…«la corrispondenza tra la sentenza depositata e quella nei cui confronti è rivolta l'impugnazione risulti comunque dalla congruenza tra i motivi di gravame ed il contenuto della sentenza in atti, consentendo di individuare univocamente quest'ultima come oggetto effettivo del ricorso».
... |
Svolgimento del processo
1. La D. s.p.a. ha proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta avverso l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva rettificato, ai fini IRPEG ed IRAP, la dichiarazione dei redditi presentata dalla società per l'anno 2002. L’atto impositivo era fondato su tre rilievi:
erronea contabilizzazione nell'anno 2001 della somma di euro 2.500.000,00, corrisposta in data 30-7-2002 dalla holding del gruppo (omissis) in favore della ricorrente; secondo l'Ufficio tale corresponsione costituiva una sopravvenienza attiva, che, in base al disposto dell'art 55 (ora 85) del t.u.i.r. doveva essere contabilizzata ai fini Irpeg nel 2002, anno in cui era avvenuto l'incasso; in particolare, secondo l'Ufficio, detta corresponsione doveva ritenersi effettuata dalla (omissis) (che a tanto non era tuttavia obbligata) in favore della D. s.p.a. per rimborso dei costi da quest'ultima sostenuti nel rapporto con altra società ((omissis));
erroneo storno (in sede di scritture di assestamento) della somma di euro 185.000.000 dal "conto ricavi diversi in contropartita" al conto "note di credito da emettere"; tale storno, giustificato dalla società ricorrente in considerazione dell'avvenuta denunzia -da parte della cliente C.P.- di alcuni difetti riscontrati in prodotti a quest'ultima inviati da essa ricorrente, era stato invece contestato dall'Ufficio, stante la riscontrata assenza, sino al 31 dicembre 2002, di un accordo definitivo in merito alla quantificazione del danno; di conseguenza, secondo l'Ufficio, in mancanza del requisito -nell'anno 2002- della certezza e della determinabilità, la detta somma non poteva essere contabilizzata -ai sensi dell'art. 75 t.u.i.r. - quale elemento negativo del reddito per il detto anno, ed andava pertanto recuperata a tassazione ai fini IRPEG ed IRAP;
indebita annotazione nel conto "prestazioni varie", sempre per l'anno 2002, di fatture per euro 94.233,39; secondo la società tali fatture concernevano il rimborso ad altra società (DSM N.V.) di somme versate da quest'ultima in Olanda a favore di tal E.L., dipendente a tempo pieno della società D. s.p.a., il quale percepiva rimborsi e pagamenti anche nel paese di origine ai sensi del contratto di espatrio del 28 settembre 1999; detto importo era stato invece ritenuto dall'Ufficio una duplicazione dei corrispettivi erogati dalla D. s.p.a. allo stesso dipendente, sicché le fatture erano state reputate non inerenti.
L'adita CTP ha accolto il ricorso.
Con sentenza depositata il 28 settembre 2007 la Commissione tributaria regionale della Campania, in accoglimento dell'appello proposto dall'Agenzia delle entrate, ha confermato la legittimità dell'impugnato accertamento e, in ordine rispettivamente ai rilievi di cui sopra, ha evidenziato:
che dall'esposizione dei fatti in sede difensiva non emergeva l'esistenza di alcun accordo, sicché il menzionato versamento della somma di euro 2.500.000,00 non poteva che considerarsi una liberalità;
che, dalla documentazione in atti e dal riferimento sia alla e-mail del 27 marzo 2003 sia alla lettera del 14 aprile 2003, non risultava definita nell'anno 2002 l'entità del danno certo provocato dalla D. s.p.a. alla C.P., sicché per il detto anno il relativo costo (euro 185.000,00) non poteva essere riconosciuto ed era stato quindi legittimamente recuperato a tassazione;
che dagli atti risultava la sola esistenza del rapporto di lavoro dipendente tra la D. s.p.a. ed E.L. di cui al CUD 2003, recante l'imponibile di euro 128.460,91, mentre non risultava alcuna altra attività autonoma espletata da quest'ultimo.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la società, affidato a sei motivi ed illustrato da successiva memoria; ha resistito l'Agenzia con controricorso.
