Svolgimento del processo
1. Il Dottore Commercialista T.M. era nominato difensore del fallimento della (omissis) Società Cooperativa a r.l., in relazione all’avviso di accertamento n. (Omissis) avente ad oggetto l’accertamento induttivo del reddito, non avendo la società indicato alcun importo ai fini Ires ed Iva, con riferimento all’anno 2006, per un valore dichiarato della causa pari ad Euro 2.124.870,87 (ric., p. 2 s., 5).
Il procuratore nominato si costituiva in giudizio innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, e proponeva le proprie difese. Erano celebrate tre udienze, all’esito delle quali la CTP, con sentenza n. 136 del 2013, dichiarava la cessazione della materia del contendere, avendo l’Amministrazione finanziaria annullato l’atto impositivo in autotutela.
2. T.M. domandava la liquidazione dei propri compensi a spese dello Stato nella misura di € 31.873,06, ai sensi del Testo Unico delle spese di giustizia, avendo il Giudice Delegato del fallimento atto nelle forme di legge che la procedura non disponeva delle somme necessarie per il pagamento delle competenze al professionista. Il giudice liquidava il compenso “in miserrimi ‘€ 2.400,00’” (ric., p. 5).
3. Il professionista proponeva opposizione avverso la liquidazione dei compensi, ai sensi dell’art. 170 del Dpr n. 115 del 2002 (T.U. delle spese di giustizia), ed il Presidente della Commissione Tributaria Provinciale della Campania lo rigettava
4. Ha proposto ricorso per cassazione, avverso la pronuncia sfavorevole conseguita in sede di reclamo, T.M., affidandosi a due motivi di ricorso. L’Agenzia delle Entrate non si è costituita tempestivamente nel giudizio di legittimità, ma ha depositato istanza di partecipazione all’eventuale udienza di discussione pubblica della causa. Il Ministero della Giustizia, ed il Fallimento della (omissis) Soc. Coop. a r.l., non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., il professionista con la violazione degli artt. 82, 137, 141 e 144 del Dpr n. 115 del 2002 (T.U. sulle spese di giustizia), dell’art. 13 della legge n. 247 del 2012, degli artt. 3, 24 e 35 della Costituzione, dell’art. 9, come mod., del Dl. n. 1 del 2012, anche in riferimento all’art. 1, commi 6 e 7, del D.M. Giustizia 20.7.2012, n. 140, per avere il giudice impugnato pronunciato sul fondamento di errati parametri di legge, e comunque per non aver applicato le previsioni normative vigenti in materia.
2. Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione degli artt. 18, 19, 20, 21 22, 34 e 46, del D.Lgs. n. 546 del 1992, per avere il giudice che si contesta ritenuto che, a fronte dell’elevato valore della controversia, il compenso del professionista dovesse comunque liquidarsi in misura molto contenuta perché la lite era stata definita in conseguenza della cessazione della materia del contendere e l’attività del professionista era rimasta limitata “agli atti prodromici”.
Preliminarmente deve darsi atto che il ricorrente ha domandato di valutare la ricorrenza nel presente giudizio della opportunità di sottoporre alle Sezioni Unite della Suprema Corte, in quanto questione di massima di particolare importanza, la decisione sulle “esatte regole giuridiche da osservare nella determinazione (rilevante nella fattispecie) del compenso spettante al professionista incaricato di difendere un fallito tutte le volte che (come nel caso) il “giudice delegato” al fallimento abbia, ai sensi dell’art. 144 D.P.R. n. 115 del 2002 “attesta(to) che non è disponibile il denaro necessario per le spese”, con la conseguenza che il compenso stesso non fa più carico al fallimento ma all’erario” (ric., p. 8). Con richiesta subordinata il ricorrente ha domandato assegnarsi il fascicolo per la decisione alla sezione tributaria, in considerazione dell’oggetto del giudizio cui attiene la liquidazione controversa.
3.1. Invero non si evidenziano nella vicenda processuale in esame elementi che inducano a ritenere ricorrenti circostanze che suggeriscano di rimettere la decisione del giudizio alle Sezioni Unite. La questione relativa alla liquidazione degli onorari del difensore in giudizio, con oneri a carico dello Stato, appare ricorrente, e neppure si rinvengono specifici contrasti di giurisprudenza. L’istanza subordinata di assegnazione della controversia per la decisione alla sezione tributaria è stata invece accolta, in considerazione dell’oggetto del giudizio.
4. Non risulta invero agevole riassumere le critiche proposte dal ricorrente alla decisione impugnata, perché i suoi motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente sussistendo elementi di connessione, per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva, mancano di un momento di sintesi.
Sembra corretto ritenere che con il primo strumento di impugnazione il ricorrente intenda conT.M.re l’errata individuazione della normativa applicabile, e quindi dei parametri legali da utilizzare, ai fini della liquidazione dei compensi, con particolare riferimento “alla stessa norma dell’art. 82”, del Dpr n. 115 del 2002, per effetto della quale “deve essere ritenuta ed affermata la vincolatività per la stessa “autorità giudiziaria” dei minimi previsti dalle tariffe professionali” (ric., p. 19, evidenza aggiunta). Mediante il secondo strumento di impugnazione il professionista lamenta invece la indebita svalutazione della prestazione da lui fornita, operata dal giudice impugnato sottolineando che il giudizio si è concluso con la cessazione della materia del contendere, e le attività svolte dal professionista “si sarebbero limitate agli atti prodromici” (ric., p. 22).
4.1. Entrambi gli strumenti di impugnazione presentano limiti nella specificità della contestazione proposta, e rivelano pertanto profili di inammissibilità. Il ricorrente domanda riconoscersi la correttezza della nota di liquidazione delle competenze professionali che afferma di avere proposto, ma non ha cura di riprodurla nel suo ricorso, neppure indicando gli importi richiesti in relazione a ciascuna fase processuale.
Non solo, non risulta esplicitato se il professionista abbia tenuto conto, nel redigere la sua richiesta di pagamento dei compensi, della previsione di cui all’art. 130 del Dpr n. 115 del 2002, secondo cui, nei casi di ammissione al patrocinio dello Stato, “1. Gli importi spettanti al difensore, all'ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte sono ridotti della metà”.
Inoltre, il giudice impugnato ha osservato che “le contestazioni contenute nell’opposizione appaiono generiche e non supportate da valide argomentazioni” (ord. CTP, p. 3), e l’odierno ricorrente non ha indicato in qual modo avesse invece proposto critiche specifiche.
5. Tanto premesso, il ricorso proposto da T.M. appare infondato.
Il ricorrente, Dottore Commercialista, afferma che, in sede di liquidazione dell’attività svolta quale patrocinatore in giudizio tributario di un fallimento, pertanto quale procuratore legale, per la liquidazione dei suoi compensi sussiste “l’obbligo, per il giudice, di applicare (senza alcun potere di modifica) i “parametri” ministeriali determinati per i dottori commercialisti (al pari di quelli per gli avvocati) in ipotesi di liquidazione a carico dell’erario” (ric., p. 17).
5.1. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, le prestazioni professionali svolte nel processo devono essere compensate in considerazione dell’attività svolta. Appare quindi opportuno, in proposito, indicare il principio di diritto secondo cui: “I compensi del dottore commercialista abilitato ad esercitare il patrocinio legale innanzi alle Corti di giustizia tributaria, anche in favore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, devono essere liquidati in considerazione dell’attività concretamente svolta, pertanto applicandosi le tariffe relative agli avvocati, e non quelle previste per i dottori commercialisti”.
5.2. Il ricorrente censura inoltre la decisione adottata dal giudice impugnato perché avrebbe svalutato il rilievo dell’attività difensiva da lui prestata, sottolineando che il giudizio si è concluso con pronuncia di cessazione della materia del contendere, e che il difensore poteva essere compensato solo per la prestazione professionale fornita in relazione alla fase introduttiva del giudizio.
Invero la critica appare impropria. Le osservazioni proposte in merito dal giudice impugnato si limitano infatti a prendere atto di quella che è stata la effettiva vicenda processuale, e non hanno un contenuto valutativo, perciò conestabile in sede di impugnazione.
5.3. Il ricorrente afferma quindi che, ai sensi dell’art. 82 del testo unico sulle spese di giustizia (Dpr n. 115 del 2002), i minimi delle tariffe indicate per i professionisti sono, sempre e comunque, inderogabili. Preso atto che alla liquidazione in parola non risultano applicabili le nuove regole previste con Dm n. 55 del 2014, occorre però osservare che, nel vigore della disciplina previgente, risultavano operative le previsioni di cui all’art. 60, comma quinto, del r.d. n. 1578 del 1993, le quali consentivano al giudice di liquidare, in considerazione della semplicità della causa, al di sotto dei minimi previsti dalle tabelle professionali (cfr., sez. L, 4.8.2009, n. 17920), ed il ricorrente non ha neppure prospettato l’intervenuta violazione dei limiti posti dalla ricordata disciplina legale.
Il ricorso proposto da T.M. risulta pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.
6. Non deve provvedersi sulle spese di lite, non avendo proposto difese nel giudizio di legittimità alcuna delle parti intimate.
6.1. Risultano integrati i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del c.d. doppio contributo.
La Corte,
P.Q.M.
rigetta il ricorso introdotto da T.M..
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.