
Occorre infatti che il possesso sia esercitato a vantaggio di altro fondo di proprietà esclusiva di uno dei comproprietari del primo, ovvero che l'utilità tratta dalle nuove opere sia diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa al fondo comune fruita da tutti i compossessori.
I giudizi riuniti nella fase di merito hanno visto contrapporsi le actiones negatoriae servitutis proposte dagli odierni ricorrenti e le domande di acquisto per usucapione proposte dalle controparti.
Con l'ordinanza n. 12381 del 9 maggio 2023, la Corte di Cassazione chiarisce innanzitutto la funzione del contratto di divisione, cioè quello di cui si...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. A. M. e M. T. hanno proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 342/2018 della Corte d’appello di Brescia, pubblicata il 16 marzo 2018.
Resistono con un controricorso D. B., E. M. e G.S. M. e con altro controricorso L. V..
Non hanno svolto attività difensive la Costruzioni Edili C.& G. s.n.c. e D. F..
2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 2-quater, e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del d.lgs. n. 149 del 2022.
Hanno depositato memorie i ricorrenti e i controricorrenti.
3. Pronunciando sulle reciproche domande delle parti proposte in due giudizi riuniti, relativamente ai rispettivi fondi contigui siti in C. di T. (acquistati in comunione con atto del 20 giugno 1963 dai fratelli A.G., B., C., A. e L. M. e poi oggetto della divisione contrattuale del 14 novembre 1985 intervenuta tra B., C., A. e L. M., nonché L. V., erede di A. G. M.), il Tribunale di Brescia, con sentenza del 30 dicembre 2013, condannò A. M. e M. T. ad installare un pannello in vetro opaco a lato della ringhiera che fronteggia il fondo di B. M. (morto in corso di causa, con successione degli eredi D. B., E. M. e G. S. M.); a rimuovere l'antenna e la scossalina dal tetto di proprietà M.; a ripristinare lo status quo ante quanto alla tinteggiatura illegittima sul fondo M.; a risarcire agli eredi M. il danno patito per la violazione delle distanze legali; condannò ancora D. B., E. M. e G. S. M. a rimuovere le fioriere insistenti sul fondo di A. M. e M. T.; dichiarò costituita per usucapione la servitù di passaggio pedonale sulla stradella posta a lato nord del cascinale di proprietà di A. M. e M. T. in favore del fondo di proprietà di D. B., E.M. e G. S. M.; dichiarò costituite per usucapione la servitù di passaggio pedonale, nonché la servitù di passaggio e posa delle tubature delle reti tecnologiche (fognatura, acqua, gas e luce) in favore del fondo di proprietà di L. V., ed a carico delle porzioni di terreno poste tra loro in consecuzione in lato nord del cascinale (proprietà di A. M. e M. T., di D. B., E. M. e G. S. M. e di D. F.); rigettò o dichiarò inammissibili altre domande; dichiarò cessata la materia del contendere nei rapporti riguardanti la Costruzioni Edili C. & G. s.n.c.
Proposero appelli: in via principale A. M. e M. T.; in via incidentale D. B., E.M. e G. S. M., chiedendo dichiararsi costituita servitù per destinazione del padre di famiglia sul viottolo lato nord; ed ancora in via incidentale L. V., per la dichiarazione di costituzione per destinazione del padre di famiglia di servitù di passaggio e di posa di tubazioni in favore del suo fondo, ovvero per l’indicazione dei mappali in favore ed a carico dei quali era costituita la servitù.
La Corte d’appello di Brescia ha quindi rigettato l’appello di A. M. e M. T.; accertato la costituzione per usucapione della servitù di passaggio pedonale sulla stradella posta a nord del cascinale di proprietà di A. M. e M. T. in favore del fondo di proprietà di D. B., E. M. e G. S. M.; accertato la costituzione per usucapione della servitù di passaggio pedonale nonché della servitù di passaggio e posa delle tubature delle reti tecnologiche (fognatura, gas, acqua luce) in favore del fondo di proprietà di L.V. ed a carico delle porzioni di terreno poste tra loro in consecuzione e collocate in lato nord del cascinale (proprietà di A.M. e M. T., di D. B., E. M. e G. S. M. e di D. F.), individuando tutti i fondi con i rispettivi dati catastali.
4. Il primo motivo del ricorso di A.M. e M. T. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 757, 1100 e 1116 c.c., degli artt. 1322 e 1323 c.c., nonché degli artt. 1362, 1363, 1364 e 1371 c.c. La censura assume che “l'errore di diritto della sentenza gravata muove innanzitutto da un'analisi perlomeno imprecisa del contratto divisionale del 14 novembre 1985 … e da una scorretta interpretazione della sua natura, e del suo contenuto negoziale”. Si evidenzia che il contratto divisionale individuò la quota spettante a ciascun condividente e costituì tre servitù di passaggio.
Il secondo motivo del ricorso di A. M. e M. T. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1031, 1061, 1068 e 1158 c.c. Qui si sostiene che “i condividenti, disponendo nel contratto divisionale la costituzione delle descritte tre servitù di passaggio pedonale e carraio …, nell'esercizio della propria autonomia negoziale, hanno regolato i rapporti fra i fondi finitimi assegnati a ciascuno in maniera inconciliabile con la nascita ex lege di diverse servitù di passaggio pedonale e carraio per destinazione del padre di famiglia”. Inoltre, poiché il contratto divisionale “fu perfezionato il giorno 14 novembre 1985, il decorso dell'eventuale possesso ad usucapionem delle pretese servitù di passaggio pedonale da parte dei resistenti (nuove ed ulteriori rispetto a quelle sorte in forza della divisione) potrebbe aver avuto inizio soltanto da questa data, e fu comunque interrotto dalle azioni negatorie proposte in comparsa di risposta depositata il 16 giugno 2004 nella causa n. 6685/2004 RG, ed in atto di citazione notificato il 28 giugno 2005 nella causa n. 10610/2005 RG”.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 949 e 2697 c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c. Vi si assume che i ricorrenti, attori in negatoria servitutis, hanno dato prova della proprietà dei fondi si quali chiedono accertarsi l’inesistenza dei diritti affermati dalle controparti. La censura si sostanzia nella considerazione che “siccome i ricorrenti hanno assolto l'onere probatorio gravante su di essi (piena proprietà del fondo ed esistenza di tubature installate sul medesimo dagli eredi di B. M.) ai sensi dell'art. 2697 c.c., mentre invece D. B., E. M. e G. S. M. (eredi di B. M.) non hanno dimostrato l'esistenza di alcun titolo legittimante il loro preteso diritto, la Corte d'appello di Brescia ha gravemente errato nel respingere l'actio negatoria servitutis proposta”.
4.1. Vanno superate le eccezioni di inammissibilità avanzate dai controricorrenti, in quanto le censure osservano quanto prescritto dall'art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. contenendo idonea indicazione dei documenti sui quali si fondano.
I primi tre motivi del ricorso di A. M. e M. T. devono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, risultando fondato il secondo motivo ed assorbiti il primo ed il terzo motivo, nei sensi di cui alla motivazione che segue.
4.2. I giudizi riuniti nelle fasi di merito hanno visto contrapporsi le actiones negatoriae servitutis proposte da A.M. e M. T. e le domande di acquisto dei controversi diritti di servitù a titolo di usucapione proposte sia da D. B., E. M. e G.S. M. sia da L. V.. Non si è posta alcuna questione sulla prova della proprietà dei rispettivi fondi. Sono state invece ritenute provate sia in primo che in secondo grado: l’usucapione della servitù di passaggio pedonale sulla stradella posta a nord del cascinale di proprietà di A. M. e M. T. in favore del fondo di proprietà di D. B., E. M. e G.S.M.; nonché l’usucapione delle servitù di passaggio pedonale e di passaggio e posa delle tubature delle reti tecnologiche in favore del fondo di proprietà di L. V. ed a carico delle porzioni di terreno poste tra loro in consecuzione e collocate in lato nord del cascinale (proprietà di A. M. e M. T., di D. B., E.M. e G. S. M. e di D. F.). A tanto la Corte d’appello è pervenuta in base ad apprezzamento di fatto in ordine al concorso dei requisiti del possesso, dell’apparenza delle opere e della loro idoneità ai fini della usucapione, valutando le prove testimoniali espletate (pagine 11 e 12 della sentenza impugnata). In particolare, la Corte di Brescia ha affermato che la proprietà di ciascun assegnatario doveva essere “retrodatata” al momento di acquisto del bene avvenuto nel 1963, allorché già esisteva lo stradello a nord, sul quale sin dalla fine degli anni ’50 transitavano anche i fratelli M. e la V. almeno dagli anni ’70, mentre già negli anni ’60 era stata realizzato il canale di scolo delle acque.
