E ciò anche se la società contribuente dispone di un bacino di utenza ristretto in quanto operante nel settore dei prodotti di lusso o di nicchia.
Svolgimento del processo
Con avviso di accertamento l'Agenzia delle entrate, Direzione Provinciale di Alessandria, recuperava nei confronti della contribuente i maggiori importi dovuti a titolo di Ires, Irap e Iva, con riferimento al periodo di imposta 2007.
L'atto impositivo si imperniava su un processo verbale di constatazione del 13 settembre 2010 e riqualificata, per quanto di interesse, taluni costi sostenuti da C. s.p.a. alla stregua di spese di rappresentanza, anziché di pubblicità, con conseguenti, importanti riflessi in punto di deducibilità degli esborsi.
Nella specie, i costi riguardavano eventi organizzati nel 2007 dalla contribuente, tra (omissis) e (omissis), consistiti in sfilata di modelle con indosso gioielli, cocktails, cena con concerto benefico, mostra di un artista, presentazione di un libro.
La CTP di Alessandria accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente.
La CTR del Piemonte accoglieva, invece, l'appello erariale, respingendo l’impugnazione dell’atto impositivo con riferimento, tra l’altro, proprio alla deducibilità delle spese di pubblicità.
Il ricorso per Cassazione della contribuente è affidato a due motivi.
Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la contribuente lamenta, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 7 D.M. 19 novembre 2008 e dell'art. 108, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1996, nella versione modificata dall'art. 1, comma 33, lett. p), L. n. 244 del 2007, nonché degli artt. 1 e 3 della L. n. 212 del 2000 e dell'art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, per avere la CTR applicato una norma ad un periodo di imposta espressamente escluso e per aver violato le norme sulla irretroattività delle disposizioni fiscali.
Il motivo è infondato.
La CTR ha accertato che “le spese di cui si discute avevano ad oggetto servizi di catering e intrattenimenti … posti in essere in occasione di eventi vari come l’apertura di un nuovo negozio”, soggiungendo che gli esborsi in questione rispondevano nella specie all’“obiettivo di diffondere e consolidare l’immagine dell’impresa senza una diretta correlazione con i ricavi”, tanto da dover essere “qualificate come spese di rappresentanza”.
Il riferimento all’art. 1 D.M. 19 novembre 2008, oltre ad assumere una connotazione meramente didascalica ed esemplificativa, appare del tutto marginale e recessivo a fronte di un accertamento che sul piano sostanziale ne prescinde, rivelandosi pienamente allineato – al netto di esso – alla giurisprudenza di questa Corte, a tenore della quale “ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l'informazione ai consumatori circa l'esistenza di tali beni e servizi, unitamente all'evidenziazione e all'esaltazione delle loro caratteristiche e dell'idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite” (Cass. 10440 del 2021). Infatti, “In tema di redditi d'impresa, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obbiettivi, anche strategici, perseguiti mediante le stesse, che, nella prima ipotesi, coincidono con la crescita d'immagine ed il maggior prestigio, nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società, mentre, nell'altra, consistono in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto” (Cass. 12676 del 2018).
Lo schema delle regole non sortisce variazioni sensibili in ipotesi in cui la società contribuente disponga di un bacino di utenza ristretto, in quanto operi in un settore di prodotti di lusso o di nicchia, perciò rivolgendosi ad una clientela selezionata. Pure in tale situazione viene, infatti, in apice una differenziazione nitida fra le spese pubblicitarie, da una parte, e quelle di rappresentanza, dall’altra. Le prime seguitano a contemplare i soli esborsi immediatamente incrementativi delle vendite sulla base della reclamizzazione diretta di uno o più prodotti; esse, quindi, postulano lo svolgimento di attività organizzative e strutturate tese ad affermare beni e oggetti sul mercato e ad ampliare il numero delle transazioni commerciali che li riguardano. Il che accade quand’anche, per la peculiarità, il pregio o il valore intrinseco dei beni e degli oggetti stessi non corra l’esigenza di far ricorso a campagne massmediatiche o all’opera di intermediari pubblicitari professionali.
Di contro, restano di rappresentanza tutte quelle le spese che valgono essenzialmente a far conoscere ed apprezzare – non importa se fra il c.d. “grande pubblico” o all’indirizzo di una platea ristretta ed elettiva di cultori o potenziali avventori – il soggetto che produce o commercializza una determinata tipologia di prodotti. Ciò ancorché nel perimetro delle iniziative culturali o mondane a tal fine preparate e patrocinate, tali prodotti siano a latere mostrati, esibiti, finanche occasionalmente acquistati da quanti, prendendo parte all’evento promosso dall’ente, colgano l’opportunità per acquistare un bene o un oggetto.
Giova, in definitiva, affermare il principio di diritto di seguito declinato, facendone conseguente applicazione nel caso di specie, alla luce dell’accertamento puntualmente compiuto dalla CTR:
“In tema di redditi d'impresa, quand’anche la società contribuente, commercializzando prodotti di lusso o di nicchia, disponga di un’utenza di riferimento tendenzialmente ristretta, il criterio discretivo tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza rimane rappresentato dagli obbiettivi immediatamente perseguiti mediante gli esborsi sostenuti, i quali per iscriversi fra le prime, devono necessariamente rispondere ad una finalità promozionale specificamente centrata sui prodotti, attraverso un’attività reclamistica e organizzativa direttamente calibrata sulla loro vendita, viceversa ricadendo fra le seconde ove finanzino iniziative imperniate sull’ente, orientandosi a potenziarne, quale patrocinatore o sovvenzionatore di eventi culturali, il grado di conoscenza, l’immagine e il prestigio fra i potenziali, selezionati clienti, e ciò ancorché possa derivarne, collateralmente e di riflesso, un incremento delle vendite dei prodotti”.
Con il secondo motivo di ricorso, la contribuente censura, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 108, comma 2, 109, commi 4 e 5, d.P.R. n. 917 del 1986, degli artt. 19 e 19-bis, comma 1, lett. h), d.P.R. n. 633 del 1972, per non avere la CTR riconosciuto la piena deducibilità ai fini Irap e Ires delle spese di pubblicità nonché la piena detraibilità ad esse relativa.
Il motivo è infondato.
Giova riaffermare – rafforzandolo in ragione del principio di diritto or ora espresso in relazione alla prima, disattesa censura – il pacifico indirizzo sezionale (enunciato ancor di recente da Cass. n. 6540 del 2022 e da Cass. n. 10440 del 2021 cit., la quale ultima, in materia di tributi armonizzati, consolida precedenti arresti applicabili anche alle imposte dirette) secondo cui "In tema di Iva, ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l'informazione ai consumatori circa l'esistenza di tali beni e servizi, unitamente all'evidenziazione e all'esaltazione delle loro caratteristiche e dell'idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite".
Del resto, è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere l'immagine dell'impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti e servizi dell'impresa (cfr., da ultimo, Cass. n. 6092 del 2019 e Cass. n. 1795 del 2019).
Il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va, dunque, individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l'informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all'evidenziazione e all'esaltazione delle loro caratteristiche e dell'idoneità a soddisfarne i bisogni, e di incremento delle vendite.
L'accertamento delle spese di pubblicità postula, dunque, l'esistenza di un collegamento obiettivo ed immediato – che nella specie il giudice del merito ha motivatamente escluso – tra la promozione di un prodotto o di una produzione e l'aspettativa diretta di un maggior ricavo.
È stato condivisibilmente affermato che la spesa pubblicitaria deve essere riferita alla trasmissione di un messaggio destinato a informare il pubblico della esistenza e della qualità di un prodotto o di un servizio, allo scopo di incrementare le vendite, mentre non può risolversi in una spesa idonea ad incidere solo sull'immagine dell'impresa, in relazione all'esaltazione di aspetti attinenti al suo decoro e alla sua importanza (cfr. Cass. n. 16676 del 2018).
Nella specie, la CTR, sulla scia della giurisprudenza di legittimità ha sussunto le spese in esame entro la categoria delle spese di rappresentanza, alla stregua di un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti del vizio di motivazione, non denunciato. Nessuna violazione di legge è, pertanto, riscontrabile, ma un pieno ossequio ai principi espressi dalla nomofilachia.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza, nella misura esposta in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.