
Svolgimento del processo
1. Il fallimento D. di D. O. e dei soci in proprio D. P., D. A., D. R. e D. O., in persona del curatore fallimentare, conveniva in giudizio A. F. innanzi al Tribunale di Tivoli chiedendo in via principale di accertare e dichiarare la simulazione del contratto di compravendita per atto a rogito del notaio N. C. di (omissis) repertorio (omissis) con cui D. A. aveva venduto alla coniuge A. F. il 50 per cento di una porzione immobiliare in (omissis), via (omissis), n. 243.
2. Si costituiva in giudizio A. F. chiedendo il rigetto di tutte le domande.
3. Il Tribunale di Tivoli accoglieva la domanda formulata dalla parte attrice e dichiarava la simulazione assoluta del contratto di compravendita del 9 febbraio 2005 per notaio N. C. di (omissis) repertorio (omissis) come sopra indicato.
4. A. F. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
5. Si costituivano in appello il fallimento di D. O. ed in proprio i soci, chiedendo rigettarsi l’appello e riproponendo la domanda di revocatoria fallimentare ordinaria assorbita dalla decisione di primo grado.
6. La Corte d’Appello di Roma rigettava il gravame. In particolare, riteneva provata la simulazione assoluta in quanto nell’atto di vendita risultava la quietanza per l’importo di euro 81.200 asseritamente versato prima del rogito senza alcuna indicazione circa le modalità di versamento del detto importo.
Il fallimento aveva dedotto la mancata prova del pagamento e la F. aveva prodotto le copie di sette assegni bancari per complessivi euro 65.000 tratti dal D., secondo la prospettazione dell’appellante, sul conto della moglie in forza di delega ad operare poi revocata nel 2007. Come correttamente evidenziato dal Tribunale, tale documentazione non era idonea a provare il pagamento del prezzo giacché l’importo dei sette assegni era inferiore di oltre il 25 per cento al corrispettivo della vendita e comunque gli assegni risultavano emessi nell’arco di quasi due anni con modalità del tutto inconsueta se riferita ad una vendita immobiliare. Peraltro, non vi era alcuna prova circa la riconducibilità alla sola F. del conto corrente su cui il D. aveva prelevato le somme mediante emissione di assegni in favore di sé medesimo, in quanto la comunicazione della banca con cui si dava atto della revoca della procura al D. ad operare sul conto della moglie risaliva al 2007 e non vi era prova che si trattasse dello stesso conto su cui tra il 2003 e il 2005 erano stati emessi i sette titoli.
L’appellante aveva, inoltre, prodotto una dichiarazione senza data di un’agenzia immobiliare e una visura catastale di un cespite che asseriva aver venduto ma non aveva versato in atti il rogito di vendita dell’immobile che avrebbe costituito la provvista necessaria all’acquisto della quota immobiliare del coniuge. Inoltre, il CTP aveva quantificato la quota al 50 per cento della porzione immobiliare in euro 157.600 ovvero il doppio di quanto dichiarato nell’atto di vendita. In definitiva, andavano rigettate le istanze istruttorie dell’appellante e, tenuto conto delle allegazioni del fallimento circa il dissesto del debitore e la mancata prova del pagamento del prezzo della vendita in ordine all’effettivo valore del bene, doveva confermarsi quanto rilevato dal Tribunale circa la sussistenza di presunzioni gravi precise e concordanti per dichiarare la simulazione assoluta del contratto di compravendita il 9 febbraio 2005.
7. A. F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi.
8. D. di D. O. ha resistito con controricorso.
9. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità
dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione degli articoli 112 e 101 c.p.c.
La censura attiene alla statuizione della Corte d’Appello circa la mancanza di prova della titolarità del conto corrente sul quale venne attinta da parte di A. D. la provvista per il pagamento del prezzo. All’epoca della vendita, venditore e acquirente erano legati da un rapporto di coniugio e la difesa aveva dimostrato che il conto corrente su cui gli assegni erano stati tratti era intestato alla ricorrente ed alla propria figlia. Su tale aspetto non vi sarebbe stata contestazione da parte del fallimento e, dunque, la Corte sarebbe incorsa in ultrapetizione o in violazione del giudicato maturatosi sul punto nell’affermazione della mancanza di prova circa la titolarità del conto.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 1414 e 2697 c.c. e dell’articolo 115 c.p.c.
La ricorrente ritiene di aver provato il pagamento del prezzo fino alla concorrenza di euro 65.000. Infatti, ha prodotto in giudizio copia di 7 assegni tratti sul conto corrente intestato ad A. F. e D. E. ed incassati da A. D.. Il fatto che l’erogazione sia avvenuta in un lasso di tempo pari a due anni è circostanza neutra in quanto il pagamento del prezzo di un bene immobile avviene normalmente in un arco di tempo non ristretto con prelevamento della provvista dal conto corrente bancario dell’acquirente. Se poi al venditore venga fisicamente consegnato il prezzo oppure gli venga consentito di prelevarlo direttamente dal conto corrente dell’acquirente è circostanza altrettanto neutra. Ciò che rileva è che l’acquirente eroghi la somma a titolo di prezzo e che il venditore acquisisca detta somma in via definitiva. Sarebbe stato onere del fallimento provare che il pagamento era imputabile ad altro titolo.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 2727, 2729 e 2697 c.c. e dell’articolo 116 c.p.c.
