È in questo momento che si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti secondo la normativa fiscale.
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Rimini, in sede di riesame di provvedimenti cautelari reali, ha confermato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale il 13 gennaio 2022, che aveva avuto ad oggetto disponibilità finanziarie o beni, quote o titoli fino ad un valore corrispondente al profitto del reato di cui all'art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000 contestato al capo 53 della imputazione provvisoria, avendo il ricorrente utilizzato in compensazione crediti inesistenti (collegati all'utilizzo del bonus locazioni, nella forma di credito di imposta codice tributo 6931) per l'importo di euro 379.448,03 sulla scorta delle presentazioni dei modelli F24 indicati nel capo di incolpazione provvisoria.
Inoltre, erano state sottoposte a sequestro preventivo cosiddetto impeditivo le società e la ditta individuale del ricorrente utilizzate per commettere i reati contestati (e cioè quelli di associazione per delinquere e reimpiego di denaro di provenienza illecita).
2. Ricorre per cassazione Stefano Francioni, deducendo:
1) violazione di legge per non avere il Tribunale valutato adeguatamente la circostanza che, nel caso di specie, il ricorrente aveva effettuato una richiesta di compensazione inerente a debiti erariali già iscritti a ruolo presso l'Agente della Riscossione.
Le modalità previste dalla legge in questo caso, secondo il D.M. 10 febbraio 2011, comportavano che l'Agenzia delle Entrate doveva rilasciare il nulla osta trasmettendolo all'Ente di Riscossione, circostanza che non si era realizzata, essendo stata bloccata l'operazione di compensazione da parte della Agenzia delle Entrate in seguito alla indagine in corso, sicché gli importi a debito del ricorrente risultavano ancora dovuti nei confronti dell'Ente riscossore.
Ne sarebbe conseguito che il reato contestato non era stato portato a consumazione, non risultando sufficiente, in questa specifica ipotesi, la mera presentazione del modello F 24 quietanzato.
Dunque, non si sarebbe realizzato alcun profitto confiscabile, tenuto conto che la compensazione non aveva avuto luogo ed il debito del ricorrente risultava ancora iscritto a ruolo rendendo possibile una azione esecutiva;
2) violazione di legge per non avere il Tribunale tenuto conto che il ricorrente risultava cessionario di un credito di imposta che aveva origine dal cosiddetto bonus locazioni, evenienza contemplata dall'art. 122, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020.
Quale cessionario egli non avrebbe potuto rispondere delle eventuali caratteristiche di illiceità del credito di imposta originario, posto che attraverso la cessione il ricorrente si trovava ad operare con un «oggetto del tutto nuovo e causai mente svincolato dal credito di imposta sorto in capo al soggetto cedente», tanto che l'impianto normativo di interesse prevede che gli accertamenti e le eventuali sanzioni ricadano solo in capo al primo soggetto cedente.
L'effetto «sanante» della cessione del credito di imposta manterrebbe la sua efficacia scriminante nei confronti del cessionario Francioni anche, in ipotesi, laddove egli fosse stato consapevole dell'origine illecita del credito, dal momento che non aveva partecipato alla creazione del credito di imposta originario, come comprovato dal fatto che, al capo 39, gli è stata contestata una condotta ex art. 648-ter cod.pen.. non applicabile a chi abbia concorso nel reato presupposto.
Il Tribunale, in proposito, nonostante l'espressa doglianza, non avrebbe offerto alcuna motivazione, tanto da integrare il vizio di violazione di legge;
3) violazione di legge per non avere il Tribunale tenuto conto che l'effetto «sanante» riconnesso dall'art. 122, comma 4, D.L. 34 del 2020, non poteva far ritenere che il credito di imposta oggetto di cessione fosse inesistente o non spettante, eventualità che sarebbero riferibili solo al soggetto che ha generato il credito di imposta;
4) violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell'art. 10, comma 2, decreto legislativo n. 74 del 2000 anziché ai sensi del comma 1 della medesima norma, trattandosi, nel caso in esame, non di credito fiscale inesistente ma di credito fiscale non spettante, tenuto conto che per la configurazione del primo occorre la mancanza del presupposto costitutivo ma anche che l'inesistenza non risulti evincibile dai controlli automatizzati e/o dai dati in possesso dell'amministrazione. Nel caso in esame, tale secondo requisito sarebbe assente, tenuto conto che l'Agenzia delle Entrate avrebbe immediatamente rilevato e riconosciuto l'inesistenza del credito;
5) violazione di legge per avere il Tribunale ritenuto sussistente l'esigenza impeditiva che aveva legittimato il sequestro delle società e della ditta individuale riferibili al ricorrente, senza tenere conto che esse erano operative in ambiti leciti, svolgendo attività di consulenza da tempo antecedente rispetto ai fatti contestati e che erano state sequestrate tutte le società pertinenti agli altri coindagati utilizzate per la creazione dei crediti di imposta. Infine, l'emissione di misure cautelari personali - nel caso del ricorrente quella interdittiva della sospensione dall'esercizio della professione di commercialista - avrebbe scongiurato ogni pericolo di reiterazione dei reati;
6) violazione di legge per non avere il Tribunale ritenuto non sequestrabili i beni destinati a soddisfare il minimo vitale necessario all'indagato ed alla sua famiglia, non potendosi fare riferimento alle capacità economiche del coniuge e senza tenere conto dei debiti gravanti sul nucleo familiare.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. Quanto al primo motivo - e premesso che l'indagato non si duole della misura cautelare reale relativa al reato di cui all'art. 648-ter contestatogli ma solo a quella frazione inerente al reato di cui all'art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 -secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità alla quale il Collegio aderisce, il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si consuma al momento della presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l'utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale; non rilevano, pertanto, l'eventuale mancato computo della compensazione da parte dello Stato ed il conseguente non aggiornamento del e.ci. cassetto fiscale, in quanto tali operazioni, successive alla presentazione del modello indicato, sono soltanto ricognitive del rapporto obbligatorio tra Amministrazione e contribuente, senza alcun effetto costitutivo o modificativo (Sez. 3, n. 23027 del 23/06/2020, Mangieri, Rv. 279755; Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018, dep. 2019, Cappello, Rv. 274854).
Nel caso in esame, come risultava fin dal provvedimento genetico e come ha ribadito il Tribunale, il ricorrente aveva utilizzato in compensazione parte dei crediti inesistenti dovuti alla creazione di crediti di imposta fittizi a lui ceduti (o alle società al medesimo riconducibili) consentita dalla legislazione emergenziale in tema di bonus locazioni, sismabonus e bonus facciate.
Questi crediti erano stati portati in compensazione attraverso il pagamento di un cospicuo numero di modelli F24 indicati a fg. 278 del provvedimento del Giudice per le indagini preliminari.
Il reato fiscale si era, dunque, per ciò solo, integrato a prescindere ed a monte del fatto che si trattasse di debiti fiscali già iscritti a ruolo e bloccati dall'indagine in corso.
Il profitto del reato, inoltre, è costituito dallo stesso ammontare del credito di imposta inesistente utilizzato per la compensazione non consentita, pari, nella specie, ad euro 379.448,03 come precisato a fg. 6 del provvedimento impugnato, anche in considerazione della regola secondo la quale, il profitto dei reati di cui agli artt. 3 e 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 è di diversa natura, corrispondendo, nel primo caso, ad un abbattimento della base imponibile e, quindi, della percentuale dell'imposta dovuta, e nel secondo caso, invece, al mancato versamento di un debito di non predeterminata natura per un ammontare corrispondente al credito inesistente o non spettante (Sez. 3, n. 35719 del 23/09/2020, Oliva, Rv. 280429; Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, Carriera, Rv. 274561; Sez. 6, n. 6705 del 16/12/2014, dep. 2015, Libertone, Rv. 262394, secondo la quale, come si legge in motivazione, « con specifico riguardo ai reati tributari, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il profitto del reato è pari all'ammontare della imposta evasa che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale, direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, certamente riconducibile alla nozione di profitto del reato: si tratta del "risparmio economico derivante dalla sottrazione effettiva degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, dei quali direttamente beneficia l'autore" (Cass. Sez. 3, n. 9578 del 17/01/2013, Tanghetti, Rv. 254748; Cass. U, n. 18374 del 31.1.2013, Adami e altro, Rv. 255036). Tale nozione di profitto deve ritenersi valida per tutte le ipotesi di reato di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10- bis, 10-ter, 10-quater e 11 D.Lgs n. 74/2000, richiamate dall'art. 143, comma 1, L. 244/2007 ai fini dell'estensione della confisca per equivalente ai sensi dell'art. 322-ter c.p. 6.4. Di tali coordinate ermeneutiche ha fatto buon governo il Tribunale di Chieti, laddove il vantaggio economico di diretta derivazione causale dal reato tributario di indebita compensazione non può che coincidere con il risparmio economico ottenuto dall'agente dal compimento di tale operazione, mediante la quale ha sottratto - e, dunque, evaso - l'intero ammontare degli importi compensati alla loro destinazione fiscale».
2. Quanto al secondo motivo, deve richiamarsi il principio di diritto secondo cui, in tema di sequestro preventivo impeditivo relativo al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi cessionari di cui all'art. 121, comma 1, lett. b), d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 1.7 luglio 2020, n. 77 (oggetto del cd. "superbonus 11.0%"), posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processualpenalistiche che non risultano derogate dalla disciplina in oggetto (Sez. 3, n. 40865 del 21/09/2022, Decio, Rv. 283701).
Nel caso in esame, peraltro, è stato ipotizzato dal provvedimento impugnato (cfr. fgg. 8 e 9), nella sostanza, un concorso del ricorrente nella violazione, circostanza comunque idonea a consentire di agire nei suoi confronti quale terzo cessionario per il recupero delle somme, ex art. 121, comma 6, d.l. n. 34 del 2020, essendo il ricorrente indagato anche per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla creazione di crediti di imposta fasulli sfruttando la legislazione emergenziale ed indipendentemente dalla ulteriore contestazione di cui all'art. 648-ter cod.pen. che non è oggetto di scrutinio in questa sede con riguardo alla sussistenza dei suoi elementi costitutivi rispetto ad una eventuale diversa qualificazione giuridica in termini di autoriciclaggio.
3. Il terzo motivo è assorbito dalle considerazioni sopra riportate a proposito della efficacia non sanante della cessione del credito di imposta rispetto al cessionario ed ai fini di cui si discute, fermo restando che il ricorrente, in questa sede, non ha interesse a dolersi, stante l'identica conseguenza dal punto di vista del procedimento cautelare, del fatto che si tratti di credito inesistente o non spettante, essendo stata, comunque, dimostrata la condotta illecita.
4. Il quarto motivo è assorbito da quanto appena rilevato.
5. Il quinto motivo è inammissibile perché non consentito, in quanto con esso si deduce non una violazione di legge - unico profilo rilevante in questa sede (tra le tante, sez.5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, conforme a Sez.U, n. 5876 del 2004, Bevilacqua) - ma un vizio motivazionale, avendo il Tribunale spiegato, a fg. 10 del provvedimento impugnato, che il sequestro delle società riconducibili al ricorrente è stato dovuto al loro utilizzo come cessionarie dei crediti di imposta fasulli, sicché, proprio la loro permanente operatività sul mercato giustifica il pericolo di aggravare i reati attraverso la reiterazione delle condotte criminose contestate.
6. Del pari, anche il sesto motivo è volto a censurare non una violazione di legge ma un vizio di motivazione, avendo il Tribunale ancorato il provvedimento cautelare a precise emergenze investigative, come i bilanci delle società e le ingenti somme di danaro in contante reperite e dall'analisi dei redditi del nucleo familiare al fine di giustificare interamente la misura dal punto di vista quantitativo ritenendo la salvaguardia delle esigenze primarie della famiglia del ricorrente, ritenute ampiamente capienti.
Tutte le considerazioni che precedono assorbono ogni altra censura difensiva.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 1 .01.2023.