Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Bologna, in sede di appello cautelare, ha confermato l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini che aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere avanzata dal Pubblico ministero nei confronti degli indagati indicati in intestazione, ritenendo che i fatti loro contestati dovessero essere qualificati non come truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640-bis cod.pen., ma come indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, ex art. 316-ter cod.pen..
La vicenda inerisce alla percezione illecita da parte degli indagati di falsi crediti di imposta oggetto di successiva cessione, ottenuti attraverso la predisposizione di attestazioni mendaci inserite telematicamente nel portale dell'Agenzia delle Entrate.
I crediti di imposta erano relativi all'utilizzo di vari bonus previsti dalla normativa emergenziale pandemica (bonus locazioni, sismabonus, bonus facciate).
Il Tribunale, ai fgg. 5-8 dell'ordinanza impugnata, pur dando atto che i dati inseriti nel portale dell'Agenzia delle Entrate al fine di ottenere il credito di imposta fossero falsi, non ha ritenuto decisiva tale circostanza, quanto, piuttosto, il fatto che le norme di riferimento all'epoca della condotta - analizzate nel provvedimento impugnato, a partire dal d.l. 19 maggio 2020 n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020 n. 77 - non prevedevano «controlli preventivi da parte dell'ente pubblico in relazione ai dati inseriti dal contribuente», siccome finalizzati all'ottenimento dei benefici fiscali, dal momento che «in difetto di controlli preventivi, non potrebbe sussistere l'induzione in errore dell'ente» e, con essa, il reato di cui all'art. 640-bis cod.pen..
In tale prospettiva, il Tribunale non ha ritenuto significativo il contenuto specifico delle dichiarazioni mendaci (che talora indicavano, quali proprietari degli immobili di interesse, anche soggetti diversi dai beneficiari degli incentivi), poiché il risultato era sempre quello di ottenere un falso credito di imposta.
Come pure il fatto che il falso credito di imposta venisse ceduto a terzi non è stato valorizzato, posto che le cessioni non «costituivano artifici e raggiri ma applicazione di una normativa che intendeva agevolare in massimo grado la circolazione del credito, senza che fossero previsti opportuni controlli preventivi, tutelando particolarmente il cessionario in buona fede. L'accorgimento di frammentare i falsi crediti d'imposta per ostacolare i controlli è condotta successiva, certamente con finalità decettive, ma che interviene dopo la consumazione del reato».
Nella stessa ottica, il Tribunale ha svalorizzato sia la circostanza che «la pratica per generare il falso credito di imposta fosse portata avanti da prestanome», sia l'entità dei danni causati allo Stato, calcolati in 277 milioni di euro.
2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini, deducendo, con unico motivo, violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell'art. 316-ter cod.pen ..
Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe effettuato una valutazione solo parziale delle evidenze investigative utili a supportare la qualificazione giuridica del fatto, valorizzando soltanto la mancanza di controlli preventivi dell'Agenzia delle Entrate all'atto dell'inserimento da parte degli indagati o di loro complici dei dati mendaci nel relativo portale, senza tenere conto che era stato imbastito un «marchingegno truffaldino» ben più ampio, commesso in forma organizzata, con il reperimento di prestanome ai quali ricondurre le società richiedenti l'incentivo ed i primi cessionari del credito di imposta, la indicazione di dati falsi anche in relazione alla proprietà degli immobili in relazione ai quali venivano richiesti i benefici, la frammentazione delle richieste e delle sedi legali delle società al fine di non insospettire l'Agenzia delle Entrate, così procurando ingentissimi danni all'Erario.
Si dà atto che il Procuratore generale ha depositato una memoria.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
Occorrono alcune necessarie premesse in punto di fatto per porre la questione giuridica di interesse nei suoi corretti termini.
1. Non è in contestazione in questa sede che gli indagati avessero allestito una associazione per delinquere finalizzata all'ottenimento di vari bonus previsti dalla legislazione connessa all'emergenza epidemiologica da Covid 19 (bonus locazioni, sismabonus, bonus facciate), secondo quanto loro contestato al capo 1 della imputazione provvisoria.
2. Alla stregua di tale imputazione e per quanto risulta altrettanto incontestato dalla lettura del provvedimento impugnato e di quello genetico, sia a monte che a valle della comunicazione mendace alla Agenzia delle Entrate circa l'esistenza di crediti di imposta in realtà fasulli, gli indagati, tra loro coordinati verso il fine illecito, avevano imbastito una serie di attività sia preparatorie che susseguenti, ben sintetizzate nelle numerose contestazioni di truffa aggravata elevate in oltre trenta capi di imputazione provvisoria, al fine di legittimare, falsamente, l'esistenza dei presupposti per ottenere il credito di imposta (solo ad esempio ed in relazione ai diversi incentivi, predisposizione di documentazione inerente a lavori non eseguiti o eseguiti solo parzialmente, attestazione di pagamento di canoni di locazione non corrisposti, indicazione di unità immobiliari inesistenti o intestate a soggetti senza titolo, invii telematici frazionati ed effettuati verso uffici finanziari sparsi in Italia, predisposizione di società intestate a prestanome per simulare come genuina la prima cessione del credito di imposta).
3. Di tutta questa attività, all'evidenza organizzata e di natura fraudolenta - che aveva provocato un danno all'Erario stimato dal Tribunale in circa 277 milioni di euro - i giudici di merito non hanno tenuto conto nel qualificare la condotta degli indagati ex art. 316-ter cod.pen., poiché hanno basato la loro decisione sul fatto che essa fosse rimasta per così dire "sullo sfondo" rispetto alla comunicazione mendace alla Agenzia delle Entrate, dal momento che la legislazione emergenziale vigente all'epoca dei fatti, come hanno tenuto a sottolineare i difensori, non prevedeva alcun controllo preventivo da parte dell'ente pubblico «in relazione ai dati inseriti dal contribuente e dai quali originava il credito di imposta previsto dalle normative in tema di bonus locazione, bonus facciate e sismabonus» (così a fg. 5 del provvedimento impugnato).
4. L'assunto circa la mancanza di previsione normativa di preventivi controlli all'epoca dei fatti è corretto, in ragione della circostanza che nessuna delle condotte di truffa risulta contestata come commessa dopo l'introduzione, nel d.l. 19 maggio 2020 n. 34 (convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020 n. 77) dell'art. 122-bis, entrato in vigore dal 12 novembre 2021 proprio nell'ambito, previsto espressamente dal legislatore, di adottare «misure di contrasto alle frodi in materia di cessioni dei crediti. Rafforzamento dei controlli preventivi».
Al contrario, l'originaria disciplina del d. I. 34 del 2020 - tendente a favorire al massimo la circolazione dei crediti tutelando il cessionario di buona fede - non prevedeva alcun controllo a monte relativo alla verifica della correttezza dei dati inseriti nell'apposito portale della Agenzia delle Entrate e neanche in relazione alla çessione del credito di _imposta, che era stata. prevista, in origine, come illimitata dall'art. 121 del decreto citato.
5. 5. Ciò premesso, i giudici di merito - cfr. fg. 4 dell'ordinanza impugnata - omettendo di prendere in considerazione tutta l'attività fraudolenta sopra ricordata, hanno applicato erroneamente al caso in esame il principio di diritto, più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all'art. 316-ter cod.pen. si differenzia da quello di truffa aggravata ex art. 640-bis cod.pen. per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore del soggetto erogatore, che invece connota la truffa.
Nel caso della indebita percezione di cui al primo reato, il soggetto erogatore è chiamato esclusivamente ad operare una presa d'atto dell'esistenza della formale dichiarazione da parte del privato del possesso dei requisiti autocertificati e non anche a compiere un'autonoma attività di accertamento (tra le tante, Sez. F, n. 44878 del 06/08/2019, Aldovisi, Rv. 279036; Sez. 6, n. 51962 del 02/10/2018, Muggianu, Rv. 274510; Sez. 2, n. 23163 del 12/04/2016, Picariello, Rv. 266979).
6. Rispetto a tale assunto giuridico occorrono alcune precisazioni volte a limitarne, ad avviso del Collegio, il perimetro applicativo.
6.1. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, nella sentenza n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, hanno indicato alcuni principi cardine che non sono mai stati messi in discussione dalla giurisprudenza successiva.
In primo luogo, il fatto che la verifica circa la distinzione tra i due reati debba avvenire caso per caso proprio in forza della problematicità astratta della questione.
In secondo luogo, che l'applicazione dell'art. 316-tercod.pen. deve avere carattere residuale consono alla sua natura di norma volta ad «estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa» (fg. 7 della sentenza SS.UU. Carchivi), come dimostra anche il fatto che il legislatore, nel delineare la fattispecie, ha previsto una apposita clausola di riserva ("salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'art. 640-bis cod.pen.").
E tale carattere residuale, indirizzato a limitare la portata applicativa dell'art. 316- ter cod.pen. a «situazioni del tutto marginali», ne riduce l'ambito a condotte come «il silenzio antidoveroso», ovvero a quelle che non inducano «effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale».
Ed a questo proposito, fin da quella decisione si era evidenziato come particolarmente problematico proprio il caso in cui «il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l'effettivo accertamento da parte dell'erogatore dei presupposti del singolo contributo ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria,_ sulla mera dichiarazione del soggetto inter:essato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche. Sicché in questi casi, l'erogazione può non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'erogatore, che in realtà si rappresenta correttamente solo l'esistenza della formale dichiarazione del richiedente.
D'altro canto l'effettivo realizzarsi di una falsa rappresentazione della realtà da parte dell'erogatore, con la conseguente integrazione degli estremi della truffa, può dipendere, oltre che dalla disciplina normativa del procedimento, anche dalle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto» (fgg. 8 e 9, della sentenza 55.UU. Carchivi).
La successiva sentenza delle 55.UU. di questa Corte n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Pizzuto, ha ribadito tutti i citati principi, rimarcando ancora il carattere sussidiario e residuale dell'art. 316-ter cod.pen. rispetto alla truffa (anche citando, in proposito, l'ordinanza della Corte cost. n. 95 del 2004), la valutazione in concreto e caso per caso dell'accertamento in ordine alla sussistenza degli artifici e raggiri e della induzione in errore, stabilendo che «l'art. 316-tercod.pen. punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall'uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l'erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta solo l'esistenza della formale attestazione del richiedente» (fgg. 7 e 8 della sentenza 55.UU. Pizzuto).
6.2. E' in queste affermazioni che si possono cogliere gli elementi che devono guidare l'interprete nei singoli casi concreti.
Nelle ipotesi in cui la condotta illecita, per le sue modalità - adeguate alla specifica normativa del singolo procedimento ma tenendo conto di tutto lo svolgimento dell'azione nel caso concreto - si esaurisca in una falsa dichiarazione all'ente erogatore, potrà aversi il reato di cui all'art. 316-ter cod.pen., dal momento che l'ente, in assenza di controlli preventivi e, dunque, di una autonoma e preliminare attività di accertamento, baserà la sua potestà deliberativa a favore del richiedente l'incentivo solo sulla effettiva esistenza della dichiarazione mendace che costituisce sostanzialmente l'unica condotta penalmente rilevante messa in atto dall'agente, vale a dire il fatto di reato in sé, che può prescindere dalla esistenza di artifici e raggiri pur rimanendo penalmente rilevante in quanto punito dalla fattispecie residuale ("chiunque mediante l'utilizzo di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue...").
Non è un caso, infatti, che le sentenze volte a ritenere sussistente il reato di cui all'art. 316-ter cod.pen. - ivi comprese quelle delle 55.UU. prima citate – abbiano avuto al _cospetto casi concreti nei quali, da un lato, il procedimento per l'erogazione di un qualche beneficio pubblico era assai semplice; dall'altro, la condotta dell'agente si esauriva nella presentazione della dichiarazione falsa, della cui (sola) esistenza l'ente prendeva atto (cosi in Sez. 2, n. 6915 del 25/01/2011, Manfredi, Rv. 249470; Sez. 2, n. 46064 del 19/10/2012, Santannera, Rv. 254354, Sez. 2, n. 49642 del 17/10/2014, Ragusa, Rv. 261000, Sez. 6, n. 51962 del 02/10/2018, Muggianu, Rv. 274510).
6.3. Applicando questi principi al caso in esame, la violazione di legge in cui sono incorsi i giudici di merito nella valutazione concreta, consiste nel fatto di non aver preso in considerazione tutto l'insieme delle condotte commesse dagli indagati per raggiungere il loro obbiettivo illecito, addirittura raggiunto attraverso la costituzione di una associazione per delinquere finalizzata al compimento della rilevante serie di condotte decettive antecedenti e susseguenti alla comunicazione all'Agenzia delle Entrate, la quale presupponeva il possesso di una innumerevole serie di requisiti in capo ai richiedenti il beneficio fiscale che l'Erario ha ritenuto falsamente esistenti in base alla dichiarazione presentata, venendo indotto in errore sulla sussistenza di tutti i presupposti per accedere al beneficio ben diversi dalla mera comunicazione, come dimostra la lunga serie di attività altamente fraudolente poste in essere.
La ricostruzione formalistica adottata dal provvedimento impugnato sarebbe foriera di una non giustificata dilatazione dell'ambito applicativo del reato di cui all'art. 316-ter cod.pen. - non rispondente alla natura della fattispecie ed ai principi di diritto che si sono analizzati - a casi nei quali, come quello in esame, è incontestata la commissione di una rilevante attività truffaldina ricca di artifici e raggiri posta in essere dagli autori del reato ed idonea ad indurre in errore il soggetto passivo attraverso la falsa dichiarazione all'ente, che si pone solo come uno dei tanti segmenti della azione delittuosa, della cui complessiva portata non vi era ragione alcuna di non tener conto nella ricostruzione d'insieme del caso concreto (sia pure ancora a livello indiziario) e della consequenziale sua definizione giuridica.
Di quest'ultima, qui effettuata ai sensi dell'art. 640-bis cod.pen. in ragione di quanto detto, il giudice del rinvio dovrà tenere conto per i successivi provvedimenti che vorrà adottare sulla domanda cautelare.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata previa riqualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell'art. 640-bis cod.pen., con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bologna competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen..