Il deposito della sentenza preclude anche un eventuale intervento ex officio del giudice salvo che sia stata omessa un'annotazione imposta ex lege.
La controversia trae origine dalla richiesta delle ricorrenti di anonimizzare la sentenza con la quale la Cassazione aveva chiuso un procedimento penale disponendo la confisca nei confronti del padre delle medesime. A fondamento dell'istanza di...
Svolgimento del processo
1. C.G. e F.G. hanno proposto istanza di anonimizzazione della sentenza n. 6857/2017 pronunciata dalla seconda sezione penale di questa Corte di Cassazione il 31/1/2017, che aveva determinato la conclusione del procedimento che aveva disposto la misura di prevenzione patrimoniale della confisca ai sensi della legge n. 575/1965 nei confronti di G.G. - padre delle odierne ricorrenti - in relazione ad una serie di beni immobili, attività imprenditoriali e rapporti bancari di proprietà del predetto o formalmente intestati ai suoi più stretti familiari, tra i quali le figlie, odierne ricorrenti, sul presupposto della comprovata pericolosità del predetto G.G., quale soggetto indiziato di appartenere all'associazione mafiosa "omissis". Avverso la sentenza del Tribunale di Trapani che aveva disposto la confisca di tutti i beni in precedenza sequestrati gli interessati avevano proposto impugnazione, e la Corte di appello di Caltanissetta con sentenza del 21/3/2016 aveva rigettato l'appello proposto da G.G. e dichiarati inammissibili quelli proposti dai suoi familiari. La Corte di Cassazione, infine, con la sopra citata sentenza n. 6857/2017 ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti avverso la pronuncia della Corte territoriale.
2. Le odierne ricorrenti, premesso di non essere mai state sottoposte ad indagine e iscritte nel registro ex art. 335 cod. proc. pen. nel processo penale che vedeva il padre imputato di partecipazione ad associazione mafiosa, ed in ogni caso di non essere mai state qualificate da alcun provvedimento come soggetti socialmente pericolosi o gravati da indizi di partecipazione ad associazioni mafiose, e di essersi da tempo trasferite a Milano, ivi inserendosi nel mondo del lavoro, hanno dedotto di subire concreti e rilevanti pregiudizi personali e professionali in forza del sopra menzionato procedimento di prevenzione, nel quale sarebbero state coinvolte unicamente in relazione alla confisca di vetture loro intestate, in quanto gli operatori bancari o finanziari, prima di aprire un rapporto con i clienti, sono soliti inserire il nominativo di questi su appositi motori di ricerca, tra i quali World Check, gestito dalla società inglese R., che fornisce informazioni comprendenti anche la pagina di Italgiureweb contenente la sentenza n. 6857/2017 di questa Corte di Cassazione, il cui contenuto era stato più volte opposto alle ricorrenti quale condizione ostativa al rilascio di servizi di natura bancaria o finanziaria.
Ad avviso delle ricorrenti, pertanto, in ragione dell'effettivo pregiudizio subìto sussisterebbero i "motivi legittimi" di cui al comma 51 del D.Lgs. n. 196/2003 per invocare un intervento di questa Corte di Cassazione volto a disporre, anche ex officio, ai sensi dell'art. 52 comma 2 del D. L.gs 196/2003 cit., l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi di Francesca G. e Cecilia G. dalla sentenza n. 6857/2017 di questa Corte.
In subordine, le ricorrenti hanno chiesto di interdire l'indicizzazione della pagina web contenente la sentenza disabilitando l'accesso attraverso la compilazione del file "robots.txt" previsto dal "Robots Exclusion Protocol", in modo da rendere reperibile la pagina web solo ove la ricerca venga eseguita direttamente tramite Itaalgiureweb e non da parte di motori di ricerca e/o della banca dati World Check che anche di tali motori si avvale.
3. Con requisitoria scritta in data 10/11/2022 il P.G., nella persona del Sostituto Procuratore Generale L.C., ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
4. Il difensore delle ricorrenti, avv. V.F., con memoria del 3/1/2023 ha insistito nelle richieste avanzate con il ricorso, sia in via principale che in subordine.
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono infondati.
I primi quattro commi dell'art. 52 d.lgs. n. 196 del 30 giugno 2003, codice in materia di protezione dei dati personali, infatti, nel disciplinare l'indicazione dei dati personali nei provvedimenti giudiziari, stabiliscono che:
"-1. Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali de/l'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado, l'interessato può chiedere per motivi legittimi, con richiesta depositata nella cancelleria o segreteria de/l'ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull'originale della sentenza o del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento.
