Corte costituzionale, sentenza (ud. 7 marzo 2023) 6 aprile 2023, n. 60
Svolgimento del processo
1.– Con ricorso depositato il 14 giugno 2022 e iscritto al n. 38 del registro ricorsi 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 1 e 3 della legge della Regione Sardegna 11 aprile 2022, n. 9 (Interventi vari in materia di enti locali della Sardegna. Modifiche alla legge regionale n. 4 del 2012 e alla legge regionale n. 3 del 2009), recanti disposizioni concernenti, rispettivamente, il numero massimo di mandati consecutivi dei sindaci e l’iscrizione alla sezione regionale dell’albo dei segretari provinciali e comunali.
1.1.- La prima delle due disposizioni impugnate (rubricata «Modifiche alla legge regionale n. 4 del 2012 in materia di durata del mandato del sindaco») così dispone: «[d]opo l’articolo 1 della legge regionale 22 febbraio 2012, n. 4 (Norme in materia di enti locali e sulla dispersione ed affidamento delle ceneri funerarie), e` inserito il seguente: “Art. 1 bis (Durata del mandato del sindaco. Limitazione dei mandati) 1. Ai sindaci dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti e` consentito un numero massimo di quattro mandati consecutivi. 2. Ai sindaci dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti e` consentito un numero massimo di tre mandati consecutivi”».
Secondo il ricorrente, il citato art. 1 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022 violerebbe, in primo luogo, gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, «in quanto crea disparita` di trattamento rispetto al restante territorio nazionale, ed eccede le competenze statutarie della Regione Sardegna», ponendosi in contrasto con l’art. 3, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), che attribuisce a quest’ultima la competenza in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni, ma in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica.
Ricorda il Presidente del Consiglio dei ministri che l’art. 51 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) – come modificato dalla legge 12 aprile 2022, n. 35 (Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di limitazione del mandato dei sindaci e di controllo di gestione nei comuni di minori dimensioni, nonché al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, in materia di inconferibilità di incarichi negli enti privati in controllo pubblico), in vigore dal 14 maggio 2022 – prevede, al comma 2, che «[c]hi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non e`, allo scadere del secondo mandato, immediatamente ricandidabile alle medesime cariche. Per i sindaci dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, il limite previsto dal primo periodo si applica allo scadere del terzo mandato».
Correlativamente, l’art. 3, comma 2, della legge n. 35 del 2022 abroga l’art. 1, comma 138, della legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», che prevedeva il numero massimo di tre mandati consecutivi per i sindaci dei comuni con popolazione fino a tremila abitanti.
Aggiunge l’Avvocatura generale dello Stato che il testo previgente dell’art. 51, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 (d’ora in avanti: TUEL) era il seguente: «[c]hi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non e`, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche»; mentre l’art. 1, comma 138, della legge n. 56 del 2014 stabiliva che «[a]i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti non si applicano le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 51 del testo unico; ai sindaci dei medesimi comuni è comunque consentito un numero massimo di tre mandati».
La disposizione impugnata, dunque, si porrebbe in contrasto sia con la normativa statale vigente al momento della pubblicazione della legge regionale medesima (12 aprile 2022) – che non consentiva «la rieleggibilità consecutiva del sindaco nei comuni con popolazione a partire da 3000 abitanti dopo il secondo mandato» e prevedeva «il numero massimo di tre mandati consecutivi per i sindaci dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti» – sia con quella vigente in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 35 del 2022, in vigore dal 14 maggio 2022, «in quanto consente ai sindaci dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti un numero massimo di quattro mandati consecutivi anziché di tre, e consente i tre mandati consecutivi ai sindaci dei comuni con popolazione “fino a 5000 abitanti”, anziché, come previsto dalla legge statale, ai sindaci dei comuni con popolazione “inferiore a 5000 abitanti”».
Afferma il Presidente del Consiglio dei ministri che le citate disposizioni del TUEL hanno valenza di norme fondamentali di riforma economico-sociale e comunque di «principi generali dell’ordinamento costituzionale». Come tali, costituirebbero un limite inderogabile anche per le potestà legislative primarie previste dallo statuto, «in quanto poste a presidio: a) della uniformità della disciplina degli organi di governo degli enti locali sull’intero territorio nazionale; b) della democraticità dell’ordinamento degli enti locali sotto il profilo del necessario periodico ricambio della classe dirigente».
Da tale ultimo punto di vista, la disposizione impugnata violerebbe anche «gli artt. 1 e 114 Cost. (principio di democraticità della Repubblica fondata sulle autonomie locali)», sempre «in combinazione» con l’art. 3, lettera b), dello statuto speciale.
Essa, dunque, ponendosi in contrasto con il novellato art. 51 TUEL, da un lato, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, e, dall’altro, eccederebbe dalle competenze statutarie. Infatti, l’art. 3, lettera b), dello statuto speciale attribuisce alla Regione autonoma Sardegna la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, ma in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, e questo al fine di evitare, «in ossequio» all’art. 3 Cost., ingiustificabili disparità di trattamento tra sindaci di diverse regioni, senza che esistano «obiettive ragioni di differenziazione della situazione dei comuni sardi rispetto ai comuni del restante territorio nazionale».
Aggiunge il ricorrente che nella sentenza n. 143 del 2010 questa Corte ha affermato che «l’esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni in ambiti, pur ad esse affidati in via primaria, che concernano la ineleggibilità e la incompatibilità alle cariche elettive incontra necessariamente il limite del rispetto del principio di eguaglianza specificamente sancito in materia dall’art. 51 Cost». Ricorda, inoltre, che, con la sentenza n. 288 del 2007, in specifico riferimento alla potestà legislativa esclusiva della Regione Siciliana in tema di ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri degli enti locali, si è anche affermato che «la disciplina regionale d’accesso alle cariche elettive deve essere strettamente conforme ai principi della legislazione statale, a causa della esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale discendente dall’identità di interessi che Comuni e Province rappresentano riguardo alle rispettive comunità locali, quale che sia la Regione di appartenenza».
La giurisprudenza costituzionale avrebbe anche chiarito che «discipline differenziate sono legittime sul piano costituzionale, solo se trovano ragionevole fondamento in situazioni peculiari idonee a giustificare il trattamento privilegiato riconosciuto dalle disposizioni censurate» (si cita, ancora, la sentenza n. 143 del 2010) o quando vi sia la «necessità di adattare la disciplina normativa alle particolari esigenze locali» (sentenza n. 82 del 1982). Da questo punto di vista, in particolare, talune discipline differenziate in tema di elettorato passivo adottate dalla Regione Siciliana sono state considerate «non costituzionalmente illegittime in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive per la Sicilia ovvero si presentino diverse, messe a raffronto con quelle proprie delle stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale, ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, e finalizzati alla tutela di un interesse generale» (sentenza n. 84 del 1994).
Tale «specialità di situazione», invece, non ricorrerebbe per l’impugnata disposizione della Regione autonoma Sardegna, non potendosi «sostenere che in questa sussistono minori rischi di influenze indebite sulla competizione elettorale, rispetto al restante territorio nazionale o, più in generale, che il principio di democraticità della Repubblica e dei suoi enti locali debba in Sardegna essere applicato in modo da assicurare minori possibilità di ricambio della classe dirigente».
1.2.- La seconda disposizione impugnata (rubricata «Iscrizione all’Albo dei Segretari comunali e provinciali – Sezione regionale Sardegna») prevede: «[a]l fine di sopperire con urgenza all’attuale carenza di Segretari comunali iscritti all’Albo dei Segretari comunali e provinciali – Sezione Regionale Sardegna, in deroga alle ordinarie modalità di accesso all’Albo stesso di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465 (Regolamento recante disposizioni in materia di ordinamento dei segretari comunali e provinciali, a norma dell’articolo 17, comma 78, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nelle more di una riforma regionale dell’ordinamento dei Segretari comunali e provinciali, e comunque non oltre il 31 dicembre 2024, gli istruttori direttivi e i funzionari di ruolo dei comuni e delle province della Sardegna, in possesso dei diplomi di laurea di cui all’articolo 13, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 465 del 1997, che ne facciano richiesta all’Albo nazionale dei Segretari comunali e provinciali e che ricoprano o abbiano ricoperto alla data di entrata in vigore della presente legge l’incarico di vicesegretario, sono iscritti all’Albo dei segretari comunali e provinciali – Sezione regionale Sardegna, nella fascia di appartenenza del comune o provincia ove prevalentemente abbiano svolto l’incarico».
1.2.1.- L’art. 3 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022, dunque, nelle more di una riforma regionale dell’ordinamento dei segretari comunali e provinciali, e comunque non oltre il 31 dicembre 2024, recherebbe misure derogatorie rispetto alla modalità ordinaria di accesso all’albo dei segretari comunali: così facendo, essa violerebbe gli artt. 3, 97, commi primo e terzo, e 117, secondo comma, lettera l), Cost., nonché l’art. 3, lettera b), dello statuto speciale.
Andrebbe sottolineato, innanzitutto, come nella giurisprudenza costituzionale il pubblico concorso sia sempre stato considerato strumentale al rispetto del principio di imparzialità della pubblica amministrazione.
L’art. 98 TUEL – aggiunge il Presidente del Consiglio dei ministri – prevede che l’iscrizione all’albo dei segretari e` subordinata al possesso dell’abilitazione concessa dalla Scuola superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale ovvero dalla sezione autonoma della Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno e che al relativo corso si accede mediante concorso nazionale.
Al contrario, la legge regionale in esame stabilisce che possono iscriversi all’albo dei segretari comunali e provinciali della sezione regionale, senza sostenere lo specifico concorso previsto dalla legge statale, anche gli istruttori direttivi e i funzionari di ruolo dei comuni e delle province della Sardegna, purché in possesso del titolo di studio di cui all’art. 13, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465 (Regolamento recante disposizioni in materia di ordinamento dei segretari comunali e provinciali, a norma dell’articolo 17, comma 78, della legge 15 maggio 1997, n. 127) e purché ricoprano o abbiano ricoperto, alla data di entrata in vigore della legge, l’incarico di vicesegretario.
L’iscrizione indiscriminata e senza concorso all’albo segretariale dei soggetti contemplati dalla disposizione impugnata, quindi, contrasterebbe «frontalmente» con l’art. 97, commi primo e terzo, Cost.
Al riguardo, il ricorrente richiama la sentenza n. 95 del 2021 di questa Corte, che, nel pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune norme di una legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol relativa allo status giuridico ed economico del segretario comunale della Provincia autonoma di Trento, ha ribadito come non basti, per l’accesso alla relativa carriera, il requisito del previo superamento di una qualsiasi selezione, ancorché pubblica, quando essa non garantisca che la scelta abbia natura concorsuale e sia riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che si è chiamati a svolgere.
1.2.2.- L’Avvocatura generale dello Stato prosegue affermando che il ruolo e le funzioni dei segretari sono disciplinati dall’art. 97 TUEL e che si tratta di ruolo e funzioni tuttora statali, sicché la disposizione oggetto di impugnazione contrasterebbe anche con l’art. 117, secondo comma, lettera f), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli uffici statali: «è pacifico, infatti, che la disciplina delle modalità di accesso ad una funzione statale fa parte integrante della disciplina organizzativa dei relativi uffici».
1.2.3.- Ancora, il segretario comunale svolgerebbe un complesso insieme di funzioni al servizio dell’ente locale e per esso essenziali, come chiarito nella sentenza di questa Corte n. 23 del 2019: sotto tale profilo, l’impugnato art. 3 violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali.
La competenza statutaria in materia di ordinamento degli enti locali riconosciuta alla Regione autonoma Sardegna dall’art. 3, lettera b), dello statuto speciale non potrebbe essere esercitata fino a vanificare le richiamate competenze statali, poiché la figura del segretario comunale è pacificamente unitaria su tutto il territorio nazionale e «non conosce specificità» per quanto riguarda gli enti locali delle regioni a statuto speciale: «qui, si può postulare un principio di necessaria uniformità a livello nazionale della figura del segretario comunale o provinciale».
1.2.4.- Inoltre, costituendo l’iscrizione all’albo un presupposto per la stipulazione del contratto di lavoro tra il segretario e il comune e incidendo, quindi, sulla loro capacità di agire «in ordine alla stipula del contratto di prestazione d’opera come segretario comunale o provinciale di un dato ente locale», la disposizione impugnata violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile.
1.2.5.- Infine, il differente trattamento introdotto dalla disposizione regionale impugnata rispetto alla disciplina nazionale determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti degli iscritti alle altre sezioni regionali dell’albo e comunque dei dipendenti degli enti locali delle altre regioni, ai quali è preclusa analoga possibilità di iscrizione agevolata, con conseguente violazione degli artt. 3 e 51, primo comma, Cost., sotto il profilo dell’uguaglianza e del diritto di accedere ai pubblici uffici in condizioni di parità.
Sul punto, viene ricordata la sentenza n. 95 del 2021 di questa Corte, che avrebbe sottolineato l’irragionevolezza della sottoposizione alla medesima disciplina di «possessori di titoli abilitativi di valenza oggettivamente diversa».
2.- Con atto depositato il 15 luglio 2022, si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, eccependo l’inammissibilità e la non fondatezza delle questioni proposte in ricorso.