Questa Corte, con la sentenza n. 15287 del 21 luglio 2015, ha così provveduto: “La Corte accoglie il primo, secondo, terzo e sesto motivo di ricorso; rigetta il quarto e dichiara inammissibile il quinto; cassa, in relazione ai motivi accolti, l'impugnata sentenza, con rinvio per nuova valutazione, alla CTR Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.”.
Nella parte motiva, a proposito dei primi tre motivi, la Corte ha così argomentato l’accoglimento: “Con il primo motivo la società, denunziando -ex art. 360 n. 5 cpc- omessa, insufficiente e contradditoria motivazione della decisione per il mancato accertamento e la valutazione dei fatti di causa ed illogicità della motivazione adottata sulla scorta di inesistenti difese delle parti, nonché -ex art 360 n. 3 cpc violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cpc, 1362,1363, 1364 e 1365 cc, ha dedotto, che la CTR, nell'esaminare il primo rilievo dell'Ufficio, aveva violato il principio (applicabile anche nel processo tributario) di cui all'art. 115 cpc ed aveva fondato la sua decisione sul solo esame degli scritti difensivi.
Con il secondo motivo la società, denunziando -ex art. 360 n. 5 cpc- omessa, insufficiente e contradditoria motivazione della decisione, ha dedotto che la CTR aveva omesso di esaminare e prendere in considerazione un documento (la scrittura 12-2- 2002 inviata da (omissis) ad essa società ricorrente), attestante la dirimente circostanza dell'esistenza di un contratto tra le dette società, in forza del quale la prima ha eseguito nel 2002 -in favore della seconda- il pagamento di euro 2.500.000,00 a saldo dei costi dei servizi da quest'ultima erogati nel 2001 per lo studio, lo sviluppo e la consulenza sulle metodologie di produzione del prodotto farmaceutico denominato "Draptomicina", di proprietà di (omissis)
Con il terzo motivo la società, denunziando -ex art. 360 n. 3 cpc- violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 769 cc e 55 n. 3 lett. b) dpr 917/86 (nel testo vigente all'epoca dell'accertamento), ha dedotto che il versamento della detta somma, alla cui base vi era la salvaguardia di un interesse infragruppo (o di conservazione di un contratto plurilaterale o di una pluralità di contratti connessi), non poteva comunque (anche in assenza di esplicito accordo) essere considerato quale "liberalità", difettandone i requisiti soggettivi ed oggettivi (spirito di liberalità, arricchimento del beneficiario del pagamento e depauperamento del soggetto che esegue lo stesso).
Detti motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi ed aventi tutti ad oggetto il primo rilievo, sono fondati.
La CTR, invero, per quanto riguarda l'importo di euro 2.500.000,00, si è limitata a rilevare che "dall'esposizione dei fatti in sede difensiva" risultava "l'inesistenza di alcun accordo con conseguente inquadramento del versamento come una liberalità e, quindi, tassabile quale sopravvenienza ai sensi del comma 3 dell'art. 55 del dpr 917/86"; siffatta motivazione non consente in alcun modo di comprendere le ragioni della decisione, specie considerando che la società ha invece sempre sostenuto (v. pagg. 21-22 e 23 ricorso in cassazione) che le prestazioni di servizi (la c.d. attività di "start up") erano state eseguite in ossequio di uno specifico contratto (v. scrittura 12-2-2002, depositata in atti), definito trilaterale e complesso tra D., G.B.H. e C.P.; siffatta scrittura non è stata in alcun modo valutata dalla CTR, che pertanto è incorsa nei denunciati vizi.
[…] In conclusione, quindi, vanno accolti il primo, secondo, terzo e sesto motivo di ricorso; rigettato il quarto e dichiarato inammissibile il quinto; per l'effetto va cassata, in relazione ai motivi accolti, l'impugnata sentenza, con rinvio per nuova valutazione, alla CTR Campania, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.”.
2. Riassunto il giudizio di rinvio, l’adita CTR, con la sentenza di cui all’epigrafe, ha accolto parzialmente l’appello della contribuente, annullando il rilievo relativo all’ l’importo di euro 185.000,00, ritenendo si trattasse di corretto storno di ricavi. Contestualmente, la sentenza ha confermato il rilievo concernente il recupero a tassazione dell’importo di euro 2.5000.000,00 trattandosi di sopravvenienza tassabile; nonché il recupero di euro 94.233,39, considerando si trattasse di costi non inerenti.
3. Avverso tale decisione d’appello ha proposto ricorso principale per cassazione, affidato a tre motivi, la contribuente.
L’Amministrazione si è difesa con controricorso, contenente ricorso incidentale, affidato ad un motivo.
La contribuente ha prodotto controricorso al ricorso incidentale e memoria.
Il Procuratore generale ha prodotto conclusioni scritte, chiedendo di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso principale e di accogliere quello incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, deve darsi atto che è infondata l’eccezione con la quale la controricorrente sostiene che il ricorso principale sarebbe inammissibile, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata, in quanto la ricorrente società ha indicato la sentenza impugnata con il numero “2108/2017”, invece che con il numero corretto “2708/2017”.
Invero, va premesso che l’annotazione grafica del numero manoscritto sulla copia autentica della sentenza impugnata prodotta dalla ricorrente si presta all’ambigua ed incolpevole lettura del numero “7” nel numero “1” . Tuttavia, per quanto qui rileva, deve darsi atto che non vi è traccia, negli atti di questo giudizio, di alcuna incertezza delle parti tutte in ordine all’individuazione di quale sia stata la sentenza impugnata, come risulta palese dal contenuto stesso delle rispettive argomentazioni.
Va allora rammentato che, secondo questa Corte, la discordanza tra gli estremi della sentenza impugnata, come precisati nell'atto di impugnazione, e i corrispondenti dati identificativi della sentenza prodotta in copia autentica dall’impugnante, non è di per sé significativa, potendo essere conseguenza di un mero errore materiale, senza comportare incertezza nell'oggetto del giudizio, qualora la corrispondenza tra la sentenza depositata e quella nei cui confronti è rivolta l'impugnazione sia confermata da una verifica della congruenza tra contenuto della sentenza in atti e motivi dell'impugnazione (Cass. 02/10/2014, n. 20828; Cass. 24/11/2022, n. 34588 ); tanto più che non costituisce requisito di validità dell'atto di impugnazione l'indicazione della sentenza impugnata nei suoi estremi numerici e di data (surrogabili da specificazioni relative al contenuto della sentenza, in collegamento con i motivi di gravame), e considerato che ai fini dell'individuazione dell'oggetto del gravame riveste un ruolo determinante la produzione del documento che incorpora le statuizioni contestate (Cass. 31/07/2007, n. 16921).
Può quindi formularsi il seguente principio di diritto: « In materia di giudizio di cassazione, la discordanza, per mero errore materiale, tra i dati identificativi della sentenza impugnata indicati nell’atto d’impugnazione e quelli risultanti dalla sentenza prodotta in copia autentica dall’impugnante, non determina l’inammissibilità del ricorso, ove la corrispondenza tra la sentenza depositata e quella nei cui confronti è rivolta l'impugnazione risulti comunque dalla congruenza tra i motivi di gravame ed il contenuto della sentenza in atti, consentendo di individuare univocamente quest’ultima come oggetto effettivo del ricorso».
2. Con il primo motivo di ricorso principale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ., assumendo la violazione del giudice del rinvio dell’obbligo di uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza che ha cassato la precedente sentenza di secondo grado. La CTR non si sarebbe uniformata a quanto statuito dalla Corte, che avrebbe negato che la scrittura privata relativa al primo rilievo potesse sottendere una donazione ed una liberalità e ne avrebbe riconosciuto i presupposti contrattuali, i quali avrebbero, piuttosto, legittimato l’imputazione all’anno (2001) di esecuzione, da parte della contribuente, dei servizi dei quali l’importo in questione costituiva corrispettivo.
Il motivo è infondato. Va infatti premesso che “La denuncia del mancato rispetto da parte del giudice di rinvio del "decisum" della sentenza di cassazione concreta denuncia di "error in procedendo" per aver operato il giudice stesso in ambito eccedente i confini assegnati dalla legge ai suoi poteri di decisione, per la cui verifica la Corte di cassazione ha tutti i poteri del giudice del fatto in relazione alla ricostruzione dei contenuti della sentenza rescindente, la quale va equiparata al giudicato, con la conseguenza che la sua interpretazione deve essere assimilata all'interpretazione delle norme giuridiche.” (Cass. 05/03/2019, n. 6344). Tale interpretazione deve essere condotta “in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto.” (Cass. 19/02/2018, n. 3955).
Nel caso di specie, la lettura della motivazione (ante trascritta), resa da questa Corte a supporto della cassazione con rinvio della precedente sentenza d’appello, evidenzia univocamente come – tramite la trattazione congiunta e l’accoglimento espresso di tutti e tre i motivi attinenti il medesimo rilievo, concernente l’erronea contabilizzazione nell'anno 2001 del pagamento di euro 2.500.000,00, ricevuto dalla contribuente- sia stata ritenuta viziata la motivazione resa dalla CTR, poiché assolutamente inidonea ad esplicitare le ragioni della decisione per le quali veniva escluso che, come sostenuto dalla contribuente, la posta attiva in questione, incassata nel 2002, potesse trovare titolo nell’esecuzione, nel 2001, di prestazioni riconducibili ad un contratto complesso e trilaterale la cui esistenza sarebbe dimostrata, secondo la società, dalla scrittura privata del 12 febbraio 2002, prodotta in atti. La scrittura privata in questione, come la rilevanza che ad essa attribuivano le argomentazioni della contribuente nel merito, sono state quindi valorizzate dalla Corte, in accoglimento delle relative censure, come elementi di giudizio (rispettivamente una produzione istruttoria e la correlata difesa della società) la cui mancata ponderazione, da parte del giudice di seconde cure, evidenziava l’incomprensibilità della motivazione della sentenza d’appello e giustificava la necessità di una nuova valutazione in fatto, rimessa al giudice del rinvio. Dal tenore della motivazione della sentenza che ha cassato con rinvio la decisione d’appello deve pertanto escludersi che la Corte, oltre a rilevare tale carenza assoluta di motivazione, abbia altresì espresso un principio di diritto sulla fattispecie de qua, ed in particolare che abbia vincolato il giudice a quo a ritenere che la somma in questione, incassata nel 2002, costituisse il corrispettivo di prestazioni erogate dalla contribuente nel 2001, in esecuzione di un contratto, dimostrato dalla predetta scrittura del 2002, e fosse quindi, per competenza, imputabile all’imponibile dell’anno d’imposta 2001 (come sostenuto dalla contribuente), e non all’anno d’imposta 2002, quale sopravvenienza attiva (come assunto dall’Amministrazione con il rilievo in esame).
3. Con il secondo motivo di ricorso principale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1321 e 1326 cod. civ., avendo la CTR omesso il riconoscimento della natura contrattuale della scrittura del 12.2.2002 e dell’intervenuta accettazione per facta concludentia, da parte della D. s.p.a., della proposta proveniente dalla G.B.H. AG.
La CTR non avrebbe riconosciuto che la contribuente, continuando a svolgere attività di sperimentazione produttiva a favore della cliente C.P., avrebbe accettato implicitamente la proposta della G.B.H. AG.
Il motivo è inammissibile, atteso che la sentenza non ha escluso, in diritto, la possibilità che il contratto potesse concludersi tramite accettazione tacita, ma ha negato in fatto che le condotte delle parti e la scrittura in questione integrassero il titolo di un rapporto contrattuale, fosse pure complesso, come invece sostenuto dalla contribuente. Pertanto, il mezzo è inammissibile perché, sotto la rubrica della violazione di legge, attinge in realtà il merito della lite (Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476); nonché perché non censura la ratio decidendi fondante la decisione, che non nega affatto in diritto la legittimità di un’ipotetica conclusione del contratto per facta concludentia ; nonché, infine, perché neppure si pone criticamente rispetto all’accertamento compiuto dalla CTR, limitandosi a contrapporre la propria ricostruzione dei fatti di causa (Cass. 18/04/2008, n. 10203, ex plurimis, in materia di interpretazione).
