Come ricorda la Cassazione, per la configurabilità dell'attenuante della provocazione, pur nella forma c.d. per accumulo, è richiesta la prova dell'esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l'esplosione, in relazione e in occasione di un ultimo episodio pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo.
La Corte d'Appello di Perugia confermava la decisione del GIP, il quale aveva dichiarato l'imputato colpevole del delitto di tentato omicidio della sorella. In sintesi l'imputato, armato di fucile, aveva sparato alcuni colpi dalla finestra del bagno della sua abitazione, attingendo la sorella e il fidanzato che si trovavano a pochi metri di distanza. Egli aveva ammesso il...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza pronunciata in data 19 novembre 2011 la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza in data 4 dicembre 2020 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Spoleto che aveva dichiarato D. B. colpevole del delitto di tentato omicidio di C. B., condannandolo alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione, oltre alle statuizioni civili.
Nella serata del 16 gennaio 2020 D. B., armato di fucile, sparava alcuni colpi di arma da fuoco dalla finestra della propria abitazione, attingendo la sorella C. B. e il di lei fidanzato D. D. L., che venivano accompagnati al locale pronto soccorso dallo zio E. B..
L'imputato D. B. aveva ammesso il fatto, precisando di aver voluto solo spaventare la sorella e che, nell'atto di aprire la finestra con il fucile in mano, l'arma gli era scivolata ed erano partiti alcuni colpi che avevano attinto la sorella C..
Tramite rilievi sul luogo del fatto veniva accertato che i colpi erano stati sparati dalla finestra del bagno dell'abitazione dell'imputato e un colpo aveva colpito C. B. che si trovava al piano terra, davanti alla porta di ingresso della sua abitazione, ad una distanza di circa sette metri dalla posizione dello sparatore.
Il consulente balistico ha, inoltre, accertato, sulla base delle tracce dello sparo, che i colpi di arma da fuoco erano stati sparati mentre l'arma era correttamente imbracciata con il calcio all'altezza della spalla.
La ricostruzione del fatto nel senso che l'imputato avesse sparato volutamente in direzione della sorella veniva confermata dalle dichiarazioni dei testi E. D. A. e M. F., che avevano riferito di aver visto l'imputato imbracciare il fucile e puntarlo in direzione della porta d'ingresso dell'abitazione della sorella.
Tramite testimonianze veniva anche accertato il contesto di conflittualità esistente tra l'imputato e la sorella e il di lei fidanzato, persone che abitavano nel medesimo immobile, e il verificarsi di litigi e discussioni, per diverse ragioni, anche nello stesso pomeriggio del fatto.
2. Il difensore di D. B. ha presentato ricorso per cassazione, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
Con i motivi primo e secondo viene denunciato difetto di motivazione del giudizio sull'elemento soggettivo del reato.
La sentenza di appello non si era confrontata con l'ipotesi prospettata dalla difesa, secondo la quale l'imputato aveva agito solo per ledere, e non per uccidere.
Sia l'imputato che la persona offesa avevano dato riscontro all'ipotesi della difesa.
La sentenza impugnata inoltre aveva collegato l'idoneità degli atti agli esiti della consulenza balistica, senza però confrontarsi con i rilievi critici che la difesa aveva formulato in ordine all'attività ricostruttiva compiuta dal consulente.
Il secondo giudice, inoltre, non ha compiuto analisi delle dichiarazioni dei testimoni presenti al fatto né delle dichiarazioni rese dall'imputato, né ha valutato le alternative ipotesi secondo le quali l'imputato aveva agito con dolo eventuale o con colpa cosciente.
Con il terzo motivo viene denunciato difetto di motivazione del diniego dell'attenuante della provocazione.
Il secondo giudice ha confermato che il fatto era accaduto nel contesto di una grave conflittualità, aggravata da atteggiamenti provocatori che la persona offesa e il di lei fidanzato avevano tenuto nel pomeriggio del fatto, senza peraltro trarne le dovute conseguenze in ordine alla sussistenza della provocazione così detta per accumulo.
Con il quarto motivo viene denunciato il difetto di motivazione del giudizio di comparazione tra circostanze, operato nel senso dell'equivalenza tra le attenuanti generiche e la circostanza aggravante del rapporto di parentela con la vittima.
Con il quinto motivo viene denunciato il difetto di motivazione della commisurazione della pena base, fissata in misura grandemente superiore al minimo edittale.
Con il sesto motivo viene denunciata l'omessa motivazione della liquidazione dei compensi professionali della parte civile nel grado di appello e del quantum liquidato a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva.
3. Il Procuratore generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Il difensore della parte civile ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Il terzo motivo di ricorso è fondato e va, perciò, pronunciato annullamento della sentenza impugnata con le precisazioni che seguono.
1. I motivi primo e secondo, che denunciano il difetto di motivazione del giudizio di colpevolezza, sono infondati.
Quanto all'accertamento della volontà omicidiaria in capo al ricorrente, le sentenze di merito hanno valorizzato le conclusioni della consulenza balistica che aveva ricostruito la dinamica dell'azione dell'imputato nel senso che lo stesso avesse imbracciato il fucile ed avesse, dalla finestra, sparato verso la porta d'ingresso al piano terra dove si trovava la sorella C., che veniva colpita, condotta significativa di volontà di uccidere, logicamente riscontrata anche dal contesto della forte contrapposizione tra l'imputato e la sorella e il suo fidanzato, conflittualità che nello stesso pomeriggio del fatto aveva avuto manifestazioni accese.
La sentenza di appello si è confrontata con i rilievi critici mossi dalla difesa nei confronti della consulenza tecnica, osservando che le conclusioni ricostruttive del consulente erano fondate su dati oggettivi, come il ritrovamento dei tre bossoli nell'area sottostante la finestra da dove i colpi erano stati sparati, la traiettoria diretta tra il punto in cui si trovava la vittima, le tracce della rosata di pallini e la finestra, la ripetizione di colpi, la forza necessaria per azionare il grilletto incompatibile con l'accidentalità.
Le sentenze hanno dato contezza delle dichiarazioni rese dalla persona offesa che aveva affermato che era stato il fratello D. a sparare e di essere convinta che l'obiettivo reale non era lei, bensì il suo fidanzato D. D. L., affermazioni che confermano la volontà omicidiaria che aveva animato l'imputato.
I motivi propongono rilievi anche in ordine all'accertamento dell'elemento oggettivo del reato, sostenendo che non ricorreva l'elemento dell'idoneità degli atti né la direzione univoca degli stessi.
Sul punto, i motivi hanno contenuto di merito in quanto, con argomentazione generica, prescindono completamente dall'accertamento in fatto compiuto dalle sentenze di merito e propongono la censura sulla base di una alternativa ricostruzione del fatto, fondata sulla versione resa dallo stesso imputato, versione con la quale le sentenze si sono confrontate criticamente, con motivazione che risulta esente da vizi logici o giuridici.
2. Il terzo motivo riguarda il diniego dell'attenuante della provocazione.
Sul punto, la sentenza di primo grado aveva rilevato la sproporzione tra gli "atteggiamenti provocatori" della coppia e l'azione dell'imputato, sproporzione che rendeva evidente che l'imputato avesse agito per "vendetta, malanimo, desiderio di sopraffazione".
La sentenza di appello ha condiviso il giudizio sulla "manifesta e macroscopica sproporzione", aggiungendo che la condotta della vittima era stata provocatoria, ma solo verbalmente, che l'azione dell'imputato era stata "macroscopicamente sproporzionata in eccesso", che il successivo atteggiamento di "freddo distacco" assunto dall'imputato era sintomatico "del grado insostenibile di esasperazione in cui versava l'uomo".
La censura motivazionale proposta è fondata.
Invero, le sentenze di merito hanno evidenziato che il fatto si era verificato nell'ambito di una forte conflittualità tra l'imputato e la vittima; in particolare, la sentenza di primo grado ha segnalato che i contrasti erano anche dovuti alla convinzione dell'imputato che la sorella C., in qualche modo, avesse avviato il di lui figlio N. al consumo di stupefacenti, contrasti che si erano significativamente acuiti quel pomeriggio a seguito dell'intervento di due soggetti che avevano preteso dall'imputato il pagamento di un debito, derivante da una fornitura di stupefacente, contratto dal figlio N. e che aveva visto l'intervento della sorella C. a dar manforte ai creditori.
Tale situazione pregressa di forte conflittualità, vissuta dall'imputato con esasperazione, è stata relegata dalla motivazione delle sentenze di merito sullo sfondo della vicenda, mentre rilievo decisivo, per escludere l'attenuante, è stato attribuito alla sproporzione tra la condotta tenuta dalla vittima quel pomeriggio e la condotta dell'imputato.
La giurisprudenza ha chiarito che "Ai fini della configurabilità de/l'attenuante della provocazione occorrono: a) lo "stato d'ira", costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il "fatto ingiusto altrui"; b) il "fatto ingiusto altrui", che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l'una e l'altra condotta " (Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019 LECCISI Rv. 275894).
In particolare, è stato spiegato che non si richiede la proporzione tra fatto ingiusto della vittima e reazione del reo, bensì, in conformità al dato testuale, di un rapporto di causalità psicologica, in altre parole che il fatto ingiusto sia stato causa dello stato d'ira e della conseguente reazione.
A fronte della molteplicità delle spinte emotive all'azione, molteplicità che spesso è presente nell'animo di chi reagisce alla condotta altrui, si rende necessario assumere un criterio per distinguere i casi in cui il fatto ingiusto altrui sia solo occasione o pretesto per l'azione violenta dai casi in cui il fatto ingiusto altrui sia stato effettivamente la causa dello stato d'ira e della reazione violenta.
A tal fine, si è rilevato che la sussistenza di un rapporto di adeguatezza o proporzionalità tra fatto ingiusto e reazione è significativo indicatore di una relazione di causalità psicologica.
Nell'ambito di tale interpretazione della norma si è poi aggiunta la considerazione che il "fatto ingiusto altrui", ai fini dell'art. 62 n. 2) cod. pen., può essere integrato anche da una realtà complessa, caratterizzata da pregresse condotte che hanno determinato l'insorgere di una forte contrapposizione personale vissuta con esasperazione e da una ulteriore condotta, direttamente scatenante il fatto reato, anche non grave, ma tale, inserendosi nel contesto di esasperazione da determinare uno stato d'ira e una condotta violenta.
E' stato, quindi, ritenuto che «Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione, pur nella forma c.d. per accumulo, si richiede la prova dell'esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l'esplosione, in relazione ed in occasione di un ultimo episodio, pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo" (Sez. 1, n. 4695 del 13/01/2011, Galati, Rv. 249558).
Dunque, a fronte di un contesto di esasperata conflittualità, esitato in una grave condotta violenta, non è sufficiente verificare la relazione tra la condotta violenta e l'atteggiamento, immediatamente precedente, della vittima, ma è necessario leggere la rilevanza causale dell'ultima manifestazione della vittima nel contesto della conflittualità esistente con l'imputato per verificare se quell'ultima azione, magari in sé meno grave di altre, avesse avuto, nella percezione soggettiva del reo, una valenza potenziata da tutta conflittualità pregressa e quindi avesse fatto insorgere uno stato d'ira che ha mosso il reo alla reazione.
Anche nella provocazione così detta per accumulo è necessario verificare se vi sia stata relazione di causalità psicologica tra fatto ingiusto della vittima e reazione, ma nella valutazione del fatto ingiusto l'ultima condotta non va isolata dal contesto nel quale si è verificata.
3. Va, dunque, pronunciato annullamento della sentenza impugnata limitatamente al diniego dell'attenuante della provocazione, con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.
Il giudice del rinvio, senza vincoli nel merito del giudizio, è tenuto a riesaminare il motivo di appello relativo al riconoscimento dell'attenuante in parola, evitando la carenza motivazionale censurata al punto 2.
I motivi di ricorso quarto, quinto e sesto sono assorbiti, riguardando il trattamento sanzionatorio e le statuizioni civili, che sono punti della decisione logicamente dipendenti da quello oggetto di annullamento.
Nel resto, il ricorso va respinto.
Il regolamento delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio di legittimità va rimesso al giudice del rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza attenuante della provocazione con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso. Spese della Parte civile al definitivo.