- 2. Sulla richiesta di cui al comma 1 provvede in calce con decreto, senza ulteriori formalità, l'autorità che pronuncia la sentenza o adotta il provvedimento. La medesima autorità può disporre d'ufficio che sia apposta l'annotazione di cui al comma 1, a tutela dei diritti o della dignità degli interessati.
- 3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, all'atto del deposito della sentenza o provvedimento, la cancelleria o segreteria vi appone e sottoscrive anche con timbro la seguente annotazione, recante l'indicazione degli estremi del presente articolo: "In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di ".
- 4. In caso di diffusione anche da parte di terzi di sentenze o di altri provvedimenti recanti l'annotazione di cui al comma 2, o delle relative massime giuridiche, è omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dell'interessato".
2. Come riconosciuto dall'ormai costante giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, anche a sezioni unite, pertanto, il chiaro tenore della norma in questione rende evidente che, in tema di trattamento di dati personali, l'istanza volta all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi dell'interessato riportati sulla sentenza o altro provvedimento, in caso di loro riproduzione in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, deve essere presentata prima dell'emissione del dispositivo, concretizzandosi in tale atto deliberativo la definizione del "relativo grado di giudizio" cui fa riferimento il primo comma dell'art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, sopra riportato. (Sez. U, Ordinanza n. 19054 del 16/04/2013, Rv. 255299; fattispecie in cui è stata dichiarata inammissibile un'istanza presentata dall'imputato successivamente alla pronuncia del dispositivo e prima del deposito della sentenza della Corte di cassazione).
E' altresì palese che il suddetto termine è stabilito dal primo comma a pena di decadenza, come si desume inequivocabilmente dall'impiego del verbo "deve", ed è stato correttamente anche osservato che "la previsione di tale onere, e della conseguente decadenza per il caso di sua inosservanza, non risulta, poi, irrazionale, essendo conforme ad esigenze di funzionalità e buon andamento della attività giurisdizionale, oltre che di pronta e immediata tutela dei diritti degli interessati, risultando chiaramente inutiliter data una disposizione di oscuramento dei dati successiva alla pubblicazione del provvedimento e alla sua diffusione indiscriminata e senza limiti". (cfr. Cass. sez. 3, n. 55500 del 04/07/2017, Montan).
Tale decadenza appare considerata anche dalle ricorrenti che, infatti, invocano un intervento ex officio di questa Corte ai sensi del secondo comma dell'art. cit., assumendo che questo non sarebbe soggetto a termine: tale impostazione, però, non può essere condivisa, ostandovi sia il dato testuale del terzo comma della disposizione in parola che un'interpretazione sistematica della norma.
Sotto il primo profilo, infatti, deve rilevarsi che il terzo comma dispone che "nei casi di cui ai commi 1 e 2" l'annotazione di cui si tratta - sia qualora sia disposta su istanza dell'interessato, sia qualora, invece, sia disposta d'ufficio dal giudice ai sensi del secondo comma - viene apposta dalla cancelleria o segreteria "all'atto del deposito della sentenza o provvedimento", e non dopo, sicché deve ritenersi che successivamente al deposito della sentenza il giudice non possa intervenire nemmeno d'ufficio per disporre annotazioni, salvo il caso in cui sia stata omessa un'annotazione imposta anche d'ufficio ex lege (come ad esempio, nel caso di tutela dei minori ex art. 50 del medesimo d.lgs.).
Sul piano sistematico, del resto, si è già rilevato che risulterebbe chiaramente inutiliter data una disposizione di oscuramento dei dati successiva alla pubblicazione del provvedimento e alla sua diffusione indiscriminata e senza limiti", né a tanto si potrebbe ovviare con un provvedimento del genere di quello invocato in via subordinata dalle ricorrenti, estraneo al sistema posto dal capo III del Codice in materia di protezione dei dati personali, concernente espressamente I' "informatica giuridica". Soprattutto, va evidenziato che qualsiasi intervento successivo al deposito della sentenza o del provvedimento di cui si tratta confliggerebbe con il tenore del settimo comma dell'art. 52 cit., che dispone testualmente: "Fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali".
4 I ricorsi vanno, pertanto, rigettati, con conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.