4. Con il terzo motivo di ricorso principale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 769 cod. civ. e 55, n.3, lett. b), del t.u.i.r., in tema di determinazione dei requisiti oggettivi e soggettivi degli atti di liberalità.
Rileva la ricorrente che la CTR ha qualificato la relativa attribuzione patrimoniale come una liberalità, benché difettassero gli elementi costitutivi di tale specie di atto, ed in particolare lo spirito di liberalità ed il depauperamento della società emittente, che mirava comunque alla salvaguardia di interessi infragruppo, ed in particolare alla prosecuzione dell’attività di ricerca della D. s.p.a., ai fini della conservazione e della tutela dei rapporti commerciali del gruppo stesso con la cliente C.P. Il motivo è inammissibile.
Occorre ricordare che la controversia non investe la questione dell’ an debeatur delle imposte sull’attribuzione patrimoniale in questione da parte della contribuente, che infatti, pacificamente, aveva dichiarato il relativo componente positivo ai fini dell’imponibile dell’anno d’imposta 2001. La questione attinge invece sostanzialmente la violazione del criterio di competenza, sostenendo l’Agenzia che l’esclusione della natura di compenso contrattuale della somma in questione non ne consentisse l’imputazione al 2002, esercizio nel corso del quale erano state rese le prestazioni corrispettive della contribuente. Tale conclusione (consolidata dal rigetto dei primi due motivi) è quindi idonea ad escludere l’anticipazione dell’imputazione al 2001.
Va poi rammentato che la circostanza che la contribuente abbia imputato all’anno d’imposta precedente lo stesso componente reddituale non preclude comunque la rettifica dell’ imputazione all’anno d’imposta successivo e sub iudice, neanche ove si temesse il realizzarsi di una doppia imposizione, fermo restando che la contribuente potrebbe comunque esercitare la misura di salvaguardia dell’istanza di rimborso. Infatti, in tema di reddito d'impresa, le regole sull'imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall'art. 75 del d.P.R. n. 917 del 1986, sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione; né l'applicazione di detto criterio implica di per sè la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 c.c., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza (Cass. 23/06/2021, n. 18035, ex plurimis).
Tanto premesso, come già si è rilevato trattando il primo ed il secondo motivo, la sentenza di questa Corte che ha cassato la precedente sentenza di secondo grado aveva demandato alla CTR la valutazione in ordine alla riconducibilità, o meno, dell’attribuzione patrimoniale in questione, quale corrispettivo adempiuto dalla G.B.H. in relazione alle prestazioni che avrebbe reso la contribuente nel contesto di un rapporto contrattuale complesso tra D., , G.B.H. e C.P. inc.
La sentenza impugnata, in adempimento del decisum della Corte, ha escluso, con accertamento in fatto non sindacabile (come rilevato già trattando il secondo motivo), che l’importo controverso costituisse il dovuto corrispettivo delle prestazioni della contribuente e ne ha, di conseguenza, ritenuto legittimo il recupero a tassazione, nell’anno dell’incasso, quale sopravvenienza attiva, a prescindere dalla sussistenza di un atto di liberalità o di una donazione, sulla cui ricorrenza non si esprime infatti la sentenza impugnata.
Con il motivo in esame, sebbene formalmente rubricato con riferimento al n. 3 del primo comma, dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente principale, al fine di sostenere l’imputazione della posta de qua all’esercizio 2001, torna in realtà a sostenere, sostanzialmente, la riconducibilità dell’attribuzione patrimoniale in questione ad uno «schema contrattuale», di «natura complessa ed atipica», che si sarebbe perfezionato anche in assenza di esplicito accordo tra destinatario del pagamento e soggetto che esegue il pagamento, poiché l’assenso e l’accordo sarebbero comunque impliciti nell’accettazione dell’atto o del pagamento. La ricorrente, dunque, anche con il motivo in esame, nella sostanza insiste (come peraltro esplicita anche nelle conclusioni) nella tesi secondo cui il pagamento in questione sarebbe avvenuto in ossequio al contratto del 12 febbraio 2002 e sarebbe, pertanto, di competenza dell’anno d’imposta 2001.
Si tratta, tuttavia, di censura inammissibile perché torna ad attingere il merito della lite, giacché, come già rilevato trattando del secondo motivo, la sentenza impugnata ha negato in fatto che le condotte delle parti e la scrittura in questione integrassero il titolo del rapporto contrattuale sostenuto dalla contribuente e comunque, per quanto qui rileva, dell’attribuzione patrimoniale di cui si discute, escludendo quindi la correlazione tra il preteso titolo e l’assunta prestazione.
Ratio decidendi, quest’ultima, che peraltro, negando a monte ed in fatto la sussistenza del titolo cui sarebbe riconducibile l’attribuzione patrimoniale secondo la tesi della contribuente, prescinde da un’espressa qualificazione dello stesso titolo come liberalità, che (come dedotto da controricorrente e P.G.) non è invero esplicitata nella sentenza impugnata. Il mezzo si rileva pertanto ulteriormente inammissibile nella parte in cui censura invece anche tale qualificazione.
5. Venendo al ricorso incidentale erariale, con l’unico motivo l’Agenzia lamenta che la CTR abbia annullato il rilievo inerente l’importo di euro 185.000,00, ritenendo che si trattasse di corretto storno di ricavo, sebbene il relativo capo dell’originaria sentenza d’appello, favorevole integralmente all’Amministrazione, non fosse stato cassato dalla sentenza n. 15287 del 2015 di questa Corte, che aveva dichiarato inammissibile il relativo mezzo.
Il motivo, da ritenersi proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, evocando la violazione del giudicato e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, è ammissibile e fondato. Infatti, la stessa contribuente, nel controricorso al ricorso incidentale, alla pag. 23, ammette l’assenza nel giudizio di rinvio di alcuna domanda o difesa in ordine alla ripresa a tassazione della somma in questione, evidentemente in conseguenza del giudicato maturato a seguito del mancato accoglimento, in parte qua, del precedente ricorso per cassazione. All’accoglimento del motivo segue quindi la cassazione, senza rinvio (poiché, sul capo in questione, il giudizio non doveva proseguire), della sentenza impugnata in parte qua.
6. Nella memoria, la contribuente ha sollecitato la rideterminazione delle sanzioni irrogate con l'avviso in questione, per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. 24 settembre 2015 n.158, deducendo specificamente anche in ordine agli effetti concreti che la nuova disciplina sanzionatoria avrebbe nel caso di specie.
In applicazione del principio del trattamento sanzionatorio più` favorevole al contribuente, stabilito dall'art.3, comma 3, d.lgs. 18 dicembre 1997 n.472, la sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario introdotta dal decreto legislativo n.158 del 2015, vigente dall’ 1 gennaio 2016 a norma dell'art.32 del d.lgs n.158 del 2015, come modificato dall'art.1 comma 133 della legge 28 dicembre 2015 n.208, è applicabile retroattivamente alla condizione, ricorrente nel caso in esame , che il processo sia ancora in corso con la conseguente non definitività` della parte sanzionatoria del provvedimento impugnato (Cass. 03/05/2022, n. 13834, Cass. 30/03/2021, n. 8716, Cass. 24/01/2018, n. 8716, Cass. 27/06/2017, n. 15978 del 27/06/2017; Cass. 24/1/2018, n. 1706), dovendo “la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del favor rei ... prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d’impugnazione” (Cass. 31/03/2008, n. 8243, in motivazione; Cass. n. 2472 del 2023, in motivazione).
Pertanto, decidendo sul ricorso, la sentenza impugnata va cassata, relativamente alle sanzioni, con rinvio al giudice a quo, che dovrà` rideterminarle e provvederà` anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità`.
P.Q.M.
Decidendo sui ricorsi, accoglie il ricorso incidentale e, disattesi i motivi del ricorso principale, accoglie l’eccezione relativa allo ius superveniens in materia di sanzioni e cassa, in relazione all’accoglimento, la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.