
La Cassazione ricorda che in sede di revisione dell'assegno di divorzio, il giudice può stabilire che il nuovo importo decorra dalla data della domanda di revisione anziché da quella della decisione, ma resta salva la facoltà del giudice di statuirne l'efficacia, in tutto o in parte, da momenti posteriori, anche dalla data della decisione.
In parziale accoglimento della richiesta avanzata dall'ex marito di revisione dell'assegno di divorzio, il Tribunale di Palermo ne riduceva l'importocon decorrenza dalla data della decisione.
A seguito di reclamo principale presentato dalla ex moglie e di reclamo incidentale avanzato dall'ex marito, la Corte d'Appello...
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Palermo, in parziale accoglimento della richiesta, avanzata da S. B., di revisione delle statuizioni previste nel decreto emesso dalla Corte d’appello di Palermo in data 2 marzo 2005, riduceva da € 1.550,00 mensili a € 850,00 l’importo da questi dovuto, a titolo di assegno divorzile, all’ex coniuge C. S., con decorrenza dalla data della decisione.
La Corte d’appello di Palermo, a seguito del reclamo principale presentato dalla S. e del reclamo incidentale proposto dal B., dava atto che il piu` recente orientamento della giurisprudenza di legittimita` aveva ancorato l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno divorzile e dell’incapacita` di procurarseli per ragioni obiettive alle caratteristiche concrete di conduzione della relazione familiare e alla ripartizione dei ruoli endofamiliari. La Corte osservava quindi che, in sede di revisione ex art. 9 l. 898/1970, il giudice deve verificare l’esistenza di circostanze sopravvenute, collegate a dati fattuali e non a sopravvenute modifiche nell’interpretazione del diritto, che legittimano la richiesta, rilevando che, dopo il decreto della Corte d’appello di Palermo del 2 marzo 2005, il B. aveva visto peggiorare la propria situazione economica, in conseguenza della nascita (nel 2005 e nel 2006) e soprattutto della crescita di due figli, mentre la situazione patrimoniale e reddituale della ex moglie era migliorata in maniera rilevante, in conseguenza dell’acquisizione di alcuni immobili e dell’aumento del suo stipendio (la stessa era passata da uno stipendio mensile come impiegata farmacista di «£ 1.800.000», all’epoca del riconoscimento dell’assegno, ad un reddito medio attuale, calcolato dal CTU negli ultimi tre anni, di € 1.600,00 mensili). Una volta acclarata la presenza di fatti sopravvenuti che avevano modificato in maniera significativa il divario economico tra le parti, la Corte di merito sottolineava che, avuto riguardo alla funzione in concreto svolta dall'assegno alla luce dei principi enunciati dalla sentenza n. 18287 del 2018 delle Sezioni Unite, nell’ambito di un matrimonio durato appena quindici mesi (e sciolto sia civilmente sia religiosamente, «in quanto non consumato»), in cui la florida situazione economico-patrimoniale del B. derivava «per la maggior parte dai beni ricevuti dal padre» e non «da scelte di conduzione della vita familiare», l’apporto della S. alla costituzione del patrimonio familiare era stato inconsistente, ne´ vi era stato da parte della stessa alcun sacrificio di aspettative professionali e reddituali in funzione dell’assunzione di un eventuale ruolo trainante endofamiliare e riteneva, di conseguenza, che l’assenza di un pur minimo contributo da parte della S. all’implementazione del patrimonio familiare non consentisse, a seguito delle mutate condizioni economiche delle parti, di mantenere l’assegno gia` riconosciutole, sulla base degli indici previsti dalla prima parte dell’art. 5, comma 6, l. 898/1970, come interpretati dalla piu` recente giurisprudenza della Corte di legittimita`; si revocava, pertanto, l’assegno di divorzio gia` riconosciuto alla S. «a decorrere dalla data della decisione», considerando assorbito il secondo motivo del reclamo incidentale, subordinato al primo, con cui era stato richiesto di far decorrere gli effetti della modifica dalla data della domanda.
