La Consulta ha dichiarato incostituzionale il riferimento dell'improcedibilità ex art. 72-bis c.p.p. alle sole malattie mentali, anziché a qualunque stato psico-fisico che impedisce all'imputato di partecipare attivamente al processo.
Corte costituzionale, sentenza (ud. 23 febbraio 2023) 7 aprile 2023, n. 65
Svolgimento del processo
1.– Con ordinanza del 2 dicembre 2021, iscritta al n. 27 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Lecce, sezione seconda penale, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 72-bis del codice di procedura penale, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, «nella parte in cui non prevede che il [g]iudice dichiari non doversi procedere nei confronti dell’imputato, anche nei casi in cui la sua irreversibile incapacità di partecipare coscientemente al processo discenda da patologie fisiche e non mentali».
In via subordinata, il Tribunale di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 159, ultimo comma, del codice penale, sempre per violazione dell’art. 3 Cost., «nella parte in cui non prevede che la sospensione del decorso della prescrizione, nel caso in cui dipenda da sospensione del processo per impossibilità di procedere in assenza dell’imputato, non operi anche nelle ipotesi in cui tale sospensione sia imposta dall’impossibilità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo».
1.1.– Il rimettente espone di dover giudicare, per un’imputazione relativa a reati edilizi, una persona affetta da grave malattia fisica (SLA), che ne ha progressivamente determinato la paralisi, privandola dell’uso del linguaggio e della stessa autonomia respiratoria.
Il giudice a quo informa che fin dal maggio del 2016 il processo è stato rinviato per legittimo impedimento, ai sensi dell’art. 420-ter cod. proc. pen., in attesa della cessazione della patologia, ma che le evidenze sanitarie ne hanno ormai attestato l’irreversibilità.
1.2.– Ricorrerebbe quindi una situazione analoga a quella che giustifica la definizione per improcedibilità di cui all’art. 72-bis cod. proc. pen., norma tuttavia espressamente dettata per l’incapacità processuale dell’imputato derivante da patologia mentale, quindi insuscettibile di applicazione all’incapacità irreversibile causata da patologia fisica.
Ad avviso del rimettente, ciò si risolverebbe in una violazione dell’art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento tra fattispecie connotate dalla medesima esigenza, far cessare cioè un processo che, destinato a non essere mai celebrato, assorbe inutilmente risorse pubbliche e altrettanto inutilmente infligge all’imputato una «sofferenza psicologica aggiuntiva a quella derivante da una situazione di salute già compromessa».
1.3.– In ordine alla questione subordinata, il giudice a quo osserva che, poiché il legittimo impedimento dell’imputato a comparire all’udienza costituisce motivo di sospensione del corso della prescrizione a norma dell’art. 159, primo comma, numero 3), cod. pen., nella specie, attesa l’irreversibilità dell’impedimento, la prescrizione non maturerà mai, «ed il processo è quindi destinato a durare sino a che, con la morte dell’imputato, non si estinguerà il reato».
A parere del rimettente, ciò comporterebbe un’irrazionale disparità di trattamento rispetto al caso della sospensione del processo per assenza dell’imputato di cui all’art. 420-quater cod. proc. pen., ipotesi nella quale, per effetto del richiamo contenuto nell’art. 159, ultimo comma, cod. pen., la sospensione della prescrizione non può superare il limite fissato dall’art. 161, secondo comma, cod. pen.
1.4.– Circa la rilevanza delle questioni, il rimettente assume che, ove fosse accolta la principale, il giudizio a quo andrebbe definito per improcedibilità ai sensi dell’art. 72-bis cod. proc. pen.; ove viceversa fosse accolta la subordinata, i reati contravvenzionali oggetto dell’imputazione risulterebbero prescritti, anche tenendo conto del termine massimo di prescrizione aumentato del periodo di sospensione, nel limite stabilito dal combinato disposto degli artt. 159, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen.
L’ordinanza di rimessione prospetta tuttavia l’eventualità di un’«armonizzazione per disposizione di legge», con riferimento all’art. l, comma 7, lettera e), della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari).
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni inammissibili o non fondate.
2.1.– L’inammissibilità discenderebbe dalla molteplicità delle soluzioni normative astrattamente ipotizzabili, la selezione delle quali apparterrebbe alla discrezionalità del legislatore (si evoca in tal senso il precedente di cui alla sentenza di questa Corte n. 23 del 2013).
