Tale clausola trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell'oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della società di leasing.
L'attuale ricorrente conveniva in giudizio una società deducendo di aver stipulato con quest'ultima un contratto di leasing immobiliare a tasso variabile, garantito da fideiussione prestata dal secondo, e chiedeva al Tribunale di accertare che il mutuo de quo fosse usurario e che gli interessi non fossero dovuti. I Giudici di merito rigettavano...
Svolgimento del processo
1. La E. s.a.s. di D.M. & C. ed A.F. citarono la Unicredit Leasing s.p.a. (già L. s.p.a.) innanzi al Tribunale di Trento e, deducendo che la prima, nel 2007, aveva stipulato con quest’ultima un contratto di leasing immobiliare a tasso variabile, per un importo complessivo di € 183.768,00, garantito da fideiussione prestata dal secondo, chiesero accogliersi le seguenti conclusioni: «Ritenuto che, per effetto del primo comma dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815, comma II, c.c., il mutuo de quo è usurario e non sono dovuti interessi, conseguentemente accertare, in ragione dell'elaborato peritale e delle argomentazioni sviluppate in narrativa, che la E. s.a.s. di M. D. […] è creditrice, nei confronti della società convenuta, della somma di Euro 33.767,22, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; Riconoscere ed accertare l'invalidità della determinazione ed applicazione degli interessi debitori nonché di quelli anatocistici, con relativa capitalizzazione; Verificare, in ogni caso, come l'istituto avverso abbia agito in spregio alla L. n. 108/96, perpetrando il reato di usura, trasmettendo, se del caso, gli atti del presente giudizio alla Procura della Repubblica competente; Accogliere l’exceptio doli et nullitatis esperita dal fideiussore F.A., attesa l'invalidità e la nullità della pretesa creditoria; Per tutte le causali di cui in narrativa, accertare come la società convenuta, con la propria condotta contra legem, abbia cagionato un danno agli attori e, conseguentemente, condannarla al pagamento della somma di € 20.000,00, ovvero di quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento. In via subordinata, previa compensazione tra quanto pagato in eccesso dall’attrice per le causali dedotte […] e quanto asseritamente dovuto alla L. s.p.a., provvedere al ricalcolo senza interessi ad alcun saggio, spese e commissioni, della rata di canone mensile, al fine di rideterminare i reali saldi conto (“dare-avere tra le parti”)».
1.1. Costituitasi la Unicredit Leasing s.p.a., che contestò integralmente le avverse pretese, l’adito tribunale, con sentenza del 20/30 ottobre 2017, n. 1048, respinse le domande degli attori ed analoga sorte negativa ebbe il gravame di questi ultimi contro quella decisione, rigettato dalla Corte di appello di Trento con sentenza del 6 novembre 2018, n. 271, pronunciata nel contraddittorio con la menzionata società di leasing.
1.2. Quella corte: i) respingendo il primo motivo di impugnazione ivi formulato (che aveva lamentato l’esclusione della sommatoria dei tassi delle due categorie di interessi, corrispettivi e moratori, nella consistenza contrattualmente fissata, ai fini della verifica antiusura, assumendo che il conteggio comprensivo del cumulo portava ad un tasso del 18,08%, ben superiore alla soglia di liceità, all’epoca del 9,51%), condivise le ragioni poste dal tribunale a fondamento della sua decisione («Il primo giudice ha motivato l’illegittimità della sommatoria rilevando che si trattava di elementi non omogenei, aventi l’uno natura di remunerazione del capitale residuo mutuato e l’altro funzione risarcitoria a fronte dell’inadempimento del mutuatario [o del soggetto finanziato]. Altro elemento ostativo alla cumulabilità dei due tipi di interessi è stato indicato dal Tribunale nel fatto che l‘interesse di mora non è considerato nella rilevazione del TEGM per la determinazione del tasso soglia dell’usura, rimendo escluso dalla base dui calcolo, che riguarda, perciò, soltanto gli interessi corrispettivi»), ritenute inadeguatamente confutate dagli appellanti. Aggiunse, poi, che «i due tassi attengono a fasi distinte dell’evoluzione del contratto di mutuo: l’uno si