
A fronte dello specifico obbligo di legge di provvedere in tal senso, l'ente che rimane inerte si considera inadempiente e dunque legittima l'esercizio dell'azione contro il silenzio da parte dell'avvocato che vi ha prestato servizio e che pretende la liquidazione del compenso.
Protagonisti della vicenda sono un avvocato e il Comune presso il quale era stata assunta e ove aveva svolto la sua attività professionale fino a quando non era passata al servizio dell'ASL in qualità di Dirigente avvocato.
Ciò di cui si duole l'avvocato è il fatto che il Comune non avesse adottato alcunregolamentodisciplinante il funzionamento della neonata avvocatura comunale. Tale regolamento, infatti, era utile anche ai fini della determinazione dei criteri, dei tempi e delle modalità di pagamento dei suoi compensi professionali, compensi che non le erano mai stati liquidati.
Considerando il silenzio serbato dal Comune dinanzi all'invito ad adottare il citato regolamento sul funzionamento dell'avvocatura comunale, l'avvocato impugna tale silenzio dinanzi al TAR Campania.
Con la sentenza n. 1698 del 16 marzo 2023, il TAR accoglie il ricorso proposto dall'avvocato, ricordando che la fattispecie delsilenzio-inadempimento si configura dinanzi alla formale richiesta di un provvedimento da parte di un privato alla quale l'Amministrazione interessata ometta di provvedere entro i termini, assumendo tale omissione valore di silenzio-inadempimento quando sussiste un obbligo giuridico di provvedere. Dunque, presupposto per l'azione contro il silenzio è l'esistenza di un obbligo specifico di provvedere in capo all'Amministrazione, obbligo che incide in senso positivo o negativo sulla sfera giuridica del ricorrente.
Ciò posto, con riferimento al caso di specie, il TAR sostiene che il rimedio azionato dall'avvocato sia ammissibile, tenuto conto della natura “provvedimentale” del regolamento richiesto, che trova la fonte nell'
Del resto, la Corte di Cassazione aveva già provveduto a distinguere il regime dei legali interni da quello dei liberi professionisti destinatari di incarichi professionali: i primi sono inseriti nell'organizzazione amministrativa con vincolo di dipendenza e sono assoggettati alla normativa dell'ente di appartenenza, mentre i secondi restano assoggettati al contenuto del contratto di mandato anche per gli aspetti economici.
Ecco perché il regolamento comunale in questione può essere qualificato come regolamento “volizione-azione” che si caratterizza per il contenuto prescrittivo immediatamente lesivo, dunque è corretto ritenere che la sua mancata adozione a fronte di uno specifico obbligo previsto dalla legge costituisca un inadempimento colpevole di un obbligo di provvedere assoggettabile al regime dell'azione di cui all'
Alla luce di tali argomentazioni, il TAR Campania accoglie il ricorso dell'avvocato per via del mancato pagamento dei compensi professionali dovuti, riconducibili a colpevole inerzia del Comune.
TAR Campania, sez. III, sentenza (ud. 10 marzo 2023) 16 marzo 2023, n. 1698
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1.Con ricorso notificato il 4.1.2023, l’avv. M. C. ha impugnato il silenzio serbato dal Comune di T. relativo alla mancata adozione di un regolamento che, nel disciplinare il funzionamento della neonata avvocatura comunale, determinasse anche i criteri nonché i tempi e i modi per la liquidazione dei compensi professionali ai sensi dell’art. 9 del D.L. n. 90/2014.
Sul punto, evidenzia che il proprio interesse è collegato alla circostanza di aver superato il concorso pubblico per titoli ed esami, per il reclutamento di un avvocato, di categoria D (indetto con determinazione dirigenziale n. 710 del 17.10.2019), e di essere stata assunta presso il Comune di T., con decorrenza dal 01.04.2021 e fino al 15.04.2022, allorquando la ricorrente (con decorrenza dal 16.04.2022) ha assunto servizio presso l’ASL di Benevento in qualità di Dirigente avvocato a tempo indeterminato.
Per il periodo di svolgimento dell’attività come avvocato del Comune, la ricorrente afferma di non aver percepito alcun compenso ai sensi dell’art. 9 del D.L. n. 90/2014, pur facendo questo parte della retribuzione dell’avvocato dipendente pubblico.
