Le due fattispecie si perfezionano in due momenti differenti: la data di presentazione della dichiarazione fraudolenta, il primo, e quella della indebita compensazione, il secondo, a nulla rilevando che il credito compensato sia proprio quello indicato nella dichiarazione fraudolenta.
La Corte d'Appello di Milano riformava la sentenza pronunciata dal Tribunale di Monza, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell'imputato per il reato
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Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1.II sig. E. S. ricorre per l'annullamento della sentenza del 13/04/2022 della Corte di appello di Milano che, in riforma della sentenza del 21/01/2021 del Tribunale di Monza, da lui impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per il reato di cui all'art. 3, d.lgs. n. 74 del 2000, limitatamente all'anno di imposta 2011, ha rideterminato la pena per le residue condotte relative agli anni di imposta 2012 e 2013 nella misura di dieci mesi di reclusione, ha ridotto la confisca ad euro 544.815,00, ha confermato nel resto.
1.1. Con il primo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 3, d.lgs. n. 74 del 2000. Afferma che ai fini dell'integrazione del reato non è sufficiente l'omessa annotazione nelle scritture contabili degli elementi fittizi, anche se passivi, indicati nelle dichiarazioni fiscali; se, come nel caso di specie, i giustificativi degli elementi passivi non vengono inseriti in contabilità, viene integrato il residuo delitto di cui all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, mancando una qualsiasi alterazione della rappresentazione della realtà societaria e, dunque, qualsiasi condotta fraudolenta.
Deduce, altresì, sotto un ulteriore profilo, l'erronea applicazione dell'art. 3, d.lgs. n. 74 del 2000, avendo la Corte di appello statuito che i modelli F24 utilizzati per le compensazioni sono strumenti fraudolenti.
La sentenza non spiega, afferma, in che modo i modelli F24 costituiscano "mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento", né in che modo avrebbero reso più difficoltoso l'accertamento stesso. La dichiarazione Iva del 25/11/2011, osserva, ha generato fittiziamente un credito d'imposta inesistente, compensato con i debiti di imposta pregressi utilizzando moduli F 24 "a saldo". Tali compensazioni altro non sono che lo strumento con il quale è stata effettuata l'evasione di imposta che trae origine proprio dalla falsa dichiarazione IVA.
1.2. Con il secondo motivo deduce la mancanza, la contraddittorietà e l'illogicità della sentenza che, travisando i fatti e le prove documentali legittimamente acquisite al processo, lo ha ritenuto concorrente nel reato consumato dal S. per mancato controllo sull'operato di questi, in tal modo violando gli artt. 40, cpv., e 110 cod. pen.
Queste le prove travisate:
i) l'allegato alla lista testimoniale dal quale si evince che il S. era stato sospeso dall'albo il 07/11/2016 e non "all'epoca dei fatti", come erroneamente afferma la Corte di appello;
ii) il decreto di citazione a giudizio del S. e l'avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso nei confronti sempre del S., relativi a due diversi procedimenti, prodotti all'udienza di primo grado del 15/10/2020 e che dimostrano l'impossibilità che il ricorrente sapesse, già nel 2011, che il predetto professionista fosse "noto per porre in essere azioni spregiudicate", come erroneamente sostiene la Corte di appello.
Aggiunge che il concordato preventivo era stato presentato il 17/04/2012 e la dichiarazione infedele il 25/11/2011, ma la Corte di appello non spiega in che modo il ricorrente potesse anche lontanamente immaginare che il S. potesse formare una dichiarazione integrativa manifestamente ed assurdamente falsa inventandosi letteralmente operazioni passive IVA fittizie per euro 5.000.000,00. Il fatto che il ricorrente abbia consapevolmente approfittato di tale condotta ai fini della presentazione dell'istanza di concordato non equivale a sostenere il contrario, che cioè egli si fosse rivolto al S. proprio per questa ragione. Nè la Corte di appello spiega quale fosse la fonte dell'obbligo giuridico di impedire l'evento e perché, dunque, il ricorrente fosse obbligato a vigilare sul comportamento del proprio professionista.
1.3. Con il terzo motivo deduce l'erronea applicazione degli artt. 2, comma quarto, 159 cod. pen., 1, legge n. 103 del 2017, e il vizio di motivazione illogica e contraddittoria in relazione alla consumazione del reato.
Lamenta, in particolare, l'applicazione retroattiva dell'art. 39, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 124 del 2019, che ha inasprito la pena del reato di cui all'art. 3, d.lgs. n. 74 del 2000, innalzandone il massimo edittale a otto anni di reclusione, nonché l'applicazione retroattiva delle cause di sospensione del corso del processo introdotte dalla legge n. 103 del 2017 con effetto per i fatti commessi dopo la sua promulgazione.
Aggiunge che la Corte di appello è caduta in errore quando: a) ha identificato la data di consumazione del reato in quella del 10/09/2011, laddove essa coincide con quella di presentazione della dichiarazione (25/11/2011); b) fa riferimento all'anno di imposta 2012 del tutto estranea all'addebito (che riguarda il solo anno di imposta 2010).
2.11 ricorrente ha depositato memoria a confutazione della richiesta del PG di inammissibilità del ricorso.
3. E' fondato e assorbente l'ultimo motivo di ricorso.
4. Osserva il Collegio:
4.1. il ricorrente risponde del reato di cui all'art. 3, d.lgs. n. 74 del 2000, che la rubrica ipotizza come commesso in D. dal 10/09/2011 al 10/09/2013;
4.2. la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato limitatamente all'anno di imposta 2011, confermando nel resto la condanna;
4.3. il reato di cui all'art. 3, d.lgs. n. 74 del 2000, si consuma nel luogo e nel giorno della presentazione della dichiarazione fiscale (Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014, Vidi, Rv. 262358 - 01; Sez. 2, n. 42111 del 17/09/2010, De Seta, Rv. 248499 - 01; Sez. 1, n. 25483 del 05/03/2009, Daniotti, Rv. 244155 - 01);
4.4. nel caso di specie, dalla lettura delle sentenze di primo e di secondo grado risulta che la dichiarazione fraudolenta oggetto di contestazione era unicamente quella integrativa del 25/11/2011 (relativa, peraltro, all'anno di imposta 2010) nella quale era stato esposto un inesistente credito di imposta (euro 1.073.993) successivamente utilizzato in compensazione con cinque modelli F24 (quattro presentati il 19/12/2011, uno il 26/06/2012);
4.5. correttamente, dunque, l'imputato aveva dedotto in appello che l'unica dichiarazione integrativa ai fini IVA contestata come fraudolenta era quella presentata, appunto, il 25/11/2011, non giustificandosi l'estensione della condotta ad altri fatti consumati fino al 10 settembre 2013;
4.6. la Corte di appello ha ritenuto fondato l'appello in relazione alla dichiarazione fraudolenta presentata il 10/09/2011 (errando sulla data) ma ha escluso la prescrizione per l'annualità 2012 senza spiegare quale dichiarazione fosse stata presentata nell'anno 2013 posto che nel 2012 la società legalmente rappresentata dall'imputato era stata dichiarata fallita;
4.7. né, come detto, risultano presentate dichiarazioni fraudolente nell'anno 2012, a meno di ritenere che la Corte di appello abbia ritenuto parte integrante della condotta la presentazione nell'anno 2012 del residuo modello F24 indicato al § 4.4 che precede;
4.8. se così fosse (la rubrica sembra quasi ipotizzarlo), si deve precisare che l'utilizzazione, in compensazione, di crediti inesistenti indicati in una delle dichiarazioni di cui agli artt. 2, 3 e 4, d.lgs. n. 74 del 2000, costituisce condotta autonoma che integra il solo reato di cui all'art. 10-quater, d.lgs. n. 74 del 2000, il quale può concorrere con quello dichiarativo ma non ne estende la data di consumazione fino a quella dell'indebita compensazione;
4.9. si tratta di fattispecie autonome ognuna delle quali si perfeziona alla data di presentazione della dichiarazione (reati dichiarativi) e a quella dell'indebita compensazione, non rilevando che il credito compensato sia proprio quello indicato nella dichiarazione fraudolenta o infedele;
4.10. la rubrica non contesta al ricorrente il delitto di cui all'art. 10-quater, d.lgs. n. 74 del 2000 e, tuttavia, anche a volerne ritenere la consumazione alla data del 26/06/2012, sarebbe anch'esso estinto per prescrizione;
4.11. la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio perché il residuo reato è estinto per prescrizione;
4.12. la confisca (disposta in forma equivalente) deve essere revocata non trovando applicazione l'art. 578-bis cod. proc. pen. ai reati commessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, che ha introdotto la suddetta disposizione (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il residuo reato è estinto per prescrizione.