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Tizio conveniva in giudizio la Banca al fine di opporsi al decreto ingiuntivo. A sostegno dell'opposizione, l'attore eccepiva il difetto di veridicità degli estratti conto posti a base della richiesta d'ingiunzione, poiché gli stessi non soddisfacevano i requisiti previsti dall' |
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La disciplina legislativa indicata dalla |
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È legittimo che i contratti di apertura di credito prevedano la commissione di massimo scoperto come una remunerazione della messa a disposizione di un importo da parte della banca, nella misura in cui detta somma non sia utilizzata. Ciò in ragione del fatto che trattasi, invero, di una prestazione dell'istituto di credito che ha un costo per lo stesso, a prescindere dal suo ammontare e detto costo non è remunerato dagli interessi, generalmente calcolati solo sull'importo utilizzato se, quando e nella misura in cui si verifichi l'utilizzazione. Per contro, la commissione di massimo scoperto deve essere ritenuta priva di causa laddove calcolata sulle somme in concreto utilizzate dal correntista. |
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Secondo il Tribunale, nel caso di specie, quanto al primo periodo fino alla In definitiva, il Tribunale ha accolto l'opposizione e, per l'effetto, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto; infine, ha dichiarato che, alla data di chiusura del conto corrente, era presente il saldo finale a favore del correntista e l'insussistenza del credito della convenuta. |
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con atto di citazione iscritto a ruolo in data 23.07.2015 e ritualmente notificato, M.A. ha convenuto in giudizio, dinanzi all’intestato Tribunale, Unicredit s.p.a., opponendosi al decreto ingiuntivo n. (omissis), provvisoriamente esecutivo, emesso in data 12.5.2015 (depositato il 14.5.2015) da questo Tribunale, per l’importo di €.29.845,50 oltre interessi e spese del giudizio monitorio.
A sostegno dell’opposizione, l’attore ha dedotto, in sintesi e per quanto di interesse:
a) il difetto di veridicità degli estratti conto posti a base della richiesta d’ingiunzione, poiché gli stessi non soddisfacevano i requisiti previsti dall’art 50 del d.lgs n. 385 del 1993 e che, nello specifico, gli estratti di conto corrente ex adverso prodotti (ai doc. nn. 1 e 2) erano privi di valida certificazione di conformità delle scritture contabili, sicché non era possibile rinvenire l’organo certificatore né il soggetto dichiarante;
b) l’illegittima applicazione di interessi anatocistici ed usurari da parte della banca con riguarda al rapporto di conto corrente n. (omissis) successivamente rinominato n. (omissis), acceso da M.A. in data 28.6.2001;
c) l’applicazione, relativamente al mutuo chirografario n. (omissis) del 01.03.2012, di un tasso effettivo diverso da quello pattuito per effetto dell’illegittima applicazione del regime composto degli interessi e per effetto dell’applicazione della formula dell’interesse composto utilizzata dalla banca per la predisposizione della rata iniziale e del piano di ammortamento;
d) l’errata indicazione dell’ISC o del TAEG.
Tanto dedotto, l’attore ha chiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
“…accertare e dichiarare la nullità delle clausole contrattuali, attinenti al rapporto di conto corrente di cui in premessa, che prevedano la capitalizzazione trimestrali degli interessi, il tasso di interesse debitore in misura superiore a quello legale; Accettare e dichiarare l’invalidità delle Commissioni di Massimo scoperto trimestrali applicate al conto corrente ordinario richiamato in atti, nonché degli interessi ultralegali derivanti dal gioco fittizio delle valute, in quanto detti meccanismi sono privi di validità negoziale; Accertare e dichiarare il tasso usurario del rapporto di conto corrente bancario n (omissis), come evidenziato da CTP ed eliminare ogni remunerazione a favore della banca; Accertare e dichiarare per l’effetto l’esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del calcolo del saldo di conto corrente che potrà essere effettuato in sede di CTU tecnico-contabile e sulla base dell’intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito. Relativamente al contratto di finanziamento oggetto del presente giudizio, previo accertamento della difformità tra tasso contrattuale e tasso contrattuale effettivo di ammortamento e dichiarare ai sensi e per gli effetti dell’art. 1284cc, 1283 cc e 1815 cc e 1419 cc, la nullità della clausola dell’interesse ultralegale dichiarando il diritto dei mutuatario a provvedere al rimborso rateale del mutuo al tasso legale di volta in volta vigente, con eliminazione dell’anatocismo in ogni sua applicazione. Dichiarare l’inesistenza del credito vantato dalla convenuta opposta e revocare il decreto ingiuntivo n. (omissis) del 14.05.2015, con condanna della convenuta al rimborso delle spese e competenze di causa.
Si è costituita Unicredit s.p.a. e per essa DOBANK S.p.A., eccependo, in sintesi e per quanto di interesse:
1) l’infondatezza dell’eccezione relativa alla presunta non veridicità degli estratti conto, in quanto superata dalla produzione, in tal sede, degli estratti conto integrali relativi al contratto di conto corrente n. (omissis), oltre che dalla non contestazione, da parte dell’attore, dell’inadempimento allegato dalla banca, corroborato anche dal riconoscimento del proprio debito effettuato da A.
in data 02.04.2013;
2) l’infondatezza delle contestazioni relative all’illegittima pattuizione di interessi anatocistici ed usurari, oltre che all’applicazione di commissioni di massimo scoperto nell’ambito del rapporto di conto corrente;
3) l’infondatezza delle eccezioni relative all’applicazione effettiva del tasso di interesse nell’ambito del rapporto di mutuo.
Tanto eccepito, la banca ha concluso chiedendo il rigetto della domanda attorea e la conferma del decreto ingiuntivo, vinte le spese di lite.
La causa è stata istruita dal giudice precedente assegnatario del fascicolo, mediante le produzioni documentali delle parti e l’espletamento della consulenza tecnica contabile, affidata alla dott.ssa D.P.. Assegnata alla scrivente giudice in data 6.10.2021, la causa, rinviata d’ufficio all’udienza cartolare dell’11.10.2022, ove le parti hanno precisato le conclusioni, è stata trattenuta in decisione, con concessione alle parti del termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di giorni venti per repliche. La parte attrice ha depositato la comparsa conclusionale, mentre la parte convenuta non ha depositato né la comparsa né le repliche.
I. Delimitazione del thema decidendum.
L’attore ha instaurato il presente giudizio al fine di ottenere l’accertamento negativo dell’inesistenza del credito vantato dalla banca, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo n. (omissis). Ciò, sul presupposto che la banca gli avrebbe addebitato illegittimamente interessi anatocistici e usurari, oltre alle commissioni di massimo scoperto con riguardo al rapporto di conto corrente ordinario n. (omissis) successivamente rinominato n. (omissis), acceso da esso attore in data 28.6.2001, conto che, a detta della banca, avrebbe presentato un saldo negativo pari ad € 5.539,34.
Il medesimo ha poi dedotto che, quanto al mutuo chirografario contraddistinto dal n. (omissis) - sottoscritto in data 01.03.2012, con il quale gli era stato concesso dalla banca
un capitale di €.30.000,00 e in relazione al quale la banca assumeva di vantare un credito di €.24.306,16 (giusta estratto conto certificato ex art. 50 D. Lgs n. 385/1993 del 23.01.2015) – l’istituto di credito avrebbe applicato un tasso di interesse diverso da quello pattuito.
Da parte sua, la banca convenuta ha chiesto il rigetto della domanda eccependo l’infondatezza della pretesa attorea.
II. Gli oneri probatori delle parti in ordine alle domande di accertamento in materia bancaria.
È noto che, secondo costante giurisprudenza, in materia contrattuale, il creditore, sia che agisca per la risoluzione, che per l'esatto adempimento, che per il risarcimento del danno, si può limitare a provare la fonte dell'obbligazione ed allegare l'inadempimento, mentre grava sul convenuto dimostrare l’esatto adempimento, cioè il pagamento dell’importo dovuto, così estinguendo il diritto azionato, ovvero l'impossibilità sopravvenuta di adempiere a sé non imputabile (cfr., per tutte, Cass., Sez. Un.,
30.10.2001, n. 13533).
È parimenti noto che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la parte opposta assume solo formalmente la veste di convenuto, mentre resta attore in senso sostanziale della pretesa azionata in via monitoria, con la conseguenza di essere gravato dall’onere di allegare e provare il titolo su cui si fonda la sua pretesa.
Nel caso di specie, la banca ha prodotto:
1) la copia del contratto di conto corrente ordinario n. (omissis) stipulato in data 28.06.2001 (successivamente rinumerato n. (omissis)) con allegate le Condizioni
economiche (doc. n. 4 del fascicolo monitorio);
2) la copia fotostatica del contratto di mutuo chirografario n. 3070097, stipulato in data 1.03.2012 e relativo piano di ammortamento (doc. n. 6 del fascicolo monitorio);
3) gli estratti conto integrali relativi al contratto di conto corrente n. (omissis) (doc. n. 5 del fascicolo Unicredit);
4) la comunicazione di revoca del contratto di conto corrente e del mutuo dell’11.11.2013.
La banca ha poi dedotto che l’attore avrebbe maturato un’esposizione debitoria pari ad €.5.539,34 con riguardo al rapporto di conto corrente ordinario n. (omissis)
successivamente rinominato n. (omissis) e pari ad €.24.306,16 relativamente al mutuo chirografario contraddistinto dal n. (omissis).
L’attore, dal canto suo, ha eccepito la non debenza delle somme richieste, poiché derivanti da illegittime applicazioni, da parte della banca, di interessi anatocistici, usurai, c.m.s. e tassi diversi da quelli pattuiti. A comprova delle asserzioni, ha offerto la perizia di parte di cui al doc. n. 4 del fascicolo attoreo.
Dal momento che la controversia attiene a due diversi rapporti contrattuali, per maggiore chiarezza espositiva, essi saranno esaminati separatamente.
III. Il rapporto di conto corrente n. (omissis) stipulato in data 28.06.2001 (successivamente rinumerato n. (omissis)).
Anzitutto, non appare superfluo al Tribunale evidenziare come il documento n. 7, indicato dalla banca convenuta come riconoscimento del debito, contiene l’espressa volontà di ripianare il debito, mediante la corresponsione di rate mensili di €.300,00, ma senza l’indicazione dell’ammontare del debito riconosciuto.
Sul punto, è bene rammentare che l’atto di riconoscimento di debito non ha natura negoziale nè carattere recettizio e non deve essere necessariamente compiuto con una specifica intenzione ricognitiva; tuttavia occorre che esso rechi, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza del debito e riveli i caratteri della volontarietà (Cass. Civ. n. 4632/04); inoltre, il riconoscimento di debito, pur non avendo natura negoziale, nè carattere recettizio e costituendo un atto giuridico in senso stretto, non solo deve provenire da un soggetto che abbia poteri dispositivi del diritto, ma richiede altresì in chi lo compie una specifica intenzione ricognitiva, occorrendo a tal fine la consapevolezza del riconoscimento desunta da una dichiarazione univoca, tale da escludere che la dichiarazione possa avere finalità diverse o che lo stesso riconoscimento resti condizionato da elementi estranei alla volontà del debitore (Cass. Civ. n. 10755/09; Cassazione civile sez. II, 24/04/2012, n. 6473).
Nel caso di specie, attesa la genericità delle dichiarazioni contenute nelle predetta missiva, non si ritiene che essa possa giuridicamente qualificarsi come ricognizione del debito, ma solo come mera intenzione dell’attore di stipulare con la banca un piano di rateizzazione del debito.
Ciò posto, in riferimento al rapporto contrattuale n. (omissis), già conto corrente ordinario n. (omissis), la banca ha agito per il pagamento del saldo debitore pari ad €.5.539,34, oltre interessi.
Al fine di quantificare i rapporti di dare e avere tra le parti è stata disposta la consulenza tecnica d’ufficio.
Il CTU incaricato, in risposta ai quesiti del Tribunale, ha proceduto a:
1) escludere dal conteggio la commissione di massimo scoperto applicata non sulla somma complessivamente affidata, bensì sul picco dell’utilizzato o sullo scoperto, in assenza di fido;
2) rettificare le valute ai sensi dell’art. 120 TUB;
3) verificare se la banca abbia capitalizzato gli interessi, sia attivi che passivi, con pari periodicità.
Le singole operazioni effettuate saranno esaminate partitamente.
3.1. L’illegittima applicazione delle commissioni di massimo scoperto.
La parte attrice ha dedotto l’illegittimità dell’applicazione della commissione di massimo scoperto, poiché applicata sull’esposizione debitoria massima raggiunta dal correntista e, per alcuni trimestri, non prevista contrattualmente.
La censura è fondata per i motivi che seguono.
Com’è noto, nella tecnica bancaria, la commissione di massimo scoperto - tradizionalmente introdotta con una pattuizione accessoria ai contratti di affidamento in conto corrente- era una commissione riconosciuta dal cliente alla banca a fronte dell’impegno di quest’ultima di tenere a sua disposizione l’importo oggetto dell’affidamento.
Tuttavia, nel corso degli anni, tale commissione è stata talvolta applicata anche in maniera diversa rispetto alla sua originaria funzione, non tenendo conto dell’ammontare dei fondi messi a disposizione del cliente, utilizzati o non utilizzati, ma dell’esposizione debitoria massima concretamente raggiunta dal cliente in un determinato periodo di riferimento, solitamente trimestrale.
Di conseguenza, la commissione di massimo scoperto non era più configurabile né come una controprestazione di quanto erogato dalla banca al cliente per il periodo di utilizzo dell’affidamento, né come una remunerazione della tenuta a disposizione del cliente di somme da parte della banca.
Nella maggior parte dei casi, poi, la commissione di massimo scoperto, normalmente espressa in valori percentuali, era rapportata alla somma utilizzata dal cliente, aggiungendosi agli interessi corrispettivi.
Sulla materia si sono susseguiti diversi orientamenti giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità fino all’introduzione della disciplina legislativa di cui alla l. 28 gennaio 2009 n. 2. Nel dettaglio, quest’ultima ha previsto la nullità delle clausole contrattuali aventi ad oggetto la c.m.s., nel caso in cui il saldo del cliente risultasse a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni, ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido, nonché delle clausole che prevedessero una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore di un correntista, indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma ed altre restrizioni.
La normativa è stata poi seguita da ulteriori interventi legislativi, ultimati dal d.l. 24.1.2012 n. 1, che, in combinato disposto con l’art. 117 bis, co. 3 del TUB, ha previsto la nullità delle clausole di pattuizione della c.m.s., nel caso in cui non risulti che la banca abbia stipulato o adeguato le clausole contrattuali alle previsioni dell’articolo 117-bis TUB e del decreto CICR 20 giugno 2012, n. 644.
Così sinteticamente delineato il quadro normativo di riferimento, si osserva che, nel caso di specie, il primo periodo da analizzare è quello che va dal III trimestre 2001 fino alla legge n. 2/2009.
Deve ritenersi che, prima dell’introduzione di tale normativa, la commissione di massimo scoperto aveva un’idonea causa giustificatrice solo qualora fosse stata prevista come corrispettivo per la messa a disposizione delle somme del fido e fosse pertanto calcolata sull'importo accordato e non utilizzato.
Detta interpretazione è in linea con la posizione espressa dalla Suprema Corte, secondo cui la commissione di massimo scoperto rappresenta “la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista, indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma”.
In tale ottica interpretativa, la causa giustificatrice della commissione di massimo scoperto consiste nell’esigenza di riequilibrare i costi sostenuti dalla banca per approvvigionarsi del denaro che sarebbe stato concesso alla clientela (in tal senso, cfr. Cass. 18.1.2006 n. 870).
Ed infatti, appare legittimo che i contratti di apertura di credito prevedano la commissione di massimo scoperto come una remunerazione della messa a disposizione di un importo da parte della banca, nella misura in cui detta somma non sia utilizzata.
Ciò in ragione del fatto che trattasi, invero, di una prestazione dell'istituto di credito che ha un costo per lo stesso, a prescindere dal suo ammontare e detto costo non è remunerato dagli interessi, generalmente calcolati solo sull'importo utilizzato se, quando e nella misura in cui si verifichi l’utilizzazione.
Per contro, la commissione di massimo scoperto deve essere ritenuta priva di causa laddove calcolata sulle somme in concreto utilizzate dal correntista.
Sulla base di tali considerazioni, è stato posto al CTU il quesito, per il periodo anteriore alla data di entrata in vigore della legge 28 gennaio 2008 n. 2, nel senso di escludere la c.m.s. nel caso di mancanza di pattuizione o di pattuizione contenente criteri di determinazione dell’entità e delle modalità di calcolo non sufficientemente determinate, nonché se prevista ed applicata sull'utilizzato.
La consulente ha evidenziato che la c.m.s. è stata sempre applicata sul picco dell’utilizzato. Di conseguenza, adeguandosi al quesito posto, la professionista incaricata ha provveduto ad espungere gli importi a tali titoli illegittimamente addebitati al correntista.
Per il periodo successivo alla data di entrata in vigore della legge sopra citata e fino alla chiusura del conto (periodo che va dal III trimestre 2009 al III trimestre 2012), la consulente ha evidenziato che sono stati effettuati addebiti per c.m.s., nonostante questa non fosse stata pattuita contrattualmente.
Da ultimo, per il periodo successivo e sino alla chiusura del conto, la c.m.s. risulta conforme ai criteri di legge.
In definitiva, l’ammontare delle commissioni di massimo scoperto illegittimamente addebitate al cliente è pari alla somma di €.14.434,16#.
3.2. L’illegittima applicazione di interessi anatocistici e l’illegittima decorrenza delle
valute.
La parte attrice ha dedotto che la banca ha illegittimamente addebitato, per tutta la durata del rapporto, interessi anatocistici, per mezzo della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.
Ha inoltre dedotto l’illegittima decorrenza delle valute in violazione dell’art. 120 TUB.
La doglianza è fondata nei limiti di seguito esposti.
Ora è noto che la pratica dell’anatocismo trimestrale è da ritenersi illegittima: la corte di legittimità ha infatti sottolineato che “l'uso normativo anatocistico trimestrale, inesistente prima dell'entrata in vigore del codice del 1942, non si è potuto formare successivamente in costanza del divieto anatocistico dell'art. 1283 c.c. e, pertanto, sono nulle le clausole anatocistiche dei contratti bancari”. Da ciò deriva che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, con cui è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 76 Cost., la norma contenuta nell'art. 25, 3° co. d.lgs. n.342/1999, di salvezza della validità e degli effetti delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, a queste ultime restino applicabili, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, le norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali debbono essere dichiarate nulle, perché stipulate in violazione del cit. art. 1283 c.c. (Cass. S.U. n. 21095/2004).
La consulente incaricata ha accertato che gli interessi sono stati capitalizzati trimestralmente sia per la banca che per il correntista, ma tuttavia gli interessi attivi della banca risultano sempre pari a zero, considerata la presenza delle sole partite debitorie. L’ausiliare ha inoltre accertato che, dagli estratti conto registrati dal 29.06.2001 al 13.01.2014 (data dell’ultima operazione effettuata), è risulta l’illegittima decorrenza delle valute.
La rettifica delle valute ha comportato l’accertamento della somma di €.10.189,47 a titolo di interessi passivi a debito dell’attore e a favore della banca. Di contro, quest’ultima, ha addebitato all’attore la maggior somma di €.43.533,92, a titolo di interessi passivi per illegittima decorrenza della valuta.
Conseguentemente, la CTU ha concluso che gli interessi da corrispondere all’attore sono pari ad €.45,53, mentre gli interessi passivi illegittimamente addebitati dalla banca sono pari ad €.33.344,45 (€.43.533,92 - €.10.189,47).
Le risultanze della CTU, condotte con metodologia corretta, logica e coerente – e che per tale ragione si condividono – possono essere poste a base della decisione, non avendo peraltro la parte convenuta articolato specifiche censure oltre alle osservazioni del CTP, alle quali la CTU ha esaustivamente risposto nella relazione definitiva.
IV. Il contratto di mutuo chirografario n. 3070097, stipulato in data 1.03.2012.
La banca ha agito in via monitoria anche per la somma di €.24.306,16, oltre interessi, quale saldo a debito del mutuatario relativo al mutuo chirografario sopra indicato, di originari €.30.000,00
A tal fine, la medesima ha prodotto il contratto di mutuo e il piano di ammortamento (cfr. contratto di mutuo di cui al doc. n. 6 del fascicolo monitorio).
La consulente officiata è stata chiamata a verificare quale formula o metodo di calcolo è stato utilizzato dalla banca per la determinazione della rata costante indicata in contratto e ad accertare se essa corrisponde alla formula matematica del regime composto degli
interessi.
Giova premettere che, nel regime dell'interesse composto, l'ammontare degli interessi prodotti da un'operazione di investimento è proporzionale al capitale impiegato, alla durata dell'investimento e al tasso di interesse. Contrariamente al regime dell'interesse semplice, quindi, l'interesse maturato alla fine di ogni periodo viene capitalizzato, ossia si aggiunge al capitale iniziale e contribuisce a far maturare i nuovi interessi nel periodo successivo. Nel regime semplice, invece, l’interesse non è fruttifero, perché è solo il capitale iniziale a produrre interessi.
Ciò posto, dalle risultanze peritali è emerso che la banca ha applicato il regime degli interessi composti (quindi con interessi fruttiferi che producono a loro volta interessi) a tassi mensili non equivalenti (cfr. consulenza tecnica e allegato n. 15).
Il T.A.N. (tasso annuo nominale) effettivamente applicato è pari a 11,088%, mentre quello pattuito era pari al 9,550%.
Ora, calcolando la rata mensile al regime di capitalizzazione semplice (quindi con interesse non fruttifero) al tasso convenzionale, essa è risultata pari ad €.613,64, anziché pari a quella pattuita ed erogata dal mutuatario, pari ad €.630,79.
Essendo risultata una rata più ridotta, la consulente, in risposta al quesito del Tribunale, ha proceduto a ricalcolare la rata costante mensile risultante dall’applicazione del regime semplice degli interessi al tasso sostitutivo ex art. 117, co. 6 TUB. La rata così determinata è risultata pari ad €.523,32#.
Il T.A.E.G. (tasso annuo economico globale) effettivamente applicato è pari ad €.10,423%, quindi di poco difforme a quello pari ad €.10,40%.
Di conseguenza, l’importo preteso dalla banca e portato dal decreto ingiuntivo non risulta corretto.
V. Risultanze finali e spese di lite.
In conclusiva sintesi:
• con riguardo al rapporto di conto corrente n. (omissis) stipulato in data 28.06.2001, considerato il passaggio in sofferenza, in data 13.01.2014, a favore della banca pari ad €.5.4848,94, il saldo finale a favore del correntista è risultato
pari ad €.42.339,20# (€.45,53 + €.33.344,45 + €.14.434,16 = €.47.824,14 - €.5.484,94).
• con riguardo al rapporto di mutuo n. 3070097, la rata costante è stata calcolata applicando la capitalizzazione composta a tassi di interesse non equivalenti; il TA.N. applicato è pari all’11,088% (difforme da quello pattuito, pari al 9,550%); la rata costante in applicazione del regime semplice e al tasso sostitutivo è pari ad €.523,32; il T.A.E.G. effettivamente applicato è pari al 10,423%, quindi di poco difforme a quello pattuito.
Alla luce di quanto sopra, in accoglimento dell’opposizione, il decreto ingiuntivo va revocato, atteso che, con riguardo al conto corrente, sussiste il credito del correntista pari ad €.42.339,20# corrispondente al saldo finale ricalcolato e, con riguardo al mutuo, il credito portato dal decreto ingiuntivo non risulta corretto. Conseguentemente, il decreto ingiuntivo va revocato. Non avendo l’attore proposto un’azione di ripetizione, ma solo di accertamento negativo del credito della banca, non andrà pronunciata alcuna statuizione della condanna nei confronti della banca.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo alla luce dei parametri di cui al D.M. 55/2014 aggiornato al d.m. 147/2022, sono poste a carico della parte convenuta, alla luce del principio di causalità di cui all’art. 91 c.p.c.
Le spese della consulenza, liquidate con separato decreto, seguono il medesimo principio e sono poste definitivamente a carico della parte convenuta, fermo restando che nei rapporti esterni tra le parti e il CTU vige il regime di responsabilità solidale di tutte le parti processuali (cfr. Cassazione civile sez. VI, 08/11/2013, n.25179: “Il decreto di liquidazione di cui alla l. n. 319 del 1980, art. 11, ha e conserva efficacia esecutiva nei confronti della parte ivi indicata come obbligata e - finché la controversia non sia risolta con sentenza passata in giudicato, che provveda definitivamente anche in ordine alle spese - ha l'effetto di obbligare il c.t.u. a proporre preventivamente la sua domanda nei confronti della parte ivi indicata come provvisoriamente obbligata al pagamento e solo nel caso di sua inadempienza può agire nei confronti dell'altra, in forza della responsabilità solidale che, in linea di principio, grava su tutte le parti del processo per il pagamento delle spese di c.t.u. e che perdura anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo, anche indipendentemente dalla definitiva ripartizione fra le parti dell'onere delle spese.)”.
P.Q.M.
Il Tribunale di Teramo, definitivamente pronunciando, sulla domanda in epigrafe indicata, nel contraddittorio tra le parti, ogni contraria istanza, deduzione o eccezione respinta o assorbita, così provvede:
1) accoglie l’opposizione e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto;
2) accerta e dichiara che, alla data di chiusura del conto corrente n. (omissis) stipulato in data 28.06.2001, il saldo finale a favore del correntista è pari ad €.42.339,20#;
3) accerta e dichiara l’insussistenza del credito della convenuta pari ad €.24.306,16#, quale debito residuo del mutuo chirografario n. 3070097;
4) condanna la parte convenuta e la parte intervenuta, in solido tra loro, al pagamento, in favore della parte opponente, delle spese di lite che liquida in €.5.562,00, oltre oneri di legge;
5) pone definitivamente a carico della parte opposta e della parte intervenuta, in solido tra loro, le spese della consulenza tecnica d’ufficio, liquidate con separato decreto.
Teramo, 14 aprile 2023