Quest'ultimo, ove superiore a quello spettante presso l'ente di destinazione, va calcolato applicando la regola del riassorbimento degli assegni ad personam.
Un dipendente pubblico esponeva di essere transitato dalle dipendenze dell'Ente sviluppo agricolo (ESA) a quelle dell'Agenzia regionale per i Rifiuti e le Acque (ARRA). Nel procedere al suo inquadramento, l'ARRA aveva cessato di corrispondergli il trattamento di anzianità in godimento, sostituendolo con la corrispondente voce contrattuale del nuovo CCNL...
Svolgimento del processo
G.G., operaio specializzato di 3° livello CCNL imprese edili, ha chiesto al Tribunale di Agrigento la condanna dell’Assessorato regionale delle Autonomie locali e della funzione pubblica a corrispondergli il trattamento di Anzianità professionale edile, c.d. APE, a partire dal mese di febbraio 2008, ossia da quando era transitato dall’Ente sviluppo agricolo (ESA) all’Agenzia regionale per i Rifiuti e le Acque (ARRA) ai sensi dell’art. 7 della legge Regione Sicilia n. 19 del 2005.
Egli ha esposto che, nel procedere al suo inquadramento, in passato regolato dal CCNL edili, l’ARRA gli aveva assegnato la qualifica B6, ma aveva cessato di corrispondergli il trattamento di anzianità in godimento, sostituendolo con la corrispondente voce contrattuale del nuovo CCNL applicato (la Retribuzione individuale di Anzianità, c.d. RIA), in quanto aveva ritenuto che l’APE configurasse una voce accessoria disponibile del trattamento economico.
Nessuno si è costituito per la P.A.
Il Tribunale di Agrigento, con sentenza n. 1428/2014, ha rigettato il ricorso.
G.G. ha proposto appello che la Corte d’appello di Palermo, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1070/2016, ha rigettato.
G.G. ha presentato ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L’Assessorato autonomie locali e funzione pubblica della Regione siciliana si è difeso con controricorso.
Motivi della decisione
1) Con il primo, il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, stante la stretta connessione, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 31 d.lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 12, comma 2, disp. prel. c.c., del principio del divieto di reformatio in peius, degli artt. 1324, 1362 e 2909 c.c., dell’art. 24 CCNL dipendenti imprese edili, dell’art. 7, comma 12, legge Regione Sicilia n. 19 del 2005, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
G.G. sostiene che si sarebbe stati in presenza di un trasferimento o conferimento di attività da un ente pubblico ad un altro e che egli avrebbe avuto il diritto di mantenere il complessivo trattamento economico acquisito presso l’ente di provenienza.
La corte territoriale avrebbe errato nel non giungere a questa conclusione, anche perché avrebbe omesso di esaminare la questione, da lui prospettata, dell’applicazione, nella presente controversia, dell’art. 31 d.lgs. n. 165 del 2001, disposizione che, a suo avviso, avrebbe dovuto regolare la fattispecie, non vertendosi in tema di mobilità volontaria.
Ad identico esito, peraltro, sarebbe dovuta pervenire la Corte d’appello di Palermo pure se avesse ritenuto il caso disciplinato dall’art. 30 d.lgs. n. 165 del 2001, venendo in rilievo, comunque, una cessione del contratto.
In particolare, G.G. contesta che il giudice di secondo grado, in violazione del principio del divieto di reformatio in peius, avrebbe limitato il suo diritto alla conservazione del trattamento economico in godimento (previsto dagli artt. 30 e 31 d.lgs. n. 165 del 2001, 2112 c.c. e 7, comma 12, legge Regione Sicilia n. 19 del 2005, istitutiva dell’ARRA) alle voci retributive corrisposte in via continuativa e caratterizzate dalla stabilità ed indisponibilità, con esclusione di quelle pagate in maniera accidentale o precaria, fra le quali avrebbe non condivisibilmente fatto rientrare la c.d. APE.
Ad avviso del ricorrente, invece, l’APE sarebbe parte integrante della paga base e sarebbe obbligatoria, continua, stabile, predeterminata e meritocratica ed andrebbe equiparata agli scatti di anzianità.
G.G. sostiene, poi, che, nella causa de qua, non troverebbe applicazione la decisione della S.C., Sez. L, n. 13544 del 26 maggio 2008, erroneamente richiamata dalla corte territoriale, e che la Corte d’appello di Palermo non avrebbe neppure considerato che il divieto di reformatio in peius avrebbe dovuto essere coordinato con quello del riassorbimento dell’assegno ad personam.
Infine, G.G. espone ancora che gli scatti di anzianità sarebbero stati una voce integrativa della paga base e che l’art. 24 CCNL edilizia non avrebbe contenuto un’indicazione tassativa degli elementi fondamentali della retribuzione.
Le doglianze sono fondate.
Il ricorrente ha esposto di essere transitato, a decorrere da febbraio 2008, dalle dipendenze dell’Ente sviluppo agricolo (ESA) a quelle dell’Agenzia regionale per i Rifiuti e le Acque (ARRA), in base al disposto dell’art. 7 della legge Regione Sicilia n. 19 del 2005.
Nel procedere al suo inquadramento, in passato regolato dal CCNL edili, l’ARRA gli aveva assegnato la qualifica B6, ma aveva cessato di corrispondergli il trattamento di anzianità in godimento, sostituendolo con la corrispondente voce contrattuale del nuovo CCNL applicato (la Retribuzione individuale di Anzianità, c.d. RIA), in quanto aveva ritenuto che l’APE configurasse una voce accessoria disponibile del precedente trattamento economico.
In questo modo, la retribuzione da lui percepita era diminuita in conseguenza del passaggio dall’ESA all’ARRA.
Al riguardo, si osserva che la corte territoriale non ha tenuto conto che, in tema di pubblico impiego privatizzato, il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse, in mancanza di espresse disposizioni normative sul contenuto e sulle modalità del relativo trasferimento, è disciplinato da un primo principio, espresso dall’art. 2112 c.c., ossia quello dell’inerenza del rapporto contrattuale al complesso aziendale (o all’attività di competenza di un soggetto pubblico), in tutti i casi in cui questo, pur cambiando la titolarità, resti immutato nella sua struttura organizzativa e nell’attitudine all’esercizio dell'impresa (o della funzione perseguita). In particolare, la presente vicenda, concernendo il passaggio delle funzioni di ente pubblico ad un altro con i relativi dipendenti, come il ricorrente, ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 31 d.lgs. n. 165 del 2001, per il quale “Fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di
tali soggetti si applica l’articolo 2112 del codice civile”.
I due termini utilizzati dall’art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001, per consentire il ricorso all’art. 2112 c.c., ovvero quelli di trasferimento o di conferimento di attività, esprimono, infatti, la volontà del legislatore di comprendere nello spettro di tale disposizione ogni vicenda traslativa riguardante l’attività dell’ente cedente.
L’art. 2112 c.c. prescrive, poi, ai commi da 1 a 3, che:
“In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello”.
Il ricorrente aveva allora diritto, dopo essere divenuto dipendente della nuova P.A., a mantenere, in linea di principio, tutti i diritti già maturati derivanti dal rapporto di lavoro con l’ESA, che continuava con il cessionario, e, pertanto, anche la retribuzione percepita in precedenza.
Tale diritto deve essere chiaramente inteso alla luce del complessivo sistema normativo vigente.
Soprattutto, si osserva che il comma 3 dell’art. 2 d.lgs. n. 165 del 2001 - nella parte rilevante ai fini del presente giudizio - dispone che “I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva”.
Dalla lettura della disposizione emerge, dunque, l’esistenza di un secondo principio, sempre di carattere generale, che interessa la fattispecie, ossia quello del riassorbimento dei trattamenti economici più favorevoli, demandandosi alla contrattazione collettiva la definizione delle modalità e della misura del detto riassorbimento.
La giurisprudenza è intervenuta in materia, in modo da coordinare fra loro i due principi generali sopra esposti, ossia:
a- quello dell’inerenza del rapporto contrattuale al complesso aziendale (o all’attività di competenza di un soggetto pubblico), in tutti i casi in cui questo, pur cambiando la titolarità, resti immutato nella sua struttura organizzativa e nell’attitudine all’esercizio dell'impresa (o della funzione perseguita), al quale si ricollega il mantenimento del previo trattamento economico;
b- quello del riassorbimento dei trattamenti economici più favorevoli.
Pertanto, la S.C. ha affermato che, nell’ambito del lavoro pubblico, nel caso di passaggio da una P.A. ad un’altra, è assicurata - in mancanza di disposizioni speciali - la continuità giuridica del rapporto di lavoro e il mantenimento del trattamento economico, il quale, ove risulti superiore a quello spettante presso l’ente di destinazione, opera nell’ambito della regola del riassorbimento degli assegni ad personam attribuiti al fine di rispettare il divieto di reformatio in pejus del trattamento economico acquisito, in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti per effetto del trasferimento, secondo quanto risulta argomentando dall’art. 34 del d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 19 del d.lgs. n. 80 del 1998, (ora art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001), che richiama le regole dettate dall’art. 2112 c.c., (Cass., Sez. 6-L, n. 4545 dell’8 marzo 2016).
Il criterio generale del riassorbimento deve operare in riferimento ai miglioramenti del trattamento economico complessivo dei dipendenti dell’Amministrazione di arrivo e non con riguardo a singole voci che compongono tale trattamento economico.
Ciò in quanto solo il primo sistema di riassorbimento è conforme al principio enunciato dall’art. 36 Cost., come costantemente interpretato dalla giurisprudenza costituzionale, nel senso che il principio della “proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione va riferito non già alle sue singole componenti, ma alla globalità di essa” (Corte cost., sentenze n. 141 del 1979, n. 470 del 2002 e n. 434 del 2005). Alle singole voci che compongono la retribuzione non può essere attribuito, quindi, autonomo rilievo, a meno che questo non sia espressamente previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva (Cass., Sez. L, n. 35423 del 1° dicembre 2022; Cass., Sez. L, n. 10210 del 28 maggio 2020).
La regola per la quale il passaggio da un datore di lavoro all’altro comporta l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro ex art. 2112 c.c. è confermata, per i dipendenti pubblici, dall’art. 30 d.lgs. n. 165 del 2001. Questo riconduce il passaggio diretto di personale da amministrazioni diverse alla fattispecie della cessione del contratto (art. 1406 c.c.), con l’effetto che, da un lato, impone la regola generale dell’applicazione del trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi nel comparto dell’Amministrazione cessionaria, non giustificandosi diversità di trattamento, ma, dall’altro, prescrive il divieto di reformatio in peius del trattamento economico acquisito, tra dipendenti, dello stesso ente, a seconda della provenienza, con la conseguenza che fa salvi gli assegni ad personam attribuiti al fine di rispettate tale divieto (Cass., Sez. L, n. 169 del 5 gennaio 2017).
In conclusione, il trattamento retributivo ordinariamente spettante in origine al dipendente trasferito da una P.A. ad un’altra (come nella specie) dovrà essere mantenuto dall’Amministrazione cessionaria, pur se maggiore di quello dei dipendenti di quest’ultima, anche se su detto trattamento, considerato nel suo complesso e non per singole voci retributive, andrà operato il riassorbimento.
La P.A. sostiene che il ricorrente non avrebbe diritto a mantenere il trattamento economico del quale godeva nell’Amministrazione di provenienza perché l’APE sarebbe un elemento aggiuntivo proprio ed esclusivo della categoria professionale di provenienza, non annoverato dalla contrattazione collettiva nel trattamento economico fondamentale.
La stessa corte territoriale sottolinea che “non può ritenersi plausibile, nell’ottica della conservazione del trattamento retributivo in essere, l’ultrattività di elementi tipici e coessenziali alla specificità della prestazione espletata sotto il precedente datore di lavoro”.
Questa conclusione, però, non tiene conto che, ai fini della determinazione del trattamento economico fondamentale, non rileva la distinzione fra elemento accessorio o non accessorio dello stesso, ma la circostanza che la corresponsione di tale elemento sia o meno incerta nell’an e nel quantum.
Nella specie, il diritto di G.G. al versamento dell’APE, durante il suo rapporto con l’ESA, non presentava elementi di aleatorietà.
Si trattava, infatti, di un beneficio previsto dall’art. 29 del CCNL del 20 maggio 2004 per le imprese edili ed affini connesso all’anzianità professionale edile.
Competeva, quindi, in ragione della durata del servizio prestato e la sua quantificazione era certa.
La sua spettanza al ricorrente era, poi, ormai incontestabile, essendo stata riconosciuta fino al 2007 con sentenza del Tribunale di Agrigento n. 757 del 2008 passata in giudicato.
Ovviamente, G.G., una volta transitato dall’ESA all’ARRA, non aveva più diritto a percepire l’APE, ma ciò non toglie che il trattamento retributivo ordinariamente a lui spettante nella
P.A. di provenienza dovesse essere mantenuto dall’Amministrazione di destinazione, pur se maggiore di quello dei dipendenti di quest’ultima, tramite la corresponsione di un assegno ad personam, anche se su detto trattamento, considerato nel suo complesso e non per singole voci retributive, doveva poi operare il riassorbimento.
Al contrario, la Corte d’appello di Palermo ha affermato che la c.d. APE “non a caso” non era annoverata dall’art. 24 CCNL del 20 maggio 2004 “all’interno del trattamento economico fondamentale”.
Questa considerazione, però, a prescindere da quanto sopra esposto, si pone in contrasto con la normativa del detto CCNL (il cui testo può essere esaminato, essendo stato depositato unitamente al ricorso ex art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c.).
Infatti, l’art. 29 del citato CCNL prescrive che:
“Sono istituiti a favore degli operai particolari benefici connessi all’anzianità professionale edile.
Le condizioni, i termini e le modalità per la maturazione e l’erogazione di tali benefici sono previsti nel regolamento allegato al presente contratto, del quale forma parte integrante.
Alla copertura degli oneri derivanti dalla disciplina dell’anzianità professionale edile si provvede con un contributo, a carico dei datori di lavoro, nella misura stabilita in relazione alle esigenze della gestione, con accordo tra le organizzazioni territoriali aderenti alle Associazioni nazionali contraenti.
Il contributo è computato sugli elementi della retribuzione di cui al punto 3) dell’art. 24 per tutte le ore di lavoro ordinario effettivamente prestate, nonché sul trattamento economico per le festività di cui all’art. 17”.
L’art. 29 in esame, che regola proprio l’APE, rinvia, quindi, all’art. 24 del medesimo CCNL del 20 maggio 2004, menzionato dalla corte territoriale, per l’esattezza al punto 3, per determinare il contributo necessario alla copertura degli oneri derivanti dalla disciplina dell’anzianità professionale edile.
L’art. 24 citato chiarisce, al punto 3, che:
“Ai fini dell’applicazione degli artt. 6, 7, 19, 20, 21, 28, 29, 36 e 77, debbono essere assunti a base di calcolo i seguenti elementi della retribuzione:
a) per gli operai che lavorano ad economia:
– paga base di fatto;
– ex indennità di contingenza;
– elemento economico territoriale;
– indennità territoriale di settore;
b) per gli operai che lavorano a cottimo:
– paga base di fatto;
– ex indennità di contingenza;
– elemento economico territoriale;
– indennità territoriale di settore;
– utile minimo contrattuale di cottimo (8% di cui all’art. 13);
– utile medio o effettivo di cottimo nei casi di cui agli artt. 18, 19, 32 e 33 del presente contratto”.
Detto art. 24, che indica gli “Elementi della retribuzione”, richiama, pertanto, al punto 3, proprio l’art. 29, che istituisce l’APE, il quale, allora, non può non essere, a sua volta, “un elemento della retribuzione”, essendo calcolato il contributo necessario alla sua corresponsione su altri “elementi della retribuzione”.
D’altronde, è evidente che l’art. 24 del CCNL per le imprese edili ed affini del 20 maggio 2004 contiene un elenco non tassativo degli “elementi della retribuzione”, considerato che, ai punti 4 e 5, stabilisce che:
“4) Ai fini dell’applicazione degli artt. 17 e 18 oltre agli elementi retributivi di cui al punto 3) deve essere assunta a base di calcolo, per i capisquadra anche la speciale maggiorazione riconosciuta per tale particolare incarico.
5) Agli effetti dell’applicazione degli artt. 2, 3, 4, 8, 13, 25, 32, 89, 98 e 105 oltre agli elementi della retribuzione di cui al punto 3) deve computarsi anche ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso di spese”.
L’art. 24 del CCNL in questione, quindi, facendo riferimento ad “ogni altro compenso di carattere continuativo” per l’applicazione di ulteriori disposizioni dello stesso CCNL, chiarisce che ben possono esservi altri “elementi della retribuzione”, oltre a quelli elencati dal medesimo art. 24.
Non incide, poi, sulla soluzione della controversia la decisione della S.C., Sez. L, n. 13544 del 26 maggio 2008, pure citata dalla Corte d’appello di Palermo, pronuncia che si è limitata ad affermare il principio, condivisibile, ma non rilevante nella specie, che l’istituto degli scatti di anzianità è del tutto estraneo al principio costituzionale
di proporzionalità della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e che il regime della loro attribuzione e del calcolo del loro ammontare trova la sua fonte nell’autonomia negoziale collettiva, con la conseguenza che un diverso numero di scatti previsto per categorie diverse (quali, nella specie, gli impiegati e gli operai) non viola alcun principio costituzionale.
Infine, in ordine al riferimento, contenuto nel controricorso, alle Casse edili, si ritiene opportuno precisare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, le somme che il datore di lavoro ha l’obbligo di versare alla Cassa edile, quali accantonamenti destinati al pagamento di ferie, gratifiche natalizie e festività infrasettimanali, costituiscono somme spettanti ai lavoratori a titolo retributivo, configurandosi il rapporto con la Cassa edile quale delegazione di pagamento, con la conseguenza che la stessa è obbligata nei confronti dei lavoratori solo a seguito del pagamento delle somme da parte del datore di lavoro. Ne consegue che, se ben può agire il lavoratore nei confronti del datore per il pagamento delle somme dovute per ferie, festività e gratifiche natalizie, egualmente la Cassa ha l’obbligo di riscuotere le somme che il datore è tenuto a versare (Cass., Sez. 6-L, n. 10140 del 9 maggio 2014).
Nella presente controversia, deve tenersi in considerazione che il diritto del ricorrente a percepire l’APE, per il periodo durante il quale è stato dipendente dell’ESA, era stato accertato con sentenza passata in giudicato e che lo stesso ricorrente aveva comunque il potere di agire nei confronti del datore di lavoro per riscuotere il suo credito.
3) Il ricorso è accolto, nei termini di cui in motivazione.
La sentenza è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di lite di legittimità, applicando i seguenti principi di diritto:
“In tema di pubblico impiego privatizzato, nel caso di passaggio di lavoratori da un’amministrazione ad altra ex art. 31 d.lgs. n. 165 del 2001, devono essere assicurati la continuità giuridica del rapporto e il mantenimento del trattamento economico, il quale, ove superiore a quello spettante presso l’ente di destinazione, va calcolato applicando la regola del riassorbimento degli assegni ad personam attribuiti in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti a seguito del trasferimento”;
“Il lavoratore dell’Ente sviluppo agricolo siciliano che, ai sensi dell’art. 7 della legge Regione Sicilia n. 19 del 2005, sia trasferito alle dipendenze dell’Agenzia regionale per i Rifiuti e le Acque, mantiene il diritto a conservare, se maggiore, il livello del trattamento economico precedente; tale trattamento economico va calcolato tenendo conto di tutti gli elementi della retribuzione la corresponsione dei quali sia certa nell’an e nel quantum e, quindi, anche del trattamento di Anzianità professionale edile, c.d. APE, previsto dall’art. 29 CCNL per le imprese edili ed affini del 20 maggio 2004 e legittimamente dovuto allo stesso lavoratore fino al momento del suo passaggio alla P.A. di destinazione, fatto salvo l’effetto del riassorbimento, che opererà sulla medesima retribuzione nella sua globalità e non sulle singole voci di questa”.
P.Q.M.
La Corte,
- accoglie il ricorso per quanto in motivazione;
- cassa la decisione impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di lite di legittimità.