore alla messa in liquidazione, intervenuta il 10.1.2012 e seguita in data 24.1.2023 dalla cancellazione della società dal registro delle imprese. Infine, nel rispetto dei termini di decadenza, l’accertamento per l’anno di imposta 2010 risulta tempestivamente notificato il 23.12.13 al B. n.q. sopra specificata.
14. Il terzo motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt.8 comma 3 del d.l. n.16 del 2012, 2 del d.lgs. n.74 del 2000 e 2697 cod. civ..
15. Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza. La deducibilità dei costi, che non sono da reato ma relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, può operare sono in presenza dei requisiti di certezza, inerenza e competenza richiesti dall’art. 109 TUIR ed oggetto di onere probatorio rimesso a parte contribuente e che la CTR a pag.4 della parte motiva della sentenza impugnata, ha accertato non essere stati assolti.
16. La quarta censura prospetta, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, 1 comma d.P.R. n. 600/73, in quanto la sentenza «non riforma la decisione di primo grado che ritenne legittimo l’avviso di accerta- mento redatto con metodo induttivo», per essere «incontestata la veridicità dei costi e la legalità della loro detrazione».
17. Il motivo è inammissibile. Premesso che il primo comma dell’art.39, d.P.R. n. 600/73 individua un accertamento di tipo analitico-induttivo e non induttivo puro, il processo tributario è annoverabile tra quelli di "impugnazione-merito", in quanto diretto ad emanare una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell'accertamento dell’Ufficio (Cass. Sez. 5 - , Ordinanza n. 18777 del 10/09/2020, Rv. 658860 - 01). Non si è configurato dunque alcun giudicato interno, né violazione del principio del devolutum, per effetto della intervenuta decisione sostitutiva adottata dalla CTR in presenza di appello, il cui contenuto è puntualmente riportato a pag.1 della parte motiva (a partire da «Avverso la prefata sentenza interponeva appello (…)») della sentenza impugnata, che ha investito l’intera decisione di prime cure.
18. Al rigetto del ricorso proposto da P. B. segue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara il difetto di legittimazione di P. A. e compensa le spese; rigetta il ricorso di P. B. e lo condanna alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 7.800,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, sussistono i presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato da parte di P. B., pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.