I Giudici del merito avevano ritenuto che l'evento fosse riconducibile sia alla pericolosità della condotta del conducente per l'alta velocità rispetto ai luoghi, sia alle carenze dell'Amministrazione, quali la mancata segnalazione del muretto posto sul lato della carreggiata.
Svolgimento del processo
il Comune di Palermo ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 2024 del 2019 della Corte di appello di Palermo, esponendo che:
- G., R., M., T., R. R., in proprio e quali eredi di T. R., avevano convenuto in giudizio l’ente deducente per chiedere il risarcimento dei danni per la morte del congiunto T. R. avvenuta mentre era alla guida della propria autovettura, a (omissis), e si era schiantato contro un muro posto sul lato destro della carreggiata e non segnalato;
- gli attori avevano indicato che la causa dell’incidente era da rinvenire nelle cattive condizioni della strada, priva di segnaletica, d’illuminazione pubblica e invasa, lungo il margine destro, da cespugli;
- il Tribunale aveva accolto la domanda ritenendo il concorso di responsabilità della vittima nella misura della metà, con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, la mancanza d’illuminazione dei luoghi, il margine destro della carreggiata privo della delimitazione con striscia continua orizzontale, e la mancanza di segnalazione del muro che, nascosto da una folta vegetazione, determinava un restringimento, sulla destra, della carreggiata, affatto prevedibile ed evitabile, in uno, per converso, alla velocità del mezzo, del tutto inadeguata rispetto allo stato dei luoghi, escludevano il caso fortuito e, conclusivamente, giustificavano la decisione del giudice di primo grado; sono rimasti intimati gli originari attori;
il Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte.
Motivi della decisione
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2043, 2051, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di esaminare e tener conto dei rilievi della polizia municipale, dal cui verbale risultava che non vi era un restringimento della carreggiata, larga quattro metri, né, dunque, obbligo di segnalazione per l’amministrazione, tenuto altresì conto che la presenza di un muretto delimitante la carreggiata viaria era spesso ricorrente in vie cittadine, e fermo restando che, al pari dell’assenza d’illuminazione, si trattava di caratteristiche che interessavano l’intero asse stradale nonché conosciute dalla vittima che lo percorreva abitualmente per fare ritorno nella propria abitazione, e che, nell’occasione, viaggiava a 108 km/h ovvero a velocità abnorme per il luogo;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che l’eccessiva velocità della vittima era stata fattore eziologico assorbente come ritenuto dallo stesso perito giudiziale oltre che dalla polizia municipale;
i motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;
è opportuno premettere alcune considerazioni sulla responsabilità custodiale;
1. nel 2018 questa Sezione ritenne indispensabile operare l’intervento nomofilattico in tema di responsabilità per cose in custodia (art. 2051 cod. civ.), consapevole del disordine interpretativo riscontrato nella giurisprudenza di merito e delle incertezze ermeneutiche emerse nella sua stessa giurisprudenza; il tutto in una materia particolarmente rilevante per gli aspetti giuridici, sociali ed economici, coinvolgenti soggetti sia privati che pubblici;
nel 2022 intervennero, poi, le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a esprimersi intorno a criticità e distonie emerse nella giurisprudenza di legittimità;
è pertanto importante un intervento chiarificatore sulla materia in trattazione, attraverso i punti che si vanno ad esporre;
2. non è ulteriormente discutibile che la responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. abbia natura oggettiva, come affermato da questa Sezione con le decisioni nn. 2477-2483 rese pubbliche in data 1/02/2018, alla luce delle origini storiche della disposizione codicistica, dell’affermazione di fattispecie di responsabilità emancipate dal principio “nessuna responsabilità senza colpa”, dei criteri di accertamento del nesso causale e dell’esigibilità (da parte dei consociati) di un’attività di adeguamento della condotta in rapporto alle diverse contingenze nelle quali vengano a contatto con la cosa custodita da altri;
tale qualificazione ha ricevuto una definitiva conferma dalle Sezioni Unite di questa Corte che, con la decisione n. 20943 del 30/06/2022, dopo aver diacronicamente ripercorso le tappe segnate (talvolta in modo dissonante) dalla giurisprudenza questa Sezione, hanno ribadito che «La responsabilità di cui all'art. 2051 cod. civ. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode»;
3. all’affermazione di tale principio, di carattere generale (punto 9 della decisione), le Sezioni Unite hanno poi fatto seguire ulteriori, altrettanto generali precisazioni, così sintetizzabili (punti 8.4. e ss. della sentenza 20943/2022):
a) "l'art. 2051 cod. civ., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima";
b) "la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 cod. civ., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso";
c) "il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità e inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere";
d) "il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227 cod. civ., primo comma; e dev’essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost.;
e) quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale";
4. i principi appena evocati sanciscono in via definitiva l’attuale statuto della responsabilità del custode, il cui fondamento, nell’opzione ricostruttiva esposta, riposa, pertanto, su elementi di fatto individuati tanto in positivo - la dimostrazione che il danno è in nesso di derivazione causale con la cosa custodita (la sequenza è quella che muove dall’accertamento di un danno giuridicamente rilevante per risalire alla sussistenza di una relazione causale tra l’evento dannoso e la cosa custodita e si chiude con l’imputazione in capo al custode dell’obbligazione risarcitoria, dalla quale il custode si libera giusta il disposto dell’art. 2051 cod. civ., provando il caso fortuito) – quanto in negativo (l’inaccettabilità di una mera presunzione di colpa in capo al custode e l’irrilevanza della prova di una sua condotta diligente);
5. nel confermare tali principi, in ossequio all’insegnamento delle Sezioni Unite, mette ancora conto di precisare, sul piano della struttura della fattispecie (non su quello funzionale degli effetti, che risultano ormai definitivamente scolpiti dal massimo organo della nomofilachia) che il caso fortuito appartiene alla categoria dei fatti giuridici e si pone in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la “res”, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo; mentre la condotta del terzo e la condotta del danneggiato rilevano come atto giuridico caratterizzato dalla colpa (art. 1227, primo comma, cod. civ.), con rilevanza causale esclusiva o concorrente, intesa, nella specie, come caratterizzazione di una condotta oggettivamente imprevedibile ed oggettivamente imprevenibile da parte del custode;
6. va osservato, in proposito, che sia il fatto (fortuito) che l’atto (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l'evento di danno non nel senso della (solo descrittivamente definita) "interruzione del nesso tra cosa e danno", bensì alla luce del principio disciplinato dall'art. 41 cod. pen., che relega al rango di mera occasione la relazione con la “res”, deprivata della sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l’efficienza causale sul piano strettamente naturalistico; ciò tanto nell’ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto di causalità concorrente di tali condotte, poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della “res”, il danno non si verificherebbe (esemplificando: una strada perfettamente asfaltata e senza buche non sarà in relazione causale, se non naturalistica, con il danno subito dal pedone che inciampa nei suoi piedi);
7. il dato normativo va, pertanto, applicato governando la costruzione funzionale dell’illecito e raccordandola con la modulazione dei rimedi ad esso conseguenti, vale a dire tenendo conto che il sistema risarcitorio si fonda non solo sulla capacità preventiva della colpa (giustizia correttiva), ma anche sul soddisfacimento di esigenze meramente compensative (giustizia redistributiva, cioè il trasferimento del peso economico di un evento pregiudizievole dal danneggiato su chi abbia la signoria sulla cosa) e, non da ultimo, muovendosi con la consapevolezza che quello causale, essendo un “giudizio” utilizzato per allocare funzionalmente i costi del danno, dev’essere calibrato in relazione alla specifica fattispecie di responsabilità; costituisce, difatti, un “proprium” della responsabilità civile il presentarsi “a geometria variabile, perché moltiplica le sue possibilità a seconda degli istituti con cui si fonde, facendo scattare principî anche solo lievemente diversi ma con implicazioni notevoli sulla allocazione finale dei costi, sulla prevenzione, sulla sostenibilità nel tempo della sua promessa (il risarcimento del danno)”;
8. l’irrilevanza della colpa, quale criterio per risalire al responsabile, è condizione necessaria ma non sufficiente per attribuire alla responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. natura oggettiva; essa fa giustizia di quei modelli che evocano la presunzione di colpa, la quale individua il fondamento della responsabilità pur sempre nel fatto dell’uomo - il custode - venuto meno al suo dovere di controllo e vigilanza affinché la cosa non abbia a produrre danno a terzi (Cass. 20/05/1998, n. 5031), ma non anche della teoria del riconoscimento di una presunzione di responsabilità in capo al custode, giustificata ritenendo che, se la cosa fosse stata ben governata e controllata, non avrebbe arrecato alcun danno, mentre se il danno si verifica (fatto noto) si presume che ciò sia avvenuto perché la cosa non è stata adeguatamente custodita (fatto ignoto); da tale presunzione di responsabilità il custode si libererebbe dimostrando, in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce, che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso;
9. ritenere che sul custode gravi una presunzione di responsabilità – esclusa espressamente, come si è detto, dalla già ricordata pronuncia delle Sezioni Unite – è indice di una resistenza ad emanciparsi dalla colpa che, infatti, viene evocata in via surrettizia non per fondare, in via di regola, la responsabilità del custode, ma (comunque) per escluderla in via di eccezione; la capacità di vigilare la cosa, di mantenerne il controllo, di neutralizzarne le potenzialità dannose, difatti, non è elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità, bensì elemento estrinseco del quale va tenuto conto alla stregua di canone interpretativo della “ratio legis”; l’intento di responsabilizzare il custode della “res” o di controbilanciare la signoria di fatto legittimata dall’ordinamento affinché ne tragga o possa trarne beneficio sulla cosa con l’obbligazione risarcitoria (Cass. 01/02/2018, n. 2480, § § 11 e 12) possono essere, cioè, criteri di spiegazione del criterio scelto per allocare il danno, pur non essendo elementi costitutivi della regola di fattispecie né elementi di cui tener conto per escludere l’obbligazione risarcitoria in capo al custode;
10. non è stata fornita una definizione normativa della custodia da parte del legislatore del 1942 perché l’art. 2051 cod. civ. si è limitato a tradurre l’espressione francese “sous sa garde” che appariva nell’art. 1384, 1° comma, Code Napoleon; questa Corte (Cass., Sez. Un., 11/11/1991, n. 12019) ha, tuttavia, avuto già occasione di rilevare le diverse accezioni della portata della custodia come criterio di determinazione della responsabilità rinvenienti dalle fonti romane e ha ritenuto di poterle raggruppare nelle seguenti categorie: a) quella che si riallaccia alla configurazione giustinianea per cui la custodia non è che un particolare tipo di “diligentia”; b) quella “custodiendae rei”, la quale rimane un criterio soggettivo di responsabilità; c) quella più recente che individua il concetto di custodia nella responsabilità oggettiva; a quest’ultima, che “si concretizza in un criterio oggettivo di responsabilità, intendendo per tale quello che addossa a colui che ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi, indipendentemente dalla ricerca di un nesso causale fra il comportamento del custode e l’evento”, ha ricondotto quella rilevante ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.;
