Non basta la ricevuta di avvenuta consegna emessa dal sistema per far ritenere ricevuto l'atto poiché nell'appello cartolare previsto durante l'emergenza epidemiologica è esclusa una presunzione di conoscenza del giudice sugli atti inviati per via telematica in relazione ai processi affidatigli.
Condannato per il reato
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 8 marzo 2022, la corte di appello di Torino confermava la sentenza del 26 marzo 2019 del tribunale di Torino, con cui G.G. era stato condannato in ordine al reato, riqualificato, di cui all'art. 6 ter L. 401/1989.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso G.G. mediante il suo difensore, con un unico motivo di impugnazione.
3. Deduce vizi di violazione di legge lamentando la omessa valutazione, da parte della corte di appello, di conclusioni scritte inviate a mezzo pec da parte della difesa del ricorrente nell'ambito del rito cartolare d'appello, svoltosi ai sensi dell'art. 23 bis L. 176/2000.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile. Per mancata dimostrazione, innanzitutto, dell'effettivo invio, da parte della difesa, delle conclusioni che si assume non considerate, illegittimamente, dalla corte di appello.
2. In proposito, occorre rilevare che ai sensi dell'art. 23 bis della L. 176/2000 comma 2, le conclusioni trasmesse per via telematica dalla Procura Generale nell'ambito del cd. giudizio penale di appello "cartolare" sono inviate, dalla cancelleria della medesima corte, per via telematica, ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica, ai sensi dell'articolo 24 del presente decreto.
Tale disposizione deve esse considerata, quanto alla prova dell'invio delle predette conclusioni, in correlazione con l'art. 24 comma 5 della medesima legge di conversione, ai sensi del quale "ai fini dell'attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata ai sensi del comma 4, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l'atto nel fascicolo telematico. Ai fini della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo provvede, altresì, all'inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell'atto ricevuto con l'attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell'ufficio e dell'intestazione della casella di posta elettronica certificata di provenienza".
Si tratta, invero, di una previsione che, con riguardo al processo penale, tiene conto dello stato del relativo statuto telematico all'epoca delle comunicazioni in questione, invero estraneo a forme di immediata e presunta conoscenza, in capo alla persona fisica del giudice (in composizione monocratica o collegiale) - in qualità di destinatario di un indirizzo di posta elettronica personale espressamente disciplinato quale possibile fonte di cognizione di quanto inviatogli-, degli atti inviati per via telematica in relazione ai processi affidatigli.
Cosicché, il legislatore ha ritenuto insufficiente, sul piano della prova della avvenuta comunicazione al giudice di appello penale delle conclusioni finali da parte della difesa, la ricezione di "avvenuta consegna" proveniente dal sistema telematico di trasmissione e ricezione.
Stabilendo, piuttosto, la necessità che la cancelleria rediga una "attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata", individuandola quale unica forma realmente dimostrativa del tempestivo ed effettivo invio dell'atto difensivo, in esame in questa sede.
In assenza, come nel caso di specie, di tale attestazione, il ricorso appare privo della necessaria allegazione di quanto si assume avvenuto.
Con conseguente inammissibilità.
Deve aggiungersi che manca ogni deduzione concreta in termini di violazione del diritto di difesa per omessa valutazione delle conclusioni scritte, ove si osservi che in ogni caso, come emerge dalla copia allegata, il ricorrente si era limitato a ribadire i motivi di appello dedotti, e ad invocare l'applicazione della fattispecie ex art. 131 bis cod. pen. in ordine alla quale la corte di appello si è comunque espressa in sentenza.
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende