Secondo la Cassazione, la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. ha valore meramente processuale e non anche sostanziale. Pertanto, riproposta la domanda in diverso giudizio, in tale sede non è opponibile la formazione del giudicato esterno.
A seguito dell'accoglimento della domanda di costituzione di servitù coattiva su un fondo, i proprietari di quest'ultimo ricorrono in Cassazione lamentando la violazione del principio del ne bis in idem relazione agli artt. 2909 c.c. e 346 c.p.c.. I ricorrenti esponevano di essere stati citati in giudizio nel 2005...
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Genova accoglieva la domanda di costituzione di servitù coattiva di passaggio pedonale a favore del fondo intercluso sito in Comune di , frazione (omissis) n. 44, privo di accesso alla pubblica via e a carico del fondo confinante di M.A. e A.D. secondo il percorso indicato e descritto nella relazione peritale. Determinava l’ammontare dell’indennità dovuta dagli attori ai convenuti per la costruzione della servitù coattiva.
2. M.A. e A.D. proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
3. G.C. e G.C. proponevano appello incidentale contro la statuizione di compensazione delle spese del giudizio di primo grado.
4. La Corte d'Appello di Genova pronunciava sentenza non definitiva con la quale, decidendo parzialmente la causa, respingeva l’appello principale confermando il capo della sentenza di primo grado che aveva costituito la servitù coattiva sul fondo degli appellanti. Accoglieva parzialmente l’appello incidentale di C. e C. sulle spese delle CTU e rimetteva la causa sul ruolo per la eventuale rideterminazione dell’indennità dovuta ai proprietari del fondo servente a seguito della costituzione della servitù coattiva.
5. Con la sentenza parziale la Corte d’Appello evidenziava che la CTU aveva accertato l’interclusione del fondo degli attori e il percorso più breve per raggiungere il fondo dalla via pubblica. Tale percorso era quello esistente sul fondo confinante dei signori Denegri costituito da una scala e un camminamento meglio descritti nella relazione peritale.
Il motivo d’appello si fondava sulla acritica adesione alla relazione peritale. Secondo la Corte d’Appello il giudice del merito non era tenuto a fornire un argomentata e dettagliata motivazione laddove aderiva all’elaborazione del consulente non contestata in modo specifico dalle parti. Peraltro, nella fattispecie, la consulenza conteneva già la risposta alle osservazioni critiche delle parti sulle quali pertanto il primo giudice non aveva l’obbligo di motivare in forma specifica.
Il motivo con il quale si contestava l’interclusione del fondo era infondato. L’esistenza di altri passaggi era stata esclusa in maniera assoluta dal consulente. La Corte riteneva infondato anche il motivo di appello con il quale si deduceva che la servitù non poteva insistere sul cortile di casa. L’esenzione, infatti, doveva ritenersi operante nella sola ipotesi in cui il proprietario del fondo avesse la possibilità di scegliere tra più fondi tra i quali attuare il passaggio di cui almeno uno non costituito da case o pertinenze. Il consulente aveva chiarito che il fondo degli attori era circondato da aree cortilizie e non era possibile concedere la servitù su fondi non costituiti da case o loro pertinenze sicché la norma non era applicabile.
Il Tribunale aveva valutato anche la minor lunghezza del percorso e anche il minor danno, ancora una volta aderendo a quanto riferito dal consulente sulla base della circostanza che il percorso scelto non comportava la necessità di modifiche o esecuzione di opere e considerando anche la specifica destinazione d’uso dei possibili fondi serventi e il conseguente deprezzamento derivante dall’esercizio della servitù. Infatti, il fondo di proprietà dei D. aveva destinazione d’uso a legnaia o ripostiglio. Anche la costruzione del box pertinenza della casa non era di impedimento dovendosi ridurre solo una superficie utile di metri quadri 0,50 con una minima variazione del progetto.
Quanto alla determinazione dell’indennità contestata dagli appellanti il motivo era parzialmente fondato, occorrendo tenere conto del valore potenziale dell’immobile e della perdita effettiva di valore del box in conseguenza della sua diminuzione di superficie.
Infine, rigettava il motivo di appello incidentale avente ad oggetto la liquidazione delle spese.
5.1 Con la sentenza definitiva avente ad oggetto la quantificazione dell’indennità dovuta per la costituzione della servitù la Corte d’Appello evidenziava che il metodo di stima del danno utilizzato dal consulente per la determinazione dell’indennità con l’applicazione di criteri analitici riferita alla sola superficie occupata dalla servitù era inappropriato in relazione all’effettiva diminuzione di valore della proprietà. Richiamata la giurisprudenza della Corte di Cassazione che impone una valutazione globale del pregiudizio, la Corte d’Appello riteneva che l’indennità doveva essere parametrata al valore dei danni cagionati all’intero fondo servente e quantificata nella somma di euro 20.000 ritenendo sovrastimata la determinazione del consulente rispetto alla reale incidenza della servitù di passo pedonale sul fondo degli appellanti. Accoglieva pertanto il motivo di appello nella misura sopra indicata.
6. D.A. e D.A. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.
7. M.G.C. e C.C. hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del principio del ne bis in idem in relazione agli articoli 2909 c.c. e 346 c.p.c. perché nell’anno 2005 le controparti avevano citato in giudizio i D. proponendo nei loro confronti azione possessoria a tutela dell’asserito passaggio sul fondo degli odierni ricorrenti, chiedendo contestualmente la costituzione di una servitù di passaggio a favore del fondo di loro proprietà e, in via subordinata, la dichiarazione di usucapione dell’asserito diritto di passaggio sul medesimo camminamento.
Il Tribunale di Chiavari con sentenza n. 289 del 2007 aveva deciso nel merito sulla domanda possessoria proposta da C. e C. senza decidere sulle altre domande petitorie proposte in quella sede. La sentenza, dunque, era passata in giudicato e non era possibile riproporre la medesima domanda come avvenuto nel procedimento in esame.
La Corte d’Appello ha ritenuto infondata l’eccezione di giudicato formulata dagli odierni ricorrenti in quanto il Tribunale in quel giudizio aveva respinto l’azione possessoria degli attori ma non aveva pronunciato sulla domanda di costituzione della servitù coattiva che non aveva formato oggetto di quel giudizio e dunque sulla quale non si era formato il giudicato. Tuttavia, in quel giudizio le parti avevano espressamente proposto la domanda di costituzione di servitù, domanda sulla quale il Tribunale di Chiavari non si era pronunciato. Pertanto, secondo i ricorrenti, era onere degli attori proporre appello contro quella sentenza per omessa pronuncia e violazione dell’articolo 112 c.p.c. e la loro acquiescenza alla sentenza ha prodotto la formazione del giudicato anche sulla domanda di costituzione di servitù poi riproposta illegittimamente nel presente procedimento con palese violazione dell’articolo 2909 c.c. e dell’art. 346 c.p.c. circa il principio del ne bis in idem.
1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. come interpretato da questa Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 7155 del 2017.
Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: In caso di omessa pronuncia su una domanda, qualora non ricorrano gli estremi di un assorbimento della questione pretermessa ovvero di un rigetto implicito, la parte ha la facoltà alternativa di far valere l'omissione in sede di gravame o di riproporre la domanda in un separato giudizio, poiché la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. ha valore meramente processuale e non anche sostanziale, sicché, riproposta la domanda in diverso giudizio, non è in tale sede opponibile la formazione del giudicato esterno (Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 35382 del 01/12/2022, Rv. 666704 - 01).
Il principio è perfettamente corrispondente a quanto accaduto nel caso di specie, avendo gli attori in possessorio ritenuto di non coltivare la domanda petitoria proposta in quel giudizio sulla quale il Tribunale non si era pronunciato e di proporla in via autonoma nel presente giudizio. D’altra parte, l’attore in possessorio, diversamente dal convenuto, può, anche in pendenza del medesimo giudizio possessorio, proporre autonoma azione petitoria, dovendosi interpretare tale proposizione come finalizzata ad un rafforzamento della tutela giuridica, e non già come rinuncia all’azione possessoria; detta facoltà, tuttavia, non può essere esercitata nello stesso giudizio possessorio, ma soltanto con una separata iniziativa, introducendo la domanda petitoria una “causa petendi” ed un “petitum” completamente diversi, dal che deriva l’inammissibilità della stessa se proposta dall’attore nella fase di merito del procedimento possessorio, la quale costituisce mera prosecuzione della fase sommaria (vedi Sez. 2 - , Ordinanza n. 24236 del 04/08/2022).
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. nella forma del vizio di ultrapetizione in ragione della previsione nel dispositivo della sentenza parziale della Corte d’Appello e di quella definitiva di conferma della decisione del giudice di primo grado di condanna dei convenuti a ricostruire una scaletta demolita non essendo mai stata posta tale domanda. A parere dei ricorrenti la sentenza della Corte d’Appello confonderebbe il piano della costituzione della servitù con quello delle modalità della sua attuazione.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura pone una questione del tutto nuova. Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel "thema decidendum" del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio» (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).
Il ricorrente a pag. 20 del ricorso asserisce di aver proposto la medesima questione già con l’atto di appello e precisamente al punto b dalla pagina 24 alla pagina 26 che riporta in nota. Tuttavia, dalla lettura del motivo di appello risulta evidente che in quella sede i ricorrenti, allora appellanti, avevano contestato solo l’eccessiva onerosità della condanna e non il vizio di ultrapetizione (pag. 20 del ricorso che riporta l’atto di appello sul punto).
In ogni caso deve richiamarsi in proposito il seguente principio di diritto: «Il petitum della domanda di costituzione coattiva di servitù di passaggio e dato dalla richiesta di passaggio coattivo e dalla mera indicazione del fondo servente, con esclusione delle modalità di attuazione e di esercizio della servitù, la cui determinazione rientra nel potere del giudice di merito» (Sez. 2, Sentenza n. 2734 del 11/09/1972).
3. Il ricorso è inammissibile.
4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 2500, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;