Le regole della Cartabia si applicano ai procedimenti pendenti al momento della sua entrata in vigore, ma solo se non è stata emessa l'ordinanza che dichiara assente l'imputato. In caso contrario, sono valide le disposizioni ante riforma ai fini della rescissione del giudicato o della rimessione in termini.
La Corte d'Appello rigettava la richiesta di rescissione del giudicato formulata dall'attuale ricorrente in relazione alla sentenza del
Svolgimento del processo
(omissis) tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza emessa dalla Corte d'appello di Bologna del 20 settembre 2022, che ha rigettato l'istanza di rescissione del giudicato formulata in relazione alla sentenza del giudice di pace di Bologna del 7 giugno 2016, che lo ha condannato alla pena di euro 500 di multa per il delitto di lesioni personali dolose.
La Corte di merito ha premesso che l'istante aveva riferito di essere venuto a conoscenza della condanna solo all'atto della ricezione della cartella esattoriale di ingiunzione del pagamento della sanzione pecuniaria;
aveva sostenuto di non aver mai avuto notizia del processo a suo carico, nel quale era stato dichiarato assente, in quanto la notifica del decreto di citazione era stata effettuata al difensore d'ufficio, presso il quale aveva eletto domicilio al momento della redazione del verbale di identificazione;
di non aver potuto, di conseguenza, partecipare al processo e difendersi dalle accuse, pur essendo reperibile in Italia all'indirizzo fornito al momento dell'identificazione.
Ha tuttavia osservato, fatti alcuni richiami giurisprudenziali, che il verbale di identificazione, consegnato in copia all'interessato, è stato redatto il 9 settembre 2014, quando il prevenuto già si trovava in Italia da oltre due anni;
che, in tale sede, egli ha esibito una carta d'identità italiana, indicato un indirizzo di residenza in Italia e fornito un'utenza telefonica di rintraccio;
ha declinato l'invito a designare un legale di fiducia ed eletto domicilio presso lo studio del difensore d'ufficio, contestualmente nominatogli, con la specificazione che l'elezione di domicilio sarebbe rimasta valida per il proseguo del procedimento penale.
Ha aggiunto che il difensore d'ufficio, presso il quale era stata regolarmente eseguita la notifica, aveva presenziato alle udienze e svolto fattiva attività difensiva, formulando altresì una richiesta di acquisizione al fascicolo del dibattimento di un filmato.
In ogni caso, il difensore era in possesso dei dati necessari al reperimento dell'assistito, circostanza che deponeva per una precisa scelta di quest'ultimo di non partecipare al processo a suo carico.
1. Con unico motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione in relazione all'art. 629 bis cod. proc. pen. sulla incolpevole, mancata conoscenza del processo, richiamando una massima della sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite Ismail , nella quale si è precisato che il giudice di merito non possa limitarsi a valutare l'esistenza dì una corretta elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, ma debba estendere le proprie verifiche ad elementi ulteriori, dimostrativi di un'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato.
Del resto, il ricorrente aveva fornito - in sede di redazione degli atti di rito - un indirizzo di residenza presso il quale avrebbe potuto essere agevolmente reperito.
Nel caso specifico, poi, il difensore d'ufficio aveva semplicemente svolto il proprio ruolo, al pari di un legale fiduciario e il suo mancato adoperarsi per un contatto con l'assistito non avrebbe potuto rappresentare prova della volontà di quest'ultimo di sottrarsi alla conoscenza del processo.
Il verbale d'identificazione, redatto in lingua italiana e dopo un breve periodo di permanenza nel territorio italiano, non era stato sottoscritto dall'interessato e tali elementi avrebbero dovuto "far pensare" che lo straniero non ne avesse compreso il contenuto.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
1. Va premesso che la recente riforma del processo penale, operata con l'art. 23 del Decr. Leg.vo n. 150 del 2022, ha interessato profondamente la disciplina dell'istituto della procedibilità in assenza dell'imputato, optando per un meccanismo complessivamente ispirato all'effettiva conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato, volto in primo luogo a contenere i criteri "presuntivi" che fino alla sua entrata in vigore ne avevano rappresentato riferimento normativo.