2.2.– La non fondatezza deriverebbe dall’eterogeneità tra infermità mentale e infermità fisica, differenza segnalata da questa Corte in pregresse decisioni su questioni analoghe all’odierna principale (viene citata, in particolare, l’ordinanza n. 243 del 2013).
Infatti, mentre l’infermità psichica impedirebbe la comprensione degli eventi processuali e l’assunzione cosciente delle scelte difensive, l’infermità fisica non inciderebbe sull’autodeterminazione dell’imputato, che potrebbe quindi consapevolmente orientarsi, anche permettendo che il giudizio si celebri in absentia, ove stimi tale opzione per sé conveniente.
Sulla questione sollevata in via subordinata, l’Avvocatura considera altresì non pertinente, riguardo a una causa di sospensione della prescrizione, il richiamo dei limiti di durata stabiliti dall’art. 161, secondo comma, cod. pen., che viceversa atterrebbero al diverso istituto dell’interruzione della prescrizione.
Motivi della decisione
1.– Il Tribunale di Lecce censura l’art. 72-bis cod. proc. pen. e, in subordine, l’art. 159, ultimo comma, cod. pen., sollevando, per entrambe le disposizioni, una questione di violazione dell’art. 3 Cost.
Ad avviso del rimettente, la norma del codice di rito violerebbe il principio di uguaglianza nel prescrivere che il giudice pronunci sentenza di improcedibilità solo quando l’imputato non possa coscientemente partecipare al processo per patologie mentali irreversibili e non anche quando l’incapacità processuale derivi da altrettanto irreversibili patologie fisiche.
Dal canto suo, l’art. 159, ultimo comma, cod. pen. (nel testo applicabile ratione temporis) violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto non estende a favore dell’imputato affetto da una siffatta patologia fisica il limite massimo di durata della sospensione del corso della prescrizione viceversa fissato riguardo all’ipotesi della sospensione del processo per assenza.
1.1.– Il Tribunale rimettente riferisce che nel giudizio principale è imputata per reati edilizi una persona affetta da SLA, malattia che ne ha progressivamente determinato la paralisi, l’incapacità di parlare e finanche di respirare in autonomia, sicché, dal maggio del 2016 in avanti, il processo è sempre stato rinviato per legittimo impedimento.
L’impossibilità di emettere la sentenza di improcedibilità ex art. 72-bis cod. proc. pen. in ragione della natura fisica e non mentale dell’infermità si risolverebbe in un’irragionevole disparità di trattamento, ricorrendo anche in tale fattispecie l’esigenza di far cessare un processo destinato a non essere mai celebrato, che assorbe inutilmente risorse pubbliche e inutilmente infligge all’imputato infermo una «sofferenza psicologica aggiuntiva».
La mancata estensione a tale ipotesi del limite di durata della sospensione della prescrizione avrebbe poi l’irrazionale conseguenza che per l’imputato impossibilitato a partecipare al processo a causa di un’infermità fisica irreversibile, diversamente che per l’imputato assente, la prescrizione non maturerà mai, «ed il processo è quindi destinato a durare sino a che, con la morte dell’imputato, non si estinguerà il reato».
1.2.– Le questioni sarebbero entrambe rilevanti, in quanto, ove fosse accolta la principale, dovrebbe emettersi sentenza di improcedibilità ai sensi dell’art. 72-bis cod. proc. pen. e, ove invece fosse accolta la subordinata, andrebbero dichiarati estinti per prescrizione i reati contravvenzionali oggetto dell’imputazione.
2.– Intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto dichiararsi le questioni sollevate inammissibili o non fondate.
L’inammissibilità scaturirebbe dalla natura discrezionale delle opzioni normative configurabili per ovviare ai problemi evidenziati dal rimettente.
La non fondatezza deriverebbe dall’eterogeneità tra infermità mentale e infermità fisica, tale da escludere che alla seconda sia estensibile quanto previsto per la prima dall’art. 72-bis cod. proc. pen., come pure sarebbe inestensibile alla sospensione del processo e della prescrizione per infermità fisica dell’imputato il limite massimo stabilito dall’art. 161 cod. pen. con riferimento al diverso istituto dell’interruzione della prescrizione.