Con nota prot. n. 31378/2021 dell’11.11.2021, il Comune di T. è stato invitato ad adottare il Regolamento sul funzionamento dell’avvocatura comunale, con particolare riguardo alla determinazione dei criteri per il riparto dei compensi professionali sopra citati, al fine di procedere alla liquidazione delle relative spettanze.
Stante il perdurare del silenzio, ha notificato il ricorso oggetto del giudizio, lamentando la violazione degli artt. 3 e 36 Cost, dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 25.04.2014 e altra normativa citata in atti.
2. Il Comune di T. non si è costituito.
3. Alla camera di consiglio del 10 marzo 2023, la causa è passata in decisione.
4. Va preliminarmente affermata la giurisdizione del giudice amministrativo.
Con la sentenza n. 3673 del 07.07.2017, la V sezione di questo T.a.r. ha chiarito sussiste la giurisdizione del g.a. in relazione ad un giudizio di impugnativa del regolamento per la corresponsione dei compensi professionali al personale togato ai sensi dell’art. 9 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, comma 1, l. 11 agosto 2014 n. 114, venendo in rilievo un atto di natura regolamentare, con il quale l’amministrazione provvede, in attuazione di quanto disposto dall’art. 9 del d.l. n. 90/2014 alla regolamentazione dei criteri di riparto dei compensi professionali spettanti agli avvocati dipendenti della Provincia e dei criteri di assegnazione degli affari contenziosi e consultivi. Vengono dunque in rilievo aspetti relativi alla organizzazione delle funzioni istituzionalmente attribuite all’Amministrazione (e quindi l’esercizio di potestà pubblicistiche in materia di organizzazione degli uffici), la cui cognizione deve ritenersi devoluta alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo.
La stessa considerazione deve dunque valere nell’ipotesi in cui, a fronte della mancata adozione del regolamento de quo, venga spiegata l’azione sul silenzio, venendo in rilievo una posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo rispetto all’esercizio della potestà regolamentare in materia.
Ciò avuto altresì riguardo al rapporto fra regolamenti degli enti e contrattazione collettiva, al cui adeguamento l’ottavo comma dell’art. 9 D.L. n. 90/2014 condiziona l’erogazione dei compensi professionali.
La devoluzione ai regolamenti e ai contratti collettivi dei criteri di riparto fra il personale delle avvocature dei compensi professionali, nonché dei criteri di riparto degli affari consultivi o contenziosi, implica dunque il riconoscimento in capo alle amministrazioni interessate di una potestà esercitabile anche unilateralmente e che non può essere ridotta a un fenomeno microorganizzatorio, nella misura in cui incide sull’organizzazione dell’ufficio legale dell’ente, prima che sulla concreta gestione dei rapporti di lavoro con gli avvocati dipendenti ivi assegnati.
Ne discende in primo luogo che, rispetto all’esercizio di detta potestà regolamentare, sono astrattamente configurabili in capo ai dipendenti posizioni di interesse legittimo, tutelabili dinanzi al giudice amministrativo.
Dall’iter argomentativo innanzi riportato deriva che l’adozione del Regolamento di cui trattasi impinge una potestà pubblicistica, di tipo organizzativo, a fronte della quale la ricorrente è titolare di un interesse legittimo tutelabile innanzi al G.A.
5. Nel merito, deve preliminarmente acclararsi se il rimedio esperito (ricorso ai sensi dell’art. 31 e 117 c.p.a.) sia ammissibile in relazione all’inadempimento lamentato.
Infatti, la parte censura la mancata adozione del regolamento di cui ai commi 3 e 5 dell’art. 9 del d.l. 90/2014 ( “ nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 […]; i regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualità negli adempimenti processuali.”).
La giurisprudenza amministrativa ritiene infatti, in via maggioritaria, che il ricorso avverso il silenzio-inadempimento non è esperibile ove volto a sollecitare l'adozione di atti amministrativi generali e a contenuto programmatorio, come sono appunto i regolamenti (così, ad esempio, IV Sezione, sentenze n. 7090/2018 e n. 8799/2019).