Il nuovo assetto del processo in absentia - in questa prospettiva - ha investito, per quanto di interesse in questa sede, il testo degli artt. 420 bis e - per effetto dell'art. 37 comma 1 del Decr. Leg.vo n. 150 del 2022 - 629 bis cod. proc. pen..
L'art. 89 comma 1 del medesimo Decreto Legislativo ha, tuttavia, previsto una disciplina transitoria, che sancisce che, per i processi pendenti alla data della sua entrata in vigore - pendenti dunque al 30 dicembre 2022 - nei quali sia stata pronunciata (in qualsiasi stato e grado) ordinanza con cui si è disposto procedersi in assenza dell'imputato - come appunto quello in esame - continuano ad applicarsi le disposizioni procedurali ante riforma, comprese quelle "relative alle questioni di nullità in appello e alla rescissione del giudicato".
2. Ebbene, l'art.420 bis cod. proc. pen. - nel testo vigente al tempo della decisione impugnata, prima delle modifiche introdotte dall'art. 23 comma 1 lett. c) del Decr. Leg.vo n. 150 del 2022, in vigore dal 30 dicembre 2022 - riguardante la fase della cognizione del procedimento penale - dopo aver stabilito, al primo comma, che l'imputato espressamente rinunciante ad assistere all'udienza del processo è dichiarato assente - aggiunge, al secondo comma, che "salvo quanto previsto dall'art. 420 ter, il giudice procede altresì in assenza dell'imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l'imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso de/l'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo".
Il quarto comma della norma prevede poi che l'ordinanza che ha disposto di procedere in assenza è revocata se l'imputato compare e se "fornisce la prova che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo" può ottenere un'ampia restituzione in termini e, in particolare - nell'ambito dell'udienza preliminare - può chiedere l'acquisizione di atti e documenti ai sensi dell'art. 421 comma 3 cod. proc. pen.; nell'ambito del processo di primo grado, ha diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell'art. 493 cod. proc. pen. e instare per la rinnovazione di prove già assunte.
A sua volta, l'art. 629 bis cod. proc. pen. - nel testo vigente prima del mutamento legislativo di cui all'art. 37 comma 1 del Decr. Leg. Vo n. 150 del 2022 - prevede, tra i presupposti per l'accoglimento del rimedio, che il condannato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza, "provi che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza del processo".
3. L'apparente rigidità del dato normativo di riferimento - che, testualmente, sembra far propendere per l'attribuzione all'imputato di un rigoroso adempimento probatorio che valga a superare un apparato di presunzioni - è stata significativamente temperata dagli apporti ermeneutici della giurisprudenza di legittimità, soprattutto nella massima espressione nomofilattica.
La pronuncia delle SS.UU. Innaro del 28/2/19 n. 28912 RV. 275716, ha circoscritto alla vacatio in iudicium la fase processuale sulla quale focalizzare l'attenzione del giudice per valutare l'effettività della conoscenza del processo da parte dell'imputato e dunque la sussistenza dei presupposti per procedere in sua assenza, a discapito del momento antecedente della mera notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Il richiamo delle fonti sovranazionali (es. Corte EDU sent. 18/5/04 Somogyi c. Italia; Corte EDU sent. 10/11/04, Sejdovic c. Italia) ha consentito di concludere che la mancata conoscenza del processo non osti alla sua celebrazione quando l'imputato vi si sia deliberatamente sottratto.
Il successivo intervento delle Sezioni Unite del 28/11/19 n. 23948, il P.G. c. Ismail Darwish Mhame, RV 279420-01, nel collocarsi nel medesimo solco interpretativo, ha precisato che la casistica prevista dall'art. 420 bis comma 2 cod. proc. pen. ,relativa all'enumerazione delle ipotesi che, a determinate condizioni, possono ovviare alla prova della notificazione a mani proprie dell'imputato dell'atto di citazione a giudizio, non ha introdotto "presunzioni" in senso stretto, ma l'indicazione di segmenti procedurali suscettibili di far ragionevolmente ritenere che l'imputato sia giunto a conoscenza dell'atto da notificare, fermo restando che alcun effetto potrà essere prodotto da una impossibilità di regolare notificazione (come, ad esempio, nell'ipotesi dell'imputato irreperibile).
Il massimo consesso nomofilattico ha affermato il principio di diritto - in relazione a fattispecie precedente all'introduzione dell'art. 162 comma 4-bis cod. proc. pen. ad opera della legge n. 103 del 2017 - secondo il quale "ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, da parte dell'indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa".
Si è dunque rimarcato come sia possibile procedere alla celebrazione del processo anche se l'imputato ignori la vacatio in ius, ma solo nel caso in cui sia raggiunta la prova della sua volontaria sottrazione alla conoscenza del medesimo; e tale prova può derivare da indicatori "positivi" che il giudice di merito acquisisca e valorizzi secondo il proprio, prudente apprezzamento, caso per caso, utilizzando gli strumenti a disposizione per tale accertamento.
A titolo esemplificativo, la pronuncia in esame ha indicato, tra gli indici valutabili per ravvisare prova della "volontaria sottrazione" alla conoscenza del procedimento, anche "la manifesta mancanza di diligenza informativa", pur non inquadrabile, di per sé sola e in assenza di altri elementi, in una "conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti".
Alla pronuncia in esame si è conformata la giurisprudenza di legittimità intervenuta successivamente (sez. 3, n.11813 del 24/11/20, Zagar Abderrazak, Rv. 281483; sez.6 n. 19420 del 5/4/22, Belay, Rv. 283264).
4. Tali principi di diritto sono estensibili all'interpretazione della portata applicativa dell'istituto della "rescissione del giudicato" di cui all'art. 629 bis cod. proc. pen. e, del resto, esso costituisce rimedio impugnatorio di natura straordinaria, individuato dal legislatore quale strumento "di chiusura del sistema del giudizio in assenza", che consente di travolgere il giudicato formatosi all'esito di un processo di cognizione nel quale sia stato violato il diritto di partecipazione dell'imputato (così 55.UU. n.36848 del 17/7/14, Burba).
L' efficacia del mezzo di impugnazione è parimenti subordinata alla verifica dell'impossibilità di collegare la mancata comparizione dell'imputato nel processo ad una sua volontaria sottrazione alla conoscenza degli atti, e in tale prospettiva la giurisprudenza di legittimità ha richiamato l'esistenza di un "onere di allegazione", gravante sul ricorrente, che - se assolto - è suscettibile di rimuovere il giudicato e di ottenere la retrocessione del procedimento penale alla fase di primo grado, con la reviviscenza delle facoltà difensive non esercitate (così 55.UU. n.15498 del 26/11/20, Lovric, RV 280931-01; Cass. sez.4,23/3/22 n. 13236, Piunti).
5. Orbene, mentre il ricorrente ha assolto al proprio onere di allegazione - consistita nell'indicazione puntuale di uno stabile indirizzo di residenza in Italia, la cui effettività non pare in contestazione - l'ordinanza impugnata non ha rispettato i principi interpretativi così delineati, valorizzando, sotto un primo profilo, l'avvenuta elezione di domicilio (secondo la disciplina antecedente alle modifiche introdotte con L. n. 103 del 2017), all'atto dell'identificazione, presso lo studio del difensore di ufficio e rimarcando, sotto un secondo profilo, taluni indicatori (la sua stanziale presenza, nel territorio nazionale, da tempo apprezzabile al momento della redazione del verbale d'identificazione, l'avvenuto rilascio a suo favore, a tale data, di una carta d'identità italiana, l'indicazione, in tale sede, di un indirizzo di residenza e di una utenza telefonica) che - se suscettibili di essere interpretati come tendenziale trascuratezza nell'adempimento dell'onere di informazione - non possono essere ritenuti sufficienti a dimostrare l'effettiva instaurazione di un rapporto professionale con il legale d'ufficio all'uopo nominatogli, che ha solo doverosamente espletato, nel giudizio dibattimentale, le facoltà difensive a lui spettanti per legge.
6. L'ordinanza impugnata deve essere dunque annullata, con rinvio, alla Corte d'appello di Bologna.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Bologna.