Qualora si atteggi come espressione della facoltà della parte di modificare, ai sensi dell'art. 184 c.p.c., le domande e le conclusioni precedentemente formulate, la rinuncia alla domanda o ai suoi singoli capi rientra fra i poteri del difensore.
Svolgimento del processo
O. I. V. ricorre per la cassazione della sentenza n. 655/2019 della Corte d'Appello di Firenze, depositata in data 2 aprile 2019, formulando 4 motivi.
Resiste e propone ricorso incidentale condizionato R. M..
Con ricorso ex art. 447 bis cod.proc.civ., R. M. conveniva, dinanzi al Tribunale di Prato, O. I. V., chiedendone la condanna al rilascio dell’unità immobiliare, concessale a titolo di comodato ad uso non abitativo nel 2009, per la durata di sei mesi, nonché al pagamento di euro 6.000,00, a titolo di rimborso spese, e di euro 19.200,00, a titolo di risarcimento danni per ritardata restituzione del bene;
costituitasi, O. I. V. resisteva alla domanda attorea e, in via riconvenzionale, chiedeva di accertare e dichiarare che il contratto di comodato dissimulava un contratto di locazione ad uso diverso e comunque che esso era inefficace o nullo per mancata registrazione, con conseguente suo diritto alla restituzione dei canoni versati;
a tale scopo osservava che era stato pattuito l’importo di euro 400,00 mensili a titolo di rimborso spese e che tale pattuizione era da considerare incompatibile con la natura del comodato, che R. M. non aveva mai prodotto alcun giustificativo delle spese a cui copertura era stato previsto il versamento di euro 400,00 mensili e che detto importo doveva essere considerato un canone locatizio;
R. M. spiegava, a sua volta, domanda riconvenzionale con cui domandava, nell’ipotesi di accoglimento anche parziale della riconvenzionale di O. I. V., il pagamento, a titolo di indennizzo ex art. 2041 cod.civ., della somma di euro 26.000,00 oltre ai canoni di mercato maturati e maturandi fino all’effettivo rilascio;
con sentenza n. 792/18, il Tribunale di Prato accoglieva la domanda di R. M., dichiarava cessato il contratto di comodato, condannava l’odierna ricorrente a restituire l’immobile ed a pagare l’importo di euro 25.200,00;
la Corte d'Appello ha dichiarato inammissibile l’appello principale di O. I. V., ritenendo che: a) esso riproponesse una domanda già avanzata in primo grado, da intendersi rinunciata, quindi, improponibile, in quanto coperta da giudicato interno “e ciò a seguito di proposizione, peraltro illegittima, di altra domanda, sostitutiva della prima, nelle conclusioni innanzi al Tribunale”; b) O. I. V. avesse chiesto in comparsa di costituzione di accertare la dissimulazione del contratto di locazione per poi domandare l’accertamento della non gratuità del contratto di comodato; c) pur essendo possibile in astratto sostituire la domanda originaria, nella fattispecie, ciò non fosse consentito, perché la procura ad litem non era diretta “oltre a costituirsi e a resistere nel giudizio promosso da M., a proporre la domanda negli esatti termini in cui era stata poi espressa in via riconvenzionale (in comparsa)”; d) la seconda domanda, essendo stata avanzata in via principale e non gradata, si ponesse in termini di incompatibilità logica con la prima, escludendola; e) la rinuncia alla prima domanda risultasse anche dalla lettura delle conclusioni rassegnate nella memoria difensiva del 15 marzo 2018;
f) il giudice di prime cure, nonostante la rinuncia della riconvenzionale, avesse preso in esame solo la prospettazione del contratto di comodato assunto come simulato, e pertanto l’appellante avrebbe dovuto censurare “la motivazione del primo giudice per aver omesso la pronuncia in toto sulla domanda … di restituzione delle somme pagate a titolo di rimborso spese in forza di un titolo che non le giustifica visto che trattavasi di un comodato gratuito”;
la Corte d'Appello ha aggiunto che l’appello risultava comunque infondato anche nel merito, perché non era stato dimostrato che le spese di gestione dell’immobile fossero irrisorie rispetto all’importo mensile di euro 400,00; che il fatto che l’importo non fosse stato mai aumentato faceva presumere che le parti avessero voluto stabilire forfettariamente le spese di gestione dell’immobile dato in comodato; che la richiesta dell’indennizzo per l’occupazione sine titulo dell’immobile, oggetto di reconventio reconventionis, in primo grado, e di appello incidentale condizionato, non poteva essere utilizzata ai fini della dimostrazione che l’importo di euro 400,00 mensili fosse previsto a titolo di canone di locazione dissimulato; che, pur essendo possibile dimostrare con ogni mezzo di prova l’illiceità del contratto dissimulato, l’appellante non era stata in grado di provare né per presunzioni né per testi la dissimulazione del contratto.
