Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 138/2019, pubblicata il 21/1/2019, ha dichiarato cessata la materia del contendere per il periodo successivo al settembre 2016 e respinto, nel resto, l’appello proposto da G. C., nei confronti di R. B., avverso decisione di primo grado, intervenuta nel giudizio di modifica delle condizioni, riguardanti il mantenimento della figlia B., nata fuori dal matrimonio, stabilite con decreto presidenziale del 20/10/2002 (che fissava l’assegno mensile, dovuto dal padre, in € 1.500,00, oltre € 500,00 per canone di locazione e il 50% delle spese straordinarie), poi modificate, in via provvisoria, con ordinanza in sede di reclamo ex art.669 terdecies c.p.c. della Corte d’appello del 2014 (quando l’assegno mensile era stato ridotto ad € 1.000,00, incluso il canone di locazione).
Il Tribunale, con sentenza del settembre 2016, aveva fissato «a decorrere dal 5 settembre 2016» in € 1.200,00 mensili l’assegno a carico del padre (di professione avvocato) da versare alla madre (anch’essa avvocato), oltre al rimborso integrale delle spese universitarie ed al 50% delle spese straordinarie.
I giudici d’appello, in particolare, hanno rilevato che, rispetto alla situazione reddituale dei genitori esaminata nel provvedimento del luglio 2014, adottato in corso di causa, le condizioni degli stessi erano migliorate e non peggiorate e che l’appellata B. aveva prodotto un’ulteriore sentenza intervenuta tra le parti, il 14/6/2018, con la quale il Tribunale di Verona aveva statuito che il C. non doveva versare alcunché alla B. a far data dal settembre 2016, a titolo di mantenimento della figlia (trasferitasi presso il padre), respinta la domanda restitutoria delle somme versate in eccesso dal luglio 2016. La Corte d’appello ha quindi: a) dichiarato cessata la materia del contendere «vista la sentenza di Verona del 2018», essendo «venuto meno il presupposto della domanda principale di revoca o riduzione dell’assegno sicuramente da settembre 20016»; b) ritenuto che, per il periodo tra il settembre 2012 (epoca di notifica della citazione di primo grado per la revoca o la riduzione dell’assegno di mantenimento della figlia, a modifica del decreto dell’ottobre 2002) sino all’ordinanza del 27/3/2014 e per quello successivo sino alla revoca disposta in separato giudizio, non essendo neppure stato contestato dal C. – malgrado richiesta di revoca o riduzione dell’assegno a suo carico
- l’obbligo «in linea oggettiva» di provvedere al mantenimento della figlia ma solo la «sproporzione» dell’importo a suo carico, rispetto alle condizioni reddituali e personali dell’obbligato e della B., l’assegno a carico del padre dovesse essere confermato e non già revocato, valutate le più recenti dichiarazioni dei redditi prodotte dai genitori e rilevata l’esistenza di un rilevante squilibrio reddituale (avendo la B. documentato un reddito medio imponibile di € 26.000,00, nel triennio 2015-2017, e il C. un reddito il € 214.000,00 nel 2015, di € 140.000,00 nel 2016 e di € 283.000,00 nel 2017), il che giustificava la debenza, da parte del padre, ai fini del contributo per la figlia B., di € 1.500,00 mensili da settembre 2012 a marzo 2014, e poi di € 1.000,00, da marzo 2014 sino a settembre 2016, data della revoca finale; c) la domanda restitutoria era inammissibile, stante il carattere sostanzialmente alimentare dell’assegno di mantenimento in favore del figlio.
Avverso la suddetta pronuncia, G. C. propone ricorso per cassazione, notificato il 4/4/2019, affidato a sei motivi, nei confronti di R. B. (che resiste con controricorso, notificato il 9/5/2019).
Motivi della decisione
1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, sia l’omesso esame, ex art.360 nn. 4 e 5 c.pc., di fatto decisivo oggetto di discussione sia la violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art.337 ter c.c., già 155 c.c., e 115 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di prendere posizione, travisando i documenti prodotti, sulla richiesta del ricorrente di revoca/riduzione dell’assegno (fissato con decreto presidenziale del 2002 in € 2.000,00 mensili e non in € 1.500,00 mensili come indicato in sentenza), anche per il periodo settembre 2012 al marzo 2014 e sulla condanna della B. alla restituzione; b) con il secondo motivo, l’omessa e contraddittoria motivazione , ex art.360 nn. 4 e 5 c.p.c., per avere la Corte d’appello, da un lato, confermato la decisione presa in sede di reclamo ex art.669 terdecies c.p.c. del 2014 (coni fissazione di un assegno mensile di € 1.000,00 oltre il 50% delle spese straordinarie), dall’altro lato, non riformato la decisione di primo grado che aveva, invece, fissato l’obbligo per il C. di corresponsione di un assegno mensile di € 1200,00 e di sostenere integralmente le spese universitarie della figlia; c) con il terzo motivo, ex art. 360 nn. 3,4 e 5 c.p.c., il travisamento, la motivazione apparente, nonché la violazione degli artt. 337 ter c.c. e 115 c.p.c., in relazione al secondo periodo della domanda di revoca/riduzione dell’assegno, dall’aprile 2014 al settembre 2016, per avere la Corte territoriale preso in considerazione redditi delle parti del tutto errati, peraltro lordi e non netti; d) con il quarto motivo, la nullità della sentenza e del procedimento , ex art.360
nn. 3,4 e 5 c.p.c., per omessa pronuncia, in violazione dell’art.112 c.p.c., nonché dell’art.337 ter c.c., per non avere esaminato la questione relativa all’utilizzo da parte della B. dell’assegno mensilmente versato dal C. non per esigenze della figlia ma per spese personali (quali l’acquisto di una nuova auto); e) con il quinto motivo, la nullità della sentenza e del procedimento , ex art.360 nn. 3,4 e 5 c.p.c., per omessa pronuncia, in violazione dell’art.112 c.p.c., avendo la Corte d’appello, in relazione al terzo periodo, successivo al trasferimento della figlia B. presso il padre (settembre 2016) ad oggi, omesso di provvedere sul contributo al mantenimento della figlia dovuto dalla B.; f) con il sesto motivo, la violazione degli artt. 3,23,24, 30 Cost. e 13 e 14 CEDU, per avere la Corte d’appello respinto la domanda di condanna della B. alla restituzione di quanto versato in eccedenza e non dovuto a fronte della revisione/revoca dell’assegno di mantenimento della figlia, stante l’asserita natura alimentare dell’assegno originariamente fissato in € 2.000,00 mensili, il cui ammontare è, invece, incompatibile con un pagamento alimentare, destinato a comprendere solo i beni di stretta necessità.
2. La prima censura è infondata, in parte, e comunque inammissibile, nella restante parte.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia esaminato la propria domanda di revoca/riduzione dell’assegno di mantenimento in favore della figlia minore B., nata nel gennaio 1998, anche per il periodo settembre 2012 (data della domanda introduttiva di primo grado) al marzo 2014 (data di adozione da parte del Tribunale di un provvedimento provvisorio di riduzione dell’originario assegno di € 2.000,00 - di cui € 500,00, a titolo di contributo per il canone di locazione – ad € 1.000,00, incluso il canone locatizio).
Orbene, diversamente da quanto lamentato dal ricorrente, la Corte d’appello ha ritenuto infondata tale doglianza, in quanto il C. si era doluto esclusivamente della «sproporzione dell’importo a suo carico rispetto alle condizioni reddituali e personali» di esso obbligato, senza neppure contestare il proprio obbligo in linea oggettiva, e comunque, valutate le posizioni reddituali delle parti quali documentate con le dichiarazioni fiscali, la debenza di tale assegno a carico del padre doveva essere confermata.
Quanto alla misura dell’assegno, le dichiarazioni fiscali prodotte, si aggiunge nella motivazione della decisione impugnata, confermavano «il rilevante squilibrio già evidenziato dal tribunale, che, secondo l’opinione della Corte, è comunque tale da giustificare il contributo per la figlia B. di € 1.500,00 (da settembre 2012 a marzo 2014), € 1.000 (da marzo 2014 sino a settembre 2016 data della revoca finale)».
Non vi è stata quindi alcun vizio motivazionale da parte della Corte territoriale: la Corte d’appello ha riconosciuto la debenza dell’assegno di mantenimento della figlia B. sino all’agosto 2016 (considerato che da settembre 2016 l’obbligo di versamento è venuto meno), nella misura rimodulata dal Tribunale in corso di causa .
Nel motivo si denuncia poi un vizio di omessa corretta valutazione delle risultanze istruttorie, in violazione degli artt.115 c.p.c. e 337 ter c.c..