2.1.- Quanto a quelle relative all’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022, secondo la resistente, in primo luogo, sarebbe non pertinente l’evocato parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., dal momento che la disposizione regionale impugnata non sarebbe riconducibile a tale competenza legislativa esclusiva statale, ma, statuendo sul numero di mandati dei sindaci, atterrebbe al diritto di elettorato passivo riconosciuto dall’art. 51 Cost., parametro, questo, che non sarebbe stato evocato dal ricorrente.
La censura, inoltre, sarebbe formulata in modo assertivo e non spiegherebbe in alcun modo le ragioni della lamentata violazione dell’ambito di competenza statale, e ciò varrebbe anche con riferimento all’evocazione dei parametri di cui agli artt. 1 e 114 Cost. Da qui la sua inammissibilità, essendo costante nella giurisprudenza costituzionale l’affermazione che è onere del ricorrente non solo individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali si lamenta la violazione, ma altresì proporre una motivazione che contenga una «specifica e congrua indicazione» delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati (si citano le sentenze n. 25 del 2020, n. 201 e n. 83 del 2018).
Inammissibili per genericità e apoditticità sarebbero anche le censure relative all’ampliamento della sfera dei comuni in cui sono consentiti tre mandati, fondate sull’assunto che quelli con popolazione fino a cinquemila abitanti sarebbero in numero maggiore di quelli con popolazione inferiore. Si tratterebbe, infatti, di una mera asserzione «che non tiene conto del contesto fattuale di riferimento; contesto di cui invece aveva contezza il legislatore regionale»: al momento dell’adozione della legge non vi sarebbero stati, infatti, comuni sardi con popolazione pari a cinquemila abitanti.
2.2.- Le questioni relative all’art. 1 della predetta legge regionale, nel merito, sarebbero non fondate.
2.2.1.- In relazione alla censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., secondo la Regione autonoma Sardegna, la competenza prevista da tale parametro costituzionale andrebbe «comparata» con quella di cui all’art. 3, lettera b), dello statuto concernente l’ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni.
Il carattere esclusivo della competenza legislativa attribuita alla Regione autonoma Sardegna renderebbe possibili adattamenti e differenziazioni dell’ordinamento degli enti locali sardi in relazione alle loro specificità.
Peraltro, anche ove si volesse ascrivere la normativa impugnata alla materia elettorale, essa sarebbe comunque riconducibile non all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., ma alla competenza statutaria dell’ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni (si cita la sentenza n. 105 del 1957).
2.2.2.- Quanto alla lamentata violazione dell’art. 3 Cost. e dell’art. 3, lettera b), dello statuto speciale, la Regione resistente osserva che il ragionamento del ricorrente si fonda sull’assunto che sia espressione di un principio generale dell’ordinamento non la previsione di un ragionevole limite al mandato dei sindaci, ma unicamente quella specificamente contenuta nell’art. 51 TUEL.
Tuttavia, non sarebbe spiegato «perché la previsione, in tutto il territorio nazionale, di un identico numero di mandati garantirebbe» l’uniformità di disciplina «e perché, al contrario, detta uniformità sarebbe lesa a seguito della previsione di una differenza non sostanziale […] quale quella di un numero di mandati superiore di una sola unita`».
Quanto al limite al diritto di elettorato passivo – «punto essenziale della questione» – questa Corte avrebbe più volte riconosciuto, con riferimento alla potestà legislativa di una regione a statuto speciale, quale la Regione Siciliana, che tale limite è dato «dall’esigenza di garantire sul territorio nazionale una sostanziale uguaglianza» (si citano le sentenze n. 143 del 2010, n. 162 e n. 20 del 1985, e n. 108 del 1969).
Ciò significherebbe, secondo la Regione autonoma Sardegna, che i limiti al diritto in esame devono essere contestualizzati e bilanciati con altri interessi e diritti fondamentali ugualmente garantiti, come sarebbe confermato dal fatto che lo stesso legislatore statale, preso atto del numero sempre minore di candidature nelle realtà territoriali di dimensione demografica ridotta, è recentemente intervenuto ampliando il numero dei mandati consecutivi per i sindaci dei comuni con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti.
La Regione resistente richiama, poi, l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui «il diritto di elettorato passivo può essere compresso solo in vista di esigenze costituzionalmente rilevanti» e «l’eleggibilità è la regola, mentre l’ineleggibilità è l’eccezione» (si citano le sentenze n. 25 del 2008, n. 306 e n. 220 del 2003): la disposizione regionale impugnata sarebbe coerente con la riconosciuta eccezionalità dei limiti all’eleggibilità.
Andrebbe inoltre sottolineato che «esistono obiettive ragioni di differenziazione della situazione dei comuni sardi rispetto a quelli del territorio nazionale e che queste sono state esplicitate nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge».
Nella menzionata relazione, infatti, si legge che «lo spopolamento, la densità demografica tra le più basse d’Italia, il livello di perifericità dei territori rispetto alla rete di centri urbani e rispetto all’accesso ai servizi, rendono particolarmente gravoso il compito dei Sindaci il cui impegno richiede capacità e responsabilità che spesso vanno oltre il ruolo che istituzionalmente sono richiamati a ricoprire», come sarebbe comprovato dai «numerosi commissariamenti registrati nell’Isola negli ultimi anni anche per la difficoltà a reperire candidati alla carica di Sindaco, soprattutto nei Comuni con le caratteristiche sopracitate»; e che «si riscontra la necessità di consentire all’elettorato di poter confermare alla guida dei rispettivi comuni figure esperte che possano garantire la continuità dell’azione amministrativa, con particolare riferimento ai procedimenti e alle azioni relative alla realizzazione del PNRR, nonché i procedimenti di protezione civile, di mitigazione e ricostruzione derivanti dalle emergenze nazionali e regionali verificatesi nel territorio della Sardegna, e potere altresì consentire stabilità di indirizzo alle unioni dei comuni, a loro volta impegnate nell’utilizzo di notevoli risorse derivanti dalla programmazione europea, nazionale e regionale».
La questione – prosegue la Regione autonoma Sardegna – sarebbe non fondata anche in relazione all’art. 3, lettera b), dello statuto speciale.
Dalle considerazioni svolte sopra, infatti, si evincerebbe che il legislatore regionale sardo ha esercitato la sua potestà legislativa primaria nel rispetto della Costituzione, del principio generale dell’ordinamento giuridico in base al quale il limite all’eleggibilità deve essere contenuto, dei principi di ragionevolezza e proporzionalità che consentono di derogare a disposizioni statali, garantendo la tutela del principio generale sotteso alle medesime disposizioni e di interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, quale quello di assicurare la governabilità dei territori.
2.3.- Circa l’impugnazione dell’art. 3 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022, la resistente eccepisce, in primo luogo, «l’inammissibilità per non pertinenza» di alcuni parametri costituzionali evocati.
In particolare, sarebbe inconferente il richiamo all’art 117, secondo comma, lettere f) e p), Cost., perché, da un lato, i segretari comunali e i vicesegretari (funzionari comunali) sono dipendenti pubblici e non organi dello Stato, e, dall’altro, essi non sono neanche organi di governo del comune e le loro funzioni, pur importanti, non possono essere ascritte a quelle fondamentali di comuni, province e città metropolitane.
Né, infine, sarebbe pertinente – e comunque non sarebbe spiegato in quale rapporto si collochi rispetto alla fattispecie in esame – il richiamo all’art. 97, primo comma, Cost., che statuisce l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di assicurare, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
2.4.- Nel merito, secondo la Regione resistente, le argomentazioni esposte in ricorso si fondano su una lettura incompleta della disposizione impugnata, finalizzata a risolvere, in via temporanea e transitoria, le gravi ed urgenti criticità conseguenti alla carenza di segretari comunali in Sardegna, dove in circa l’ottanta per cento dei comuni minori si registrano vacanze di posti in organico.
I tratti salienti della disciplina in questione sarebbero i seguenti: a) è stabilito un limite di applicazione, ossia il 31 dicembre 2024, sicché non vi sarebbe alcuna iscrizione definitiva all’albo, ne´ una regolamentazione sostitutiva; b) possono fare richiesta di iscrizione gli istruttori direttivi e i funzionari in ruolo che abbiano i requisiti per partecipare alla selezione per segretari comunali e che abbiano svolto l’incarico di vicesegretari, ossia «funzionari apicali, già scelti per le loro competenze e già ritenuti meritevoli di svolgere la funzione di vicesegretario in periodi di assenza, per i quali viene esteso, sino a un termine fissato in legge, il periodo di espletamento dell’incarico, nelle fattispecie di vacanza della sede»; c) l’iscrizione non è automatica e potrebbe essere rifiutata; d) non è prescritto alcun obbligo di nomina per i sindaci.
Ciò posto, non sarebbe violata la regola del pubblico concorso, poiché non si tratterebbe di accesso a impieghi pubblici, ma di «eventuale […] conferimento temporaneo di incarico per chi è già in ruolo».
Peraltro, secondo la giurisprudenza costituzionale, la deroga alla regola del pubblico concorso sarebbe ammissibile quando si presenti maggiormente funzionale al buon andamento dell’amministrazione e ricorrano straordinarie esigenze d’interesse pubblico (si citano le sentenze n. 40 del 2018 e n. 227 del 2013).
Infine, la disposizione impugnata non prevedrebbe alcuna modifica alla disciplina di accesso all’albo, ma, per sopperire alla grave carenza di segretari, detterebbe per un limitato periodo di tempo una regolamentazione transitoria e dalla portata semplificatoria.
Motivi della decisione
l.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 1 e 3 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022, recanti disposizioni concernenti, rispettivamente, il numero massimo di mandati consecutivi dei sindaci e l’iscrizione alla sezione regionale dell’albo dei segretari provinciali e comunali.
2.- La prima delle due disposizioni impugnate modifica la precedente legge reg. Sardegna n. 4 del 2012, inserendovi l’art. 1-bis, che consente ai sindaci dei comuni con popolazione fino a tremila abitanti un numero massimo di quattro mandati consecutivi, e permette lo svolgimento di un massimo di tre mandati consecutivi ai sindaci dei comuni con popolazione fino a cinquemila abitanti.
Nella Regione autonoma Sardegna, prima dell’introduzione della disposizione impugnata, vigeva l’art. 1, comma 17, della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), in forza del quale, «[i]n attesa della disciplina organica regionale dell’ordinamento degli enti locali, in deroga a quanto previsto dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), articolo 51, comma 2, nei comuni sardi aventi popolazione sino a 3.000 abitanti» erano «consentititi al sindaco tre mandati consecutivi».
Questa disposizione è stata abrogata dall’art. 2 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022.
Secondo il ricorrente, l’impugnato art. 1 di quest’ultima legge violerebbe gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera p), Cost., l’art. 3, lettera b), dello statuto speciale, nonché il principio costituzionale di parità di accesso alle cariche elettive. Infatti, per i sindaci dei comuni considerati, essa fissa un numero massimo di mandati consecutivi diverso da quello previsto dalla legislazione statale. Quest’ultima conterrebbe norme fondamentali di riforma economico-sociale e comunque «principi generali dell’ordinamento costituzionale», costituenti limite inderogabile alla potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni.
Ad avviso dell’Avvocatura generale, questi principi sarebbero posti a presidio, da un lato, della necessaria uniformità di disciplina degli organi di governo degli enti locali sull’intero territorio nazionale, e, dall’altro, della stessa «democraticità dell’ordinamento degli enti locali sotto il profilo del necessario periodico ricambio della classe dirigente».
Più in particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta che la disposizione regionale differisca, sia dalla disciplina statale vigente al momento della sua entrata in vigore (12 aprile 2022) - recata dal combinato disposto dell’art. 51 TUEL e dell’art. 1, comma 138, della legge n. 56 del 2014 – in forza della quale i sindaci dei comuni fino a tremila abitanti potevano svolgere tre mandati consecutivi e i sindaci degli altri comuni due; sia dalla disciplina statale recata dall’odierno art. 51 TUEL (in vigore dal 14 maggio 2022), in forza del quale i sindaci dei comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti possono svolgere tre mandati consecutivi e i sindaci degli altri comuni due.
3.– Nell’atto di costituzione della Regione resistente si afferma che il ricorrente non avrebbe invocato il parametro dell’art. 51 Cost.
Se così fosse, la disposizione regionale censurata non potrebbe essere scrutinata alla luce del principio costituzionale di parità di accesso alle cariche elettive, ma l’affermazione della resistente non corrisponde al tenore del ricorso. Invero, le censure statali, considerate complessivamente (tra le tante, sentenze n. 242 del 2022, n. 281 del 2020 e n. 272 del 2020), si incentrano proprio sulla necessità, per le autonomie speciali, di rispettare il principio di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive. Del resto, il ricorso, conformemente alla delibera del Consiglio dei ministri di autorizzazione all’impugnazione, contiene ampie citazioni della giurisprudenza costituzionale in materia, che si riferiscono con evidenza, anche testualmente, all’art. 51 Cost., in collegamento con l’art. 3 Cost.
La disposizione costituzionale in parola, nonché il principio da essa stabilito, sono dunque parte del thema decidendum sottoposto a questa Corte.
4.- La Regione resistente solleva, inoltre, due eccezioni d’inammissibilità.
La prima, basata sulla presunta assertività delle affermazioni contenute nel ricorso e sul difetto di motivazione, attiene alle modalità con le quali l’Avvocatura generale dello Stato avrebbe evocato gli artt. 1 e 114 Cost.