3.– Lo scrutinio dell’eccezione di inammissibilità, e poi del merito delle questioni, richiede una breve illustrazione del quadro normativo, che peraltro, dopo l’ordinanza di rimessione, ha subito importanti modifiche ad opera del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari).
3.1.– Inserito dall’art. 1, comma 22, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), l’art. 72-bis cod. proc. pen. dispone che «[s]e, a seguito degli accertamenti previsti dall’articolo 70, risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca».
La disposizione va coordinata con quella del comma 2 dell’art. 345 cod. proc. pen., aggiunta dall’art. 1, comma 23, della medesima legge n. 103 del 2017, per cui l’azione penale è riproponibile «quando, dopo che è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere a norma dell’articolo 72-bis, lo stato di incapacità dell’imputato viene meno o si accerta che è stato erroneamente dichiarato».
3.2.– L’introduzione dell’art. 72-bis cod. proc. pen. segna il punto di arrivo della vicenda correntemente descritta dall’immagine degli “eterni giudicabili”, imputati cioè che, affetti da un’infermità mentale irreversibile, a causa di questa vedevano sospeso sine die, in uno al processo a loro carico, anche il corso della prescrizione del reato.
Per l’impostazione originaria del codice di rito, infatti, qualora dagli accertamenti peritali disposti a norma dell’art. 70 fosse risultato che lo stato mentale dell’imputato era tale da impedirne la cosciente partecipazione al processo, questo era sospeso ai sensi dell’art. 71, e tale restava, per effetto dell’art. 72, ove le ulteriori verifiche, da eseguire di regola ogni sei mesi, non avessero fatto emergere che lo stato mentale permetteva la ripresa del procedimento.
Atteso che l’art. 159 cod. pen. disponeva, in conseguenza della sospensione del processo, la sospensione della prescrizione fino al giorno in cui fosse cessata la causa sospensiva, nel caso dell’infermità mentale irreversibile si determinava la situazione stigmatizzata da questa Corte nella sentenza n. 23 del 2013: «[l]’indefinito protrarsi nel tempo della sospensione del processo – con la conseguenza della tendenziale perennità della condizione di giudicabile dell’imputato, dovuta all’effetto, a sua volta sospensivo, sulla prescrizione – presenta il carattere della irragionevolezza, giacché entra in contraddizione con la ratio posta a base, rispettivamente, della prescrizione dei reati e della sospensione del processo».
Per quanto la medesima sentenza avesse dichiarato inammissibile la questione sollevata nei confronti dell’art. 159 cod. pen. in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., per l’assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, essendo l’introduzione di una pronuncia di improcedibilità solo una «tra le numerose soluzioni ipotizzabili», essa conteneva uno stringente monito all’indirizzo del legislatore, rimasto però inascoltato.
Pertanto, questa Corte, con la sentenza n. 45 del 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 159 cod. pen., per contrasto con l’art. 3 Cost., «nella parte in cui, ove lo stato mentale dell’imputato sia tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e questo venga sospeso, non esclude la sospensione della prescrizione quando è accertato che tale stato è irreversibile».
Tale sentenza non aveva mancato di evidenziare come rimettere alla prescrizione il compito di limitare la durata del procedimento in ipotesi di infermità mentale irreversibile non fosse una soluzione «completamente appagante», specie per le imputazioni a lunga prescrizione, pur essendo quella l’unica soluzione rinvenibile da questa Corte nel quadro normativo dell’epoca.
Il conseguente inserimento dell’art. 72-bis cod. proc. pen. ha consentito di definire il processo a carico dell’infermo mentale irreversibile con una formula di rito, senza necessità di attendere l’estinzione del reato per prescrizione; nel contempo, per effetto della modifica apportata all’art. 71, comma 1, cod. proc. pen. dall’art. 1, comma 21, della legge n. 103 del 2017, la sospensione del procedimento è stata circoscritta all’ipotesi in cui lo stato mentale che impedisce all’imputato una partecipazione cosciente abbia carattere reversibile, solo in tal caso avendo senso mantenere aperto il processo, onde effettuare le perizie semestrali di verifica.
