L'ex coniuge non può pretendere in sede esecutiva il pagamento in un'unica soluzione dei crediti spettanti sotto forma di capitalizzazione, poiché essi non sono ancora venuti ad esistenza.
Il Tribunale di Brescia accoglieva l'opposizione proposta dall'ex coniuge, disponendo la modifica del piano di riparto del ricavato derivante dal pignoramento dei beni del partner, condannando la banca opposta a restituire l'importo ritenuto indebitamente percepito.
La società propone ricorso in Cassazione, censurando la suddetta decisione nella...
Svolgimento del processo
(omissis) (omissis) (omissis) e la (omissis) (omissis) hanno pignorato un cespite immobiliare in danno di (omissis) (omissis)Effettuata la vendita, sono sorte contestazioni tra i creditori in ordine alla distribuzione del ricavato. Avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che ha deciso in ordine a tali contestazioni, la (omissis)ha proposto opposizione agli atti esecutivi ai sensi degli artt. 512 e 617 c.p.c..
L'opposizione è stata in un primo tempo dichiarata improcedibile dal Tribunale di Brescia, con sentenza cassata da questa Corte (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20018 del 06/10/2016, Rv. 642609 - 01).
All'esito del giudizio di rinvio, il Tribunale di Brescia ha accolto l'opposizione, disponendo la modifica del piano di riparto nel senso richiesto dall'opponente e condannando la banca opposta a restituire a quest'ultima l'importo ritenuto indebitamente percepito, pari ad € 85.943,36.
Ricorre (omissis) sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la (omissis)
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l'altro intimato. È stata disposta la trattazione in pubblica udienza.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. È stata disposta ed effettuata la rinnovazione della notificazione del ricorso introduttivo all'intimato (omissis) (omissis)
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «violazione e falsa applicazione dell'art. 474 c.p.c. nonché art. 8 II0 comma legge 898/1970 e art. 2808 c.c., in relazione al motivo di cui al comma 1 n. 3, dell'art. 360 c.p.c.».
La società ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, modificando il progetto di distribuzione predisposto dal giudice dell'esecuzione, ha attribuito all'opponente (omissis)anche l'importo (capitalizzato) dei ratei dell'assegno di mantenimento alla stessa riconosciuto in sede di divorzio, a carico del debitore, ma non ancora maturati al momento dell'approvazione del progetto stesso.
Il motivo è fondato.
1.1 Emerge dagli atti che la (omissis) titolare di un credito avente ad oggetto l'assegno mensile di mantenimento in favore del figlio (omissis) (omissis) sulla base di sentenza di scioglimento del suo matrimonio con il debitore, credito garantito da ipoteca iscritta ai sensi dell'art. 8 della legge n. 898 del 1970, dopo aver proceduto al pignoramento per i ratei di tale assegno fino a quel momento maturati, aveva proposto un ulteriore intervento nella procedura esecutiva, facendo valere la pretesa alla capitalizzazione dei ratei futuri e maturandi del medesimo.
Il giudice dell'esecuzione le aveva originariamente attribuito, in sede di distribuzione del ricavato dalla vendita, esclusivamente l'importo dei ratei dell'assegno maturati fino al momento del riparto.
Con la sentenza impugnata le è stato invece integralmente riconosciuto il diritto di credito fatto valere con l'intervento.
1.2 Si premette che la decisione impugnata è caratterizzata da una motivazione di ardua intelligibilità, dalla quale emerge con scarsa chiarezza finanche l'effettiva ratio decidendi della statuizione finale. Inoltre, il tribunale, avendo accolto l'opposizione, non si è limitato, come avrebbe dovuto, a dichiarare l'illegittimità del provvedimento impugnato e a indicare le ragioni di tale illegittimità affinché si potesse procedere nel modo corretto in sede esecutiva, ma ha disposto direttamente la modifica del progetto di distribuzione, attività riservata invece al giudice dell'esecuzione, in tal modo eccedendo dalle attribuzioni del giudice del merito dell'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c., rimedio a carattere esclusivamente rescindente.
In ogni caso, ai fini della presente impugnazione risulta decisivo ed assorbente il rilievo della manifesta fondatezza della censura con la quale si contesta l'erroneità, in diritto, del riconoscimento e dell'attribuzione alla creditrice, in sede di distribuzione conseguente ad esecuzione forzata, degli importi richiesti con il suo intervento a titolo di capitalizzazione dei ratei non ancora maturati dell'assegno divorzile.
1.3 A seguito delle modificazioni operate dal legislatore, con le riforme del 2005, in relazione alle disposizioni in precedenza dettate dagli artt. 499, 525, 551 e 563 c.p.c. in tema di inter- vento dei creditori nell'esecuzione forzata, si discute se attualmente sia possibile l'intervento nel processo esecutivo per espropriazione, in virtù di crediti non ancora esigibili, e se ciò sia eventualmente possibile anche a prescindere dalla sussistenza di un titolo esecutivo, eventualmente mediante il procedimento per il riconoscimento di siffatti crediti, oggi previsto dall'art. 499 c.p.c..
Tali questioni di diritto non assumono, peraltro, concreta rilevanza nella fattispecie che ha dato luogo alla presente controversia, dal momento che la (omissis)non ha in realtà fatto semplicemente valere un credito non ancora esigibile, né ha proposto intervento per un credito attualmente esistente ma non assistito da titolo esecutivo: la pretesa fatta valere con il suo intervento è costituita, infatti, dai ratei futuri (cd. "maturandi") dell'assegno divorzile, cioè da un credito non ancora attualmente esistente, in quanto non ancora maturato (non, quindi, semplicemente un credito esistente ma non ancora esigibile); anzi, ancora più precisamente, la pretesa fatta valere con l'intervento (per quanto emerge dagli atti) è quella avente ad oggetto il pagamento in unica soluzione dell'assegno divorzile, mediante attualizzazione, nella forma della capitalizzazione, del credito, futuro ed eventuale, relativo ai ratei di detto assegno non ancora maturati.
Così dovendosi individuare l'oggetto e il titolo del credito fatto valere dalla (omissis)n sede di intervento nel processo esecutivo, risulta evidente che si tratta di una pretesa radicalmente insussistente in diritto, in quanto la legge non consente affatto al titolare di un assegno mensile di mantenimento (per sé o per i figli minori non autosufficienti) riconosciuto con provvedimenti giudiziali emessi nel corso di un giudizio di separazione coniugale o scioglimento del matrimonio, cioè al titolare di un credito che matura periodicamente (di mese in mese, di regola), di pretendere dal coniuge gravato il pagamento in unica soluzione, sotto forma di capitalizzazione del relativo corrispettivo economico: la corresponsione dell'assegno può avvenire "in unica soluzione", ai sensi dell'art. 5 della legge sul divorzio n. 898 del 1970, solo su accordo delle parti e se tale soluzione sia ritenuta equa dal tribunale, vale a dire dietro esplicito riconoscimento giudiziale in tal senso: il che, ovviamente, esclude altresì che sussista un diritto dell'avente diritto alla capitalizzazione dei ratei "maturandi" se tanto non gli è stato accordato dal giudice del merito che pronuncia il titolo esecutivo, giammai potendo allora provvedervi direttamente quello dell'esecuzione o dell'opposizione a quest'ultima.
La radicale insussistenza della pretesa creditoria fatta valere con l'intervento nel processo esecutivo, così come, d'altronde, anche la mera corretta qualificazione di quelli relativi ai ratei non ancora maturati dell'assegno divorzile come crediti non attuali e non come crediti attualmente esistenti ma inesigibili in quanto sottoposti a scadenza, esclude altresì la rilevanza delle considerazioni svolte dalla controricorrente nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c., con riguardo alla pretesa decadenza del debitore dal beneficio del termine ai sensi dell'art. 1186 c.c., poiché la fattispecie per cui è causa non può minimamente sussumersi nel paradigma di tale disposizione. Trattandosi, cioè, di credito a maturazione periodica, non di credito unico ripartito in ratei con diverse e successive scadenze, non potrebbero ritenersi in nessun caso sussistenti i presupposti per l'applicabilità delle disposizioni richiamate, in tema di decadenza dal beneficio del termine. Si tratta, comunque, di argomentazioni tardive, in quanto non viene chiarito in che sede ed in che termini tale questione (che presupporrebbe anche accertamenti in fatto) era stata eventualmente sollevata nel corso del giudizio di merito.
È, infine, opportuno osservare che non può avere rilievo, a sostegno delle pretese della (omissis) l'avvenuta iscrizione di ipoteca per un importo corrispondente al credito per cui ha ottenuto l'assegnazione, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 898 del 1970: l'indicata prelazione, benché la sua costituzione sia effettivamente possibile, in caso di inadempienza del debitore, fino a concorrenza di una somma in sostanza corrispondente all'importo della capitalizzazione dell'assegno, può poi essere fatta valere in concreto esclusivamente nei limiti dei ratei dell'assegno stesso già maturati al momento in cui - con la distribuzione del ricavato - l'azionato processo esecutivo si chiude e non pure per quelli di futura (ed eventuale) maturazione, secondo l'indi- rizzo di questa stessa Corte, cui va certamente data continuità (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 679 del 29/01/1980, Rv. 404103 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 12309 del 06/07/2004, Rv. 574168 - 01), coerentemente con quanto fin qui esposto in diritto.
L'esclusione, dall'attribuzione disposta in sede di riparto, dei ratei dell'assegno successivi a quelli già maturati al momento del riparto stesso (i quali possono essere riconosciuti, a seguito di intervento o di suoi equipollenti: v. Cass., Sez. 3, Sentenza n. Data pubblicazione 08/05/2023 22645 del 11/12/2012, Rv. 624690 - 01) deve, pertanto, ritenersi correttamente operata dal giudice dell'esecuzione.
E tanto in applicazione dei seguenti principi di diritto:
«il titolare del diritto alla corresponsione di un assegno mensile di mantenimento (per sé o per i figli minori non autosufficienti) riconosciuto con provvedimenti giudiziali emessi nel corso di un giudizio di separazione coniugale o scioglimento del matrimonio, trattandosi di credito che matura periodicamente (di regola: di mese in mese), non può pretenderne direttamente in sede esecutiva il pagamento in unica soluzione, sotto forma di capitalizzazione del relativo corrispettivo economico, alla quale non può in nessun caso provvedere direttamente né il giudice dell'esecuzione, né quello adito in sede di opposizione a quest'ultima;
i ratei non ancora maturati dell'assegno di separazione o divorzio non costituiscono crediti attualmente esistenti e semplicemente inesigibili in quanto sottoposti a termine di scadenza, trattandosi invece di crediti futuri ed eventuali, non ancora venuti ad esistenza, il che esclude che con riguardo al mancato pagamento degli stessi possa invocarsi la decadenza del debitore dal beneficio del termine ai sensi dell'art. 1186 c.c.; anche laddove il coniuge titolare del diritto alla corresponsione di un assegno mensile di mantenimento (per sé o per i figli minori non autosufficienti) abbia iscritto ipoteca sui beni dell'obbligato, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 898 del 1970, fino a concorrenza di una somma corrispondente all'importo della capitalizzazione del suddetto assegno, in sede di esecuzione forzata egli può far valere il suo diritto - anche sui beni ipotecati - esclusivamente nei limiti dei ratei dell'assegno stesso già ma- turati fino al momento dell'intervento nel processo esecutivo e, comunque e nelle forme di legge, fino a non oltre quello in cui - con la distribuzione del ricavato - tale processo si chiude, non pure per quelli di successiva ed eventuale maturazione».
Ne consegue che la decisione impugnata, che ha statuito in senso contrario ai principi di diritto sin qui esposti, va senz'altro cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c., con il rigetto dell'opposizione agli atti esecutivi proposta dalla (omissis) siccome la ragione da costei dispiegata contro l'ordinanza del giudice dell'esecuzione è qui - e in via definitiva - riconosciuta infondata: ed a tanto, per la natura soltanto re- scindente dell'opposizione formale, va limitata la pronuncia.
2. Con il secondo motivo, avanzato in via subordinata, per il caso di mancato accoglimento del primo, si denunzia «violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione al comma 1 n. 4, dell'art. 360 c.p.c.».
Il motivo resta assorbito, in quanto condizionato, in conseguenza dell'accoglimento di quello precedente.
3. Il ricorso è accolto.
La sentenza impugnata è cassata e, decidendo nel merito, l'opposizione agli atti esecutivi proposta dalla (omissis)è rigettata. Le spese dell'intero giudizio (di merito e di legittimità) possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendone i presupposti di legge in relazione, tra l'altro, all'alterno andamento del giudizio stesso.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui all'art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
La Corte:
- accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione agli atti esecutivi proposta da (omissis) (omissis) (omissis)
- dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio (di merito e di legittimità).