Essa non è una risorsa economica della quale si deve tenere conto in punto di determinazione degli obblighi economici, ma serve all'affidatario per fare fronte alle esigenze ordinarie e straordinarie del figlio portatore di handicap.
L'attuale ricorrente domandava la modifica delle condizioni di divorzio, già concordate dai coniugi, chiedendone la revoca o la riduzione poiché la ex moglie, già all'epoca dl giudizio, aveva ottenuto dall'INPS l'erogazione mensile di un'indennità di accompagnamento per il figlio. Entrambi i Giudici di merito rigettavano la...
Svolgimento del processo
B.M. ha chiesto la modifica delle condizioni di divorzio, già concordate dai coniugi, in punto di contributo al mantenimento del figlio, fissato in euro 300,00 euro mensili oltre spese straordinarie, chiedendone la revoca o la riduzione ad euro 50,00 poiché la D.B., aveva (già all’epoca del giudizio di divorzio) ottenuto dall’INPS l’erogazione a cadenza mensile di una indennità di accompagnamento per il figlio della coppia, G:, il cui effettivo percepimento, per l’importo di € 520,29, non era stato appalesato dalla stessa nel corso del giudizio di divorzio, essendo egli all’epoca consapevole solo della circostanza che la domanda era stata presentata.
Il ricorso è stato respinto in primo grado. Il B. ha proposto appello, che la Corte veneta ha respinto, sul rilievo che egli era consapevole della presentazione della domanda e che l’indennità di accompagnamento ha finalità meramente assistenziali e non può essere presa in considerazione al fine di rideterminare gli obblighi economici del padre nei confronti del figlio.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione il B. affidandosi a due motivi. Si è costituita con controricorso la D.B.. Entrambe le parti hanno depositato memorie. La causa è stata trattata l'udienza camerale non partecipata del 17 marzo 2023.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della L. 898/70 in punto di sopravvenienza necessaria ai fini della modifica delle condizioni di divorzio con riguardo alla determinazione del contributo economico. Il ricorrente deduce che ha errato la Corte territoriale a ritenere che egli abbia tenuto conto, nel concordare le condizioni di divorzio, della indennità di accompagnamento poiché all'epoca egli era a conoscenza soltanto del fatto che era stata presentata la domanda e non anche dell'effettiva erogazione del contributo. Qualora l’odierno ricorrente fosse stato a conoscenza dell’effettiva erogazione da parte dell’INPS di un assegno periodico in favore del figlio, le proprie determinazioni in merito al mantenimento da corrispondere in favore del minore sarebbero state di certo diverse. L’assegno erogato dall’INPS, infatti, garantisce a controparte la possibilità di disporre di risorse economiche ulteriori per far fronte alla quota di propria spettanza degli esborsi ordinari e straordinari del figlio Gianluca, con evidente necessità di rideterminare gli equilibri economici sussistenti tra le parti.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'articolo 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 337 ter comma IV c.c. in punto di determinazione dell’assegno di mantenimento. Il ricorrente deduce che ha errato la Corte, nonostante la Procura avesse ”espresso parere favorevole alla riduzione del contributo ad € 100,00”, a definire l’assegno di accompagnamento una mera provvidenza avente finalità assistenziali destinate a garantire le cure mediche del disabile e che l’indennità erogata dall’INPS, non concorrendo a formare il reddito del beneficiario né del genitore collocatario del minore, non possa essere considerata al fine di rideterminare gli obblighi economici dell’obbligato nei confronti del figlio. L’indennità, invece, pur non contribuendo a formare il reddito del percipiente, costituisce una “risorsa economica” di cui necessariamente si deve tenere conto. 3.- I motivi sono infondati.
La revisione delle disposizioni della sentenza di divorzio, e ciò vale anche nel caso di procedimento introdotto con domanda congiunta che si conclude pur sempre con sentenza, presuppone, secondo quanto dispone l'art. 9 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, la sopravvenienza di giustificati motivi, vale a dire fatti successivi alla formazione del giudicato effettivamente modificativi della situazione delle parti e idonei ad incidere sull’assetto di interessi dato dal regolamento giudiziale o convenzionale. Non rilevano pertanto i fatti che si sono verificati prima della formazione del titolo e che la parte avrebbe potuto far valere nel corso del giudizio, posto che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile (Cass. n. 283 del 09/01/2020; Cass. n. 2953 del 03/02/2017); il giudicato, trattandosi di rapporti familiari, si forma rebus sic stantibus, e quindi resta salva ed impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e situazioni nuove verificatesi dopo la formazione del giudicato stesso, esclusa la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio (Cass. 15/06/2022 n.19302; Cass. 07/09/2020, n.18528; Cass., 03/08/2007, n.17078).
Nella specie, è pacifico tra le parti che la erogazione della indennità di accompagnamento è avvenuta nel corso del giudizio di divorzio e che l’odierno ricorrente era già a conoscenza del fatto che la domanda era stata presentata, così come era a conoscenza delle condizioni invalidanti del figlio. Il riconoscimento della indennità era quindi ampiamente prevedibile, oltre che -come osserva la controricorrente - agevolmente verificabile, essendo il minore in regime di affidamento condiviso, ragion per cui il padre ben avrebbe potuto acquisire presso l'INPS le informazioni relative all'esito della domanda, così come aveva il diritto di chiederle all’altro genitore, e in caso di resistenza di rivolgersi al giudice. Anche il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale, infatti, ha il diritto - dovere, ai sensi dell’art 316 c.c. ultimo comma, di vigliare sulla istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio; a maggior ragione detto dovere incombe sul genitore pienamente investito della responsabilità genitoriale in caso di affidamento condiviso.
Pertanto, sono del tutto irrilevanti le considerazioni del ricorrente sulla circostanza che egli sia rimasto “del tutto estraneo all’intero iter procedurale e all’oscuro delle determinazioni adottate dall’Inps in merito all’accoglimento o al rigetto della presentata istanza” per la ragione che “le informazioni relative allo stato di lavorazione di una richiesta presentata all’Istituto sono accessibili soltanto agli utenti che hanno inviato detta domanda”. Anche a non voler considerare la trascuratezza nell’esercitare i doveri genitoriali, rimanendo “estraneo” alla cura degli interessi del minore, resta il fatto che il ricorrente era consapevole della presentazione della domanda al momento in cui ha raggiunto un accordo sulle condizioni di divorzio e non risulta che le parti abbiano espresso una riserva di modifica degli accordi in relazione all’esito della pratica, ovvero in qualche modo ne abbiano condizionato l’efficacia al possibile riconoscimento della prestazione assistenziale; questo significa che - secondo una interpretazione oggettiva dell’accordo per come esso si è manifestato nella realtà dei fatti - hanno implicitamente considerato l’esito della richiesta ininfluente sui patti di divorzio.
È pertanto corretto il ragionamento logico- giuridico seguito dalla Corte di merito, la quale, dai fatti sopra esposti, ha induttivamente tratto la conseguenza che i due coniugi, nel concordare il contributo di mantenimento per il figlio minore a carico del padre, abbiano tenuto conto anche di tale futura erogazione assistenziale in favore del minore, portatore di handicap grave.
4.- Ugualmente erroneo è l’assunto che l’indennità di accompagnamento, pur non contribuendo a formare il reddito del percipiente, costituisce una “risorsa economica” di cui necessariamente si deve tenere conto nella determinazione del contributo al mantenimento a carico del genitore. Anche su questo punto è pienamente condivisibile il giudizio reso dalla Corte di merito, la quale ha rilevato che la gestione ordinaria di un figlio portatore di una inabilità del 100% è molto più complessa anche sotto il profilo dell’accudimento e del soddisfacimento delle esigenze ordinarie del minore, e che la provvidenza assistenziale erogata dall’INPS è finalizzata a coprire le cure e le prestazioni riabilitative di cui il bambino necessita.
La indennità di accompagnamento è infatti finalizzata a fare fronte alla situazione di invalidità e all'incapacità del beneficiato di provvedere da solo gli atti della vita quotidiana e non è diretta ad aumentare il reddito del percipiente (Cass. 14/12/2022, n.36565; (Cass. 19/11/2021 n. 35709). Pertanto, non è una risorsa economica della quale si debba tenere conto in punto di determinazione dell'assegno di mantenimento ma è semplicemente una misura assistenziale pubblica diretta pareggiare o quantomeno a diminuire l'incidenza dei maggiori costi che comporta la patologia per la persona diminuita e per il familiare che se ne prende cura.
Il contributo al mantenimento è invece diretto a fare fronte alle ordinarie e straordinarie esigenze del figlio in esse comprese quelle abitative, scolastiche, sportive, sanitarie, sociale, della opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia (ex multis: Cass. n. 4145 del 10/02/2023; Cass. n. 16739 del 06/08/2020; Cass. n. 3974 del 19/03/2002).
Con la indennità di accompagnamento e le altre provvidenze in favore di invalidi, lo Stato si fa carico non già dei doveri genitoriali, ma della condizione di specifico svantaggio che riguarda la persona (e di conseguenza il caregiver) in attuazione dei doveri di solidarietà propri del nostro sistema costituzionale, che persegue la uguaglianza sostanziale dei consociati, tramite interventi positivi in favore dei soggetti svantaggiati, al fine di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona (artt. 2 e 3 Cost.).
Anche a voler considerare che l’indennità di accompagnamento compensi interamente la condizione di particolare svantaggio data dalla invalidità, e quindi riporti l’assetto familiare in condizioni di equilibrio e di parità rispetto alla condizione delle famiglie non colpite dalla condizione patologica di uno dei suoi componenti, resta comunque il dovere di fare fronte a quelle che sono le comuni e correnti esigenze di vita del figlio, in proporzione ai redditi ed alle sostanze di cui ciascuno dispone, secondo le regole che riguardano la genitorialità (artt. 147 e 337 ter c.c.). Diversamente ragionando si dovrebbe dire che, se i figli minori godono di buona salute e sono in grado di provvedere agli atti di vita quotidiana, il genitore non è tenuto a mantenerli ovvero è tenuto al più a versare un contributo simbolico, quale ad esempio la somma di euro 50,00 mensili che appare equa - ma solo in via subordinata rispetto al “contributo zero”- al ricorrente, il quale peraltro, come rileva la Corte di merito, non ha lamentato alcun decremento della propria condizione patrimoniale rispetto al momento in cui sono state concordate le condizioni di divorzio.
4.1- In sintesi, la circostanza che un minore benefici, in ragione della patologia da cui è affetto, di pensione di invalidità ovvero di indennità di accompagnamento non comporta il venir meno del diritto del genitore convivente a percepire il mantenimento da parte dell’altro genitore, in proporzione ai redditi di quest’ultimo, al fine di fare fronte alle esigenze organizzazione domestica e di cura, educazione e istruzione del minore, tenuto conto della finalità meramente assistenziale delle suddette provvidenze, le quali non escludono l'obbligo di mantenimento da parte del genitore, direttamente derivante dagli art. 147 e 337 ter c.c..
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.