La Corte territoriale, infine, ha ritenuto errata la tesi secondo cui, stante la nullità del contratto di locazione, esso potesse essere convertito nel contratto diverso di cui aveva i requisiti di forma e di sostanza, perché la conseguenza sarebbe stata quella di ritenere ricorrente tra le parti un contratto di comodato, che era proprio quanto l’appellante intendeva escludere, ed ha giudicato irrilevante tanto il fatto che il Tribunale non avesse preso in considerazione l’avvenuta rinnovazione del contratto di comodato quanto quello che il comodante avesse chiesto il pagamento di euro 6.000,00 per le spese non pagate;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod.proc.civ.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte; la ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Ricorso principale di O. I. V.
1) con il primo motivo la ricorrente ascrive alla Corte territoriale “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ., delle norme di cui agli artt. 83 e 99 cod.proc.civ.”;
la ricorrente sostiene che la seconda parte della procura alle liti, nella quale si faceva riferimento alla strategia difensiva del difensore – cioè far accertare e dichiarare che il contratto di comodato dissimulava un contratto di locazione, da ritenersi inefficace o nullo per mancata registrazione cui conseguiva l’obbligo di restituzione dei canoni e la restituzione dell’immobile subordinata al pagamento delle somme oggetto della reconventio dispiegata - non fosse vincolante e comunque non fosse tale da escludere il carattere generale del contenuto della procura espresso nella prima parte, là dove al difensore era conferito mandato a costituirsi e a resistere nel giudizio promosso da R. M.;
aggiunge ancora: I) che la domanda riconvenzionale era stata originariamente fondata sulla natura simulata del contratto di comodato e sulla natura illecita di quello dissimulato, che nella memoria conclusiva era stata rafforzata la causa petendi della
domanda riconvenzionale, anche in ragione dell’essenziale gratuità del contratto di comodato, e che, qualora non ne fosse stata eccepita la simulazione, la conseguenza sarebbe stata comunque la restituzione degli importi di euro 400,00 mensili; II) che l’omessa riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni di una domanda in precedenza formulata non ne fa presumerne l’abbandono, quando la complessiva condotta della parte evidenzi l’intento di mantenerla ferma; III) che la rinuncia all’ azione o alla pretesa azionata avrebbe richiesto un mandato ad hoc in capo al difensore, non bastando il mandato ad litem riferito solo alla facoltà di modificare le domande e le conclusioni in precedenza formulate;
IV) che nella memoria conclusiva di primo grado aveva insistito per l’accertamento della natura simulata del contratto di comodato e in subordine per l’accertamento dell’indebito pagamento del canone mensile;
2) con il secondo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ. n. 3, delle norme di cui agli artt. 1803 cod.civ., 112 e
115 cod.proc.civ.”, la ricorrente lamenta che il giudice a quo non abbia rilevato la inefficacia del contratto di comodato, nonostante la previsione del pagamento di euro 400,00 mensili;
3) con il terzo motivo si rimprovera alla decisione impugnata “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’art. 30 cod.proc.civ. n. 3, delle norme di cui agli artt. 1414, 1417 e 2729 cod.civ., 112 e 115 cod.proc.civ.”; la tesi è che, essendo il contratto dissimulato illecito, perché non registrato, la prova della sua ricorrenza avrebbe potuto, in virtù degli artt. 1417 e 2729 cod.civ., essere data anche tramite presunzioni;
4) con il quarto motivo la ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod.proc.civ., delle norme di cui agli artt. 2799, 2717 e 2719 cod.civ., 112 e 115 cod.proc.civ.”, per avere il giudice a quo sostenuto che non era riuscita a superare la prova documentale costituita dal contratto di comodato registrato;
5) il Collegio ritiene che debba condividersi l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui al procuratore è attribuita la facoltà di proporre tutte le domande che siano comunque ricollegabili con l'originario oggetto della lite, restando esclusi dai poteri dei procuratori soltanto quegli atti che comportano disposizione del diritto in contesa e le domande con le quali si introduce una nuova e distinta controversia eccedente l'ambito della lite originaria (Cass. 7/02/ 1995 n. 1293); il mandato ad litem, una volta validamente conferito, attribuisce al procuratore tutti i poteri di cui al 1° comma dell'art. 84 cod.proc.civ. con esclusione soltanto degli atti di cui al 2° comma, di quelli cioè che importano disposizione del diritto in contesa che non gli siano stati espressamente conferiti; affidata, cioè, al ministero del difensore l'impostazione della lite, a lui sono conferiti tutti i poteri che la legge (art. 84 cod.proc.civ.) gli attribuisce, con l'eccezione di quelli inerenti agli atti espressamente riservati dal secondo comma dello stesso articolo e che implicano disposizione del diritto in contesa;
