Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 21 marzo 2022, indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Roma ha confermato la decisione, emessa dal Tribunale della medesima città in data 27 giugno 2016, nei confronti di G.A.C. per il reato di cui all'art. 494 cod. pen. Il fatto-reato è circoscritto alla data del 12 marzo 2012 e si sostanzia nella seguente contestazione: l'imputato, «al fine di ottenere le copie degli atti del processo numero 15808/07, inducendo in errore il personale della cancelleria della Seconda sezione penale del Tribunale di Roma, nella richiesta di rilascio copie si qualificava falsamente avvocato difensore di parte civile, M.G.P., la quale ne aveva revocato la nomina». L'imputato è stato condannato alla pena di mesi due di reclusione e al risarcimento del danno nei confronti della p.c.
2. Avverso la sentenza)( hanno proposto ricorso per cassazione il Sostituto Procuratore generale della Corte d'appello di Roma, Dott. M.M., e l'imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. Q.I., affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati.
2.1. Il ricorso del Sostituto Procuratore generale della Corte d'appello di Roma ha a oggetto un unico motivo, col quale si deduce violazione degli artt. 157 e 161, secondo comma, cod. pen., per avere la Corte d'appello confermato la decisione di condanna emessa dal Giudice di primo grado, disattendendo le conclusioni del Procuratore generale che avevano rilevato l'intervenuta prescrizione del reato. Secondo il ricorrente, nel momento in cui è stata pronunciata l'impugnata sentenza (21 marzo 2022), erano già intercorsi i termini di prescrizione, come derivanti dal combinato disposto degli articoli 157 e 161, secondo comma, cod. pen., tenuto in conto il fatto che non risultavano intervenute sospensioni del dibattimento in grado di estendere i termini di prescrizione. Il reato risulterebbe estinto per intervenuta prescrizione in data 12 settembre 2019.
2.2. Il ricorso di G.A.C. si articola in tre motivi, col primo dei quali si eccepisce violazione di legge, ex art. 606 lett. b) del codice di rito, dell'art. 23 bis d.l. 137/2020, convertito in legge n. 176/2020, e dell'art 178 lett. b) e c) del codice di rito per mancata trasmissione alla difesa, nei 10 giorni precedenti l'udienza, delle conclusioni scritte del Procuratore generale.
Le conclusioni risulterebbero mancanti -osserva la difesa- anche nel fascicolo d'appello, benché il Procuratore generale abbia sostenuto che esse siano state ritualmente e tempestivamente trasmesse alla cancelleria.
2.2.1. Col secondo motivo, si lamenta, in subordine, vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale esaminato gli argomenti addotti dalla difesa. Si deduce, in particolare, l'apoditticità della motivazione nella parte in cui si dà per scontato che la condotta dell'imputato sia stata tale da indurre in inganno il personale della cancelleria. In primis, la Corte avrebbe trascurato che almeno su una delle due istanze presentate alla Cancelleria per ottenere il rilascio di copie degli atti, l'imputato aveva annotato di essere "difensore di parte civile già costituito in giudizio". L'avverbio "già" indicherebbe, secondo la difesa, che la persona non ricopriva più l'ufficio di difensore.
L'apodittico assunto contrasterebbe, inoltre, con le dichiarazioni dei testi a discarico presenti al momento in cui le istanze presentate alla cancelleria dall'imputato sono state redatte e consegnate. Da tali dichiarazioni\si evincerebbe che l'imputato aveva precisato di non essere più il difensore della parte civile M.G.P. e di aver necessità delle copie degli atti di causa per difendersi nel procedimento disciplinare attivato a seguito dell'esposto della parte civile.
Infine, la motivazione dell'impugnata sentenza sarebbe intrinsecamente illogica e, anzi, tautologica nel punto in cui la Corte territoriale ha ritenuto che, nel caso in cui l'imputato avesse realmente rappresentato al personale della cancelleria la revoca del mandato, le relative istanze avrebbero dovute essere trasmesse al giudice competente secondo quanto disposto ex art. 116 del codice di rito.
2.2.2. Con il terzo motivo, posto in via gradata rispetto ai precedenti motivi, si deduce violazione degli artt. 157 e 161, secondo comma, cod. pen., per non avere la Corte d'appello dichiarato il reato estinto per intervenuta prescrizione in data 12 settembre 2019.
3. All'udienza del 23/02/2023 si è svolta trattazione orale. Il Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa O.M., conclude per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendo il reato estinto per prescrizione. Il Difensore di Parte Civile, Avv. F.B., del foro di Vibo Valentia, in qualità di sostituto processuale dell'Avv. D.I., ha depositato in aula atto di nomina a sostituto processuale, conclusioni e nota spese; si è riportato alle conclusioni depositate e ha chiesto il rigetto del ricorso. L'Avv. Q.I. del foro di Avellino, difensore dell'imputato, ha insistito per l'accoglimento del ricorso con particolare riferimento al secondo motivo.
