Dopo aver fatto tali deduzioni con l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, è possibile proporre contestazioni, integranti mera difesa e dunque sottratte al regime delle preclusioni, nel corso del successivo giudizio di primo grado.
Svolgimento del processo
1. A. chiese e ottenne, nei confronti di A. T., M. E. A. S. e S. A. T., rispettivamente assegnatario il primo di alloggio di e.r.p., moglie e figlia le altre con lui conviventi, decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni di locazione relativi all’alloggio medesimo, di queste ultime assumendo la qualità di coobbligate in solido, ai sensi dell’art. 23 legge reg. Emilia Romagna
n. 24 del 2001.
M. E. A. S. e S. A. T. proposero opposizione eccependo la prescrizione della pretesa e la non debenza delle somme per il periodo successivo al loro allontanamento dall’immobile.
2. L’opposizione fu accolta dal Tribunale per difetto di legittimazione passiva delle ingiunte, divisato in ragione della ritenuta irretroattività della evocata norma regionale.
3. Il gravame interposto dall’A. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Bologna sul duplice rilievo che:
— il difetto di legittimazione passiva, discendendo nella specie da valutazione di carattere giuridico, prescinde dalle difese ed argomentazioni della parte e la sua disamina, dunque, è stata nella specie legittimamente compiuta dal primo giudice;
— nel merito la decisione sul punto è altresì corretta dal momento che, mentre il contratto di locazione all'origine della controversia è stato stipulato in data 7 marzo 1997, la responsabilità solidale dei componenti del nucleo familiare con il titolare del contratto per la morosità nel pagamento del canone di locazione o delle quote di gestione dei servizi è stata introdotta solo successivamente, dall'art. 32, terzo comma, legge reg. Emilia Romagna n. 24 del 2001, essendo invece assente nella precedente normativa; né si può diversamente argomentare dalla norma transitoria di cui all’art. 53, prevedendo questa l'applicazione della nuova normativa ai contratti in essere con esclusivo e specifico riferimento ad aspetti del rapporto diversi da quello in questione (permanenza, durata, canone).
4. Avverso tale decisione A. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Le intimate non hanno svolto difese in questa sede.
La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 167 e 416 cod. proc. civ. nonché dell’art. 2907 cod. civ. in relazione alla ritenuta rilevabilità dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva.
Premesso che, nella specie, tanto le opponenti (allorquando opposero tale eccezione per la prima volta nella prima udienza del giudizio di opposizione), quanto entrambi i giudici di merito, hanno in realtà inteso riferirsi non alla legittimazione passiva ma alla titolarità dal lato passivo del rapporto dedotto in giudizio, e ricordato che, secondo il principio affermato da Cass. Sez. U. n. 2951 del 2016, il difetto di titolarità passiva afferisce al merito e costituisce mera difesa, in quanto volta a negare la fondatezza della domanda, come tale non soggetta alle preclusioni assertive, sostiene che nondimeno la sussistenza di detta titolarità dal lato passivo in capo alle ingiunte avrebbe dovuto ritenersi, nella specie, acquisita al processo per effetto delle incompatibili difese inizialmente da esse svolte nel ricorso per opposizione (prescrizione e non dovutezza di parte dell’importo preteso), che ne implicavano il riconoscimento.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi e dell’art. 53 legge reg. Emilia- Romagna n. 24 del 2001, in relazione alla ritenuta fondatezza nel merito di detta eccezione (recte: difesa).
Osserva in premessa che la nuova legge regionale, con riferimento al coinvolgimento dei componenti del nucleo familiare negli obblighi gravanti sull’assegnatario rende esplicito quello che era un principio implicito anche nella previgente normativa, la quale, nell’indicare i presupposti per il diritto all’assegnazione e nel valutare la morosità rilevante ai fini della risoluzione, dava già rilievo alle condizioni economiche non del solo assegnatario ma anche dei componenti del suo nucleo familiare.
Ciò premesso, rileva che la Corte felsinea interpreta erroneamente la disciplina transitoria dettata dalla legge regionale n. 24 del 2001, invertendone il significato, dal momento che, all’opposto di quanto ritenuto in sentenza, l’art. 53 indica i casi ed i presupposti in cui continua a trovare applicazione la previgente disciplina, nell’implicito presupposto che per ogni altro aspetto del rapporto, ancorché già in essere, deve trovare applicazione la nuova.
Rimarca che, nella specie, la pretesa fa riferimento solo ai canoni maturati successivamente alla entrata in vigore della nuova disciplina.
3. Il primo motivo è infondato.
È corretta l’impostazione del problema operata in ricorso, ma non la sua applicazione al caso concreto.
Esattamente la ricorrente evidenzia, in coerenza con quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte nel 2016 (sentenza n. 2951), che:
— la questione posta non attiene alla legittimazione passiva del convenuto (condizione dell’azione che sussiste allorquando, e per il solo fatto che, il convenuto sia affermato come titolare dal lato passivo della situazione giuridica dedotta in giudizio, indipendentemente dalla fondatezza di tale prospettazione) ma alla titolarità del rapporto dal lato passivo (che è questione di merito e, attenendo al fondamento della domanda, deve essere provata dall’attore);
— la contestazione della sua sussistenza integra conseguentemente una mera difesa, non soggetta alle decadenze previste dall’art. 167 e (per il rito del lavoro) dall’art. 416 cod. proc. civ.;
— la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta, può tuttavia servire a rendere superflua la prova dell'allegazione dell'attore in ordine alla titolarità del diritto; ciò allorquando il convenuto riconosca il fatto posto dall'attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo.
Orbene, sulla base di tali premesse, assume che nel caso di specie ricorrerebbe quest’ultima ipotesi.
L’assunto però, come detto, è infondato.
Diversamente da quanto dedotto, invero, entrambe le difese svolte nell’atto di opposizione non erano incompatibili con la negazione della legittimazione (recte: titolarità del rapporto da lato passivo), atteso che per tale, ai sensi della citata Cass. Sez. U. n. 2951 del 2016, deve intendersi o un riconoscimento della legittimazione oppure lo svolgimento di una prospettazione che sia oggettivamente incompatibile con la contestazione della legittimazione, come la deduzione che il rapporto dedotto in giudizio ha una natura diversa da quella invocata dalla controparte.
Il dedurre la prescrizione come fatto estintivo e il contestare il quantum del credito sono invece atteggiamenti che, in quanto tenuti solo in relazione alla legittimazione invocata dalla controparte, non possono considerarsi incompatibili con la successiva diretta contestazione della legittimazione. Esse invero rappresentano mere alternative difensive non indissolubilmente legate l’una all’altra, né legate reciprocamente o unidirezionalmente, sul piano logico giuridico, da un nesso di necessaria implicazione. Si può certamente eccepire la prescrizione (anche come ragione ostativa alla pretesa di più agevole convalidazione) senza con ciò ammettere la sussistenza del fatto costitutivo del credito. Allo stesso modo la contestazione del credito rispetto ad un elemento accessorio del fatto costitutivo dedotto (la durata del rapporto) non implica necessariamente ammissione della titolarità passiva del rapporto rispetto alla restante durata. Sulla base di analoghe considerazioni questa Corte ha del resto sempre escluso che l’accoglimento in primo grado dell’eccezione di prescrizione comporti di per sé, ove astratta da ogni considerazione sulla titolarità del rapporto, giudicato implicito sulla sussistenza del credito, ostativo alla sua contestazione in appello (v. Cass. n. 20555 del 29/09/2020; n. 3380 del 15/02/2007; n. 13815 del 18/10/2000; n. 10333 del 02/12/1994)
Per tali ragioni le argomentazioni difensive svolte con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, muovendosi sul solco della impostazione data alla domanda dall’ingiungente e ad essa opponendo fatti impeditivi degli effetti in astratto correlabili al rapporto dedotto in domanda, non costituivano nemmeno implicito riconoscimento della fondatezza di quella domanda sotto il profilo, rimasto per così dire non trattato dalle difese medesime, della effettiva titolarità dal lato passivo di quel rapporto e sotto ogni altro profilo analogamente ancora suscettibile di ulteriori argomenti difensivi non soggetti a preclusione o rilevabili ex officio.
La questione che si assume dalla ricorrente tardivamente introdotta in prima udienza era di mera contestazione in iure della legittimazione passiva; essa, dunque, non ha implicato la negazione di fatti prima invece esplicitamente ammessi o non contestati, ma si è concretata soltanto nella negazione della fondatezza della domanda per ragioni attinenti alla qualificazione giuridica dei medesimi fatti allegati dalla controparte, operazione questa comunque demandata al giudice indipendentemente dalle argomentazioni svolte.
Può dunque sul punto affermarsi il seguente principio di diritto:
«l’eccezione di prescrizione del credito vantato in relazione ai canoni di locazione di alloggio di edilizia residenziale pubblica e quella di erronea quantificazione dello stesso non comportano di per sé implicito riconoscimento della titolarità, dal lato passivo, del rapporto e non ostano pertanto alla possibilità di contestarne la sussistenza nel successivo corso del giudizio di primo grado, contestazione integrante mera difesa e come tale sottratta al regime delle preclusioni».
4. Il secondo motivo è invece fondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, proprio con riferimento alla successione di leggi regionali in materia di e.r.p., il principio della irretroattività della legge comporta che la nuova norma non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso, sicché la disciplina sopravvenuta è invece applicabile ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o venute in essere alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai nuovi fini, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi dal collegamento con il fatto che li ha generati (Cass. n. 16039 del 02/08/2016).
Nel caso di specie, l’art. 53 della legge reg. n. 24 del 2001, là dove contiene espressamente norme che si preoccupano di stabilire, in disciplina della legislazione regionale precedente, fra cui quella della legge reg. del 1984, evidenzia che la stessa legge del 2001 è intervenuta sui rapporti pendenti e, al di fuori di quanto previsto per il periodo indicato ed in coerenza con l’abrogazione della legge reg. n. 12 del 1984, disposta dall’art. 59, lett. h), ha inteso rendere applicabile la sua disciplina e, dunque, l’art. 32, ai rapporti pendenti.
Il principio di irretroattività è erroneamente invocato dalla sentenza impugnata, dato che l’applicazione della legge nuova al rapporto pendente, a condizione che il legislatore sia legittimato a dettare una nuova disciplina, non dà luogo ad alcun fenomeno di retroattività, se dispone — come nella specie — l’applicazione della stessa dopo la sua entrata in vigore (per considerazioni analoghe, v. anche, in una fattispecie particolare, Cass. n. 4267 del 10/02/2023).
È appena il caso di aggiungere che la Regione Emilia-Romagna era naturalmente legittimata a dettare una nuova regolamentazione per i rapporti pendenti, sebbene per il futuro.
La nuova incidenza sui componenti del nucleo familiare, del resto, non è da ritener si ponga in modo illegittimo come attribuzione di obbligazioni ai componenti del nucleo familiare, non stipulanti il contratto, atteso che tali soggetti beneficiavano degli effetti dell’assegnazione e, dunque, la Regione poteva regolare la loro posizione, atteso che essi vantavano, a norma dell’art. 19 della legge reg. Emilia-Romagna del 1984 il diritto al c.d. subentro.
5. In accoglimento, dunque, del secondo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata rinvio al giudice a quo, al quale va demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.