Il ricorrente era stato assolto in secondo grado dal reato di maltrattamenti ai danni della moglie, il quale aveva portato all'applicazione della misura cautelare non custodiale. Tuttavia, ciò non fa venir meno la condanna per aver violato detta misura, in virtù della ratio propria dei reati introdotti dal Codice rosso.
La Corte d'Appello di Torino confermava la pronuncia con la quale il Giudice di primo grado aveva assolto l'imputato dal delitto di maltrattamenti ai danni della moglie, aggravati dalla presenza dei figli minori, e condannato il medesimo per i delitti di tentata violenza privata e violazione reiterata della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Torino ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale aveva assolto M.V. dal delitto di maltrattamenti ai danni della moglie, aggravati dalla presenza dei figli minorenni (capo a), dichiarato l'estinzione del delitto di cui all'art. 615-bis cod. pen. per remissione di querela (capo b) e condannato alla pena di tre mesi di reclusione per i delitti di tentata violenza privata e violazione reiterata della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso M. V., con atto sottoscritto dal difensore, deducendo i seguenti tre motivi.
2.1. Dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 387-bis cod. pen. in relazione agli artt. 2,13,25 e 27 Cast. in quanto, nel caso di specie, la persona offesa era stata ritenuta inattendibile in relazione al delitto di cui all'art. 572 cod. pen., tanto da determinarne l'assoluzione di V., delitto per il quale era stata applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento successivamente violata dal ricorrente. Alla luce di detto sviluppo processuale appare incoerente che l'art. 387-bis cod. pen. non preveda come condizione di punibilità la sussistenza del reato presupposto della misura cautelare violata, altrimenti difetta l'offensività in contrasto con la Carta costituzionale.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, per mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. in quanto l'offensività del bene giuridico è particolarmente lieve alla luce del complessivo contesto in cui si sono sviluppati i fatti per come all'esito accertati, dell'occasionalità, della remissione di querela e revoca della costituzione di parte civile, dell'unicità della violazione articolatasi in pochi giorni.
2.3. Vizio di motivazione con riferimento al capo c) in quanto la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto sussistente il reato sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa che era stata ritenuta non credibile e nonostante l'opposta versione dell'imputato.
3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all'art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
Motivi della decisione
1. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili per manifesta infondatezza e genericità.
2. E' necessario premettere che la sentenza di primo grado, confermata da quella impugnata, a fronte della denuncia della persona offesa per maltrattamenti fisici e psicologici, commessi nell'arco di anni dal marito tossicodipendente, odierno ricorrente, già da quando era incinta e poi anche alla presenza dei tre figli minorenni, ha assolto V. per insussistenza del fatto, ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen., qualificando i fatti come "rapporto conflittuale, particolarmente litigioso" (pag. 10) in quanto, da un lato, gli schiaffi erano stati descritti dalla moglie in modo generico e dall'altro la teste aveva omesso di riferire, nella fase iniziale dell'indagini, che il reale movente dell'aggressività del marito derivava da una relazione extra coniugale da lei intrattenuta.
Invece erano stati accertati gli altri delitti, procedibili di ufficio, cioè la tentata violenza privata consistente nella minaccia di toglierle i figli se non avesse ritirato la querela (capo c) e la violazione continuata degli obblighi e dei divieti connessi alle misure cautelari non custodiali applicategli in ordine al delitto di maItrattamenti (capo d).
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Il ricorso chiede a questa Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 387-bis cod. pen. per violazione degli artt. 2, 13, 25 e 27 Cast. in quanto il delitto di maltrattamenti contro familiari, per il quale erano state applicate le misure cautelari violate, si era concluso con l'assoluzione dell'imputato per la ritenuta inattendibilità della persona offesa, tanto da rendere sostanzialmente irragionevole la norma penale per contrasto con il principio di offensività.
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 387-bis cod. pen., introdotto dall'art. 4 I. n. 69 del 2019, è ininfluente l'assoluzione dal reato per il quale è stata applicata la misura (così come l'improcedibilità per remissione della querela o l'eventuale annullamento in sede di riesame della misura cautelare), anche alla luce del suo carattere plurioffensivo perché il bene giuridico protetto si individua sia nella tutela della vittima, sotto il profilo fisico, psichico ed economico, sia nella corretta esecuzione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria.
La ratio della norma corrisponde alla necessità di maggior tutela della vittima di reati di violenza di genere, conformemente a quanto previsto dall'intera legge, allorché vengano applicate misure cautelari non custodiali (artt. 282-bis e 282-ter c.p.p.) o la misura precautelare di cui all'art. 384-bis c.p.p. che sono fondate esclusivamente sulla spontanea osservanza dell'indagato/imputato e hanno, quindi, una minore efficacia in termini di prevenzione e reiterazione della condotta criminosa.
Non vi sono profili di censura costituzionale non solo perché vi sono nell'ordinamento plurime disposizioni che sanzionano penalmente la violazione di obblighi imposti dall'autorità giudiziaria (e dall'autorità amministrativa), come nell'art. 385, quarto comma, cod.pen., e dell'art. 75 d.lgs. n. 159/2011, ma anche perché è volta a dare applicazione a plurimi articoli della Convenzione di Istanbul (art. 51 e 52), ma soprattutto l'art. 53 par. 3, secondo cui "Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violazione delle ordinanze di ingiunzione o di protezione emesse ai sensi del par. 1 sia oggetto di sanzioni penali o di altre sanzioni legali efficaci, proporzionate e dissuasive".
4. Manifestamente infondato e reiterativo è il secondo motivo di ricorso.
La Corte di appello, con sintetica ma completa e congrua motivazione, ha escluso di applicare la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. proprio alla luce delle reiterate violazioni delle misure cautelari, oltre che dell'essere il V. recidivo reiterato e specifico.
Alla valutazione della sentenza impugnata il ricorrente, peraltro, non ha opposto alcun elemento concreto limitandosi ad una generica e apodittica asserzione circa la sussistenza dei presupposti della causa di non punibilità, riproposta negli stessi termini già valutati dai giudici di primo e secondo grado, per il ridimensionamento dei fatti dovuto soltanto a condotte riferite non a lui ma alla persona offesa che ha rimesso la querela e revocato la costituzione di parte civile.
5. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
Il delitto di tentata violenza privata di cui al capo c) non è puntualmente motivato dalla sentenza impugnata alla luce delle censure del ricorrente.
Infatti, a prescindere dal fatto che la testimonianza della persona offesa non sia stata ritenuta adeguata a supportare un altro delitto, quale l'art. 572 cod. pen., i cui presupposti sono totalmente differenti e peraltro si collocano in ambiti temporali autonomi rispetto al delitto di cui agli artt. 56 e 610 cod. pen., gli argomenti utilizzati dalla Corte di appello appaiono espressi in termini apodittici.
Invero, la sentenza, a fronte della contestazione del fatto da parte di V., da un lato si limita a ritenere lo stesso "indubbio", senza delinearne in modo completo il contesto; dall'altro a sostenere che potesse essere commesso "solo con fare minaccioso", senza indicare né il contenuto delle minacce, né l'effetto di queste sulla vittima, né la diversa valenza, anche processuale, tra la dichiarazione di questa e quella dell'imputato, che ha espressamente negato di averle rivolte.
6. In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente a detto capo di imputazione, capo c), con conseguente annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.