Ora, appare altresì accertato in fatto che i fondi dominanti e serventi delle riconosciute servitù fossero dapprima compresi nella comunione determinatasi in forza dell’acquisto con atto del 20 giugno 1963 da parte dei fratelli A. G., B., C., A. e L. M. e poi oggetto della divisione contrattuale del 14 novembre 1985 intervenuta tra B., C., A. e L. M., nonché L. V., erede di A. G. M..
Un contratto di divisione, con cui i comproprietari procedono allo scioglimento di una comunione, perdendo la contitolarità del tutto (che prima aveva) e - correlativamente - acquistando la proprietà individuale ed esclusiva sui beni a lui assegnati (che prima non aveva), e perciò avente natura tipicamente costitutiva e traslativa (Cass. Sez. unite n. 25021 del 2019), può certamente sia manifestare una volontà contraria al sorgere di servitù per destinazione del padre di famiglia a favore e, rispettivamente, a carico dei singoli cespiti componenti il compendio comune e che vengono a ciascuna assegnati, sia esprimere l’intenzione di costituire servitù volontarie (come peraltro anche avvenuto nella specie).
La questione da decidere è se un compartecipe possa far valere, successivamente alla stipula del contratto di divisione, l’acquisto per usucapione di una servitù in favore della porzione a lui assegnata ed a carico della porzione assegnata ad altri, invocando anche il precedente compossesso spettantegli quale condividente ai sensi dell’art. 1146, comma 2, c.c.
In particolare, il secondo motivo di ricorso pone in evidenza che il contratto di divisione fu concluso il 14 novembre 1985 (allorché, dunque, cessò lo stato di comunione e ciascuno dei condividenti acquistò la proprietà individuale della rispettiva porzione), e che le azioni negatorie, aventi effetto interruttivo delle vantate usucapioni, furono proposte il 16 giugno 2004 ed il 28 giugno 2005.
Deve allora osservarsi che D. B., E. M. e G. S. M., aventi causa di B.M., e L. V., ai fini dell’acquisto per usucapione delle servitù sui fondi poi attribuiti in proprietà ad A.M. e M. T., non possono unire al possesso di tali servitù esercitato in esito alla divisione del 14 novembre 1985 quello precedentemente esercitato da loro stessi o dai loro danti causa quali compossessori pro indiviso dell’asserito fondo dominante. Invero, per godere degli effetti del possesso ad usucapionem di una servitù a carico di un fondo di proprietà comune occorre che esso sia esercitato a vantaggio di altro fondo di proprietà esclusiva di uno dei comproprietari del primo, ovvero che l'utilità tratta dalle nuove opere sia diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa al fondo comune fruita da tutti i compossessori, in quanto ove tale utilità (nella specie, il passaggio e la collocazione di condutture) deriva unicamente dalla natura e dalla pregressa destinazione del fondo in comproprietà non è configurabile l’esercizio di una servitù a carico di tale bene (arg. da Cass. n. 3419 del 1993; n. 434 del 1985).
Quando due fondi o due parti di un fondo appartenenti a più proprietari in comunione siano posti in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio corrispondente de facto al contenuto proprio di una servitù, non può, quindi, configurarsi l’esercizio di una servitù in favore di uno dei comunisti, ostandovi il principio nemini res sua servit, in quanto è unico il diritto dominicale sul bene, e si può, piuttosto, determinare la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia ove tale situazione sussista al momento dello scioglimento della comunione con divisione di due fondi e non emerga una manifestazione di volontà dei condividenti impeditiva della costituzione della servitù stessa (cfr. Cass. n. 5699 del 2001; n. 7074 del 1995; n. 2930 del 1986; n. 1853 del 1986; n. 1595 del 1986; n. 7169 del 1983; n. 2339 del 1981; n. 18 del 1966).
La preesistenza delle opere permanenti destinate all’esercizio della servitù rispetto al momento della divisione, erroneamente rimarcata dalla Corte d’appello di Brescia, è profilo che poteva, quindi, aver rilievo ai fini della costituzione per destinazione del padre di famiglia, e non ai fini della individuazione del dies a quo del loro possesso ad usucapionem.
4.3. Vanno pertanto enunciati i seguenti principi:
I) In caso di contratto di divisione di un fondo, il condividente che domanda di accertare l’acquisto per usucapione di una servitù a vantaggio della porzione a lui attribuita ed a carico della porzione attribuita ad altro condividente non può unire al possesso di tale servitù esercitato in esito alla divisione quello da lui in precedenza esercitato quale compossessore pro indiviso dell’asserito fondo dominante. Per godere degli effetti del possesso ad usucapionem di una servitù a carico di un fondo di proprietà comune occorre, infatti, che lo stesso sia esercitato a vantaggio di altro fondo di proprietà esclusiva di uno dei comproprietari del primo, ovvero che l'utilità tratta dalle nuove opere sia diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa al fondo comune fruita da tutti i compossessori, in quanto ove tale utilità (nella specie, il passaggio e la collocazione di condutture) derivi unicamente dalla natura e dalla pregressa destinazione del fondo in comproprietà, non è configurabile l’esercizio di una servitù a carico di detto bene.
II) Quando due fondi o due parti di un fondo appartenenti a più proprietari in comunione siano posti in una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio corrispondente de facto al contenuto proprio di una servitù, non può configurarsi l’esercizio di una servitù in favore di uno dei comunisti, ostandovi il principio nemini res sua servit, e si può, piuttosto, determinare la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia ove tale situazione sussista al momento dello scioglimento della comunione con divisione di due fondi e non emerga una manifestazione di volontà dei condividenti impeditiva della costituzione della servitù stessa.
5. Il quarto motivo del ricorso di A. M. e M. T. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 840, 1102 e 1117 c.c., quanto all’ordine di rimozione dell’antenna televisiva e della scossalina sul tetto. La Corte d’appello ha affermato che l’atto di divisione del 14 novembre 1985 era chiaro nello stabilire il confine tra le rispettive proprietà “da cielo a terra”, come indicato anche dal CTU, sicché la proiezione verticale di questi confini esclude anche la comproprietà del tetto e comporta l’obbligo di non collocare nulla nella porzione altrui e di rispettare le distanze.
I ricorrenti sostengono invece, che la proprietà e l'uso del tetto sono regolate dagli artt. 1117 e 1102 c.c.
5.1. Anche questo motivo è palesemente fondato, alla stregua del seguente principio di diritto.
In caso di frazionamento della proprietà di un edificio comune, a seguito dell’attribuzione in sede di divisione della proprietà esclusiva di distinte unità immobiliari, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano - in tale momento costitutivo del condominio – funzionali all'uso comune (art. 1117 c.c.), qual è il tetto del fabbricato, in quanto destinato alla integrale ed unitaria copertura dello stesso. Siffatta presunzione può essere superata soltanto ove risulti una chiara ed univoca volontà delle parti di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di una determinata porzione del tetto, non valendo a tal fine la individuazione del confine fra le proprietà esclusive sottostanti.
6. Il quinto motivo del ricorso di A. M. e M. T. denuncia la nullità della sentenza gravata ex art. 132 c.p.c., non avendo essa dato risposta ai motivi d’appello.
6.1. Questa censura resta assorbita dall’accoglimento delle precedenti censure.
7. Il secondo ed il quarto motivo di ricorso vanno perciò accolti, restando assorbiti i restanti motivi. La sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti delle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi ai principi enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione.