Svolgimento del processo
1. L’avv. C. D. svolgeva funzioni di Giudice di Pace presso l’Ufficio del Giudice di Pace di Taranto dal 1995 al 30 ottobre 2015, allorquando decadeva dalle funzioni per sopraggiunti limiti di età. Durante detto periodo svolgeva le diverse attività di propria competenza (comprese quelle afferenti al ruolo di Giudice di Pace Coordinatore dell’Ufficio del Giudice di Pace di Taranto, che ricopriva pressoché ininterrottamente nel suddetto periodo), per le quali percepiva l’indennità mensile, di cui all’art. 11 comma terzo della legge n. 374 del 1991 (in base al quale <<è dovuta una indennità di euro 258,30 per ciascun mese di effettivo servizio a titolo di rimborso spese per l’attività di formazione, aggiornamento e per l’espletamento dei servizi generali di istituto>>), con esclusione tuttavia del periodo feriale.
2. Sulla base di tale presupposto fattuale, il legale proponeva ricorso davanti all’Ufficio del Giudice di Pace di Taranto nei confronti del Ministero della Giustizia, chiedendo ingiungersi a quest’ultimo il pagamento della somma di euro 4.984,52, a titolo della suddetta indennità mensile, limitatamente al periodo dal 1° agosto al 15 settembre degli anni dal 2001al 2015 compreso (con la sola eccezione dell’anno 2002, e, quanto al 2015, limitatamente al solo mese di agosto).
Il Giudice di Pace con decreto n. 601/2016 ingiungeva quanto richiesto.
Avverso il decreto ingiuntivo proponeva opposizione il Ministero, che contestava nell’an e nel quantum la domanda e che comunque eccepiva la prescrizione quinquennale del diritto ex adverso azionato.
L’opposto si costituiva chiedendo il rigetto dell’opposizione ed il favore delle spese processuali.
Il Giudice di Pace di Taranto, con sentenza n. 668/2017, previa revoca del decreto ingiuntivo opposto, accertava e dichiarava che l’avv. D. aveva un credito di euro 4.845,94 nei confronti del Ministero, che veniva condannato al pagamento di detto importo, oltre che delle spese processuali, con distrazione delle stesse a favore del difensore anticipatario.
3. Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello il Ministero, che chiedeva di: dichiarare infondata e non provata la pretesa creditoria dell’avv. D.; di dichiarare la prescrizione quinquennale o in subordine decennale della pretesa creditoria; di ritenere non dovuta l’indennità azionata sulla base della mera prova della qualità di giudice di pace per tutti i periodi di assenza dal servizio per turno feriale e per l’intero periodo estivo.
Si costituiva nel giudizio di appello l’avv. D., il quale eccepiva l’incompetenza territoriale del giudice adito, nonché l’irricevibilità, l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello.
Il Tribunale di Lecce, quale giudice di appello, dopo aver acquisito il fascicolo di primo grado, con sentenza n. 627/2020, in accoglimento dell’impugnazione, dichiarava prescritta la domanda di indennità per i periodi feriali ricompresi dal 2001al 26 aprile 2011; rigettava le restanti domande, in quanto infondate; e compensava tra le parti le spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio.
4. Avverso la sentenza del giudice di appello ha proposto ricorso l’avv. D..
Ha resistito con controricorso il Ministero.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c.
Il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni I Difensori delle parti non hanno depositato memorie
Motivi della decisione
1. Il ricorso dell’avv. D. è affidato a due motivi
1.1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 11 terzo comma della legge 21 novembre 1991 n. 374 nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto che l’applicazione del richiamato art. 11 richieda l’effettiva presenza del Giudice di Pace nell’Ufficio giudiziario di competenza per il maturare della spettanza dell’indennità, prevista in detto articolo, con speciale riferimento al periodo feriale, nel quale si dovrebbe prescindere dall’inserimento del magistrato onorario nelle tabelle di turnazione.
In sostanza, secondo il ricorrente, l’indennità in esame è di regola dovuta per ciascun mese di servizio, compreso il c.d. periodo feriale, ed in assenza di qualunque formale e preventiva richiesta al coordinatore (e, quindi, al Presidente del Tribunale) di indisponibilità ed in presenza della prova dell’espletamento dei servizi generali di istituto.
1.2. Con il secondo motivo, formulato in via subordinata per il caso di mancato accoglimento del primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2948 n. 4 c.c. nella parte in cui la corte territoriale non ha individuato il termine a quo della prescrizione quinquennale a decorrere dalla fine del rapporto (cioè dalla data in cui il soggetto è cessato definitivamente dall’incarico), ma a decorrere dalla scadenza di ogni singola mensilità, non riconosciuta dal Ministero.
In sostanza, secondo il ricorrente, il giudice di pace deve essere considerato un lavoratore dipendente (con datore di lavoro il Ministero della Giustizia), per cui allo stesso dovrebbe essere applicato il principio espresso dalle sentenze nn. 63/1966 e 50/1981 della Corte costituzionale, nonché l’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (reso vincolante dalla direttiva n. 70/1999).
2. Il primo motivo di ricorso non è fondato per la ragioni, che sono state già precisate da Cass. n. 25767 del 2019 e che di seguito si ripercorrono con alcune integrazioni.
2.1. Occorre muovere dalla constatazione della peculiarità della figura del magistrato onorario in genere, all'interno dell'ordine giudiziario.
Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, hanno da tempo osservato (cfr. sent. 9 novembre 1998, n. 11272, Rv. 521313-01) che - <<pur non potendo sussistere dubbi sul fatto che la funzione giurisdizionale è esercitata dai magistrati ordinari e che di tale categoria fanno parte sia i giudici di carriera che quelli onorari (v. gli artt. 102, 104 e 105 della Costituzione) - non è casuale la circostanza che, già prima dell'entrata in vigore della Carta Fondamentale del 1948, l'art. 4 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, distinguesse in due diversi commi le due categorie di magistrati ordinari, stabilendo nel primo comma che l'ordine giudiziario “è costituito” dai magistrati cd. togati e nel secondo che “appartengono all'ordine giudiziario” anche gli altri magistrati cd. Onorari>>.
Alla luce di tale differenza di fondo, la figura del funzionario onorario e si distingue da quella del pubblico dipendente (qual è, invece, il magistrato togato) sotto plurimi profili, che la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di precisare (Sez. Lav., sent. 5 febbraio 2001, n. 1622; per un'applicazione recente si veda anche, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 31 maggio 2017, n. 13721): a) la prima figura si rinviene ogni qualvolta esista un rapporto di servizio con attribuzione di funzioni pubbliche, ma manchino gli elementi caratterizzanti dell'impiego pubblico, quali la scelta del dipendente di carattere prettamente tecnico-amministrativo effettuata mediante procedure concorsuali (che si contrappone, nel caso del funzionario onorario, ad una scelta politico-discrezionale); b) l'inserimento strutturale del dipendente nell'apparato organizzativo della P.A. (rispetto all'inserimento meramente funzionale del funzionario onorario); c) lo svolgimento del rapporto secondo un apposito statuto per il pubblico impiego (che si contrappone ad una disciplina del rapporto di funzionario onorario derivante pressoché esclusivamente dall'atto di conferimento dell'incarico e dalla natura dello stesso); d) la diversità concerne anche la durata, che è tendenzialmente indeterminata nel rapporto di pubblico impiego, a fronte della normale temporaneità dell'incarico onorario.
2.2. Le differenze di cui sopra - che concernono, dunque, non soltanto la collocazione ordinamentale ma anche la natura del rapporto, cui dà vita l'esercizio delle funzioni - si riflettono inevitabilmente sul piano dei compensi: invero, il compenso del giudice togato ha carattere retributivo, in quanto inserito in un rapporto sinallagmatico; mentre il compenso percepito dal funzionario onorario ha carattere indennitario e di ristoro delle spese. D’altronde, proprio per tale ragione, <<i magistrati onorari non sono mai stati contemplati nelle leggi riguardanti il trattamento economico di quelli togati, ma hanno sempre ricevuto il trattamento appositamente previsto dagli specifici provvedimenti istitutivi, e precisamente la legge 18 maggio 1974, n. 217, in relazione ai vice pretori onorari; la legge 22 luglio 1997, n. 276 (art. 8), in relazione al trattamento dei giudici onorari aggregati (che si compendia in una somma fissa ed un'altra variabile in relazione al numero delle sentenze ovvero dei verbali di conciliazione); l'art. 8 della legge 19 febbraio 1998, n. 51 in relazione ai giudici onorari addetti al tribunale ordinario, la quale ha previsto che “al giudice onorario competono esclusivamente le indennità e gli altri diritti espressamente attribuiti dalla legge con specifico riferimento al rapporto di servizio onorario”>> (così, nuovamente, Cass. Sez. Lav., sent. n. 1622 del 2001, cit.).
2.3. Nel suddetto quadro, ordinamentale e normativo, si colloca la previsione di cui all'art. 11, comma 3, della legge 21 novembre 1991, n. 374.
Orbene, se è vero che detta norma- come afferma una circolare ministeriale del 15 marzo 2006 - riconosce tale indennità <<sul presupposto che i giudici di pace, al pari di quanto avviene per i magistrati ordinari, svolgono il loro lavoro non esclusivamente in udienza o attraverso l'emissione di provvedimenti, ma anche attraverso il compimento delle predette attività, che al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie sono prodromiche o comunque funzionali>>, è altrettanto vero che, all’interno del disposto normativo (come d’altronde, la medesima circolare ribadisce), il <<limite posto dall'art. 11 comma 3 è dato dall'effettivo servizio svolto>>. D’altra parte, lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura con delibera 14 giugno 2017, nel rispondere a vari quesiti concernenti le indennità di cui alla legge in esame, quanto al quesito <<se nel periodo feriale al giudice di pace deve essere liquidata l'indennità forfettaria mensile di € 258,23 per ciascun mese di effettivo servizio a titolo di rimborso spese per l'attività di formazione, aggiornamento e per l'espletamento dei servizi generali di istituto, ex art. 11, co. 3, legge n. 374/91, qualora il giudice di pace sia stato presente in Ufficio per tutte le udienze tabellarmente previste ed approvate dal CSM>>, ha affermato che al suddetto fine <<occorra verificare le effettive esigenze di servizio che imponevano al giudice la presenza in ufficio anche in periodo feriale nonché l'effettiva e documentata presenza>>.
Pertanto, il legislatore, con l’espressione <<effettivo servizio svolto>>, intende evitare che l'indennità venga corrisposta al giudice di pace in due ipotesi: o quando questi, pur investito formalmente della carica, non è ancora chiamato ad esercitarla in concreto (ipotesi questa che, ai fini dello scrutinio del ricorso in esame, non rileva); ovvero quando il giudice di pace è assente dal servizio per qualsiasi causa regolarmente comunicata al giudice di pace coordinatore, come per l’appunto si verifica nel periodo feriale. Invero, non possono esservi dubbi sul fatto che tra le "assenze" regolarmente comunicate al giudice di pace coordinatore vi siano anche quelle originate dalla necessità, per i magistrati appartenenti all'Ufficio dal medesimo coordinato, di fruire - durante il periodo di sospensione feriale dei termini di cui all'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 - di un periodo di riposo. Difatti, la circolare del Consiglio Superiore della Magistratura sui giudici di pace prot. P15880/2002 del 1° agosto 2002, Capo XI, in tema di assenze dal servizio dei giudici di pace, pur stabilendo che <<il congedo ordinario, il congedo straordinario e la concessione di aspettativa non sono usufruibili dai giudici di pace>> (trattandosi "di istituti tipici del rapporto di servizio dei pubblici dipendenti, applicabili anche ai magistrati 8 ordinari solo in forza dell'art. 276 Ord. giud."), rimette <<alla previsione tabellare la programmazione organizzativa che consenta ai giudici di pace di fruire di un periodo di “esenzione dal lavoro” secondo un ordine di turnazione durante la sospensione dei termini processuali>>.
Occorre aggiungere che questa Corte ha già avuto modo di affermare che: a) <<la specialità del trattamento economico previsto per i giudici di pace, la sua cumulabilità con i trattamenti pensionistici nonché la possibilità garantita ai giudici di pace di esercitare la professione forense inducono a ritenere che non siano estensibili ai suddetti giudici indennità previste per i giudici togati che svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giurisdizionali e il cui trattamento economico è articolato su parametri completamente diversi>>, sicché non <<possono portare ad una diversa conclusione la appartenenza dei giudici di pace all'ordine giudiziario e l'attribuzione alle relative funzioni, sotto altri profili anche di rilevanza costituzionale, di tutela e dignità pari alle funzioni dei giudici di carriera>> (Cass. n. 10774 del 2020); b) le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell'articolazione interna della pubblica amministrazione non consente di interpretare estensivamente la norma. Pertanto, quest’ultima, nello stabilire l'indennità secondo determinate modalità, implicitamente esclude che possa essere legittimamente erogato un compenso per attività non autorizzate dalla legge. Pacifico deve infatti ritenersi che la determinazione del compenso ai magistrati onorari possa disporsi solo con legge (Cass. n. 2131 del 2022).
In definitiva, per tutte le ragioni che precedono, con riferimento al periodo di sospensione feriale dei termini, l'attività di effettivo servizio, in relazione al quale l'indennità in esame risulta dovuta, si identifica in quella in cui il singolo magistrato onorario sia chiamato - sulla base dei provvedimenti di turnazione, adottati dal coordinatore dell'Ufficio, che individui, per ciascun appartenente ad esso, i periodi di astensione e di persistente svolgimento delle attività - a provvedere alla trattazione di quegli affari penali e civili che, a norma degli artt. 91 e 92 del r.d. n. 12 del 1941, sono sottratti all'applicazione della disciplina recata dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742.
Di tale principio di diritto ha fatto buon governo il Tribunale di Lecce, che ha respinto la pretesa di pagamento dell'odierno ricorrente, e ciò proprio sul rilievo (p.8) che costui non avesse <<fornito prova piena della propria presenza in tutti i giorni della turnazione riferita al periodo feriale degli anni di servizio per cui è causa>>.
Ne consegue che il primo motivo di ricorso deve essere rigettato, mentre il secondo deve essere dichiarato assorbito.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte:
- rigetta il ricorso
- condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 1.070 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.