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3 maggio 2023
La Cassazione sulla differenza tra retribuzione imponibile e minimale contributivo

Le norme sull'imponibile previdenziale e quelle sul minimale operano su piani differenti e richiedono operazioni distinte: con la prima si individuano le voci della retribuzione erogata che devono essere sottoposte a contribuzione, con la seconda si prescrive che la retribuzione valida ai fini contributivi non può essere inferiore ad un certo ammontare che la legge determina richiamando la contrattazione collettiva.

di La Redazione

La Corte d'Appello di Milano rigettava l'impugnazione proposta dall'INPS contro la sentenza di primo grado con la quale era stata accolta l'opposizione del legale rappresentante di una farmacia all'avviso di addebito notificato dall'Istituto avente ad oggetto il pagamento dei contributi non versati sull'indennità di camice, voce che era prevista dal CCNL ma che non era stata versata ad alcune dipendenti.
I Giudici di secondo grado avevano accertato infatti il fatto che la farmacia avesse fornito a proprie spese il camice, provvedendo direttamente anche al lavaggio, per cui non vi era alcuna voce retributiva dovuta e non corrisposta e di conseguenza nulla da versare sul versante contributivo.
L'INPS impugna la suddetta decisione mediante ricorso in Cassazione, evidenziando il fatto che i Giudici avessero confuso il concetto di retribuzione imponibile con quello di minimale contributivo, e di conseguenza avessero escluso dal versamento della contribuzione le somme che invece dovevano essere considerate.

Con l'ordinanza n. 10953 del 26 aprile 2023, la Corte di Cassazione rileva che la questione controversa è quella dell'esistenza dell'obbligo contributivo anche con riferimento a somme che il CCNL prevede a titolo di indennità di camice, ove questa non sia stata erogata ed in sua sostituzione sia stato offerto al lavoratore il camice e si sia provveduto alla sua manutenzione.
Ora, con riferimento alla doglianza dell'INPS, la Cassazione la dichiara fondata, osservando come alcune disposizioni di legge richiamano la nozione di retribuzione normale onnicomprensiva inderogabili dalla contrattazione collettiva, mentre altre si limitano a richiamare la generica nozione di retribuzione, riservando la competenza istituzionale dell'autonomia collettiva.
Diverso è invece il concetto di retribuzione “utile” ai fini contributivi, il quale è disciplinato solo dalla legge e non dalla contrattazione collettiva.
Ciò posto, la Cassazione osserva come nel caso concreto la pretesa dell'INPS consista in una differenza di contributi, riferendo che essi erano stati versati su una base imponibile inferiore rispetto a quella corretta poiché la retribuzione dovuta doveva essere maggiorata dell'indennità di camice.
Ora, per verificare la fondatezza della pretesa occorre accertare se la retribuzione dovuta doveva in effetti includere detta indennità di camice, posto che la base contributiva si determina sul dovuto e non sull'effettivamente erogato, dunque i Giudici di seconde cure avrebbero dovuto prima individuare il dovuto, interpretando il contratto collettivo nazionale di lavoro integrativo regionale per le farmacie rurali applicabile al rapporto di lavoro in questione, e così giungere alla risoluzione della questione.

In tal senso, la Cassazione ribadisce che 

ildiritto

«se la retribuzione da assoggettare a contribuzione è quella “dovuta” al lavoratore, e se questa, a norma di contratto nazionale, non è onnicomprensiva, anche la base di calcolo non potrà essere onnicomprensiva».

Ciò significa allora che se a livello di contrattazione aziendale o provinciale sono previste ulteriori indennità rispetto a quelle previste nel contratto nazionale, anche qui occorre necessariamente interpretare il contratto per accertare se una voce retributiva debba essere inclusa negli istituti indiretti, poiché solo così si può determinare il dovuto e quindi la base di calcolo dei contributi.
In conclusione, la Corte di legittimità evidenzia che le disposizioni sull'imponibile previdenziale e quelle sul minimale operano su piani differenti e richiedono operazioni distinte: con la prima, infatti, si individuano le voci della retribuzione erogata che devono essere sottoposte a contribuzione; con la seconda si prescrive che la retribuzione valida ai fini contributivi non può essere inferiore ad un certo ammontare che la legge determina richiamando la contrattazione collettiva.

Considerando che nel caso di specie la previsione del contratto integrativo regionale integra un vero e proprio diritto del dipendente a ottenere l'indennità di camice, essa non può essere allora esclusa dal computo della retribuzione, prendendo parte di conseguenza al “dovuto” ai fini della base di calcolo dei contributi.
Il ricorso va dunque accolto.

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