Orbene, questa Corte ha già affermato (Cass 27000/2016) che «in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione» (conf. Cass. 1229/2021; Cass. 6774/2022).
Il ricorrente, nella sostanza, denuncia un’erronea valutazione da parte della Corte d’appello delle risultanze istruttorie.
Va quindi ribadito che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. 23940/2017).
Neppure ricorre la lamentata violazione dell’art.337 ter c.p.c., peraltro neppure ben esplicitata (limitandosi il ricorrente a lamentare la non veritiera rappresentazione dei rispettivi redditi dei genitori), in quanto la Corte territoriale ha vagliato le posizioni reddituali dei genitori, quali emergenti dalle dichiarazioni reddituali prodotte, al fine di determinare il contributo al mantenimento della figlia minore a carico del genitore non collocatario.
3. Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili.
Con il secondo motivo si censura un vizio di contraddittorietà della motivazione, non più sindacabile da questo giudice di legittimità.
Né ricorre un vizio di insanabile contraddittorietà della motivazione. Il Tribunale (con sentenza n. 2437 del 29/09/2016, prodotta in atti) aveva definitivamente fissato, «a modifica delle condizioni di contributo al mantenimento della figlia stabilite con decreto emesso dal Tribunale di Verona in data 20.10.2002, così come modificato con ordinanza rex art.669 terdecis c.p.c. emessa in corso di causa in data 23.07.2013» (rectius 2014), l’obbligo del C. di versare alla B. «a decorrere dal 5 settembre 2016» € 1.200,00 mensili, a titolo di contributo al mantenimento della figlia B. (divenuta maggiorenne nel gennaio 2016), oltre al rimborso integrale delle spese universitarie ed al 50% delle spese straordinarie, riducendo quindi l’assegno originariamente fissato in un decreto risalente all’ottobre 2002 . Il Tribunale ha quindi mantenuto la rimodulazione ad € 1.000,00 mensili, che era stata disposta in via provvisoria in sede di reclamo, in corso di causa, nel 2014, sino all’agosto 2016, fissando la decorrenza del piccolo aumento disposto «tenuto conto delle condizioni economiche di entrambe le parti e della evidente sperequazione esistente fra le rispettive capacità di produrre reddito, delle esigenze di vita della ragazza e del paritario periodo di permanenza della stessa presso ciascun genitore».
Quindi il Tribunale ha mantenuto ferma la rimodulazione intertemporale operata nel corso del giudizio, nel 2014, in sede di sino alla data della decisione, nel settembre 2016.
Ciò chiarito, la Corte d’appello, dichiarata cessata la materia del contendere (in ordine alla revoca o riduzione dell’assegno di mantenimento della figlia minore a carico del padre) per il periodo successivo al settembre 2016 (essendosi, nel frattempo, eliminato l’obbligo di mantenimento a carico del padre della figlia, divenuta maggiorenne e trasferitasi presso il primo, come statuito, a definizione di altro giudizio inter partes, con sentenza n. 1345/2018 del Tribunale di Verona), ha respinto, nel resto, il gravame del C., confermando pertanto la statuizione del Tribunale n. 2437 del 2016, che aveva già confermato i provvedimenti adottati in via provvisoria in corso di causa (assegno di € 1.000,00 mensile, in particolare), ma disposto il versamento, solo dal settembre 2016, di € 1.200,00 mensili (statuizione questa poi sostituita con la sopravvenuta declaratoria di non debenza, da tale data, dell’assegno da parte del padre, presso la cui residenza la figlia, maggiorenne e non autosufficiente economicamente, si era ormai trasferita).
Il terzo motivo involge esclusivamente una richiesta di riesame del merito, insindacabile da parte di questo giudice di legittimità.
4. Il quarto motivo è inammissibile.
Si denuncia un vizio di omissione di pronuncia sul riparto tra i genitori delle spese sostenute rispettivamente per la figlia B., ma trattasi sempre di questioni strettamente attinenti al merito.
Ora, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l'apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell'ambito di quest'ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011; Cass. 9097/2017; Cass. 29404/2017).
Nella specie, non vi è stato alcun omesso esame di un fatto storico, avendo la Corte d’appello proceduto ad una propria valutazione delle risultanze istruttorie, ed in primis alla valutazione delle condizioni economico patrimoniale dei genitori e delle esigenze della figlia (confermando la valutazione espressa dal Tribunale sino al settembre 2016); con il motivo, si vuole sollecitare un nuovo esame delle risultanze fattuali accertate dal giudice di merito.
5. Il quinto motivo è inammissibile.
Assume il ricorrente che la Corte d’appello nulla ha detto in ordine alla questione del contributo dovuto dalla madre per il mantenimento della figlia, ormai maggiorenne, collocata da settembre 2016 in via esclusiva presso il padre, deducendo che nell’altro giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Verona, definito con la sentenza n. 1345/2018, sul punto nulla si era statuito, essendosi stabilito che «sarebbe stata la Corte d’appello competente » a provvedere.
Ora, nella sentenza qui impugnata, effettivamente nulla si dice sul punto ma il ricorrente non specifica quando e come egli avrebbe avanzato tale domanda nel giudizio che qui interessa, definito in appello con la sentenza n. 138/2019 impugnata. Invero il ricorrente, a pag.4, deduce solo di avere avanzato tale doma.nda nell’altro giudizio definito con la sentenza del 2018 del Tribunale di Verona
Anzi, la controricorrente precisa che il C., il quale nulla aveva chiesto al riguardo con l’atto di appello, aveva avanzato, nel presente giudizio, solo all’udienza di precisazione delle conclusioni la suddetta domanda, cui essa B. aveva replicato immediatamente, dichiarando di non accettare il contraddittorio.
La doglianza, in ogni caso, è del tutto priva di autosufficienza.
6. Con il sesto motivo, il ricorrente pone la questione della ripetibilità dell’assegno di mantenimento «corrisposto in eccesso» alla madre della ragazza, domanda questa respinta dalla Corte d’appello in forza della ritenuta natura sostanzialmente alimentare e della relativa irripetibilità delle prestazioni.
Il motivo presenta, anzitutto, profili di inammissibilità per assoluta genericità in quanto non si chiarisce di quali importi si discuteva nel merito: nelle conclusioni in appello, riportate nella sentenza impugnata, si faceva riferimento alla domanda avanzata dal C. di restituzione da parte della B. di «tutte le somme percepite in eccesso dalla domanda all’emananda sentenza», ma, come si è sopra detto, la statuizione del Tribunale, per il periodo dalla domanda (settembre 2012) alla decisione di primo grado (settembre 2016), era stata nel senso della debenza da parte del C., nel periodo settembre 2012 a febbraio 2014, di € 1.500,00, oltre € 500,00 a titolo di contributo locatizio, e, nel periodo marzo 2014 (data della modifica in sede di reclamo cautelare) a settembre 2016, di € 1.000,00, oltre spese straordinarie: i provvedimenti provvisori come rimodulati sono stati confermati nella sentenza di primo grado del 2016, che aveva fissato la decorrenza dell’assegno nella misura di € 1.200,00 mensili solo dal settembre 2016 (vale a dire dalla data della decisione nella sostanza). La Corte d’appello, respingendo il gravame del C., ha confermato la statuizione di primo grado, salvo dichiarare, per il periodo successivo al settembre 2016, ormai cessata la materia del contendere, dando atto del venire meno dei presupposti per il contributo al mantenimento da parte del padre, essendo andata la figlia ormai maggiorenne a vivere con il padre, come accertato in altro giudizio tra le stesse parti .
Quindi la domanda restitutoria dovrebbe avere fatto riferimento, per quanto è dato comprendere in relazione al motivo di ricorso, in cui si parla dell’assegno di «€ 2000,00 (€ 1.500,00 + € 500,00)» e della durata «quadriennale» del giudizio di primo grado, solo alle somme versate in eccesso nel corso del giudizio di primo grado, rispetto alle riduzioni operate nel marzo 2014 nel corso di quel grado di giudizio.
La doglianza è comunque infondata in diritto, dovendosi osservare quanto segue.
L’assegno di mantenimento dei figli è destinato, di regola, «ai bisogni ordinari del figlio, … certi nel loro costante e prevedibile ripetersi, anche lungo intervalli temporali, più o meno ampi», mentre le spese straordinarie, « imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare», richiedono, per la loro azionabilità «l'esercizio di un'autonoma azione di accertamento in cui convergono il rispetto del principio dell'adeguatezza della posta alle esigenze del figlio e quello della proporzione del contributo alle condizioni economico patrimoniali del genitore onerato in comparazione» (Cass. 35710/2021; Cass. 1562/2020). In ogni caso, la prestazione deve essere idonea a garantire al figlio il soddisfacimento del medesimo tenore di vita goduto prima della crisi familiare.
Con riguardo ai figli maggiorenni e non autosufficienti economicamente, poi, i presupposti su cui si fonda l'esclusione del diritto al mantenimento, oggetto di accertamento da parte del giudice del merito e della cui prova è gravato il genitore che si oppone alla domanda, sono integrati: « dall'età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all'età progressivamente più elevata dell'avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento; dall'effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro» (Cass. 10450/2022; Cass. 38366/2021).
Anche le disposizioni di natura economica attinenti ai figli sono soggette a modifica nel caso di variazione dei presupposti sui cui si fondava la decisione precedente.
Questa Corte ha affermato il principio secondo cui in materia di revisione dell'assegno di mantenimento per i figli, il diritto di un coniuge a percepirlo ed il corrispondente obbligo dell'altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui, di fatto, sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell'assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza dal momento dell'accadimento innovativo, anteriore nel tempo rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass. 16173/2015; Cass. n. 3922/2012; Cass. 11913/2009; Cass., n. 28/2008; Cass., n. 19722/2008; Cass., n. 22941/2006; Cass., n. 6975/2005; Cass., n. 8235/2000).
Da ultimo, Cass. 4224/ 2021 ha chiarito che «la decisione del giudice relativa al contributo dovuto dal genitore non affidatario o collocatario per il mantenimento del figlio non ha effetti costitutivi, bensì meramente dichiarativi di un obbligo che è direttamente connesso allo "status" genitoriale e il diritto alla corresponsione del contributo sussiste finché non intervenga la modifica di tale provvedimento, sicché rimane ininfluente il momento in cui sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell'obbligo, decorrendo gli effetti della decisione di revisione sempre dalla data della domanda di modificazione».
Questa Corte a Sezioni Unite, nella recentissima pronuncia n. 32914/2022, ha, poi, affermato il seguente principio di diritto: «In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti gia` posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere: a) opera la «condictio indebiti» ovvero la regola generale civile della piena ripetibilita` delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione «del richiedente o avente diritto», ove si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile; b) non opera la «condictio indebiti» e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, «delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)», sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purche´ sempre in ambito di somme di denaro di entita` modesta, alla luce del principio di solidarieta` post- familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica; c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilita`».
La questione esaminata dalle Sezioni Unite atteneva alla restituzione delle somme percepite dal coniuge separato e poi divorziato, a titolo di assegno di mantenimento poi revocato, alla asserita irripetibilità, in tutto o in parte (nei limiti della modesta entità dell’importo del contributo), delle somme versate a titolo di mantenimento, stante la natura sostanzialmente alimentare dell'obbligazione. Le ulteriori questioni, pure poste dall’ordinanza interlocutoria n. 36509/2021, attinenti sia all’assegno di mantenimento dei figli sia all’applicabilità agli assegni di mantenimento o di divorzio delle disposizioni specifiche dettate dalla disciplina sugli alimenti, in punto di incedibilità e impignorabilità delle somme, ai sensi degli artt.447 c.c. e 545, 671 c.p.c., non sono state esaminate perché non formavano oggetto del giudizio di legittimità pendente. Nella motivazione si è tuttavia, in particolare, evidenziato come: a) non vi è una norma che sancisce la irripetibilità dell’assegno in senso stretto alimentare provvisoriamente concesso, e dunque, a fortiori, non potrebbe affermarsi, per via analogica, la irripetibilità dell’assegno di mantenimento separativo o divorzile provvisoriamente (o comunque non definitivamente) attribuito; b) un temperamento al principio di piena ripetibilità trova giustificazione solo per ragioni equitative, sulla base dei princìpi costituzionali di solidarietà umana (art. 2 Cost.) e familiare in senso ampio (art. 29 Cost.), e solo nella misura in cui si esoneri il soggetto beneficiario dal restituire quanto percepito provvisoriamente anche «per finalità alimentare», sul presupposto che le somme versate in base al titolo provvisorio siano state verosimilmente consumate per far fronte proprio alle essenziali necessità della vita (arg. ex art. 438, comma 2 c.c.); c) occorre, allora, dare il giusto rilievo alle esigenze equitative e solidaristiche anche con riferimento alla crisi della famiglia, nel cui ambito si collocano gli assegni di mantenimento, esigenze che inducono a temperare la generale operatività della regola civilistica della ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.), nel quadro di una interpretazione costituzionalmente orientata della stessa; d) non si tratta di dettare una regola di «automatica irripetibilità» delle prestazioni rese in esecuzione di obblighi di mantenimento, quanto di operare un necessario bilanciamento tra l’esigenza di legalità e prevedibilità delle decisioni e l’esigenza, di stampo solidaristico, di tutela del soggetto che sia stato riconosciuto parte debole del rapporto; e) ove con la sentenza venga escluso in radice e «ab origine» (non per fatti sopravvenuti) il presupposto del diritto al mantenimento, separativo o divorzile, per la mancanza di uno «stato di bisogno» o, comunque, per la insussistenza di una sperequazione tra redditi tra i soggetti della coppia in crisi, ovvero sia addebitata la separazione al coniuge che, nelle more, abbia goduto di un assegno con funzione non meramente alimentare, non vi sono ragioni per escludere l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ai sensi dell’art. 2033 c.c. (con conseguente piena ripetibilità); f) invece, non sorge, a favore del coniuge separato o dell’ex coniuge, obbligato o richiesto, il diritto di ripetere le maggiori somme provvisoriamente versate sia se si procede (sotto il profilo dell’ an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione) sia nel caso in cui l’assegno stabilito in sede presidenziale (o nel rapporto tra la sentenza definitiva di un grado di giudizio rispetto a quella, sostitutiva, del grado successivo) venga rimodulato «al ribasso», il tutto sempre se l’assegno in questione non superi la misura che garantisca al soggetto debole di far fronte alle normali esigenze di vita della persona media, tale che la somma di denaro possa ragionevolmente e verosimilmente ritenersi pressoché tutta consumata, nel periodo per il quale è stata prevista la sua corresponsione; g) l’entità, necessariamente modesta, di tale somma di denaro non può essere determinata in maniera fissa e astratta essendosi ritenuta necessaria una valutazione personalizzata e in concreto, la cui determinazione è riservata al giudice di merito, valutate tutte le variabili del caso concreto, la situazione personale e sociale del coniuge debole, le ragionevoli aspettative di tenore di vita ingenerate dal rapporto matrimoniale ovvero di non autosufficienza economica, nonché il contesto socio- economico e territoriale in cui i coniugi o gli ex coniugi sono inseriti.
Nella fattispecie in esame, si discute, in sede di giudizio avviato nel settembre 2012 per la modifica delle condizioni concordate dai genitori nel 2002 e trasposte nel decreto presidenziale del 29/10/2002, riguardanti l’affidamento ed il mantenimento della figlia nata dalla loro unione al di fuori del matrimonio, dell’intervenuta rimodulazione al ribasso, in via provvisoria, nel corso del giudizio, da € 1.500,00 + 500,00 (a titolo di contributo per il canone locatizio) a € 1.000,00, oltre spese straordinarie, dell’ assegno di mantenimento della figlia, minorenne prima e poi maggiorenne ma non autosufficiente economicamente (per quanto risulta), che viveva, sino al luglio 2016, presso la madre.
Ora, l’assegno in oggetto ha comunque natura para-alimentare, rispondendo il contributo al mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti economicamente, al pari degli alimenti, alla necessità di sopperire, in rapporto alle esigenze anche presunte in relazione all’età, agli studi, etc…, ai bisogni di vita della persona, sia pure in un’accezione più ampia e pur non essendo necessario uno stato di indigenza, come negli alimenti (cfr. sul carattere «sostanzialmente alimentare» dell’assegno Cass. 28987/2008; Cass. 13609/2016; Cass. 23569/2016; Cass. 11689/2018).
Deve quindi affermarsi che, in ogni ipotesi di riduzione del contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti provvisori adottati, è esclusa la ripetibilità della prestazione economica eseguita; il diritto di ritenere quanto è stato pagato non opera nell’ipotesi in cui sia accertata la non sussistenza, quanto al figlio maggiorenne, ab origine dei presupposti per il versamento (vale a dire la non autosufficienza economica, in rapporto all’età ed al percorso formativo e/o professionale sul mercato del lavoro avviato, Cass. 38366/21) e sia disposta la riduzione o la revoca del contributo, con decorrenza comunque sempre dalla domanda di revisione o, motivatamente, da periodo successivo.
Per le ragioni esposte, la statuizione della Corte d’appello va confermata, con rigetto della censura in esame.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 4.000,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.