
E soggiace ai limiti ritenuti congrui dall'Avvocatura dello Stato, nell'ambito del bilanciamento tra l'interesse del dipendente ad essere tenuto indenne dalle spese legali effettivamente sostenute e quello pubblico volto ad evitare erogazioni inappropriate.
Un ex pubblico dipendente in quiescenza agisce nei confronti del Ministero dell'Interno e dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova per chiedere l'annullamento della nota con la quale il Ministero dell'Interno non aveva accolto integralmente la sua istanza volta ad ottenere il rimborso delle spese legali concernenti un procedimento penale che era stato instaurato a suo carico e definito con sentenza che ne aveva escluso la responsabilità. Il medesimo chiede inoltre l'annullamento del parere di congruità espresso in merito dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, tenendo conto che il D.M. n. 55/2014 ammette all'art. 12 che i valori medi di cui alle tabelle allegate possano essere aumentati fino all'80% in ragione di certi requisiti che egli ritiene presenti nel caso di specie, sia nella fase delle indagini preliminari, sia in quella dell'udienza preliminare e dibattimentale. L'Avvocatura, invece, aveva liquidato le spese legali limitatamente alla tariffa media prevista per i giudizi di competenza del GIP.
Con la sentenza n. 394 del 5 aprile 2023, il TAR Liguria dichiara i motivi di ricorso infondati, ricordando che in base alla normativa vigente, le spese legali cui fa riferimento il ricorrente sono rimborsate dalle Amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuticongrui dall'Avvocatura dello Stato. In particolare, dall'
Ora, nel caso di specie il ricorrente non aveva prodotto in giudizio alcuna quietanza delle spese già sostenute, e ciò da solo esclude la possibilità di accedere al rimborso, termine che presuppone che vi sia stato un esborso effettivo delle somme corrisposte per la difesa nel processo penale. Come osserva il TAR, non può dedursi da una «possibilità di anticipazione riservata alla valutazione discrezionale della amministrazione la deroga generale al regime probatorio delle spese per le quali si agisce al fine di ottenerne il rimborso, che è insito nella natura stessa di rimborso della previsione normativa».
Inoltre, il ricorrente non ha neanche depositato in giudizio il preavviso di parcella a saldo.
Ciò detto, il TAR Liguria ritiene opportuno rammentare che
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«il diritto al rimborsonon è un diritto al completo ristoro delle spese legali sostenute dal dipendente». |
Ciò si spiega perché il debito del cliente verso il professionista non può essere equiparato a quello di protezione del dipendente che è a carico dello Stato, sicché si tratta di un diritto da soddisfare e liquidare solo in termini riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato nell'ambito del bilanciamento tra l'interesse del dipendente a essere tenuto indenne dalle spese legali effettivamente sostenute e quello pubblico teso a scongiurare erogazioni non appropriate. In tal senso, può dirsi che l'istituto del rimborso delle spese legali abbia carattere di indennizzo e non di risarcimento in senso stretto.
Considerando che il parere dell'Avvocatura è motivato in maniera esauriente e logica circa il mancato aumento lamentato dal ricorrente, il TAR rigetta il ricorso.
TAR Liguria, sez. I, sentenza (ud. 10 marzo 2023) 5 aprile 2023, n. 394
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con il ricorso in epigrafe il signor -OMISSIS-, già dipendente del -OMISSIS- ora in quiescenza, agisce nei confronti del Ministero dell’Interno e dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova per l’annullamento della nota del Ministero dell'Interno – -OMISSIS-, nella parte in cui non ha accolto integralmente l'istanza presentata il -OMISSIS- per ottenere il rimborso – ai sensi dell'art. 18 del D.L. 25/03/1997, n. 67 - delle spese legali relative al procedimento penale instaurato a suo carico e definito con la sentenza del - OMISSIS-, nonché del parere di congruità espresso su detta pratica dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova con nota -OMISSIS- All’azione di impugnazione accede domanda di accertamento del diritto del ricorrente al rimborso integrale delle suddette spese legali, nella misura (complessivi euro 59.492,87) indicata nell'istanza presentata il -OMISSIS-
A sostegno del gravame deduce tre motivi di ricorso, come segue.
1. Violazione art. 3, legge n. 241/1990; art. 18, D.L. n. 67/1997, convertito in legge n. 135/1997; artt. 1 e ss., decreto Ministro Giustizia n. -OMISSIS-– Difetto di istruttoria e di motivazione, carenza dei presupposti, travisamento dei fatti.
I provvedimenti impugnati avrebbero omesso di considerare che la richiesta di pagamento delle spese legali era stata avanzata tenendo conto dei criteri elencati nell'art. 12 del D.M. n. 55/2014, il quale, all’art. 12 comma 1, ammette che i valori medi di cui alle tabelle allegate possono essere aumentati fino all'80% in ragione di determinati requisiti (caratteristiche, urgenza e pregio dell'attività prestata, importanza, natura e complessità del procedimento, gravità e numero delle imputazioni, numero e complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, contrasti giurisprudenziali, rilevanza patrimoniale, numero dei documenti da esaminare, continuità dell'impegno anche in relazione alla frequenza di trasferimenti fuori dal luogo ove svolge la professione in modo prevalente, esito ottenuto avuto anche riguardo alle conseguenze civili e alle condizioni finanziarie del cliente, numero di udienze, pubbliche o camerali, diverse da quelle di mero rinvio, e tempo necessario all'espletamento delle attività medesime), sussistenti nel caso di specie sia nella fase delle indagini preliminari (stante il rigetto della richiesta di misura cautelare interdittiva) che in quella di udienza preliminare e dibattimentale (stante la conseguita assoluzione piena, pur in presenza di reati prescritti).
2. Violazione art. 3, legge n. 241/1990; art. 18, D.L. n. 67/1997, convertito in legge n. 135/1997; artt. 1 e ss., decreto Ministro Giustizia n. -OMISSIS-– Difetto di istruttoria e di motivazione, carenza dei presupposti, illogicità, contraddittorietà, travisamento dei fatti, disparità di trattamento, ingiustizia grave e manifesta.
L’Avvocatura avrebbe liquidato le spese legali “limitatamente alla tariffa media prevista dalla Tabella II allegata al D.M. 55/14 in relazione ai giudizi di competenza del G.I.P.”, così equiparando sui valori medi l'attività svolta dal difensore del - OMISSIS-a quella prestata in favore di altro imputato (-OMISSIS-), la cui posizione nella ipotizzata vicenda delittuosa era però affatto secondaria.
3. Violazione art. 10-bis, legge n. 241/1990 – Violazione del giusto procedimento.
L'Amministrazione avrebbe omesso di inviare al ricorrente la comunicazione dei motivi ostativi di cui all'art. 10-bis della legge n. 241/1990, la quale si rende necessaria anche nell'ipotesi in cui la domanda del privato venga accolta soltanto parzialmente.
A seguito del deposito in giudizio del parere dell'Avvocatura -OMISSIS- il ricorrente ha notificato ricorso per motivi aggiunti, riproponendo anche nei confronti del parere le censure dedotte avverso il provvedimento dell’Amministrazione di appartenenza.
Si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso il Ministero dell’Interno, il Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile e l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, controdeducendo.
Alla pubblica udienza del 10 marzo 2023 il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione.
Dev’essere in primo luogo esaminata - stante il carattere formale e procedurale, dunque preliminare - la censura (3° motivo di ricorso) di illegittimità della determinazione impugnata per violazione dell'art 10-bis della L. n. 241 del 1990.
Il motivo è infondato.
Nel procedimento di rimborso delle spese legali l'Amministrazione non esercita un potere discrezionale, ma deve attenersi al parere di congruità, obbligatorio e vincolante, reso dall'Avvocatura dello Stato: di conseguenza, il dedotto mancato preavviso di parziale rigetto della domanda di rimborso non comporta l'illegittimità della determinazione ministeriale, atteso che trova applicazione l'art. 21-octies, comma 2, della stessa L. n. 241 del 1990 (cfr., in fattispecie analoga, Cons. di St., III, 26.4.2017, n. 1925).
Anche i restanti motivi - che possono essere trattati congiuntamente, stante la stretta connessione logica – sono infondati.
Ai sensi dell’art. 18 comma 1 del D.L. 25/03/1997, n. 67, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 23 maggio 1997, n. 135, “1. Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”.
Innanzitutto, l’art. 18 del D.L. n. 67/1997 prevede il “rimborso” delle spese legali, dunque soltanto di quelle già quietanzate, ammettendo eccezionalmente “anticipazioni” soltanto nel corso del procedimento penale, com’è evidente dalla riserva “salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”.
Nel caso di specie il ricorrente, che agisce per il “rimborso” delle spese legali, non ha però prodotto in giudizio le fatture quietanzate delle spese già sostenute, ciò che già esclude la possibilità di accedere al rimborso.