Si tratta, tuttavia, di un’eccezione mal posta: gli artt. 1 e 114 Cost. non sono stati richiamati quali parametri costituzionali a supporto di una censura distinta e autonoma dalle altre, bensì a corredo delle argomentazioni che il ricorso incentra sulla violazione del principio contenuto nell’art. 51 Cost. I due parametri in questione, infatti, secondo il ricorrente, sarebbero a loro volta espressivi del principio di «democraticità dell’ordinamento degli enti locali sotto il profilo del necessario periodico ricambio della classe dirigente». Ed è tale principio, in questa prospettazione, a reggere la censura, poiché esso illuminerebbe la ratio del limite al numero dei mandati consecutivi dei sindaci, che non potrebbe essere diversamente regolato dalle autonomie speciali, a pena di violazione, appunto, dell’art. 51 Cost.
Con la seconda eccezione, la Regione autonoma Sardegna lamenta la genericità e l’apoditticità della censura relativa all’ampliamento della sfera dei comuni ai cui sindaci sono consentiti tre mandati. Il ricorrente si duole della circostanza che la disposizione impugnata consenta i tre mandati consecutivi ai sindaci dei comuni con popolazione «fino a 5000 abitanti», anziché, come previsto dalla legge statale, ai sindaci dei comuni con popolazione «inferiore a 5000 abitanti». La resistente obietta che il ricorso «non tiene conto del contesto fattuale di riferimento», poiché, al momento dell’adozione della legge regionale impugnata non vi sarebbero stati Comuni sardi con popolazione pari a cinquemila abitanti.
Anche questa eccezione non è fondata, perché la censura è chiara nel denunziare il discostarsi della legge regionale da quella statale, ritenuta espressiva di un «principio generale dell’ordinamento costituzionale» in grado di imporsi alle regioni a statuto speciale. Da questo punto di vista, la eventuale marginalità dello scostamento, che la Regione resistente deduce, potrebbe, al più, rilevare per la valutazione del merito della censura, ma non quale ragione di inammissibilità.
5.- Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022 è fondata, per violazione dell’art. 3, lettera b), dello statuto speciale e degli artt. 3 e 51 Cost.
6.- La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ricondotto la disciplina che regola – nelle regioni ad autonomia speciale – le elezioni degli enti locali, e le relative ineleggibilità e incompatibilità, alla competenza statutaria in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni (quanto alla disciplina elettorale: sentenze n. 168 del 2018, n. 48 del 2003, n. 230 del 2001, n. 84 del 1997, n. 96 del 1968 e n. 105 del 1957; quanto a quella in tema di ineleggibilità e incompatibilità: sentenze n. 283 del 2010, n. 288 del 2007, n. 189 del 1971 e n. 108 del 1969). Alla stessa materia sono state altresì ascritte le disposizioni che pongono un limite ai mandati consecutivi alla carica di assessore (sentenza n. 133 del 1997).
Si tratta, in particolare per quanto riguarda la Regione autonoma Sardegna, di una competenza statutaria da esercitarsi «[i]n armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» (così, l’art. 3 dello statuto speciale).
Intervenendo sui limiti che le regioni ad autonomia speciale incontrano nel disciplinare la materia elettorale e le cause di ineleggibilità e incompatibilità alle cariche elettive, sia locali sia regionali, questa Corte ha particolarmente insistito sul necessario rispetto del principio di eguaglianza sancito, quanto al diritto di elettorato passivo, dall’art. 51, primo comma, Cost., secondo cui «[t]utti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge».
Si è così affermato che la potestà legislativa primaria delle regioni ad autonomia speciale deve «svolgersi in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, nonché delle altre disposizioni dello statuto (da ultimo, sentenza n. 143 del 2010). Di modo che l’esercizio del potere legislativo anche da parte delle Regioni a statuto speciale in ambiti, pur ad esse affidati in via primaria, che concernano la ineleggibilità e la incompatibilità alle cariche elettive, incontra necessariamente il limite del rispetto del principio di eguaglianza specificamente sancito in materia dall’art. 51 Cost.» (sentenza n. 277 del 2011).
Si è altresì precisato che «il riconoscimento di tali limiti non vuol dire disconoscere la potestà legislativa primaria di cui è titolare la Regione, ma significa tutelare il fondamentale diritto di elettorato passivo, trattandosi “di un diritto che, essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la Regione o il luogo di appartenenza” (cfr. ex plurimis sentenza n. 235 del 1988)» (sentenza n. 143 del 2010; in termini, sentenze n. 288 del 2007, n. 539 del 1990 e n. 189 del 1971).
Si è anche sottolineato, con specifico riferimento all’accesso alle cariche elettive locali, che questa uniformità di disciplina è intimamente connessa all’identità di interessi che comuni e province rappresentano riguardo alle rispettive comunità locali, qualunque sia la regione in cui gli enti locali si trovino (sentenze n. 288 del 2007 e n. 539 del 1990).
Su queste basi, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime sia la introduzione di «nuove o diverse cause di ineleggibilità […], sia la previsione come causa di ineleggibilità di situazioni previste a livello nazionale come cause di incompatibilità o di anomale discipline della incompatibilità […], sia la mancata previsione di cause di ineleggibilità presenti nella legislazione statale» (sentenza n. 288 del 2007; in termini identici, sentenze n. 539 del 1990 e n. 189 del 1971).
Questa Corte ha anche chiarito che alla specifica esigenza di uniformità, così affermata, le regioni a statuto speciale possono derogare solo in presenza di «particolari situazioni ambientali» (sentenza n. 283 del 2010) o «condizioni peculiari locali» (sentenze n. 143 del 2010 e n. 276 del 1997), o «condizioni locali del tutto peculiari o eccezionali» (sentenza n. 539 del 1990), ossia «in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive» per la regione ad autonomia speciale, «ovvero si presentino diverse, messe a raffronto con quelle proprie delle stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale» (sentenza n. 288 del 2007; in termini identici, sentenza n. 108 del 1969), o, ancora, «solo per particolari categorie di soggetti che siano esclusive della Regione» (sentenza n. 189 del 1971).
A tale stregua, sono state eccezionalmente ritenute costituzionalmente legittime discipline d’accesso alle cariche elettive locali della Regione Siciliana più restrittive di quella nazionale, in ragione delle «peculiari condizioni dell’amministrazione locale siciliana, caratterizzata da fenomeni particolarmente gravi di pressione della criminalità organizzata sulle amministrazioni pubbliche» e del «numero e gravità di episodi di illegalità amministrativa riscontrati in tale ambito» (sentenza n. 288 del 2007); ovvero in ragione delle «rilevate connessioni fra criminalità di tipo mafioso e ambiente politico», nello «specifico ambiente» del mercato del lavoro siciliano (sentenza n. 539 del 1990; in termini analoghi, con riferimento alle cariche elettive regionali, sentenza n. 127 del 1987).
7.– Alla competenza fin qui considerata sono ovviamente riconducibili anche le disposizioni, quale quella impugnata, che pongono un limite ai mandati consecutivi dei sindaci: ma la questione centrale posta dal ricorso odierno è se la normativa statale in materia, invocata dal ricorrente, sia idonea a riempire di contenuto il principio di cui all’art. 51 Cost., fungendo così da limite alla menzionata competenza.
La risposta deve essere positiva.
Non solo non sono convincenti, come si dirà, le motivazioni addotte dalla Regione resistente per sottrarre la disposizione impugnata allo specifico statuto costituzionale cui soggiace la generale disciplina regionale d’accesso alle cariche elettive locali; ma gli argomenti per ricondurla entro tale regime risultano particolarmente stringenti.
Infatti, come emergerà anche all’esito della ricognizione dell’evoluzione normativa riferita al limite ai mandati consecutivi dei sindaci, alla luce della giurisprudenza comune che ne ha ricostruito le rationes, il limite in questione incide sulle condizioni di accesso alla carica apicale dell’ente locale, con rilevanti ricadute sull’assetto complessivo dell’ente medesimo, e individua un punto di equilibrio tra plurime esigenze di rilievo costituzionale.
Per tali ragioni, anche le disposizioni come quella impugnata devono essere conformi «ai principi della legislazione statale, a causa della esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale […] giacché proprio il principio di cui all’art. 51 Cost. svolge il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell’inviolabilità (ex art. 2 Cost.: sentenze n. 25 del 2008, n. 288 del 2007 e n. 539 del 1990)» (sentenza n. 277 del 2011).
7.1– Il legislatore statale ha per la prima volta introdotto un limite al numero dei mandati consecutivi dei sindaci (e dei presidenti delle province) con l’art. 2 della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale).
Dopo avere stabilito, al comma 1, che «[i]l sindaco e il consiglio comunale, il presidente della provincia e il consiglio provinciale durano in carica per un periodo di quattro anni», la disposizione prevedeva infatti, al comma 2, che chi «ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche».
Successivamente, l’art. 51 TUEL - innalzando a cinque anni la durata del mandato del sindaco, del Consiglio comunale, del presidente della provincia e del Consiglio provinciale (comma 1) – ha ribadito la regola del divieto del terzo mandato consecutivo (comma 2), ammettendolo, tuttavia, «se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie» (comma 3).
L’art 1, comma 138, della legge n. 56 del 2014 ha poi previsto che «[a]i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti non si applicano le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 51 del testo unico; ai sindaci dei medesimi comuni è comunque consentito un numero massimo di tre mandati».
Dopo che, negli anni successivi, diversi disegni di legge volti alla modifica dell’art. 51 TUEL non erano stati portati a compimento, nel 2018 (nel corso della XVIII legislatura) veniva presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge, avente ad oggetto «Modifiche al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e altre disposizioni in materia di status e funzioni degli amministratori locali, di semplificazione dell’attività amministrativa e di finanza locale» (A.C. n. 1356), a cui, in fase di esame, venivano abbinate ulteriori proposte di legge.
Nella versione originaria, questo progetto di legge prevedeva la possibilità di un terzo mandato consecutivo per i sindaci dei comuni con popolazione da cinquemila a quindicimila abitanti, e nessun limite per i sindaci dei comuni al di sotto dei cinquemila.
Nel corso dei lavori parlamentari, tuttavia, una serie di emendamenti modificava alquanto il testo originario del progetto, diminuendone significativamente la portata ampliativa. Così modificato, il testo veniva approvato definitivamente dal Senato della Repubblica il 5 aprile 2022, divenendo legge n. 35 del 2022.
Quest’ultima, per quanto qui rileva, all’art. 3, rubricato «Disposizioni concernenti la limitazione del mandato dei sindaci nei comuni di minori dimensioni», ha modificato il comma 2 dell’art. 51 TUEL (comma 1) e ha abrogato il comma 138 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014 (comma 2).
A seguito di tali modifiche, la nuova formulazione dell’art. 51, comma 2, TUEL prevede, a decorrere dal 14 maggio 2022, il limite di tre mandati consecutivi per i sindaci dei comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti e il limite di due per gli altri (ferma restando per quest’ultimi, ai sensi del comma 3, la possibilità di un terzo mandato consecutivo se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie).
Il vigente art. 51, comma 2, TUEL, inoltre, qualifica il pregresso svolgimento dei (due o tre) mandati consecutivi non più come causa di ineleggibilità, ma come causa di “incandidabilità”, con la conseguenza che essa è rilevabile prima dello svolgimento delle elezioni ad opera della commissione elettorale.
7.2.- È comunemente riconosciuto che il limite ai mandati consecutivi dei sindaci (e dei presidenti di provincia), introdotto con la legge n. 81 del 1993, è stato pensato quale temperamento “di sistema” rispetto alla contestuale introduzione della loro elezione diretta (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 24 febbraio 2021, n. 5060, nonché sentenze, 4 dicembre 2012, n. 21685, 5 giugno 2007, n. 13181, e 3 agosto 2002, n. 11661). In effetti, la previsione di un tale limite si presenta quale «punto di equilibrio tra il modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo a una sola persona che ne deriva»: sistema che può produrre «effetti negativi anche sulla par condicio delle elezioni successive, suscettibili di essere alterate da rendite di posizione» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 9 giugno 2008, n. 2765).
Ciò appare vero «soprattutto nei livelli di governo locale, data la prossimità tra l’eletto e la comunità, onde il rischio di una sorta di regime da parte del primo in caso di successione reiterata nelle funzioni di governo nell’ambito di quest’ultima» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 29 marzo 2013, n. 7949; in termini, Consiglio di Stato, sezione prima, parere 1° febbraio 2016, n. 179).
In generale, come afferma la giurisprudenza di legittimità (in relazione al divieto del terzo mandato consecutivo per i comuni con popolazione non inferiore a cinquemila abitanti), il limite in parola ha lo scopo di tutelare «il diritto di voto dei cittadini, che viene in questo modo garantito nella sua libertà, e l’imparzialità dell’amministrazione, impedendo la permanenza per periodi troppo lunghi nell’esercizio del potere di gestione degli enti locali, che possono dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 26 marzo 2015, n. 6128; in termini, sezione prima civile, sentenza 6 dicembre 2007, n. 25497); serve a «favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale ed evitare la soggettivizzazione dell’uso del potere dell’amministratore locale» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 12 febbraio 2008, n. 3383, e 20 maggio 2006, n. 11895), o, ancora, a «evitare fenomeni di sclerotizzazione della situazione politico amministrativa locale» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 9 ottobre 2007, n. 21100).
8.- Attraverso l’art. 51, comma 2, TUEL, il legislatore statale ha ritenuto di introdurre una limitazione al diritto di elettorato passivo giustificata dal concorrere di ulteriori interessi, tutti parimenti meritevoli di considerazione.
La previsione del numero massimo dei mandati consecutivi – in stretta connessione con l’elezione diretta dell’organo di vertice dell’ente locale, a cui fa da ponderato contraltare – riflette infatti una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali.
Tali ulteriori interessi costituzionali sono destinati ad operare in armonia con il principio presidiato dall’art. 51 Cost., in base ad uno specifico punto di equilibrio la cui individuazione deve essere lasciata nelle mani del legislatore statale.
D’altronde, è proprio l’art. 51 Cost. – nel dare compiuta declinazione all’art. 3 Cost., e dunque sancendo il principio di uguaglianza nell’accesso alle cariche elettive – a reclamare una regolamentazione unitaria su tutto il territorio nazionale. Ed è il legislatore statale a trovarsi nelle migliori condizioni per stabilire i contorni di tale regolamentazione, e per apprezzare, sempre unitariamente, eventuali esigenze che suggeriscano di modificare il punto di equilibrio raggiunto, come del resto ha fatto anche di recente, aumentando, per i comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, il numero dei mandati consecutivi consentiti.
Per quanto possa risultare ovvio, non si deve inoltre trascurare che la scelta compiuta dal legislatore nazionale nel fissare il numero massimo in questione va apprezzata nella sua complessiva declinazione temporale, attualmente articolata su mandati quinquennali: di talché, il limite temporale di permanenza in carica di un sindaco (o di un presidente di provincia) si ricava dal numero dei mandati consecutivi consentiti, moltiplicato per la durata di ciascun mandato. Questo evidenzia come l’alterazione del punto di equilibrio stabilito a livello statale, pur riguardando il numero dei mandati consecutivi (di per sé solo poco espressivo), in realtà modifica ampiamente il periodo della possibile, ininterrotta, durata in carica del sindaco (o presidente di provincia), ingenerando scostamenti quantitativi di notevole rilievo.
9.- Nel consentire un numero massimo di quattro mandati consecutivi ai sindaci dei comuni con popolazione fino a tremila abitanti e un numero massimo di tre mandati consecutivi ai sindaci dei comuni con popolazione fino a cinquemila abitanti, la disposizione regionale impugnata differisce dunque:
a) dalla disciplina statale vigente al momento della sua entrata in vigore (12 aprile 2022), recata dal combinato disposto dell’art. 51, comma 2, TUEL e dell’art. 1, comma 138, della legge n. 56 del 2014, in forza della quale i sindaci dei comuni fino a tremila abitanti potevano svolgere tre mandati consecutivi e i sindaci degli altri comuni due;
b) dalla disciplina statale recata dall’odierno art. 51, comma 2, TUEL (in vigore dal 14 maggio 2022), in forza della quale i sindaci dei comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti possono svolgere tre mandati consecutivi e i sindaci degli altri comuni due.
10.– Discostandosi da quanto stabilito da quest’ultima, la disposizione impugnata viola il principio di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive di cui agli artt. 3 e 51 Cost., come sopra ricostruito, e, così facendo, eccede i limiti posti dallo statuto alla competenza primaria della Regione autonoma Sardegna.
Non può condividersi la tesi della resistente, secondo cui la diversa regolamentazione da essa prevista si giustificherebbe in ragione delle «peculiari condizioni dei Comuni dell’Isola», quali descritte, originariamente, nella relazione illustrativa della legge regionale impugnata (n. 314/A del 25 febbraio 2022)
Tali peculiari condizioni consisterebbero nella «necessità di consentire all’elettorato di poter confermare alla guida dei rispettivi comuni figure esperte che possano garantire la continuità dell’azione amministrativa, con particolare riferimento ai procedimenti e alle azioni relative alla realizzazione del PNRR», e nella «difficoltà a reperire candidati alla carica di Sindaco», in ragione di fattori quali lo «spopolamento, la densità demografica tra le più basse d’Italia, il livello di perifericità dei territori rispetto alla rete di centri urbani e rispetto all’accesso ai servizi» (così, la menzionata relazione illustrativa).
Quanto al primo rilievo, la «necessità» di confermare alla guida dei piccoli paesi «figure esperte» è un’esigenza legata non a peculiari condizioni dei comuni sardi, ma, più in generale, al valore della continuità dell’azione politica ed amministrativa, che può essere invocato trasversalmente per tutte le amministrazioni locali di ogni parte del territorio nazionale, e che il legislatore, sia statale che regionale, ha deciso, come si è visto, di contemperare con l’opposta esigenza di favorire forme di ricambio della classe politica.
Nemmeno lo scarso numero o l’assenza di candidature nei comuni poco popolosi e “periferici” potrebbero rilevare, ai fini che qui interessano, quali peculiari condizioni locali.
Simili condizioni, infatti, sono comuni a molte, se non a tutte, le regioni italiane, e dipendono da un insieme complesso di ragioni (storiche, normative, sociologiche, geografiche et cetera), come si evince dagli stessi atti parlamentari che hanno portato, con disposizione di uniforme efficacia sul territorio nazionale, alla ricordata, recente modifica dell’art. 51 TUEL.
Si legge, in questi, che i comuni «con abitanti fino a 5.000 sono quasi 6.000 in Italia - circa il 70 per cento dei comuni - e governano più della metà del territorio nazionale». Inoltre, «come è noto, vi è sempre più difficoltà a trovare figure di candidati in questi comuni, per criticità legate alla responsabilità, all’indennità, alla carenza di personale e, non da ultimo, allo spopolamento […]. Consentire, in questo caso, il terzo mandato significa affrontare con realismo la situazione che viviamo ogni giorno sui territori» (Atti parlamentari, XVIII legislatura, Camera dei deputati, seduta n. 590 dell’8 novembre 2021).
Ciò conferma quanto già affermato, ovvero che è il legislatore statale – nel porre disposizioni che assumono il ruolo di principi – a dover unitariamente individuare il punto di equilibrio tra tutti i diritti e gli interessi in considerazione, e a poter meglio apprezzare le esigenze che inducano a modificarne i contenuti.
11.- Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022 per violazione dell’art. 3, lettera b), dello statuto speciale e degli artt. 3 e 51 Cost., con assorbimento della censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.
12.- La seconda disposizione impugnata (art. 3 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022) prevede che, al fine di sopperire con urgenza alla carenza di segretari comunali iscritti alla sezione regionale dell’albo, nelle more di una riforma regionale dell’ordinamento dei segretari comunali e provinciali, e comunque non oltre il 31 dicembre 2024, in deroga alle ordinarie modalità di accesso all’albo stesso, sono iscritti, su richiesta, alla citata sezione regionale gli istruttori direttivi e i funzionari di ruolo dei comuni e delle province della Sardegna, purché in possesso dei diplomi di laurea in giurisprudenza o economia e commercio o scienze politiche, e purchè ricoprano o abbiano ricoperto alla data di entrata in vigore della disposizione l’incarico di vicesegretario.
Secondo il ricorrente, la disposizione violerebbe molteplici parametri costituzionali.
Essa si porrebbe innanzitutto in contrasto con l’art. 97, commi primo e terzo, Cost., perché consentirebbe l’iscrizione all’albo segretariale di soggetti che non hanno sostenuto lo specifico concorso previsto dalla legge statale; inoltre, colliderebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera f), Cost., perché, essendo i segretari funzionari statali ed essendo «pacifico […] che la disciplina delle modalità di accesso ad una funzione statale fa parte integrante della disciplina organizzativa dei relativi uffici», spetterebbe allo Stato, nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di ordinamento degli uffici statali, la regolamentazione dell’accesso al ruolo; violerebbe poi l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., perché il segretario comunale svolgerebbe un complesso insieme di funzioni al servizio dell’ente locale, con conseguente competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di organi di governo e funzioni fondamentali degli enti locali; violerebbe, altresì, l’art. 3, lettera b), dello statuto speciale, poiché l’unitarietà della figura del segretario comunale su tutto il territorio nazionale sarebbe un principio fondamentale dell’ordinamento, costituente limite alla competenza primaria della Regione autonoma Sardegna in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni; contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché l’iscrizione all’albo sarebbe un «presupposto» per la stipulazione del contratto di lavoro tra il segretario e l’ente locale e inciderebbe, quindi, sulla loro capacità di agire, con conseguente ascrivibilità della disposizione alla materia dell’ordinamento civile; infine, sarebbe in conflitto con gli artt. 3 e 51, primo comma, Cost., «sotto il profilo dell’uguaglianza e del diritto di accedere ai pubblici uffici in condizioni di parità», poiché determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti degli iscritti alle altre sezioni regionali dell’albo, e comunque dei dipendenti degli enti locali delle altre regioni, ai quali e` preclusa analoga possibilità di iscrizione agevolata.
13.- La questione è fondata, per violazione dell’art. 3, lettera b), dello statuto speciale e degli artt. 3, 51 e 97 Cost.
14.- Nel prevedere - nelle more di una riforma regionale dell’ordinamento dei segretari comunali e provinciali e comunque non oltre il 31 dicembre 2024 - una modalità di accesso alla sezione regionale dell’albo dei segretari comunali e provinciali derogatoria rispetto a quella ordinaria, la disposizione impugnata è riconducibile alla competenza legislativa in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni, «competenza capace di estendersi, come già riconosciuto da questa Corte (sentenza n. 132 del 2006), alla disciplina del relativo personale» (sentenza n. 95 del 2021; nello stesso senso, sentenza n. 167 del 2021).
Tale competenza, come ricordato, deve pur sempre operare «in “armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica”, sia che si vogliano disciplinare le modalità di instaurazione dei rapporti di lavoro sia che si intendano dettare norme in tema di status del personale dipendente» (così, ancora, la citata sentenza n. 95 del 2021).
15.- Così non avviene nel caso di specie.
L’art. 3 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022 viola, in primo luogo, il principio del pubblico concorso, espressamente invocato dal ricorrente (senza che pertanto rilevi, contrariamente a quanto eccepito dalla resistente, l’erronea indicazione dei commi primo e terzo dell’art. 97 Cost., in luogo del quarto).
La disposizione impugnata, infatti, consente l’iscrizione alla sezione regionale dell’albo dei segretari comunali e provinciali degli istruttori direttivi e dei funzionari di ruolo dei comuni e delle province della Sardegna al solo ricorrere delle condizioni del possesso del titolo di studio della laurea in giurisprudenza o economia e commercio o scienze politiche e, in virtù dello svolgimento, anche pregresso, alla data di entrata in vigore della legge, dell’incarico di vicesegretario.
L’iscrizione è quindi consentita in assenza della dovuta procedura concorsuale, strumento necessario per garantire l’imparzialità, il buon andamento della pubblica amministrazione (sentenze n. 227 e n. 195 del 2021, n. 199 e n. 36 del 2020, e n. 225 del 2010) e l’accesso in condizioni di eguaglianza ai pubblici uffici (sentenze n. 250 e n. 227 del 2021, e n. 293 del 2009).
Non vale ad escludere la violazione del principio in parola il rilievo, svolto dalla Regione resistente, secondo cui la disposizione impugnata introdurrebbe, al fine, pur apprezzabile, di sopperire alla grave carenza di segretari, una «regolamentazione» dalla «portata semplificatoria» e «transitoria», tant’è che essa avrebbe stabilito un limite temporale di applicazione, ossia il 31 dicembre 2024.
In primo luogo, infatti, tale limite temporale è riferito solo alla possibilità, per i soggetti considerati, di iscriversi all’albo, non già alla durata dell’iscrizione: quest’ultima, in difetto di previsione contraria, non può quindi considerarsi temporanea (anche a non voler considerare che, nella citata sentenza n. 95 del 2021, questa Corte ha comunque escluso che «l’eventuale temporaneità» dell’iscrizione possa «restituire razionalità» a un simile meccanismo di reclutamento).
In secondo luogo, la stessa sentenza n. 95 del 2021 ha ricordato che già il legislatore statale si è premurato di far fronte alle carenze di organico che preoccupano il legislatore regionale, prevedendo procedure semplificate di svolgimento del concorso nazionale per segretari, da ultimo confermate dall’art. 6-bis del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante «Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia», come convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2021, n. 113, e poi dall’art. 12-bis del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25.
16.- L’art. 3 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022 viola, poi, il principio dell’accesso in condizione di eguaglianza agli uffici pubblici, di cui agli artt. 3 e 51 Cost. Ciò, a causa della «irragionevole sottoposizione alla medesima disciplina di “possessori di titoli abilitativi di valenza oggettivamente diversa”» (sentenza n. 95 del 2021), dal momento che nella sezione regionale dell’albo per segretari comunali e provinciali sono iscritti, sia i soggetti che hanno superato il corso concorso nazionale, sia – per effetto proprio della disposizione impugnata – gli istruttori direttivi e i funzionari di ruolo dei comuni e delle province della Sardegna che quel concorso non hanno superato.
17.- Sulla base di questi rilievi, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 3 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2022 per violazione dell’art. 3, lettera b), dello statuto speciale e degli artt. 3, 51 e 97 Cost., con assorbimento delle restanti censure.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge della Regione Sardegna 11 aprile 2022, n. 9 (Interventi vari in materia di enti locali della Sardegna. Modifiche alla legge regionale n. 4 del 2012 e alla legge regionale n. 3 del 2009).