Secondo la Cassazione, «il post in Twitter non esime l'autore dal necessario rispetto della continenza espressiva in quanto non può concretizzare una manifestazione del pensiero irresponsabile sol perché veicolata tramite il mezzo prescelto».
Il Tribunale accoglieva la domanda avanzata dalla
Svolgimento del processo
La Consob convenne in giudizio E.L. per ottenerne la condanna al risarcimento di danni da diffamazione.
Sostenne che a partire dal maggio 2012 egli, quale presidente di (omissis), aveva messo in atto una campagna denigratoria mediante comunicati stampa e messaggi in twitter tesi a ingenerare nell’opinione pubblica il dubbio che la Consob agisse e avesse agito col fine di difendere gli interessi dei soggetti vigilati, in collusione con taluni operatori del mercato finanziario colpevoli di gravi illeciti.
Nella resistenza del convenuto, l’adito Tribunale di Roma accolse la domanda in relazione alla natura diffamatoria di alcune delle dichiarazioni incriminate (quelle del 22 marzo 2013, dell’8 aprile 2013, del 20 maggio 2013 e del 21 giugno 2013) e condannò il L. ai danni liquidati in 15.000,00 EUR oltre interessi.
La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma e avverso la relativa statuizione è ora proposto ricorso per cassazione, da parte di L., in quattro motivi.
La Consob ha replicato con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
I. Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 21 cost., 51 e 595 cod. pen. 2043 cod. civ. per omessa considerazione del contesto entro cui le dichiarazioni erano state rese tramite pubblicazione di tweet.
Assume che la sentenza abbia valutato le affermazioni estrapolandole dal contesto, così da trattarle in maniera atomistica, mentre le stesse si sarebbero dovute valutare anche tenendo conto della piattaforma su cui erano state pubblicate e del metodo informativo a essa sotteso. In questa prospettiva le frasi avrebbero dovuto considerarsi libera espressione di un pensiero critico rivolto in modo generico all’attività istituzionale di Consob.
II. Col secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione delle medesime norme e l’omessa considerazione del contesto di critica politica entro cui erano state rese le dichiarazioni tramite pubblicazione di tweet, egli essendo stato un senatore della Repubblica fino a qualche tempo prima.
Invero sottolinea che le dichiarazioni erano state rese pochi giorni dopo il termine del mandato parlamentare (marzo 2013), e quindi rientravano nell’ambito di un’attività politica che egli assume di non aver mai smesso di svolgere, tanto da essere stato nuovamente eletto senatore a marzo 2018.
Sottolinea inoltre di esser stato membro della Commissione permanente “Finanze e tesoro” e poi della Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, a ulteriore testimonianza del suo impegno e della costanza nell’attività di lotta e critica alle distorsioni del sistema medesimo.
In tal guisa le singole espressioni non avrebbero quindi superato il limite della continenza da valutare in termini meno rigorosi nel caso dell’esercizio del diritto di critica.
III. Col terzo mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 81 cod. proc. civ., 21 cost. 51 e 595 cod. pen., 2043 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto costituire fatto illecito risarcibile in favore di Consob la pubblicazione del tweet relativo alla sola persona del dr. V..
Tale tweet (“presidente consob V. ha faccia come il c….ufficio analisi quantitative andava a favore aziende ?”), per quanto da ritenere esso stesso scriminato dall’esercizio del diritto di critica politica, in ogni caso non si sarebbe potuto reputare lesivo dell’onore o dell’immagine della Consob, poiché non contenente alcuna espressione a essa rivolta. Donde non avrebbe potuto legittimare una domanda di danni da pare dell’istituto in sé considerato.
IV. Col quarto mezzo infine è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 cod. civ, 1223 e 1226 cod. civ., 21 cost., 51 e 595 cod. pen., 2043 cod. civ. nella parte relativa alla liquidazione del danno, che sarebbe avvenuta senza che Consob avesse offerto in giudizio la relativa prova.
V. I primi due motivi, unitariamente esaminabili per connessione, sono infondati.
Le frasi che la corte d’appello ha ritenuto di portata diffamatoria –
riportate anche nel ricorso - sono le seguenti:
- in data 22 marzo 2013 – «presidente Consob V. ha faccia come il c...»;
- in 8 aprile 2013 – «… Consob Le cupole paramafiose, stavolta pagheranno il conto»;
- in data 20 maggio 2013 – «I pifferai della consob di V., economisti all’amatriciana strapagati dai Bazoli di turno, non vedono dissesto RCS»;
- in data 21 giugno 2013 – «C., il M. e i “risparmiatori traditi” - Consob e Bankitalia fanno da pali».
La corte d’appello, replicando la conforme valutazione del tribunale, ha ritenuto tali espressioni lesive, nell'odierno contesto sociale, della funzione istituzionale svolta dalla Consob, con superamento del limite della continenza, perché, in sostanza, la Consob era stata equiparata al vertice di organizzazioni criminali (“cupole paramafiose”), connivente e concorrente in operazioni e anche in reati finanziari commessi ai danni di risparmiatori (“...Consob…fanno da pali”), composta da funzionari descritti come incompetenti imbonitori (“i pifferai dalla consob…economisti all’amatriciana”), privi di qualsiasi senso del limite nel rendere a loro volta dichiarazioni (“faccia come il c…”).”.
Ha cioè da questo punto di vista valutato motivatamente le frasi reputandole offensive al di là del limite della continenza.
VI. La valutazione non integra le violazioni che le vengono addebitate.
Occorre ricordare che in tema di danni da diffamazione la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l'apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell'altrui reputazione e la valutazione dell'esistenza o meno dell'esimente dell'esercizio dei diritti (di cronaca e) di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito e insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione.
Il controllo affidato alla Corte di cassazione è in questi casi limitato alla verifica dell'avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell'interesse pubblico alla diffusione delle notizie, oltre che naturalmente al sindacato della congruità e logicità della motivazione secondo la previsione dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ove applicabile. Va precisato che nella fattispecie in esame non solo non è dedotto alcun omesso esame di fatti, ma neppure avrebbe potuto esserlo, essendo la decisione sorretta da una doppia valutazione conforme in primo e secondo grado (art. 348-ter cod. proc. civ.).
In definitiva resta sempre estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento della capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione (v. Cass. Sez. 3 n. 18631-22, Cass. Sez. 3 n. 5811-19).
VII. Contrariamente a ciò che assume il ricorrente, il legittimo esercizio del diritto di critica - anche in ambito latamente politico – sebbene consenta il ricorso a toni aspri e di disapprovazione più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati, è pur sempre condizionato dal limite della continenza intesa come correttezza formale dell'esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse (v. Cass. Sez. 3 n. 11767-22, Cass. Sez. 3 n. 841-15).
Non possiede quindi rilievo essenziale il riferimento alla attività politica del ricorrente quale fondamento del diritto di critica esercitato anche in modo pungente.
Né induce a una possibile diversa considerazione del contenuto lesivo delle affermazioni la circostanza che le stesse siano state fatte a mezzo di un social-network qual è twitter.
VIII. Il punto è che nella formulazione di qualunque giudizio critico si possono utilizzare espressioni anche lesive della reputazione altrui, ma purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira, e non si risolvano, invece, in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato.
Anche e proprio all’uso di una piattaforma come twitter, o altre equivalenti, va correlato il limite intrinseco del giudizio che si posta in condivisione, il quale, come ogni giudizio, non può andar disgiunto dal contenuto che lo contraddistingue e dalla forma espressiva, soprattutto perché tradotto in breve messaggio di testo, per sua natura assertivo o scarsamente motivato.
Da questo punto di vista, quindi, il post in twitter non si sottrae al necessario rispetto della continenza espressiva, e non concretizza una manifestazione del pensiero irresponsabile sol perché veicolata tramite il mezzo prescelto.
A titolo esemplificativo occorre ricordare che finanche la satira – che pur costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, al punto da esser sottratta, nel paradosso della narrazione, anche all'obbligo di riferire fatti veri – resta soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito (cfr. Cass. Sez. 1 n. 6919-18).
IX. Non costituisce circostanza esimente neppure il fatto che il social-network sia funzionale a una impostazione predefinita, tal che i messaggi vengono trasmessi privatamente solo a determinati seguaci.
Per quanto ciò sia vero, resta il fatto che si tratta pur sempre di messaggi, giudizi e affermazioni rivolti a un numero indiscriminato (e sempre più rilevante) di persone, sicché in quella indiscriminata cerchia essi sono e restano comunque “pubblici” per definizione.
X. In conclusione, è infondato affermare – come invece assume il ricorrente – che nell’attuale contesto sociale l’utilizzo di un social- network, e segnatamente di twitter, consentendo di esprimere e condividere brevi ma incisivi messaggi di testo, imponga una valutazione dei medesimi in modo meno rigoroso quanto al necessario rispetto dei noti limiti che circondano l’esercizio del diritto di critica.
Va di contro affermato l’opposto principio:
- l’uso di una piattaforma come twitter, o altre equivalenti, implica l’osservanza del limite intrinseco del giudizio che si posta in condivisione, il quale, come ogni giudizio, non può andar disgiunto dal contenuto che lo contraddistingue e dalla forma espressiva, soprattutto perché tradotto in breve messaggio di testo per sua natura assertivo o scarsamente motivato; il post in twitter non esime l’autore dal necessario rispetto della continenza espressiva in quanto non può concretizzare una manifestazione del pensiero irresponsabile sol perché veicolata tramite il mezzo prescelto.
XI. È infondato anche il terzo motivo di ricorso.
Si assume che l’affermazione «presidente Consob V. ha faccia come il c...», essendo stata riferita solo alla persona del presidente di Consob, relativamente a un’intervista che egli aveva rilasciato e che era stata pubblicata unitamente al tweet, non conteneva alcun giudizio e alcuna offesa all’istituto, cosa che avrebbe impedito di ritenerne esistente la legittimazione attiva alla pretesa risarcitoria.
L’assunto non può esser condiviso neppure in astratto, perché come emerge dal testo il giudizio volgare e sprezzante è stato rivolto al dr. V. non in quanto tale, ma proprio in relazione alla sua posizione di presidente della Consob; donde è corretta l’inferenza della corte d’appello, la quale d’altronde integra anch’essa una valutazione in fatto, circa la lesività dell’onore dell’istituto medesimo siccome rappresentato dal suo presidente.
XII. - Il quarto motivo è inammissibile perché del tutto generico a fronte della puntuale ratio della sentenza impugnata.
Si trattava del danno non patrimoniale.
La corte d’appello lo ha ritenuto provato in base agli stessi elementi di fatto evidenziati dal tribunale.
Questa Corte va ripetendo che in tema di liquidazione del danno non patrimoniale è censurabile in sede di legittimità l'esercizio del potere equitativo del giudice di merito solo ove questi si sia limitato a richiamare genericamente i criteri utilizzati nelle ipotesi di diffamazione, senza precisare in quali termini l'importo liquidato sia conforme ai criteri medesimi, anche alla luce delle peculiarità del caso concreto (Cass. Sez. 3 n. 16908-18).
L’impugnata sentenza ha ben spiegato le ragioni della conferma della decisione di primo grado in rapporto alle peculiarità del caso concreto.
Dopo aver riportato la motivazione del tribunale, ha sottolineato che la liquidazione teneva conto della reiterazione delle dichiarazioni, della capacità di penetrazione del mezzo di diffusione (essendo notoria la facile e ampia accessibilità da parte di un numero vasto ed indeterminato di persone alla rete), della circostanza che era stata riferita alla Consob una attività illecita grave, perché opposta e contrastante con le specifiche finalità e attività istituzionali di vigilanza e controllo.
Tali elementi sono stati tutti considerati alla luce della notorietà e visibilità pubblica dell’offensore nella sua qualità di ex parlamentare ed esponente di un’associazione di tutela dei consumatori.
Si tratta di un giudizio completo, in punto di fatto, e motivato in modo pertinente.
Come tale esso resta insindacabile in sede di legittimità.
XIII. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 5.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.