4.– Alla luce della descritta evoluzione normativa, l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa statale con riferimento alla pluralità delle soluzioni astrattamente ipotizzabili risulta non fondata, né pertinente è il richiamo alla declaratoria di inammissibilità pronunciata da questa Corte con la sentenza n. 23 del 2013.
A prescindere da ogni ulteriore rilievo, l’introduzione dell’art. 72-bis cod. proc. pen. ad opera della legge n. 103 del 2017 ha recato nell’ordinamento un tertium inesistente al tempo di quella decisione, sicché l’odierna questione principale appare ben definita in termini comparativi, potendo quindi accedere allo scrutinio di merito.
4.1.– Anche la questione subordinata è adeguatamente impostata in chiave comparativa, impiegando quale tertium la disciplina della sospensione del processo per assenza dell’imputato, come era stabilita dall’art. 420-quater cod. proc. pen., anteriormente alla sostituzione fattane dal d.lgs. n. 150 del 2022.
Quest’ultimo, invero, con l’art. 23, comma 1, lettera e), ha riconfigurato l’assenza dell’imputato quale causa non più di sospensione, ma di improcedibilità, e, prima ancora, la legge-delega n. 134 del 2021, con l’art. 2, comma 1, lettera a), aveva abrogato il rinvio dell’art. 159 cod. pen. all’art. 161 cod. pen. quanto al limite di durata della sospensione della prescrizione: tali modifiche non alterano tuttavia gli estremi della comparazione proposta dal rimettente, poiché l’abrogazione del tetto prescrizionale, quale innovazione sostanziale peggiorativa, non può valere retroattivamente a sfavore dell’imputato, come d’altronde conferma la disposizione transitoria di cui all’art. 89, comma 5, del d.lgs. n. 150 del 2022.
5.– Nel merito, la questione principale è fondata.
5.1.– Già all’indomani dell’entrata in vigore del codice di procedura penale, questa Corte ha rimarcato l’intangibilità del diritto dell’imputato all’autodifesa, nella prospettiva dell’art. 24 Cost., dichiarando pertanto l’illegittimità costituzionale dell’art. 70, comma 1, del codice di rito, limitatamente alle parole «sopravvenuta al fatto», le quali, riferite all’infermità mentale quale causa di sospensione del processo, esponevano l’imputato al rischio di subire una condanna in condizioni di minorata difesa, «nei casi in cui l’infermità di mente, non coincidente con la totale incapacità di intendere o di volere, risalga al tempus commissi delicti e perduri nel corso del procedimento» (sentenza n. 340 del 1992).
Si è invero constatata «l’accentuazione del profilo della tutela della difesa personale perseguita dal codice di procedura penale del 1988», emergente dal fatto che l’art. 71 del nuovo codice richiede quale presupposto per la sospensione del processo «uno stato mentale che non consente all’imputato di partecipare coscientemente al processo stesso, e non, come era invece nelle previsioni del codice abrogato, lo stato di infermità di mente tale da escludere la capacità di intendere e di volere» (sentenza n. 281 del 1995).
5.2.– Questa Corte ha sottolineato l’essenzialità dell’autodifesa, autonoma e ulteriore rispetto alla difesa tecnica, «soprattutto nell’ambito di quegli atti che richiedono la diretta partecipazione dell’imputato (si pensi all’interrogatorio e all’esame ed alle conseguenti facoltà esercitabili al riguardo)» (ancora sentenza n. 281 del 1995).
In tale direzione, la sentenza n. 341 del 1999, nell’estendere all’assistenza gratuita di un interprete la tutela approntata dall’art. 119 cod. proc. pen. circa la partecipazione processuale del sordo e del muto, ha inteso garantirne l’effettività, segnatamente «nelle fasi che l’ordinamento affida al principio dell’oralità», occorrendo infatti assicurare «il diritto dell’accusato di essere messo personalmente, immediatamente e compiutamente a conoscenza di quanto avviene nel processo che lo riguarda, e così non solo dell’accusa mossagli, ma anche degli elementi sui quali essa si basa, delle vicende istruttorie e probatorie che intervengono via via a corroborarla o a smentirla, delle affermazioni e delle determinazioni espresse dalle altre parti e dall’autorità procedente; nonché, conseguentemente, il diritto dell’imputato di svolgere la propria attività difensiva, anche in forma di autodifesa, conformandola, adattandola e sviluppandola in correlazione continua con le esigenze che egli stesso ravvisi e colga a seconda dell’andamento della procedura, ovvero comunicando con il proprio difensore».