Come ha ricordato Cons. St., sez. III, 2.7.2020, la fattispecie del c.d. "silenzio-inadempimento" riguarda le ipotesi in cui, di fronte alla formale richiesta di un provvedimento da parte di un privato, costituente atto iniziale di una procedura amministrativa normativamente prevista per l'emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte, l'Amministrazione, titolare della relativa competenza, omette di provvedere entro i termini stabiliti dalla legge; di conseguenza, l'omissione dell'adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussisteva un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell'organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando un procedimento amministrativo in funzione dell'adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico; presupposto per l'azione avverso il silenzio è, dunque, l'esistenza di uno specifico obbligo (e non di una generica facoltà o di una mera potestà) in capo all'amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente" (ex multis, vedi anche IV sez., n. 5417/2019).
Ed ancora, “ i presupposti per l'attivazione del rito sono dunque sia l'esistenza di uno specifico obbligo di provvedere in capo all'amministrazione, sia la natura provvedimentale dell'attività oggetto della sollecitazione: l'azione prevista dagli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo rappresenta infatti sul piano processuale lo strumento rimediale per la violazione della regola dell'obbligo di agire in via provvedimentale sancita dall'art. 2 della legge n. 241 del 1990”.
Così anche questa Sezione, con la recente sentenza 1.8.2022, n.5168, ha ribadito che elemento costitutivo dell'azione avverso il silenzio inadempimento della P.A. è l'esistenza di un obbligo giuridico di provvedere in capo all'Amministrazione e la sua fonte va individuata, di solito, in una norma di legge, di regolamento o in un atto amministrativo, ma non necessariamente deve derivare da una disposizione puntuale e specifica, potendosi desumere anche da prescrizioni di carattere generale o dai principi generali regolatori dell'azione amministrativa, i quali impongono alla P.A., in presenza di un'istanza del privato, di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso, e ciò al fine di consentire al privato di adire la giurisdizione per far valere le proprie ragioni; tale obbligo presuppone, poi, che l'istanza del richiedente sia rivolta ad ottenere un provvedimento cui questi abbia un diretto interesse e che tale istanza non appaia palesemente irragionevole ovvero risulti all'evidenza infondata.
6. Partendo dalla normativa processuale vigente, ma anche dall’esame della giurisprudenza dominante, il Collegio ritiene che, nel caso specifico, il rimedio azionato dalla ricorrente sia ammissibile, stante la natura “provvedimentale” del regolamento previsto dall’art. 9 del D.l. 90/2014.
Il comma 8 di detta disposizione, infatti, stabilisce che “i commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo del comma 6 nonché il comma 7 si applicano a decorrere dall'adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In assenza del suddetto adeguamento, a decorrere dal 1º gennaio 2015, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato.
Il già citato comma 5 ha previsto che i regolamenti prevedano i “ criteri di riparto delle somme” “ secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualità negli adempimenti processuali”.
È quindi evidente che è la legge stessa a collegare all’emissione e/o all’adeguamento del regolamento ex art. 9, da parte dell’ente locale, l’effetto immediato e diretto della liquidabilità del compenso professionale all’avvocato dell’ente, parificandolo, sotto questo profilo, direttamente ai contratti collettivi di lavoro e stabilendo altresì un termine per la sua emissione.
Infatti, una volta determinati criteri e modalità, l’atto con il quale si erogano i compensi altro non è che un mero adempimento a contenuto liquidatorio/contabile, sostanzialmente privo di valore provvedimentale e discrezionale in senso stretto, in quanto la volontà dell’Amministrazione è quella contenuta nel regolamento a monte, senza il quale – per testuale previsione di legge – alcun compenso variabile può essere corrisposto e calcolato.
Come stabilito da Cass. Civ., sez. VI, 1.12.2021, n. 37762, sussiste un'oggettiva diversità tra il regime dei legali interni, inseriti nell'organizzazione amministrativa con vincolo di dipendenza e assoggettati ai regolamenti dell'ente di appartenenza, alla contrattazione collettiva e alla disciplina del rapporto di servizio ( l. n. 247 del 2012, art. 23), che ne stabiliscono i rispettivi diritti ed obblighi, anche quanto ai limiti massimi erogabili a titolo di compenso ( d.l. n. 90 del 2014, art. 9, comma 1 , conv. con l. n. 114 del 2014 ) e quella dei liberi professionisti destinatari di incarichi professionali, che restano regolati dal contratto di mandato anche per gli aspetti di carattere economico.
Detto questo, il regolamento in questione ben può essere inquadrato nella categoria dei cd. regolamenti “volizione-azione”, dotati di un contenuto prescrittivo immediatamente lesivo, tale che risulti necessaria l’impugnazione diretta senza attendere l’approvazione di provvedimenti attuativi o derivati (ad esempio, laddove i criteri di liquidazione dei compensi, in esso stabiliti, fossero palesemente errati, iniqui o illegittimi per i profili più svariati).
Come tale, è corretto ritenere che la sua mancata emissione, a fronte di uno specifico obbligo di legge, possa essere intesa quale “inadempimento” colpevole di un obbligo di provvedere, assoggettabile al regime dell’azione ex art. 31 e 117 c.p.a., in quanto l’assenza di un regolamento sui compensi degli avvocati dell’ente locale corrisponde alla mancata emissione del provvedimento liquidativo della retribuzione dovuta, essendone l’imprescindibile presupposto.
Il trattamento economico spettante agli avvocati dipendenti pubblici si compone, infatti, di una parte “fissa” (data dallo stipendio tabellare, unitamente alle relative voci integrative ed accessorie) e di una parte “variabile” (costituita dai compensi professionali connessi all’esito favorevole dei giudizi trattati).
Ed è altrettanto noto che la struttura dualistica del trattamento economico degli avvocati dipendenti pubblici è conseguenza diretta della peculiare circostanza per cui essi coniugano in sé il doppio status del professionista e del pubblico dipendente.
Questo T.a.r. ha peraltro ritenuto di condividere l'interpretazione espressa dapprima dalla Corte dei conti, e successivamente dalla giurisprudenza amministrativa, secondo le quali i compensi professionali da corrispondere a titolo di onorari ai dipendenti comunali appartenenti all'Avvocatura interna costituiscono parte della retribuzione; essi non hanno valenza incentivante, in quanto con gli stessi non si mira ad aumentare la produttività del personale dell'avvocatura interna, bensì a compensare l'attività professionale svolta (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione n. 86/2013; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 23 aprile 2015 n. 2348; id., n. 1301 del 30.03.2020; id., questa sezione n. 7927 del 19.12.2022).
Il ricorso va quindi accolto, in quanto la colpevole inerzia del Comune nell’adozione del regolamento, priva, come effetto a cascata, la ricorrente delle somme ulteriori che le vanno corrisposte per il periodo nel quale ha presto servizio presso l’ente locale.
Allo stato, infatti, tali emolumenti non possono essere richiesti e quantificati in assenza del Regolamento che il Comune deve adottare.
Tanto costituisce non solo grave violazione del diritto costituzionalmente garantito ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto ma anche del diritto, sancito dall’art. 23 della L. n. 247/2012, a ricevere un trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta.
7. In conclusione il ricorso va accolto e va dichiarata l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di T. sulla istanza dell’avv. M. C. di cui alla nota prot. n° 31378/2021 dell’11.11.2021, con la quale il Comune è stato invitato ad adottare il Regolamento sul funzionamento dell’avvocatura comunale, con particolare riguardo alla determinazione dei criteri per il riparto dei compensi professionali ex d.l. 90/2014, al fine di procedere alla liquidazione delle relative spettanze.
Al Comune vengono assegnati 90 giorni per provvedere.
In caso di ulteriore inerzia, su istanza della parte interessata, si nominerà un Commissario ad acta, che provvederà in luogo dell’Amministrazione e con spese a carico del Comune.
7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi di cui in motivazione e per l’effetto:
-dichiara l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di T. sull’invito prot. n. 31378/2021 dell’11.11.2021;
- accerta l’obbligo del Comune di T. a concludere il procedimento amministrativo avviato ai sensi dell’art. 9 del D.L. n. 90 del 25.04.2014 procedendo all’adozione del Regolamento sul funzionamento dell’avvocatura comunale.
Condanna il Comune di T. al pagamento delle spese processuali in favore dell’avv. M. C., che liquida in euro 1000,00, oltre contributo unificato e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.