La censura attiene alla prova per presunzioni sulla quale la Corte ha fondato l’accoglimento della domanda di simulazione. I fatti noti posti a fondamento del ragionamento deduttivo da parte della Corte d’Appello sono stati il dissesto del debitore, la causa simulandi, la mancata prova del pagamento del prezzo della vendita e l’effettivo valore del bene. Quanto al dissesto del debitore non vi è alcun elemento in atti dal quale desumerlo, fondandosi invece su una presunzione di una presunzione. Il fallimento ha depositato il verbale di verifica dello stato passivo di A. D. dando atto che questi non aveva creditori nè atti esecutivi a suo carico. Quanto all’effettivo valore del bene, secondo la ricorrente, la discrepanza fra il prezzo e il valore non può valere quale fatto noto ai fini della simulazione assoluta ma solo, al più, ai fini della simulazione relativa. Peraltro, la mancata prova del pagamento del prezzo della vendita non può conciliarsi con l’effettivo valore del bene in quanto vi era l’accordo di non pagare il prezzo o il prezzo non era vile rispetto al valore del bene. Sotto questo profilo i fatti noti difetterebbero oltre che della gravità anche della precisione e della concordanza. Anche rispetto alla causa della simulazione e all’elemento psicologico la stessa non può costituire un fatto noto salvo il caso in cui sia l’unico motivo, mentre la situazione economica del venditore non era compromessa e, dunque, mancherebbe la possibilità di utilizzarlo come elemento presuntivo.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 111 Costituzione e 132 c.p.c.
Il percorso argomentativo seguito dalla Corte d’Appello oltre ad essere contraddittorio sarebbe anche illogico. Infatti, pur dando atto del deposito di sette assegni per complessivi € 65.000, secondo la Corte d'Appello, non risulta provato il pagamento del prezzo, essendo l’importo degli assegni inferiori di oltre il 25 per cento al corrispettivo della vendita. Sarebbe evidente la contraddittorietà della motivazione che da un lato ritiene non provata l’erogazione della somma di denaro da parte dell’odierna ricorrente e dall’altro afferma che la determinazione del prezzo sia inferiore rispetto all’importo effettivamente dovuto.
4.1 I quattro motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.
In sostanza si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto provata la simulazione del contratto di vendita del 50 per cento dell’immobile da parte di A. D. alla moglie A. F. oggi ricorrente.
La ricorrente propone distinte doglianze in relazione ai singoli elementi in base ai quali la Corte d’Appello ha ritenuto provata la simulazione, parcellizzando la motivazione della sentenza e non considerando unitariamente il percorso motivazionale della Corte d’Appello e prima ancora del Tribunale.
Deve darsi continuità al consolidato principio di diritto secondo il quale: In tema di prova per presunzioni della simulazione assoluta di un contratto, spetta al giudice del merito apprezzare l'efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che debbono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro globalità all'esito di un giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Sez. 3, Sent. n. 22801 del 2014).
Nessun rilievo, dunque, può avere la censura relativa alla non titolarità esclusiva del conto corrente dimostrata peraltro per tabulas dal fatto che gli assegni erano a firma del marito della ricorrente, intestati a sé medesimo e da lui incassati. Peraltro, la ricorrente invoca il principio di non contestazione senza considerare l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui: l'accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d'una non contestazione, rientrando nel quadro dell'interpretazione del contenuto e dell'ampiezza dell'atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione nei ristretti limiti previsti dal nuovo art. 360, n. 5, c.p.c.. Ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto contestato uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, lo abbia ritenuto non provato, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l'altrui pregressa "non contestazione", diventa inammissibile (in senso analogo Sez. 2, Ord. n. 27490 del 2019)».
Quanto alla prova dell’avvenuto effettivo pagamento dell’immobile a mezzo assegni per la somma di circa 65.000 euro devono condividersi le motivazioni della Corte d'Appello circa la mancanza di prova della riconducibilità degli assegni al pagamento dell’immobile oggetto del contratto simulato, per la scansione temporale degli stessi rispetto all’atto, per la differenza di importo, per le modalità di emissione oltre che sulla base degli altri elementi presuntivi sui quali la Corte ha fondato la prova della simulazione.
Come si è detto le censure, sotto l’ombrello del vizio di violazione di legge si risolvono nella richiesta di una nuova valutazione delle complessive risultanze istruttorie per affermare l’effettivo pagamento del prezzo della compravendita che, secondo la Corte d'Appello è stata simulata. Deve ribadirsi che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012. (Sez. 3, Sent. n. 23940 del 2017). Anche la censura relativa alla violazione dell’art. 2697 c.c. è inammissibile. Le norme (art. 2697 ss.) poste dal Libro VI, Titolo II del Codice civile regolano le materie: a) dell'onere della prova; b) dell'astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all'assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze; c) della forma che ciascuno di essi deve assumere; non anche la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l'esperimento dei mezzi di prova, che è viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., e la cui erroneità ridonda quale vizio ex art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ.. (Sez. 2, Sentenza n. 2707 del 12/02/2004, Rv. 570076 - 01).
Quanto alla violazione dell’art. 2729 c.c. deve richiamarsi il seguente principio di diritto: In tema di simulazione assoluta del contratto, nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi estranei al negozio, spetta al giudice del merito valutare l'opportunità di fondare la decisione su elementi presuntivi, da considerare non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, a consentire illazioni che ne discendano secondo l'"id quod plerumque accidit", restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Sez. 2, Ord. n. 36478 del 2021).
4.2 Il ricorso è inammissibile.
5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 5600, più
200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.