tanto premesso, va osservato che la peculiarità della procura per cui è causa si caratterizza per il fatto di avere espressamente conferito al difensore la facoltà di proporre domanda riconvenzionale e non solo quella di resistere alla domanda di R. M.; detta domanda riconvenzionale era finalizzata a far ottenere la restituzione dei canoni di locazione conduttrice (valore euro 41.438,20);
nella sostanza, la precisazione in ordine alla facoltà del difensore di proporre la domanda riconvenzionale era da intendersi alla stregua di una estensione del mandato conferito al difensore alla proposizione della domanda riconvenzionale;
un indirizzo giurisprudenziale oggi superato (cfr. Cass. 7/04/2000, n. 4356) riteneva necessario un mandato ad hoc per proporre la domanda riconvenzionale (o l’appello incidentale), non bastando a tal fine il mandato conferito al difensore in calce alla copia dell'atto di citazione passiva, perché giudicato limitato all’attività di resistenza alle domande dell’attore (e/o dell’appellante principale) (cfr. Cass. 7/11/1992, n. 12047); deve, pertanto, ritenersi che, con l’espressa menzione della facoltà di proporre domanda riconvenzionale, l’intenzione dell’odierna ricorrente fosse quella di consentire al difensore lo svolgimento di una strategia processuale ampia non limitata alla mera opposizione alle domande attoree;
ne consegue che erroneamente la Corte d'Appello ha ritenuto che il difensore, legittimato in astratto a mutare la domanda riconvenzionale originariamente formulata nella comparsa di costituzione, non lo fosse nel caso concreto per difetto di procura, perché al difensore era precluso il compimento di atti che comportassero disposizione del diritto in contesa e le domande con le quali si introducesse una nuova e distinta controversia eccedente l'ambito della lite originaria;
va precisato, che la rinuncia alla domanda o ai suoi singoli capi, qualora si atteggi come espressione della facoltà della parte di modificare, ai sensi dell'art. 184 cod.proc.civ., le domande e le conclusioni precedentemente formulate, rientra fra i poteri del difensore (che in tal guisa esercita la discrezionalità tecnica che gli compete nell'impostazione della lite e che lo abilita a scegliere in relazione anche agli sviluppi della causa la condotta processuale da lui ritenuta più rispondente agli interessi del proprio rappresentato), distinguendosi così sia dalla rinunzia agli atti del giudizio, che può essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale nelle forme rigorose previste dall'art. 306 cod.proc.civ., e non produce effetto senza l'accettazione della controparte, sia dalla disposizione negoziale del diritto in contesa, che a sua volta costituisce esercizio di un potere sostanziale spettante come tale alla parte personalmente o al suo procuratore munito di mandato speciale siccome diretto a determinare la perdita o la riduzione del diritto stesso (Cass. 7/03/1998, n. 2572); è da escludere, pertanto, alla stregua del riferito principio di diritto, che la sostituzione dell’originaria domanda, con le memorie autorizzate del 26 aprile 2018, da parte del procuratore dell'appellante, esulasse dai poteri di cui il dichiarante era divenuto titolare per il fatto stesso del conferimento della procura;
ne consegue l’accoglimento del primo motivo di ricorso;
7) dalla ritenuta non conformità a diritto del capo della sentenza impugnata, col quale si è affermata l'inammissibilità dell’appello deriva l’accoglimento del ricorso principale; i motivi successivi - dal secondo al quinto - censurano una statuizione resa ad abundantiam dalla Corte territoriale, perché una volta dichiarato inammissibile l’appello, il giudice a quo si era spogliato della sua potestas iudicandi; trova applicazione, dunque, il principio consolidato a mente del quale “È inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un'argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam, e pertanto non costituente una ratio decidendi della medesima. Infatti, un'affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. 03/09/2021, n. 23885).
Ricorso incidentale condizionato
8) il ricorrente, in considerazione dell’assorbimento della reconventio reconventionis in primo grado e nel giudizio di appello, per l’eventualità che questa Corte “nel merito, accerti la nullità di entrambi i contratti, del comodato (perché simulato) e della locazione (per omessa registrazione)”, ripropone la domanda incidentale di indennizzo per l’uso dell’immobile e chiede a tale titolo la somma di euro 43.200,00 o quella maggiore o minore provata in corso di causa, oltre ai canoni maturati, da gennaio 2018 fino all’effettivo rilascio del bene;
non viene così dedotto un vizio avente rilievo cassatorio, perché non è stata articolata una specifica critica alla sentenza impugnata; il motivo, pertanto, è inammissibile, rientrando nella categoria dei “non motivi”;
6) va accolto il primo motivo del ricorso principale, i motivi successivi sono inammissibili; inammissibile è anche il ricorso incidentale condizionato;
7) la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche a liquidare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibili i restanti motivi; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato. Cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.