Difatti, secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, l'inequivoco dato letterale dell'art. 18 D.L. n. 67/1997 e l'utilizzo del termine rimborso non può che presupporre logicamente che vi sia stato l'effettivo esborso delle somme corrisposte per la difesa nel procedimento penale, sicché è richiesta la prova del pagamento delle somme di cui si chiede il rimborso, mentre “non può dedursi da una possibilità di anticipazione riservata alla valutazione discrezionale della amministrazione la deroga generale al regime probatorio delle spese per le quali si agisce al fine di ottenerne il rimborso, che è insito nella natura stessa di rimborso della previsione normativa” (Cass., S.L., 23.2.2022, n. 5980; id., 30.10. 2013, n. 2448).
Di più, il ricorrente non ha neppure depositato in giudizio il “preavviso di parcella a saldo” - che pure risulterebbe allegato all’istanza di rimborso - sul quale è stato specificamente rilasciato il contestato parere dell’Avvocatura: sicché tutti i rilievi circa la incongruità del parere rispetto all’effettiva entità ed importanza dell’attività difensiva espletata -OMISSIS- si basano su affermazioni prive del pertinente riscontro documentale (il parere essendo stato espresso sul preavviso di parcella, che integrava l’istanza di parte), essendo noto che l'emolumento spetta solo in corrispondenza delle attività che la parcella attesta come compiute.
La qual cosa sarebbe già sufficiente a rigettare il ricorso.
Nel merito, l’Amministrazione dell’Interno, sulla scorta del parere dell’Avvocatura Distrettuale, pur riconoscendo nell’an il diritto al rimborso, l’ha tuttavia limitato, nel quantum, alla tariffa media prevista dalla tabella II allegata al D.M. n. -OMISSIS-per la fase delle indagini preliminari, ed alla tariffa “massima” prevista in relazione ai giudizi di competenza del G.U.P. e del Tribunale collegiale, in tutti e tre i casi (indagini preliminari, udienza preliminare e udienza dibattimentale) con esclusione dell’aumento rivendicato nella misura dell’80%, che non è stato ritenuto giustificato dal “livello di complessità del procedimento che ha visto coinvolto l’odierno richiedente”.
Orbene, secondo una consolidata giurisprudenza (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II-ter, 17.10.2019, n. 11962; Cass. SS.UU., 6.7.2015, n. 13861), la ratio legis dell'istituto in esame è quella di tenere indenne il pubblico funzionario dalle spese legali sostenute per difendersi da un'accusa ingiusta per fatti inerenti ai compiti ed alle responsabilità dell'ufficio, con il limite di quanto strettamente necessario, trattandosi di erogazioni che gravano sulla finanza pubblica, che quindi devono essere contenute entro stretti limiti: tant’è che, ai sensi dell’art. 20 del medesimo decreto legge n. 67/97, l'attuazione delle sue disposizioni “deve risultare coerente con gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica”).
Ed è proprio a tal fine che è richiesto il parere di un organo tecnico altamente qualificato per valutare le effettive necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi del giudizio penale (TAR Lazio, III-ter, 5.12.2018, n. 11803).
Corollario di tale principio è che il diritto al rimborso non è un diritto al completo ristoro delle spese legali sostenute dal dipendente.
Infatti, non è postulabile un'equiparazione tra il debito del cliente verso il professionista e quello di protezione del dipendente, che è a carico dello Stato, “giacché il debito del cliente risponde al soggettivo andamento da lui impresso al rapporto professionale, cioè, esemplificando, all'impostazione difensiva prescelta; alla frequenza delle consultazioni che ha richiesto al legale; agli scritti difensivi non indispensabili, ma sollecitati e prodotti per sola cautela; alle spese vive eventualmente concordate per trasferte e partecipazione a ogni tipo di udienze” per cui si tratta di oneri “di natura casuale” di cui “non può farsi carico l'amministrazione, sicché prudentemente il legislatore ha previsto che siano vagliati, sotto il profilo della congruità, dall'Avvocatura dello Stato” (Cass. SS.UU., n. 13861/2015 cit.).
Diversamente opinando, tale spesa – che finirebbe per gravare interamente, in ultima istanza, sulla finanza pubblica - resterebbe soggetta alla determinazione pattizia tra il dipendente pubblico assistito e il suo difensore di fiducia, o anche alla sola verifica limitata alla riconducibilità delle voci alla tariffa e all'attività svolta su mandato del cliente, senza alcun riguardo per la posizione del terzo obbligato (lo Stato) verso quest'ultimo (così, ancora, Cass. SS.UU., n. 13861/2015 cit.).
Si tratta, pertanto, di un diritto da soddisfare e liquidare soltanto nei termini riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato, nel bilanciamento tra l'interesse del dipendente ad essere tenuto indenne dalle spese legali effettivamente sostenute e l'interesse pubblico ad evitare erogazioni non appropriate, cioè non causalmente congrue in relazione al rilievo ed all’importanza dell'attività difensiva necessaria (Cons. di Stato, IV, 24.5.2005, n. 2630).
In questa prospettiva, può dirsi che l'istituto del rimborso delle spese legali, disciplinato dalla normativa in esame, si giustifica per evidenti ragioni di ordine equitativo, ed ha carattere di indennizzo, e non risarcitorio o restitutorio in senso stretto (Cons. di Stato, III, 26.4.2017, n. 1925).
Pertanto, il giudice amministrativo esercita sugli atti dell'amministrazione un sindacato di legittimità, volto a valutare se il giudizio espresso in senso negativo - o, come nel caso di specie, soltanto parzialmente negativo (rispetto all’ulteriore aumento nella misura massima dell’80%) - dall'autorità competente sia legittimo, ossia esente da vizi di manifesta illogicità o palese travisamento dei fatti (Cons. di Stato, IV, Sent., 4.7.2022, n. 5556; TAR Lazio – Roma n. 11803/2018 cit.), ferma restando soltanto la necessità di una motivazione che, seppur in modo sintetico, consenta di comprendere la scelta del quantum debeatur (Cons. giust. amm. Sicilia, 4/10/2022, n. 999).
In applicazione di tali coordinate ermeneutiche, pare al collegio che, in relazione al mancato riconoscimento dell’aumento rivendicato nella misura massima dell’80% sulla tariffa “massima” già riconosciuta in relazione alle fasi del procedimento di competenza del G.U.P. e del Tribunale collegiale, il parere dell’Avvocatura sia motivato in maniera esauriente e logica, e vada esente dalle censure dedotte.
Difatti, dall’esame della sentenza che ha definito il procedimento penale si evince che i capi di imputazione contestati al -OMISSIS-, per quanto inseriti in una corposa indagine concernente la gestione di gare aventi ad oggetto l’affidamento dell’attività di gestione dei rifiuti e l’esecuzione dei relativi contratti, si inquadravano in un singolo ed isolato episodio, conseguente all’incendio accidentalmente verificatosi nel centro stoccaggio rifiuti di via - OMISSIS- tant’è che il Tribunale, proprio in virtù del carattere assolutamente fortuito e marginale dell’episodio da cui è scaturita l’imputazione per il - OMISSIS-, ne ha tratto la conclusione che non sussistesse alcuna forma di programmazione - e, quindi, di continuazione ex art. 81 c.p. - con i reati di cui agli artt. 353 (turbata libertà degli incanti), 356 c.p. (frode nelle pubbliche forniture) e 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio) contestate agli altri imputati, per i quali soltanto erano state autorizzate le intercettazioni (doc. 34 delle produzioni -OMISSIS-).
Donde l’infondatezza del ricorso.
Da ultimo, il collegio osserva come, nelle conclusioni del ricorso, il ricorrente abbia dichiarato l’esenzione dal contributo unificato ai sensi dell’art. 9 comma 1-bis del D.P.R. 30.5.2002, n. 115, depositando agli atti del giudizio (doc. 7 delle produzioni -OMISSIS-di parte ricorrente) apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione di un reddito imponibile inferiore ad € -OMISSIS- ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. 28.12.2000, n. 445.
Sennonché, dalla verifica dell’Agenzia delle Entrate (produzione del 22.11.22) risulta invece, per l’anno -OMISSIS-, tant’è che il ricorrente ha poi versato il contributo unificato nella misura prescritta.
Configurandosi il possibile reato di cui all’art. 76 del D.P.R. 28.12.2000, n. 445, si impone la trasmissione della presente sentenza e dei citati atti (dichiarazione di esenzione dal versamento del contributo unificato ed esito delle verifiche disposte dall’Agenzia delle Entrate), a cura della Segreteria, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova.
In relazione alla complessità della vicenda, sussistono i presupposti di legge per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Dispone la trasmissione della presente sentenza e degli atti di cui in motivazione (dichiarazione di esenzione dal versamento del contributo unificato ed esito delle verifiche disposte dall’Agenzia delle Entrate), a cura della Segreteria, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.