Motivi della decisione
1. Il ricorso del Procuratore generale è infondato e va rigettato; il ricorso dell'imputato va accolto, in quanto fondato per le ragioni qui di seguito indicate.
2. Sebbene sia esatto quanto rilevato sia nel ricorso della Procuratore generale sia dal ricorrente, sub motivo 3) del ritenuto in fatto, a proposito della intervenuta prescrizione in data anteriore alla sentenza di secondo grado, ritiene tuttavia il Collegio che il fatto ascritto a G.A.C. non sussista. Posto che la causa di non punibilità qui invocata ("il fatto non sussiste"), di cui all'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., prevale sulla causa di estinzione del reato (prescrizione; cfr, ad es., Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, Culicchia, Rv. 259445 - 01; Sez. 5, n. 39220 del 16/07/2008, Pasculli, Rv. 242191 - 01: «in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, la prescrizione), la formula di proscioglimento nel merito può essere adottata solo quando dagli atti risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato e non nel caso di insufficienza o contraddittorietà della prova di responsabilità»), il ricorso del Procuratore generale non può essere accolto.
Nel merito" va osservato che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l'imputato aveva interesse a ottenere le copie in vista di un fine extra processuale che lo riguardava direttamente (vale a dire, difendersi in sede di procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati) in quanto ex difensore di parte civile; che un siffatto interesse sia stato ritenuto sussistente dal Giudice è dimostrato dal fatto che, sui moduli prestampati aventi a oggetto le richieste di rilascio copie, è stato apposto timbro di autorizzazione "ex art. 116 c.p.p.". Quel timbro comprova che il rilascio delle copie era stato, dunque, regolarmente autorizzato dal Giudice, secondo quanto disposto dall'art. 116, comma 2, cod. proc. pen. (che non riserva al personale di Cancelleria alcuna discrezionalità decisionale).
Che il fascicolo fosse stato "inviato all'ufficio copie, come" evinto "dalla copia del registro interno di passaggio acquisita agli atti", anziché al "giudice competente" (così, secondo la parte motiva dell'impugnata sentenza, p. 5) è affermazione che contrasta con l'accertato svolgimento della procedura di cui all'art. 116, comma 2, cod. proc. pen. e non può condurre all'inferenza che vi sarebbe stata una illecita condotta dell'imputato, il quale, attraverso la richiesta delle copie nel marzo 2012, avrebbe dolosamente indotto in errore il personale della cancelleria.
Le istanze di rilascio copie presentate dall'imputato, indipendentemente dalle· formule inesatte o poco chiare adoperate dallo stesso (dagli atti risulta che, in una delle due istanze del marzo 2012, l'imputato avesse scritto "parte civile costituita in atti" e, nell'altra, "difensore di parte civile già costituito in atti"), sono state evidentemente intese dal personale della cancelleria, e poi dal Giudice competente, come richieste proveniente da soggetto terzo che, ex art. 116, comma 2, del codice di rito, vantava un legittimo interesse ad ottenere copie degli atti. E, ciò, per tacere del fatto che, in una delle due istanze depositate, l'imputato avesse annotato di essere "difensore di parte civile già costituito in giudizio", intendendo con ciò di non esercitare più quell'ufficio; nella medesima istanza, si fa inoltre esplicito riferimento al nuovo difensore di p.c. ("conclusioni parte civile; nota spese parte civile; deduzioni Avv. A.", vale a dire, appunto, il nuovo patrono di parte civile).
Né il dato indicato dai Giudici d'appello, relativo al rigetto da parte del Giudice, in data 20 aprile 2012, di una richiesta di rilascio copie, "successiva ai fatti per cui è processo" (p. 5 dell'impugnata sentenza), può dirsi indicativo della sussistenza di una condotta descritta in parte motiva come dettata dalla "coscienza e volontà di ingannare il personale di cancelleria sulla propria qualità di difensore di una delle parti del procedimento penale, al fine di procurarsi un vantaggio, ovvero di poter ottenere le copie degli atti senza dover ricorrere a una specifica autorizzazione del giudice". Tale dato concerne, ancora una volta, un evento non coincidente col fatto tipico di cui all'art. 494 cod. pen., bensì un mero atto del Giudice competente, il quale, preso atto di una nota inviata dalla Cancelleria il 26/04/2012, ha revocato la precedente autorizzazione al rilascio di copie richieste dall'imputato, rigettandone l'istanza.
3. Questo Collegio ritiene dunque che il fatto non sussista. Pertanto, si annulla senza rinvio la sentenza impugnata. Gli altri motivi esposti dal ricorrente restano assorbiti. Si revocano le statuizioni civili e si rigetta il ricorso del Procuratore generale.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Revoca le statuizioni civili. Rigetta il ricorso del P.g.