applica nel corso del rapporto quale elemento fisiologico, l’altro opera in via meramente eventuale nel caso di inadempimento del mutuatario rispetto al pagamento delle rate»; ii) con riguardo al motivo di gravame con cui erano state censurate l’esclusione del carattere usurario degli interessi moratori, contrattualmente determinati nel tasso Euribor maggiorato di nove punti, e la ritenuta validità della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 11 delle condizioni generali del contratto di leasing (secondo cui, nel caso in cui, alla data di stipula del contratto di finanziamento, l’interesse di mora come determinato avesse superato il tasso soglia, si sarebbe proceduto alla rideterminazione dell’interesse al punto percentuale inferiore a quello soglia, mediante arrotondamento in tal senso), osservò che «la clausola è sufficientemente chiara e va ritenuta valida, non essendo diretta a far perseguire vantaggi illeciti ad alcuna delle parti e nemmeno ad aggirare un divieto normativo»; iii) circa l’ultimo motivo di appello (che aveva lamentato l’applicazione illegittima dell’anatocismo attraverso l’utilizzo dell’ammortamento cd. “alla francese”, caratterizzato dal rientro con rate costanti, strutturate in modo da comprendere nelle prime una maggiore quota di interessi progressivamente ridotta a vantaggio della quota capitale che tende, invece, ad incrementarsi), opinò che «Si tratta di un modello di ammortamento ampiamente in uso presso gli istituti di credito e ritenuto comunemente legittimo dalla giurisprudenza di merito perché, in concreto, non produce anatocismo. Va aggiunto, come evidenziato nella sentenza impugnata, che gli interessi dovuti sull’intero finanziamento vengono ripartiti nelle singole rate e sono calcolati sul capitale residuo, non ancora restituito, senza quindi che si verifichi l’addebito di interessi sugli interessi maturati, che è l’ipotesi disciplinata dall’art. 1283 cod. civ.. Va condivisa anche l’altra argomentazione, invero neppure contestata specificamente dall’appellante, svolta dal primo giudicante a supporto della validità dell’ammortamento praticato, sulla scorta degli accertamenti peritali, in ordine alla legittimità dell’anatocismo, alle condizioni indicate, per effetto della introduzione di apposita modifica all’art. 120 del TU delle leggi bancarie».
3. Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso la E. s.a.s. di M. D. & C. ed A.F., affidandosi a tre motivi. Ha resistito, con controricorso, la Unicredit Leasing s.p.a..
Motivi della decisione
1. I primi due motivi di ricorso denunciano, rispettivamente:
I) «Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - Violazione e/o falsa applicazione della legge 7/03/1996, n. 108, e dell’art. 644 c.p.». Richiamandosi le argomentazioni della pronuncia resa da Cass. n. 27442 del 2018, si critica la motivazione della corte distrettuale, innanzitutto, nella parte in cui quest’ultima aveva condiviso gli assunti con cui il tribunale aveva giustificato l’esclusione della sommatoria dei tassi delle due categorie di interessi, corrispettivi e moratori, nella consistenza contrattualmente fissata, ai fini della verifica antiusura. Si deduce, inoltre, che quella corte nemmeno aveva tenuto in debito conto che, «anche senza ricorrere ad alcuna sommatoria, nella fattispecie in esame, il tasso di mora era già di per sé maggiore a quello soglia del momento, pari al 9,51% […]. Lo stesso c.t.u., dott. E. rilevato che il tasso di mora come determinato (Euribor 3 mesi maggiorato di nove punti percentuali) alla data di stipula del contratto risultava comunque superiore al tasso soglia in vigore (9,51%)»;
II) «Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1344 c.c. e dell’art. 644, commi 3 e 4, c.p.», contestandosi le affermazioni con cui la corte territoriale aveva ritenuto «sufficientemente chiara e valida» la clausola di salvaguardia di cui all’art. 11 delle condizioni generali del contratto di leasing di cui si discute «non essendo diretta a far perseguire vantaggi illeciti ad alcuna delle parti e nemmeno ad aggirare un divieto normativo».
2. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché connesse, si rivelano fondate nei soli limiti di cui appresso.
2.1. Giova premettere che l’avvenuta stipulazione, tra la E. s.a.s. di M. D. & C. e la L. s.p.a. (oggi Unicredit Leasing s.p.a.), nel 2007, del contratto di leasing immobiliare di cui si è detto nei “Fatti di causa” non è contestata, così come parimenti incontroverse sono le clausole di determinazioni di interessi (corrispettivi e di mora) ivi rinvenibili.
2.2. Tanto premesso, la censura proposta contro la motivazione della sentenza oggi impugnata nella parte in cui quest’ultima aveva condiviso gli assunti con cui il tribunale aveva giustificato l’esclusione della sommatoria dei tassi delle due categorie di interessi, corrispettivi e moratori, nella consistenza contrattualmente fissata, ai fini della verifica antiusura, non merita condivisione.
2.3. Invero, tra le numerose questioni che sono sorte e che sorgono nell'ambito delle controversie relative all'applicazione della normativa antiusura, alcuni sicuri punti fermi sono stati fissati dalla recente giurisprudenza di legittimità. Così, per esempio, è ormai certo che quella normativa non si applica soltanto agli interessi corrispettivi ed ai costi posti a carico della parte finanziata per il caso di regolare adempimento del contratto, ma anche agli interessi di mora ed ai costi che il contratto pone a carico della parte finanziata nel caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento degli obblighi posti a suo carico. È chiarissimo, in tal senso, uno dei principi di diritto dettati da Cass., SU, 18 settembre 2020, n. 19597: «La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso».
2.4. L'applicazione della normativa antiusura agli interessi ed al costo complessivo della mora comporta la necessità di stabilire, da un lato, quale sia la soglia, superata la quale, quel tasso deve intendersi usurario; dall'altro, quali siano le conseguenze sulla validità e sugli effetti del contratto della riscontrata usurarietà dei soli interessi di mora, laddove la clausola relativa agli interessi corrispettivi (sia pure tenendo conto di ulteriori costi e commissioni posti a carico della parte finanziata per il caso di regolare adempimento) risulti invece rispettosa della normativa antiusura. Anche su questi aspetti si è espressa la citata sentenza delle Sezioni Unite, in sostanza individuando una soglia antiusura per gli interessi moratori diversa (e più alta) rispetto a quella fissata per gli interessi corrispettivi e stabilendo che l'usurarietà del tasso di interesse di mora non incide sulla validità della clausola relativa agli interessi corrispettivi, né, quindi, sull'obbligo di pagamento di questi ultimi.
2.5. Ciò che rileva in questa sede è che siffatti principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità (richiamati, successivamente, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 14214 del 2022), nel mentre affermano la sensibilità del tasso di mora alla normativa antiusura, presuppongono una valutazione separata e distinta dei due tassi (corrispettivo e di mora) e sono, quindi, del tutto incompatibili con la tesi (oggi sostanzialmente fatta propria dai ricorrenti) secondo cui l'eventuale usura in un contratto di finanziamento dovrebbe essere apprezzata come un fenomeno unitario, ovverosia ricostruendo un unico tasso di interesse - frutto di una sintesi tra tasso degli interessi corrispettivi e tasso di mora - da valutare, poi, confrontandolo con la soglia antiusura posta dalla normativa per quel determinato tipo di contratto di finanziamento. Siffatta incompatibilità - come ribadito dalla menzionata Cass. n. 14214 del 2022 - è coerente con la constatazione che interessi corrispettivi ed interessi di mora sono destinati ad essere applicati «ricorrendo presupposti diversi ed antitetici» (cfr. Cass. n. 26286 del 2019): gli uni in caso di (e fino al) regolare adempimento del contratto; gli altri in caso di (e in conseguenza dell') inadempimento del contratto.
2.5.1. Il «principio di sommatoria» dei rispettivi tassi degli interessi corrispettivi e di mora per stabilire il tasso contrattuale da confrontare con la soglia antiusura, dunque, «non è altro che uno - e, si potrebbe dire, il più grezzo - dei criteri utilizzabili per sintetizzare un tasso unico, senza distinguere, tra costi correlati al regolare adempimento del contratto e costi correlati al suo inadempimento» (così, in motivazione, la citata Cass. n. 14214 del 2022). Pertanto, tale criterio è incompatibile con i principi stabiliti dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, oltre ad essere stato espressamente ripudiato in altre sentenze (cfr. Cass. n. 26286 del 2019, Cass. n. 31615 del 2021; Cass. n. 14214 del 2022).
2.5.2. Viceversa, non risulta che il criterio della sommatoria sia mai stato affermato nella giurisprudenza di legittimità. Certamente non lo ho fatto Cass. n. 350 del 2013, che si limitò a statuire la rilevanza anche del tasso di mora ai fini del controllo del rispetto della normativa antiusura, in un caso in cui - come frequentemente accade - il tasso di mora era contrattualmente fissato mediante uno spread aggiunto al tasso degli interessi corrispettivi. Ed è evidente la differenza che corre tra prendere atto della modalità con cui le parti hanno fissato il tasso di mora (tasso corrispettivo + X%) ed elaborare ab extrinseco un diverso tasso dato dalla somma di tasso di mora e tasso degli interessi corrispettivi.
2.5.3. Da quanto sopra esposto, consegue la infondatezza, in parte qua, del primo motivo di ricorso, dovendosi qui ribadire il principio per cui “la disciplina antiusura si applica sia agli interessi corrispettivi (ed ai costi posti a carico della parte finanziata per il caso di regolare adempimento del contratto), sia agli interessi moratori (ed ai costi posti a carico della medesima parte per il caso, e come conseguenza, dell'inadempimento), esclusa, invece, l'applicazione del cd. criterio della sommatoria tra tasso corrispettivo e tasso di mora”.
2.6. A diversa conclusione, invece, deve addivenirsi quanto alla seconda censura contenuta in quel motivo, mediante la quale si ascrive alla corte distrettuale di non aver considerato che, «anche senza ricorrere ad alcuna sommatoria, nella fattispecie in esame, il tasso di mora era già di per sé maggiore a quello soglia del momento, pari al 9,51% […]».
2.6.1. Posto, infatti, che, come si è già anticipato, sono rimaste incontroverse le clausole di determinazioni di interessi (corrispettivi e di mora) rinvenibili nel contratto di leasing immobiliare di cui si discute, ne consegue che la pattuizione, avvenuta in quella sede, di interessi moratori al tasso del 13,02% (come riportata nell’odierno ricorso) si rivela, di per sé, superiore al tasso soglia in vigore (9,51%. Cfr. il corrispondente decreto ministeriale relativo al trimestre aprile giugno 2007) al momento (13 aprile 2007) della conclusione di quel contratto con riferimento alla corrispondente classe di importo (dovendosi qui ricordare che, come condivisibilmente stabilito da Cass. n. 35102 del 2022, «In tema di usura, i decreti ministeriali pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, con i quali viene effettuata la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi, indispensabili alla concreta individuazione dei tassi soglia di riferimento, in virtù del rinvio operato dall'art. 2 della l. n. 108 del 1996, costituiscono atti amministrativi di carattere generale ed astratto, oltre che innovativo, e quindi normativo, perché completano i precetti di rango primario in materia di usura inserendo una normativa di dettaglio. Per questo, tali decreti vanno considerati alla stregua di vere e proprie fonti integrative del diritto, che il giudice deve conoscere a prescindere dalle allegazioni delle parti, in base al principio iura novit curia, sancito dall'art. 113 c.p.c.»), sicché doveva considerarsi nulla (cfr. Cass. n. 27442 del 2018, a tenore della quale «È nullo il patto con il quale si convengano interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all'art. 2 della l. n. 108 del 1996, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali e calcolato senza maggiorazioni o incrementi»).
2.7. Né, al fine di escludere la nullità suddetta, può condividersi la conclusione della corte territoriale che ha considerato «sufficientemente chiara e valida» la clausola di salvaguardia di cui all’art. 11 delle condizioni generali del contratto di leasing di cui si discute «non essendo diretta a far perseguire vantaggi illeciti ad alcuna delle parti e nemmeno ad aggirare un divieto normativo».
2.7.1. Invero, il tenore letterale di tale clausola, specificamente riprodotto in ricorso (cfr. pag. 16), risulta essere il seguente: “Qualora, alla data di stipulazione del presente contratto, il risultato di tale calcolo (Euribor 3 mesi, divisore 365, più nove punti) risultasse maggiore del cosiddetto “tasso soglia” vigente con riferimento alla classe di importo alla quale è riconducibile il presente contratto di locazione finanziaria, il tasso per il calcolo degli interessi convenzionali di mora resterà definitivamente determinato per tutta la durata della locazione finanziaria nell’Euribor 3 mesi, divisore 365, quale pubblicato da “Il Sole 24 Ore” man mano in vigore, maggiorato della differenza fra il tasso soglia vigente alla data di stipulazione del presente contratto e l’Euribor 3 mesi, divisore 365, pubblicato alla data medesima da “Il Sole 24 Ore”, con arrotondamento al punto percentuale (vale a dire all’intero) inferiore”.
2.7.2. Tanto premesso, rileva il Collegio che, come già condivisibilmente osservato da Cass. n. 26286 del 2019 (resa con riferimento ad un contratto di mutuo fondiario, ma i cui principi sono agevolmente applicabili anche nell’odierna fattispecie, in cui si è al cospetto di un contratto di leasing immobiliare, posto che a quest’ultimo, nelle varie forme, sono coessenziali finalità di finanziamento, espressamente funzionali, però, all'acquisto ovvero alla utilizzazione dello specifico bene coinvolto. Cfr. Cass. n. 15200 del 2018; Cass. n. 30520 del 2019), «la clausola cd. "di salvaguardia" giova a garantire che, pur in presenza di un saggio di interesse variabile o modificabile unilateralmente dalla banca, la sua fluttuazione non oltrepassi mai il limite stabilito dall'art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996. Dal punto di vista pratico, tale clausola opera in favore della banca, piuttosto che del cliente. Infatti, ai sensi dell'art. 1815, secondo comma, cod. civ. “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. La clausola "di salvaguardia", dunque, assicurando che gli interessi non oltrepassino mai la soglia dell'usura cd. "oggettiva", previene il rischio che il tasso convenzionale sia dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca. Nondimeno, la clausola non presenta profili di contrarietà a norme imperative. Anzi, al contrario, essa è volta ad assicurare l'effettiva applicazione del precetto d'ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari. Sebbene la "clausola di salvaguardia" ponga le banche al riparo dall'applicazione della "sanzione" prevista dall'art. 1815, secondo comma, cod. civ. per il caso di pattuizione di interessi usurari (nessun interesse è dovuto), la stessa non ha carattere elusivo, poiché il principio d'ordine pubblico che governa la materia è costituito dal divieto di praticare interessi usurari, non dalla sanzione che consegue alla violazione di tale divieto. Non vale, in contrario, quanto ritenuto in altra occasione da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 12965 del 22/06/2016, Rv. 640109), poiché quella pronuncia ha ad oggetto una ben diversa clausola, che prevedeva l'applicazione del principio solve et repete agli interessi che eventualmente fossero successivamente risultati usurari».
2.7.3. Dunque, adattando alla concreta vicenda per cui è causa gli appena riportati assunti, ne deriva che il percepimento di interessi usurari è vietato dalla legge e la relativa pattuizione è nulla. Con la "clausola di salvaguardia" la società di leasing si obbliga contrattualmente ad assicurare che, per tutta la durata del rapporto, non vengano mai applicati interessi che oltrepassino il "tasso soglia".
2.7.4. La "contrattualizzazione" di quello che è un divieto di legge, tuttavia, non è priva di conseguenze sul piano del riparto dell'onere della prova. Infatti, come osservato, ancora una volta condivisibilmente, dalla già citata Cass. n. 26286 del 2019, «se l'osservanza del "tasso soglia" diviene oggetto di una specifica obbligazione contrattuale, alla logica della violazione della norma imperativa si sovrappone quella dell'inadempimento contrattuale, con conseguente traslazione dell'onere della prova in capo all'obbligato, ossia alla banca» (nella vicenda in esame, quindi, alla società di leasing).
2.7.5. Nella specie, invece, la corte di appello si è attestata sulla posizione della valenza dirimente della "clausola di salvaguardia" in sé considerata, ritenendo - in sostanza - che l'inserimento della stessa nelle condizioni generali integranti il regolamento contrattuale fosse sufficiente ad escludere in radice l'usurarietà degli interessi moratori percepiti dalla società di leasing. Neppure ha pregio l'osservazione - riferita da Unicredit Leasing s.p.a. (cfr. pag. 13 e ss. del controricorso) - secondo cui il consulente d'ufficio non avrebbe rilevato lo sforamento del tasso soglia, neanche con riferimento al periodo di applicazione del tasso di mora. Si tratta, infatti, di conclusioni del c.t.u. che mai sono state validate dalla corte distrettuale, che ha basato la propria decisione unicamente sulla presenza, nelle condizioni generali del contratto di leasing immobiliare de quo, della "clausola di salvaguardia" suddetta.
2.7.6. In relazione a questa seconda parte, dunque, il primo motivo di ricorso risulta fondato ed il giudice del rinvio dovrà uniformarsi, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., al seguente principio di diritto: "In tema di leasing immobiliare, l'inserimento di una clausola "di salvaguardia", in forza della quale l'eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale di mora dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del cd. "tasso soglia" antiusura previsto dall'art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell'oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della società di leasing, consistente nell'impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla società di leasing medesima, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l'onere della prova di aver regolarmente adempiuto all'impegno assunto".
3. Il terzo motivo di ricorso, rubricato, «Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1283 c.c. e dell’art. 1284 c.c., nonché dell’art. 644 c.p.», contesta alla corte territoriale di aver considerato l’ammortamento cd. “alla francese”, applicato nel contratto di leasing immobiliare di cui discute, come «un modello di ammortamento ampiamente in uso presso gli istituti di credito e ritenuto comunemente legittimo dalla giurisprudenza di merito perché, in concreto, non produce anatocismo». Si assume, invece, richiamandosi giurisprudenza di merito, che un «tale modello di ammortamento è illecito poiché realizza un risultato anatocistico, contrario ai dettami dell’art. 1283 e, in particolare, produce un effetto moltiplicatore degli interessi pagati dal mutuatario, tale da incrementare surrettiziamente il tasso formalmente pattuito tramite un’artificiosa composizione delle rate del piano di rimborso».
3.1. Una siffatta doglianza si rivela inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
3.2. Innanzitutto, per la genericità della censura proposta.
3.2.1. Invero, ad avviso del Collegio, non può ritenersi sufficientemente specifica la censura sollevata denunciando soltanto, e del tutto astrattamente, la pretesa realizzazione, mediante l’utilizzo del sistema di ammortamento cd. “alla francese”, di un risultato anatocistico, senza che tale asserzione sia accompagnata da specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare l’avvenuta concreta produzione, nella specie, di un tale risultato.
3.3. Le argomentazioni del motivo, inoltre, in nessun modo si confrontano con l’ulteriore affermazione della corte distrettuale secondo cui «Va aggiunto, come evidenziato nella sentenza impugnata, che gli interessi dovuti sull’intero finanziamento vengono ripartiti nelle singole rate e sono calcolati sul capitale residuo, non ancora restituito, senza quindi che si verifichi l’addebito di interessi sugli interessi maturati, che è l’ipotesi disciplinata dall’art. 1283 cod. civ.». Trattasi, evidentemente, di accertamento di natura fattuale, non sindacabile in questa sede, dovendosi qui solo ricordare che: i) il vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell'art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 35041 del 2022; Cass. n. 4784 del 2023); ii) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017, Cass., SU, n. 34476 del 2019 e Cass. n. 32026 del 2021; Cass. n. 40493 del 2021; Cass. n. 1822 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 3250 del 2002; Cass. n. 5490 del 2022; Cass. n. 9352 del 2022; Cass. 13408 del 2022; Cass. n. 15237 del 2022; Cass. n. 21424 del 2022; Cass. n. 30435 del 2022; Cass. n. 35041 del 2022; Cass. n. 35870 del 2022; Cass. n. 1015 del 2023; Cass. n. 4784 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023).
4. In definitiva, quindi, il ricorso proposto dalla E. s.a.s. di M. D. & C. e da A.F. deve essere accolto, nei limiti di cui si è detto, in relazione ai suoi primi due motivi, dichiarandosene inammissibile il terzo. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso proposto dalla E. s.a.s. di M. D. & C. e da A.F. in relazione ai suoi primi due motivi, dichiarandone inammissibile il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità.