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11 maggio 2023
Anche gli studenti di un’università telematica privata possono essere qualificati come consumatori
Ad un'università telematica privata può, dunque, essere applicata la sanzione prevista dall'art. 27, comma 6, del Codice del consumo, potendo essa agire nelle vesti di “professionista”.
di La Redazione
Il TAR Lazio rigettava il ricorso proposto da un'Università telematica privata contro il provvedimento dell'AGCM che, in applicazione dell'art. 27, comma 6, del D.Lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo), le aveva irrogato una sanzione pecuniaria per violazione degli artt. 24, 25 e 66-bis dello stesso Codice. In particolare, erano state riscontrate due diverse pratiche commerciali aggressive poste in essere dall'Istituto nell'ambito dell'offerta formativa resa sul web: la frapposizione di ostacoli all'esercizio del diritto di recesso da parte degli studenti-consumatori e la previsione della competenza di un foro diverso rispetto a quello di residenza o domicilio del consumatore individuato.
 
L'Università presenta così appello al Consiglio di Stata contestando la decisione per aver erroneamente ritenuto applicabile alle università (statali e non statali) la disciplina posta dal Codice, specie con riferimento alle c.d. pratiche commerciali scorrette.
 
Con sentenza n. 4498 del 3 maggio 2023, la sezione Sesta osserva che, secondo costante giurisprudenza, la qualificazione della nozione di professionistaex art. 18, lett. b), del Codice

legislazione

«Per professionista si deve intendere qualsiasi operatore il quale, nell'ambito delle pratiche commerciali oggetto della specifica disciplina, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale e professionale»

deve essere intesa in senso ampio, «essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di un'attività di impresa finalizzata alla promozione e/o alla commercializzazione di un prodotto o servizio». Per professionista autore (o coautore) della pratica commerciale deve intendersi chiunque abbia «un'oggettiva cointeressenza diretta ed immediata alla realizzazione della pratica commerciale medesima».

Ciò detto, nel caso in esame, non è in discussione il carattere remunerato dell'attività svolta dall'Università privata ricorrente, seppur di interesse generale, ed il fine di lucro perseguito. Né tantomeno è discutibile la nozione di consumatore dello studente che si iscrive ad una università privata e che si trova dinanzi ad una predeterminazione delle relative clausole contrattuali, al pari di qualsiasi altro consumatore, ai fini della disciplina applicata nella specie dall'Autorità. 
 
In una situazione come quella in esame, gli studenti devono essere ritenuti consumatori ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in quanto – quali acquirenti di servizi - rischiano di essere «indotti in errore dalle informazioni ingannevoli diffuse dall'organismo che tali servizi offre e vende, impedendo loro di determinarsi e scegliere in modo consapevole e li inducono così ad assumere una decisione che non avrebbero preso in mancanza di tali informazioni». Irrilevanti sono sia la natura pubblica o privata dell'organismo in questione sia la specifica missione da esso perseguita. 
 
Sulla base di ciò, va respinto l'appello proposto e confermato lo status di professionista dell'università telematica privata ricorrente.