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11 aprile 2023
La libertà vigilata è una misura alternativa alla detenzione finalizzata alla risocializzazione del condannato
Per la Corte costituzionale, quando viene applicata al condannato ammesso alla liberazione condizionale, la libertà vigilata non è una misura di sicurezza e neppure una sanzione aggiuntiva, ma la prosecuzione, in forme meno afflittive, della pena già subìta in origine.
La Redazione
Lo afferma la sentenza n. 66 dell'11 aprile 2023, con cui la Consulta ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, in merito all'art. 177, comma 2 e all'art. 230, comma 1, numero 2, c.p..
In particolare, il Tribunale dubitava che tali disposizioni fossero lesive del principio di ragionevolezza e di quello della finalità rieducativa della pena per i seguenti motivi:
  • prevedono l'obbligatoria applicazione della libertà vigilata al condannato all'ergastolo ammesso alla liberazione condizionale;
  • ne stabiliscono la durata nella misura fissa di cinque anni;
  • non consentono al magistrato di sorveglianza di far cessare anticipatamente l'esecuzione della misura.
Per la Corte costituzionale, la libertà vigilata applicata al condannato ammesso alla liberazione condizionale consiste nella prosecuzione della pena che sta scontando, solo in modo meno afflittivo; liberazione condizionale e libertà vigilata rappresentano misure alternative alla detenzione
Inoltre, la libertà vigilata mira a favorire il graduale reinserimento del condannato nella società costituendo una sorta di “prova di libertà”.
Da ultimo, precisa la Consulta, anche il condannato all'ergastolo può accedere alla libertà condizionale ma solo dopo aver trascorso ventisei anni; il periodo di libertà ha una durata prestabilita e fissa ed è accompagnato da prescrizioni ed obblighi modulabili ad opera della magistratura di sorveglianza.
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