5.3.– Nella prospettiva delle garanzie di effettività del diritto all’autodifesa, questa Corte, con la sentenza n. 39 del 2004, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 70, 71 e 72 cod. proc. pen., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., ha osservato che, «[a]nche se l’art. 70 letteralmente si riferisce ad ipotesi di “infermità mentale”, il sistema normativo è chiaramente volto a prevedere la sospensione ogni volta che lo “stato mentale” dell’imputato ne impedisca la cosciente partecipazione al processo».
Partecipazione cosciente che – ha precisato tale sentenza – «non può intendersi limitata alla consapevolezza dell’imputato circa ciò che accade intorno a lui, ma necessariamente comprende anche la sua possibilità di essere parte attiva nella vicenda e di esprimersi, esercitando il suo diritto di autodifesa».
Poste siffatte premesse, si è desunto che, «quando non solo una malattia definibile in senso clinico come psichica, ma anche qualunque altro stato di infermità renda non sufficienti o non utilizzabili le facoltà mentali (coscienza, pensiero, percezione, espressione) dell’imputato, in modo tale da impedirne una effettiva partecipazione – nel senso ampio che si è detto – al processo, questo non può svolgersi».
Dunque, la sentenza n. 39 del 2004 ha messo in luce che la “cosciente partecipazione” – formula attorno alla quale ruota l’intero sistema degli artt. 70 e seguenti cod. proc. pen. – è in realtà un’endiadi, giacché un imputato che non partecipa con l’insieme delle facoltà di «coscienza, pensiero, percezione, espressione» resta concretamente estraneo al processo che lo riguarda.
5.4.– L’indicazione interpretativa contenuta nella ora citata sentenza, nel senso di privilegiare la rilevanza dello stato complessivo dell’imputato in funzione di un pieno esercizio dell’autodifesa, e di relativizzare viceversa l’importanza dell’origine fisica o mentale della patologia incidente sull’autonomia della persona, non ha avuto riscontro nella giurisprudenza di legittimità, quando è stata chiamata a pronunciarsi sull’applicabilità dell’art. 72-bis cod. proc. pen. all’incapacità processuale di natura fisica.
La negazione di questa applicabilità è stata argomentata sia sulla base del tenore letterale degli artt. 70 e seguenti cod. proc. pen., sia con il richiamo a un orientamento manifestatosi nella giurisprudenza costituzionale attraverso la sentenza n. 354 del 1996 e le conseguenti ordinanze n. 67 del 1999 e n. 243 del 2013 (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 15 marzo-20 aprile 2021, n. 14853; conforme, Corte di cassazione, sezione settima penale, ordinanza 30 settembre-3 novembre 2022, n. 41486).
5.5.– Il richiamo alle pronunce di questa Corte da ultimo citate non si attaglia tuttavia al quadro normativo ridefinito dall’inserimento dell’art. 72-bis cod. proc. pen.
Nel dichiarare inammissibile la questione volta a introdurre una causa di sospensione processuale per infermità irreversibile non mentale, la citata sentenza n. 354 del 1996 sottolineava infatti che la nuova ipotesi sospensiva «determinerebbe, come automatico effetto sul piano del diritto sostanziale, l’inserimento di un nuovo caso di sospensione del corso della prescrizione del reato e, quindi, la creazione di conseguenze penali contra reum che certamente è inibita a questa Corte».
Tale rilievo non può ripetersi nell’attuale contesto normativo, né per l’odierna questione principale, giacché trattasi ora di estendere all’imputato non una causa di sospensione del processo – con un riflesso sfavorevole sul corso della prescrizione –, bensì una causa immediata di proscioglimento, riveniente dal tertium comparationis dell’art. 72-bis cod. proc. pen.
5.6.– Neppure è convincente la tesi della difesa statale che assume la radicale eterogeneità tra infermità mentale e infermità fisica.
Seppure corrisponde a una classificazione tradizionale, questa rigida distinzione postula che sia sempre possibile analizzare le manifestazioni patologiche in termini rigorosamente binari, il che non tiene conto della diffusione delle malattie degenerative, quale quella che ha colpito l’imputato del giudizio a quo, le quali hanno origine fisica e tuttavia possono determinare ugualmente l’impossibilità di una partecipazione attiva al processo.