11. non può mettersi in dubbio che, per individuare il responsabile, non debba farsi riferimento alla custodia di fonte contrattuale (Cass. 18/02/2000, n. 1859; Cass. 20/10/2005, n. 20317), siccome l’articolo 2051, cod. civ., attiene ai rapporti con i terzi danneggiati dalla cosa oggetto di custodia, né possono nutrirsi riserve circa il fatto che, trattandosi di una relazione meramente fattuale, non sia giustificato un mero rinvio ad altri istituti come la proprietà, i diritti reali minori, il possesso, la semplice detenzione; la relazione giuridica con la cosa non è elemento costitutivo della responsabilità, a differenza di quanto previsto dagli artt. 2052, 2053, 2054 cod. civ., sicché responsabile ex art. 2051, cod. civ., può ben essere un soggetto diverso da quello che abbia un titolo giuridico sulla “res”, atteso che rileva esclusivamente la relazione di mero fatto di natura custodiale, a prescindere finanche dal se essa sia titolata; l’applicazione dell’art. 2051 cod. civ., si arresta soltanto dinanzi alle cose insuscettibili di custodia in termini oggettivi (acqua, aria): Cass. 20/02/2006, n. 3651;
12. l’indeterminatezza della nozione di caso fortuito, talvolta declinato in termini di polivalenza, consente (è bensì vero) di considerare il fortuito tanto come limite della responsabilità per colpa quanto come limite della causa di imputazione della responsabilità; nondimeno, quando il caso fortuito è evocato espressamente da una norma, come in questo caso, la sua nozione deve essere riempita di contenuto in relazione al contesto e alla “ratio legis”;
per quanto non decisivo, orienta tal senso anche il tenore letterale dell’art. 2051 cod. civ (“Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”) se confrontato con quello dell’art. 2050 cod. civ. (“Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”), dell’art. 2053 cod. civ. (“Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione”), dell’art. 2054 cod. civ. (“Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”);
13. il contenuto della prova liberatoria non solo è stato tipizzato dal legislatore, ma è stato differenziato secondo la regola di fattispecie di volta in volta presa in considerazione; quando la prova liberatoria è costituita dalla ricorrenza del caso fortuito (cfr. anche l’art. 2052 cod. civ. “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”) è segno che il legislatore non ha voluto che il custode (o il responsabile di cui all’art. 2052 cod. civ.) possa liberarsi provando di avere tenuto un comportamento diligente volto a evitare il danno né la dimostrazione che il danno si sarebbe verificato nonostante la diligenza da lui esigibile, data l’imprevedibilità e l’inevitabilità dell’evento dannoso, tantomeno che l’intervento del caso fortuito abbia reso oggettivamente impossibile la custodia (utili indicazioni a supporto, ma con carattere di minore prossimità, possono trarsi anche dalle ipotesi in cui il legislatore non ha previsto la prova liberatoria, come nelle ipotesi di cui all’art. 2049 cod. civ. e all’ art. 114 cod. consumo);
premessi questi principi di massima, può passarsi ad esaminare la fattispecie oggetto della presente controversia; nell’ipotesi, va innanzi tutto espunto il profilo, potenzialmente incidente, della conoscenza della strada da parte della vittima, fatto affermato in ricorso (pag. 15) senza che sia stato riportato quando e come sarebbe stato allegato e dimostrato, con conseguente aspecificità del gravame “parte qua” (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469);
la Corte di merito ha osservato che hanno concorso a conformare la fattispecie la pericolosità della condotta del conducente, in specie la velocità rispetto ai luoghi, e le carenze dell’amministrazione, quali la mancata illuminazione e segnaletica laterale destra del muretto (pure a prescindere, dunque, dall’eventuale restringimento viario);
la sentenza gravata descrittivamente richiama elementi di colpa dell’amministrazione per delineare in realtà la sussistenza della custodia, affermando, infatti, di assumere la prospettiva sussuntiva della responsabilità ex art. 2051, cod. civ., fatta poi propria anche dalle censure;
la statuita responsabilità custodiale, di natura oggettiva, ha così determinato un’imputazione, in ritenuto concorso con quanto posto in essere dal danneggiato;
nella descritta chiave ricostruttiva, la condotta colposa della vittima, che non adottò le normali cautele esigibili in rapporto alle circostanze, è stata plausibilmente ritenuta incidente in misura paritaria ma non assorbente;
ora, nel contesto dato, le censure mirano semplicemente a una revisione in fatto della portata eziologica del comportamento del conducente, estranea alla presente sede di legittimità;
non deve disporsi sulle spese non essendovi state difese delle parti intimate;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.