Avverso la suddetta pronuncia, C. S. propone ricorso per cassazione, notificato il 24/1/2019, affidato a due motivi, nei confronti di S. B. (che resiste con controricorso e ricorso incidentale in unico motivo, notificato il 26/2/2019).
Con ordinanza interlocutoria n. 13947/2022, questa Corte ha ritenuto necessario rimettere la causa nella pubblica udienza, rilevando che la questione sollevata con il motivo di ricorso incidentale imponeva di verificare, in primo luogo, la natura delle pronunce assunte in applicazione dell’art. 9, comma 1, l. 898/1970, al fine di individuare il momento da cui le stesse possano incidere sul precedente giudicato impositivo dell’obbligo di somministrazione di un assegno di divorzio e, nel caso in cui si ritenga che il giudice possa stabilire che la revoca o la modifica decorrano dalla data della domanda di revisione, e non da quella della decisione su di essa, sara` necessario altresi` stabilire quali siano le condizioni che consentano al giudicante di disporre che la statuizione abbia effetto fin dal momento della domanda.
Il P.G. ha depositato memoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale
La causa è stata quindi trattata all’udienza pubblica del 5/4/23 (a seguito di rinvio dall’udienza dell’1/2/23 per mancata comunicazione alle parti della memoria depositata dal P.G.), senza che venisse presentata istanza di discussione orale. Entrambe e parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 5 e 9 l. 898/1970: la Corte di merito, nell’osservare che la disparita` economica dei coniugi non era sufficiente per il riconoscimento dell’assegno, essendo necessario verificare se una simile disparita` discendesse da scelte condivise dai coniugi in costanza di vita familiare, ha valutato la breve durata del matrimonio, senza nascita di figli, trascurando pero` – in tesi di parte ricorrente - di considerarne le ragioni, esclusivamente ascrivibili al B.. Un simile accertamento supplementare, peraltro, poteva essere condotto dal giudice in sede di verifica dell’an debeatur, gia` in precedenza compiuto e ribadito, ed essere rimesso in discussione soltanto dimostrando l’esistenza di eventuali circostanze di fatto di carattere modificativo, delle quali i giudici di merito hanno presunto l’esistenza in ragione della sopravvenienza di due figli.
L’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi andava compiuto attraverso l’applicazione dei criteri previsti dalla prima parte dell’art. 5, comma 6, l. 898/1970, sicchè la Corte territoriale non poteva ignorare – prosegue la ricorrente - le opposte consistenze patrimoniali dei coniugi, il fatto che la cessazione degli effetti civili del matrimonio era stata pronunciata a causa della disgregazione del rapporto ascrivibile al B. e l’enorme sproporzione tra i redditi dichiarati dai due ex coniugi. La Corte d’appello, inoltre, non avrebbe dato adeguata contezza ne´ dell’esistenza di circostanze sopravvenute, ne´ della loro specifica incidenza, limitandosi a supporre che la costituzione da parte del B. di una nuova famiglia e la nascita di due figli avesse comportato un’apprezzabile e significativa compressione della sua capacita` economica, senza valutare se queste maggiori uscite avessero diminuito la capacita` economica dell’ex marito, avessero eroso del tutto le sue cospicue maggiori entrate, occasionate dalla successione del padre, e corrispondessero quantitativamente alla misura della riduzione dell’assegno che era stata disposta.
Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 92 cod. proc. civ. e 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, perche´ la Corte territoriale, accogliendo e non respingendo il reclamo principale, avrebbe dovuto condannare controparte alla refusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, anziche´ compensarle, e si sarebbe dovuta astenere dal condannare la S. al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
2. Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
Questa Corte, a Sezioni Unite, con la recente sentenza n. 18287/2018, ha chiarito, con riferimento ai dati normativi già esistenti, che: 1) «il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto»; 2) «all'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate»; 3) «la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi».
In conformità, questa Corte ha ulteriormente ribadito che «i criteri attributivi e determinativi dell'assegno divorzile non dipendono dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l'applicazione dei parametri di cui all'art. 5, comma 6, prima parte, della l. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita - assistenziale perequativa e compensativa - del detto assegno» (Cass. 32398/2019; nella specie, questa Corte ha cassato la sentenza impugnata che, nel riconoscere l'assegno di divorzio, aveva fondato il proprio accertamento esclusivamente sul criterio del tenore di vita godibile durante il matrimonio, senza verificare in concreto l'incidenza dei parametri integrati) e che «l'assegno divorzile, che va attribuito e quantificato facendo applicazione in posizione pari ordinata dei parametri di cui all'art. 5, comma 6, prima parte, della l. n. 898 del 1970, senza riferimenti al tenore di vita goduto durante il matrimonio, deve assicurare all'ex coniuge richiedente, in ragione della sua finalità composita - assistenziale, perequativa e compensativa -, un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito in ogni ambito di rilevanza declinato tramite i suddetti parametri, mediante complessiva ponderazione dell'intera storia coniugale e della prognosi futura, tenendo conto anche delle eventuali attribuzioni o degli introiti che abbiano compensato il sacrificio delle aspettative professionali del richiedente e realizzato l'esigenza perequativa» (Cass. 4215/2021). In definitiva, ai fini del riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, è necessario compiere un accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno, con una necessaria valutazione comparativa delle condizioni economico- patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente l'assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.
Ora, la Corte d’appello, in sede di revisione ex art.9 l.898/1970, ha accertato che non ricorrevano più i presupposti dell’assegno divorzile, stante le mutate condizioni economiche delle parti, considerato il peggioramento delle condizioni reddituali dell’obbligato, accompagnato da un miglioramento di quelle della ex moglie, che disponeva ormai di una «più che sufficiente autonomia economica»; neppure l’assegno divorzile poteva essere mantenuto sotto il profilo perequativo-compensativo, stante «l’assenza di un pur minimo contributo da parte della S. all’implementazione del patrimonio familiare (circostanza non contestata dalla stessa)».
La statuizione risulta pertanto del tutto conforme alla giurisprudenza di questo giudice di legittimità.
3. Il secondo motivo del ricorso principale (attinente alla diversa statuizione delle spese di merito, in caso di accoglimento del reclamo), è di conseguenza assorbito.
4. Il motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 9 l. 898/1970 e il difetto assoluto di motivazione (o il carattere meramente apparente della stessa) in ordine all’individuazione della data di decorrenza sia della revoca dell’assegno, statuita in sede di reclamo, sia della riduzione, disposta in primo grado: la Corte di merito, in presenza di un reclamo incidentale che domandava, oltre alla revoca dell’assegno divorzile, anche che tale statuizione avesse decorrenza dalla data della domanda di revisione (nel luglio 2015), essendo la carenza dei presupposti ad essa antecedente, ha invece individuato come momento di decorrenza della revoca disposta la data della decisione in sede di reclamo (novembre 2018), ritenendo assorbito il secondo motivo di reclamo incidentale e operando un incongruo richiamo alla giurisprudenza di questa Corte. In realta`, lamenta il ricorrente incidentale, l’impugnazione attinente alla data di decorrenza non era stata affatto spiegata «in via subordinata», sicche´ non rimaneva assorbita dalla statuizione di revoca dell’assegno. Per di piu` la decisione – a dire del ricorrente incidentale - era errata anche nel merito, poiche´, in maniera del tutto immotivata, non teneva conto del principio secondo cui la variazione dell’ammontare dell’assegno deve decorrere dalla data della domanda di revisione e non da quella di decisione, dato che un diritto non puo` restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio.
5. Il motivo è infondato.
La Corte territoriale, revocato l’assegno divorzile «dalla data di decisione» in accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale del B., ha ritenuto «assorbito» il secondo motivo «subordinato al primo», con il quale si censurava la decisione di primo grado di far decorrere gli effetti della modifica, ivi disposta, del quantum dell’assegno divorzile «dalla data della pronuncia anziché dalla data della domanda» . La Corte ha comunque richiamato un precedente di legittimità (Cass. 16173/2015), secondo cui, stante il giudicato rebus sic stantibus impositivo del contributo di mantenimento, «la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione».
Il P.G. sul punto ha concluso per la fondatezza del motivo, in applicazione del principio di diritto secondo cui la variazione dell’ammontare dell’assegno di divorzio, disposta successivamente in esito a procedimento di revisione ai sensi dell’art.9 l.898/1970, deve decorrere dalla data della domanda di revisione non da quella della decisione, non potendo il diritto restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio (si cita: Cass. 2960/2017: «L'assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione personale, decorre dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio »; Cass. 10788/2018, non massimata, in tema di determinazione delle condizioni di divorzio).
5.1. Orbene, nel motivo si censura, in primo luogo, la decorrenza della disposta revoca dell’assegno dalla data di decisione in sede di reclamo, anziché da quella della domanda di revisione delle condizioni di divorzio, nonché, in secondo luogo, la statuizione in ordine all’assorbimento della seconda doglianza del reclamo incidentale, con la quale ci si doleva che la riduzione dell’assegno divorzile, disposta in primo grado, fosse stata fatta decorrere dal momento della decisione, anziché da quello della domanda.
Si afferma, con orientamento prevalente, che il diritto al mantenimento a favore del coniuge separato sorge e decorre dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio, anche se tale principio attiene soltanto al profilo dell'"an debeatur" della domanda, e non interferisce, pertanto, sull'esigenza di determinare il "quantum" dell'assegno alla stregua dell'evoluzione intervenuta in corso di giudizio nelle condizioni economiche dei coniugi, né sulla legittimità della determinazione di misure e decorrenze differenziate, in relazione alle modificazioni intervenute fino alla data della decisione, dalle diverse date in cui i mutamenti si siano verificati (Cass. n. 1919/1984, ove si fa richiamo al principio generale stabilito per gli alimenti dall'art. 445 cod. civ.; Cass. n. 147/1994, « L'assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione, così come la sua successiva revisione, decorre dalla data della correlativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio», evidenziandosi, secondo la disciplina vigente ratione temporis della L.div., la differenza rispetto all'assegno di divorzio che decorreva dal momento della formazione del titolo in forza del quale esso è dovuto e cioè appunto dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, avente effetto costitutivo; Cass. n.4011/1999; Cass. n.4558/2000; Cass. n.14886/2002; Cass. n. 17199/2013; Cass.n. 2960/2017).
Quanto alla decorrenza dell’assegno divorzile, se, vigente la disciplina dettata dal testo originario della l.898/1970, si era individuato tale momento, in correlazione con la definitiva acquisizione da parte dei coniugi dello status di divorziati, con riferimento al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, che segna lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del vincolo coniugale e che rispetto allo status predetto ha efficacia costitutiva (Cass. n. 3038/1977; Cass. n. 6485/1986), la riforma del 1987 ha introdotto un temperamento, prevedendo che la sentenza di primo grado volta a determinare la misura dell’assegno sia provvisoriamente esecutiva, riguardo ai provvedimenti di natura economica, e che il tribunale, nell’emanare la sentenza non definitiva (e questa Corte ne ha esteso la portata anche all’ipotesi in cui sia stata emessa sentenza definitiva di divorzio, Cass. n. 5140/2011, o di contestuale pronuncia sul divorzio e sull'assegno, Cass.n. 7458/1990), possa stabilire, motivatamente, che l’assegno decorra, ancor prima, a partire dalla data della domanda giudiziale, ex art.4, pur in mancanza di una specifica richiesta di parte (Cass. n. 3351/2003; Cass. n. 19330/2020). Per il periodo precedente, la situazione economica rimane disciplinata dalla normativa sulla separazione dei coniugi (ove il divorzio sia pronunciato per il protrarsi della stessa).
Sia l’assegno di mantenimento sia quello divorzile possono subire variazioni, in aumento o in diminuzione, per effetto del cambiamento della situazione patrimoniale relativa al debitore o al creditore considerata al momento della sentenza.
Quanto all’assegno divorzile se la necessità di un assegno si manifesti dopo il passaggio in giudicato della statuizione attributiva del nuovo status, esso verrà liquidato in separato giudizio, restando ferma la possibilità di avanzare la domanda successivamente alla sentenza di divorzio, anche in difetto di pregressa domanda giudiziale (Cass. n. 2198/2003, ove si è chiarito che il deterioramento delle condizioni economiche di uno o di entrambi gli ex coniugi, che consente il riconoscimento dell'assegno, può verificarsi anche dopo il divorzio, proprio perche´ trova fondamento nel dovere di assistenza, e non nel nesso di causalità o di concomitanza tra divorzio e deterioramento delle condizioni di vita). Ove si verifichino mutamenti di circostanza, così da richiedere una modifica dell'assegno, la pronuncia potrebbe far retroagire tale aumento dal momento (successivo alla domanda) del mutamento di circostanza o addirittura disporlo a far data dalla decisione (cfr., sul punto, Cass. 15 marzo 1986, n. 3202).
Più precisamente, prima della modifica dell'art. 4 della legge n. 898 ad opera dell'art. 8, della legge n. 74/1987, che ha espressamente attribuito al giudice il potere discrezionale di disporre che l'obbligo di somministrazione dell'assegno produca effetti fin dal momento della domanda, si era affermato (Cass. 3080/1985; conf. Cass. 4415/1986) che «mentre l'assegno di divorzio, nella sua originaria quantificazione, decorre dal momento della formazione del titolo in forza del quale è dovuto, cioè dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la variazione dell'ammontare dell'assegno medesimo, disposta successivamente in esito a procedimento di revisione ai sensi dell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, deve decorrere dalla data della domanda di revisione, non da quella della decisione su di essa, in applicazione del principio generale secondo il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio». Nella successiva sentenza n. 113/2003 (conf. Cass. 19507/2006), questa Corte ha poi chiarito che l’introduzione della modifica legislativa di cui alla novella del 1987 non ha tolto valore alle considerazioni sulla base delle quali il predetto orientamento si era formato e che esso deve essere confermato « perché, a differenza della sentenza di divorzio che ha effetto costitutivo del diritto all'assegno, in quanto attribuisce lo status che ne costituisce il presupposto, la pronuncia resa in sede di revisione ha natura determinativa dell'entità di una somministrazione di denaro connessa a uno status del quale la parte è già titolare», cosicché «in analogia con quanto dispone l'art. 445 c.c. per le pronunce in tema di alimenti, che hanno natura determinativa, e in applicazione del richiamato principio generale secondo il quale la durata del processo non può pregiudicare la parte che ha proposto una domanda fondata, anche in sede di revisione il giudice può stabilire che il nuovo importo dell'assegno abbia decorrenza dalla data della domanda».
Sempre questa Corte (Cass. 11913/2009) ha chiarito che «In materia di revisione dell'assegno di divorzio, il diritto a percepirlo di un coniuge ed il corrispondente obbligo a versarlo dell'altro, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia, sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell'assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all'autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata ("rebus sic stantibus"), del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell'accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione» (conf. Cass. 16173/2015).
Nella sentenza, non massimata, di questa Corte n. 10787/2017 (richiamata, peraltro, dal ricorrente incidentale nella seconda memoria), in adesione a tale orientamento, si è affermato che la decorrenza della modifica delle condizioni economiche può essere fatta risalire alla data della domanda, anziché dalla data della decisione, «in presenza di un accadimento che la giustifichi, anche se antecedente ad essa» (e nella specie si era accertato che la perdita del lavoro da parte di uno dei coniugi, che aveva costituita la ragione giustificatrice della domanda di revisione, si era già verificata al momento del ricorso introduttivo del giudizio).
In sostanza, in sede di revisione dell’assegno di divorzio (o delle altre condizioni economiche) il giudice può stabilire che il nuovo importo dello stesso decorra dalla data della domanda di revisione (non dal verificarsi dell’accadimento innovativo se anteriore rispetto alla data della domanda, in quanto caratteristica peculiare del giudicato relativo a dette pronunce è quello di produrre i suoi effetti, quanto ai provvedimenti relativi, in particolare, alle disposizioni di carattere economico, finché non intervenga un provvedimento giurisdizionale modificativo, il quale - secondo i principi generali - non può produrre i suoi effetti con efficacia anteriore alla domanda), anziché da quella della decisione su di essa, ma resta sempre salva la facoltà del giudice, in relazione alle circostanze emergenti dall’istruttoria, di statuirne l'efficacia, in tutto o in parte, da momenti posteriori e, per quanto qui interessa, anche dalla data della decisione.
Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto che la revoca dell’assegno dovesse decorrere dal momento della decisione, non da quello della domanda, in quanto, alla luce della motivazione espressa alle pagine da tre a sei, ha tenuto conto delle modifiche delle condizioni reddituali delle parti (non ultima quella correlata alle esigenze di crescita dei due figli del B.), quali accertate in data successiva all’introduzione del giudizio, anche all’esito della CTU contabile espletata in primo grado.
Tale statuizione risulta corretta, avuto riguardo alla disciplina operante in materia di revisione di assegno divorzile.
5.2. La doglianza risulta poi infondata in relazione anche al secondo profilo, relativo alla statuizione circa il ritenuto assorbimento del secondo motivo di reclamo incidentale del B., che atteneva alla censura sulla decorrenza (dalla decisione, nel 2017, anziché dalla domanda, nel 2015) della riduzione dell’assegno divorzile disposta in primo grado.
Invero, la Corte d’appello ha: a) da un lato, ritenuto la doglianza «assorbita», perché proposta in via subordinata, a fronte della disposta revoca dell’assegno divorzile, il che non era in se´ giuridicamente corretto, considerato che tale motivo di impugnazione avrebbe potuto ritenersi effettivamente assorbito solo laddove la Corte d’appello, nel revocare l’assegno divorzile, avesse statuito sulla decorrenza di tale modifica dalla domanda, travolgendo in tal modo anche la decisione di primo grado, che aveva, invece, operato solo una riduzione nel quantum dell’assegno divorzile, mentre, nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto di fare decorrere la disposta revoca dell’assegno divorzile dalla data della decisione (nel 2018), cosicché il secondo motivo di censura del reclamo incidentale conservava rilievo ed interesse, per la parte, poiché la statuizione del Tribunale (in punto di debenza dell’assegno divorzile, sia pure ridotto) manteneva la sua efficacia intertemporale sino alla successiva ulteriore modifica, e non poteva ritenersi assorbito; b) dall’altro lato, tuttavia, in motivazione, la Corte d’appello ha richiamato un precedente di questo giudice di legittimità, a evidente giustificazione del rigetto comunque del motivo, per sua infondatezza nel merito.
E tale seconda ratio decidendi non è efficacemente attinta dal motivo.
Orbene, pur essendo inconferente il richiamo operato, nella motivazione della decisione qui impugnata, al precedente n. 16173/2015 di questa Corte, che si limitava ad affermare come, in base ai principi generali relativi alla autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata (rebus sic stantibus), della precedente imposizione del contributo medesimo, la decisione giurisdizionale di revisione non possa avere decorrenza anticipata al momento dell'accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione (conf. Cass. 11913/2009; Cass. 4224/2021), non si verte, in ogni caso, in ipotesi di «omessa» motivazione.
Una pronuncia sull’infondatezza, nel merito, della doglianza proposta con il reclamo incidentale vi è infatti stata.
6. Per tutto quanto sopra esposto, vanno respinti il ricorso principale e quello incidentale; in ragione della reciproca soccombenza delle parti ricorrono giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso principale e quello incidentale, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, da` atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.