Costa caro nascondere la partita IVA: la Cassazione, infatti, conferma il sequestro preventivo della somma indebitamente percepita dalla ricorrente a titolo di reddito di cittadinanza.
Il Tribunale rigettava la richiesta presentata dall'indagata volta al riesame del decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP su una somma pari a circa 15mila euro in relazione al reato di cui all'art. 7 D.L. n. 4/2019.
Contro tale ordinanza, l'indagata propone ricorso in Cassazione con riferimento alla configurabilità di una omissione dichiarativa rilevante ai...
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 27 settembre 2022 il Tribunale di Vibo Valentia ha rigettato la richiesta di riesame presentata da MC nei confronti del decreto di sequestro preventivo del 14 luglio 2022 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con il quale era stato disposto il sequestro della somma di euro 15.684,20 in relazione al reato di cui all'art. 7, comma 1, in relazione all'art. 2, comma 1, lett. b), n. 4, d.l. n. 4 del 2019 (disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni, convertito nella I. n. 26 del 2019).
2. Avverso tale ordinanza l'indagata ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dell'Avvocato A. L., che lo ha affidato a un unico articolato motivo.
La ricorrente ha denunciato l'errata applicazione dell'art. 7 del d.l. n. 4 del 2019 e l'assoluta illogicità della motivazione dell'ordinanza impugnata, nella parte relativa alla affermazione della configurabilità di una omissione dichiarativa rilevante ai fini della riconoscibilità del reddito di cittadinanza, e alla conseguente configurabilità del reato di cui all'art. 7 citato contestatole, in quanto l'art. 2, comma 1, lett. b), n. 4, del su detto d.l. 4/2019, nell'individuare i potenziali beneficiari del reddito di cittadinanza, non include, al fine della determinazione del reddito familiare, anche i possessori di partita iva, circostanza comunque di per sé neutra, dovendo in ogni caso essere accertata la percezione di redditi incompatibili con i limiti stabiliti al fine della erogazione del reddito di cittadinanza e l'idoneità dell'azione censurata al raggiungimento dell'obiettivo della indebita percezione del beneficio (tanto che l'obbligo di trasmissione da parte dei soggetti incaricati della vigilanza sulla legittimità della percezione del beneficio era previsto solamente per i casi in cui dalle dichiarazioni mendaci sia derivata la illegittima percezione del beneficio del reddito di cittadinanza). Ha aggiunto che, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (si richiama la sentenza n. 29910 del 2022), avrebbe comunque dovuto essere esclusa la rilevanza penale delle condotte commissive od omissive prive di collegamento funzionale con il risultato della Indebita percezione del beneficio, e ha sottolineato la necessità di accertare, per poter ritenere configurabile detto reato, la sussistenza del dolo specifico richiesto dall'art. 7, comma 1, d.l. 4/2019 citato.
Nel caso in esame il Tribunale, pur dando atto della necessità di accertare il carattere indebito della prestazione, ha ritenuto di confermare il provvedimento di sequestro senza accertare la percezione di redditi derivanti dalla attività lavorativa non dichiarata, escludendo la legittimità della erogazione solamente a causa del possesso di una partita iva da parte della ricorrente, con la conseguente erroneità della affermazione della configurabilità del reato provvisoriamente contestato alla ricorrente.
3. Il Procuratore Generale nelle sue conclusioni ha chiesto il rinvio del ricorso, in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte sulla questione rimessa dalla Terza Sezione con l'ordinanza n. 2588 del 11/10/2022, depositata il 20/1/2023, sul quesito "Se le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza integrino il delitto di cui all'art.7 del d.l. 28 gennaio 2019, n.4, conv. in legge 28 marzo 2019, n. 26, indipendentemente dalla effettiva sussistenza o meno delle condizioni patrimoniali stabilite per l'ammissione al beneficio".
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va, in premessa, ricordato il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte secondo cui, in tema di sequestro preventivo, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti sia operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (v. Sez. 2, r- 2248 del 11/12/2013, dep. 2014, Mlrarchi, Rv. 260047; Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014, P.M. in proc. Zagarrio, Rv. 258279; Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018, Armell, Rv. 273069), in quanto nella misura cautelare reale è la pericolosità della cosa in sé che giustifica l'imposizione della misura stessa e per questa ragione la misura, pur raccordandosi, nel suo presupposto giustificativo, a un fatto criminoso, può prescindere totalmente da qualsiasi profilo di colpevolezza, essendo ontologicamente legata non necessariamente all'autore del reato, bensì alla cosa, che viene riguardata dall'ordinamento come strumento, la cui libera disponibilità può rappresentare una s1tuazi9ne di pericolo; ne consegue che la verifica della legittimità del provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non dovrà mai sconfinare nel sindacato della concreta fondatezza dell'accusa, ma dovrà limitarsi all'astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito a un soggetto in una determinata ipotesi di reato.
3. Ora, nel caso in esame, il Tribunale di Vibo Valentia, dato atto del contrasto interpretativo esistente in ordine alla natura del reato di cui all'art. 7 d.l. 4/2019, se di pericolo presunto o di pericolo concreto, ossia configurabile in presenza di dichiarazioni mendaci od omissioni circa l'effettiva situazione patrimoniale e reddituale dei soggetti che intendono accedere al reddito di cittadinanza a prescindere dalla effettiva sussistenza o meno dei presupposti per l'ammissione al beneficio e della loro incidenza su questi (come affermato da Sez. 3, n. 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Sacco, Rv. 278573, e da Sez. 2, n. 2402 del 5/11/2020, dep. 2021, Giudice, non massimata, da Sez. 3, n. 30302 del 15/9/2020, Colombo, non massimata, da Sez. 3, n. 33808 del 21/4/2021, Casà, non massimata, da Sez. 3, n. 5309 del 24/9/2021, dep. 2022, Tuono, non massimata, e da Sez. 3, n. 1351 del 24/11/2021, dep. 2022, Lacquaniti, non massimata), oppure configurabile solamente qualora il mendacio o l'omissione abbiano avuto una efficienza causale ai fini della erogazione del beneficio (come affermato da Sez. 3, n. 44366 del 15/09/2021, Gulino, Rv. 282336, e da Sez. 2, n. 29910 del 08/06/2022, Pollara, Rv. 283787), tanto che per risolvere tale contrasto la relativa questione è stata rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza n. 2588 del 202J"(ed è già stata fissata per la decisione all'udienza del 25/5/2023), ha ritenuto astrattamente configurabile detto reato, costituente il presupposto della misura cautelare di cui si duole la ricorrente, non solamente in base al solo dato formale della omissione dichiarativa da parte della dichiarante, bensì in considerazione della rilevanza del dato omesso, sottolineando come lo stesso sì riferisca alla mancata dichiarazione dello svolgimento di una attività di lavoro autonomo consistente nell'esercizio di coltivazioni agricole associate all'allevamento di animali, evidenziando la prosecuzione delle indagini volte ad accertare la misura della redditività di tali attività.
Si tratta di motivazione sufficiente, anche secondo l'orientamento che richiede, ai fini della configurabilità del reato, che il mendacio o l'omissione abbiano avuto una efficienza causale ai fini della erogazione del beneficio, in quanto, sia pure nella ricordata prospettiva della verifica delta astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito alta ricorrente nella ipotesi di reato contestata, il Tribunale ha dato atto della rilevanza della omissione da parte della ricorrente e della sua, quantomeno potenziale, incidenza sull'entità dei redditi della ricorrente medesima, in tal modo dando conto in modo sufficiente sia della strumentalità della omissione (quindi della sussistenza del dolo specifico richiesto dal secondo degli orientamenti ricordati); sia delta sua idoneità a consentire di ritenere configurabile il reato ipotizzato a carico della ricorrente, anche nella prospettiva più rigorosa richiesta dal secondo degli orientamenti ricordati, stante la chiara rilevanza in tale prospettiva dell'esercizio di una attività di impresa, anche in pendenza degli accertamenti in ordine ai ricavi dalla stessa generati e ai redditi che ne possono derivati a favore della ricorrente.
Ne consegue la evidente infondatezza dei rilievi sollevati dalla ricorrente, non avendo affatto omesso il Tribunale la necessaria indagine circa l'intenzionalità della condotta della ricorrente stessa e la sua strumentalità all'indebito ottenimento del beneficio, né la verifica della configurabilità della ipotesi di reato contestata alla ricorrente medesima, compiuta entro i limiti necessari alla conferma della misura cautelare censurata, ma comunque evidenziando l'idoneità della condotta a conseguire indebitamente il beneficio, stante la rilevanza del dato non dichiarato. La ricorrente ha poi omesso di confrontarsi con tali rilievi, essendosi in sostanza limitata a richiamare il secondo e più rigoroso orientamento interpretativo, e anche di allegare al giudice di merito qualsiasi dato in ordine ai ricavi prodotti dall'impresa individuale di cui è titolare, essendosi limitata a sottolineare l'insufficienza della sola omissione dichiarativa, senza altro aggiungere a proposito della attività di impresa di cui è titolare e non dichiarata, né, tantomeno, a proposito dei relativi ricavi, la cui, quantomeno potenziale, rilevanza è stata sottolineata dal Tribunale.
4. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza dei rilievi sollevati dalla ricorrente, risultando corretta, adeguata e non certamente apparente la motivazione dell'ordinanza impugnata, anche nella prospettiva interpretativa indicata dalla ricorrente, le cui censure sono, in realtà, volte a censurare l'adeguatezza e la logicità della motivazione, omettendo di considerare che ciò non è consentito nel giudizio di legittimità relativo a misure cautelari reali (cfr., ex multis, Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 e, da ultimo, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv.254893; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).
Conseguono l'onere delle spese del procedimento e la condanna della ricorrente al pagamento di una somma In favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.