6.– Il riferimento esclusivo alla sfera psichica dell’imputato, che in linea astratta può dedursi – e che la giurisprudenza di legittimità come si è visto desume – dall’impiego dell’aggettivo «mentale» nel testo dell’art. 72-bis cod. proc. pen., determina quindi un’irragionevole disparità di trattamento tra l’imputato, il quale non possa esercitare l’autodifesa in modo pieno a causa di un’infermità mentale stricto sensu, e quello che versi nella medesima impossibilità per un’infermità di natura mista, anche di origine fisica, la quale tuttavia comprometta anch’essa – per riprendere la locuzione della sentenza n. 39 del 2004 – le facoltà di «coscienza, pensiero, percezione, espressione».
7.– Per ricondurre la norma censurata a legittimità costituzionale, sotto il profilo dell’art. 3 Cost., occorre dunque sostituire nel relativo testo alla parola «mentale» la parola «psicofisico».
Anche per patologie diverse da quelle definibili in termini nosografici come malattie mentali occorre che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere qualora sussistano le condizioni indicate dall’art. 72-bis cod. proc. pen., cioè qualora lo stato psicofisico dell’imputato sia tale da impedirne in modo irreversibile la cosciente partecipazione al procedimento nel senso del pieno esercizio delle facoltà di autodifesa e non ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.
Quest’ultima condizione negativa risponde alle eventuali ragioni di difesa sociale, nell’ipotesi in cui l’imputato, per quanto gravemente infermo, manifesti una rilevante pericolosità (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 29 gennaio-23 marzo 2020, n. 10516).
Laddove viceversa siano presenti tutte le condizioni indicate dalla norma, l’improcedibilità va dichiarata senza che occorra disporre la sospensione del procedimento agli effetti dell’art. 71 cod. proc. pen., né attendere la maturazione del termine di prescrizione del reato (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 8-19 luglio 2022, n. 28242).
D’altro canto, ai sensi dell’art. 345, comma 2, cod. proc. pen., l’azione penale è riproponibile pure dopo che sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere in ragione dello stato psicofisico dell’imputato, se questo stesso stato incapacitante «viene meno o si accerta che è stato erroneamente dichiarato».
8.– L’estensione della definizione per improcedibilità alle ipotesi di irreversibile incapacità psicofisica dell’imputato non fa altro che perfezionare, alla luce del principio di uguaglianza, l’intervento di cui alla legge n. 103 del 2017. Quest’ultima, d’altronde, ha adottato una soluzione di chiusura formale del processo concretamente non celebrabile, poi ripresa dal legislatore – per le evidenti economie di sistema – con la trasformazione dell’assenza dell’imputato da causa di sospensione del processo a fattispecie di improcedibilità (art. 420-quater cod. proc. pen., sostituito dall’art. 23, comma 1, lettera e, del d.lgs. n. 150 del 2022).
9.– Per tutto quanto esposto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 72-bis, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico».
Atteso il «rapporto di chiara consequenzialità con la decisione assunta» (ex plurimis, sentenze n. 175 del 2022, n. 49 del 2018 e n. 274 del 2017), dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 72-bis, comma 1, cod. proc. pen. discende, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale: dell’art. 70, comma 1, cod. proc. pen., relativo agli accertamenti sulla capacità dell’imputato, nella parte in cui si riferisce all’infermità «mentale», anziché a quella «psicofisica»; dell’art. 71, comma 1, cod. proc. pen., relativo alla sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato, nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico»; dell’art. 72, comma 1, cod. proc. pen., relativo alla revoca dell’ordinanza di sospensione, nella parte in cui si riferisce allo stato «di mente», anziché a quello «psicofisico», e, nel comma 2, nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico».
10.– L’accoglimento della questione principale comporta l’assorbimento della subordinata.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 72-bis, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico»;
2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 70, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui si riferisce all’infermità «mentale», anziché a quella «psicofisica»; l’illegittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico»; l’illegittimità costituzionale dell’art. 72, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui si riferisce allo stato «di mente», anziché a quello «psicofisico», e, nel comma 2, nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico».