Avverso tale decisione la richiedente propone ricorso al TAR, il quale con sentenza n. 7144 del 26 aprile 2023 lo rigetta.
Difatti, il Collegio osserva che l'acquisizione della
Tali osservazioni supportano il giudizio negativo a cui è pervenuta l'Amministrazione nel caso in esame in ordine ai reati valutati rispetto ai principi della convivenza sociale e alla tutela anticipata dell'ordine pubblico, che potrebbe essere pregiudicata dalla concessione della
TAR Lazio, sez. V-bis, sentenza (ud. 14 marzo 2023) 26 aprile 2023, n. 7144
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento prot. n. - OMISSIS-, emesso dal Ministero dell’Interno in data 17.1.2019, con il quale è stata rigettata la domanda di cittadinanza italiana presentata in data 14.11.2015 ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, stante la presenza di pregiudizi di carattere penale a carico dei due figli dell’istante che di seguito si riportano: a) a carico del figlio -OMISSIS-, numerose segnalazioni penali per ricettazione, furto, uso di sostanze stupefacenti e notifica di avviso orale da parte della Questura, oltre a diverse sentenze di condanna come da casellario giudiziario; b) a carico del figlio -OMISSIS-, denuncia-querela in data 13 dicembre 2013, ai sensi dell’art. 610 c.p. (violenza privata) con elezione di domicilio presso l’Arma dei Carabinieri di Fesso Umbertide. L’impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi: I. Violazione di legge in relazione all’art. 8, comma 2, della legge n. 91/92, essendo il decreto di rigetto intervenuto successivamente alla scadenza del termine biennale dalla presentazione della richiesta di concessione della cittadinanza italiana corredata dalla prescritta documentazione. II. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria del provvedimento di diniego della cittadinanza italiana, erronea interpretazione di legge in relazione all’art.19, comma 2, del T.U. Immigrazione, avendo l’Amministrazione fondato la propria valutazione su due circostanze erronee, ovvero la convivenza della richiedente con il figlio -OMISSIS- e l’asserita commissione di reati da parte dell’altro figlio, -OMISSIS-, in realtà incensurato. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso in ragione dell’infondatezza delle censure ex adverso svolte. Con memoria depositata in data 1° marzo 2023, la ricorrente ha ribadito l’illegittimità del diniego impugnato per assenza di corresponsabilità rispetto ai reati commessi dal figlio non convivente e per infondatezza della notizia di reato addebitata all’altro figlio. All’udienza pubblica del giorno 14 marzo 2023 la causa è passata in decisione. Il ricorso è infondato e va respinto. Sul punto il Collegio osserva quanto segue in merito alla natura del provvedimento di concessione della cittadinanza alla luce della giurisprudenza in materia, di recente sintetizzata dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), secondo cui l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa. Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013). L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. Se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato. In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico. In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021; n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009; Cons. St., sez. III, n. 4121/2021; n. 8233/2020; n. 7122/2019; n. 7036/2020; n. 2131/2019; n. 1930/2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n.798/1999). Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo, ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole. Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino; il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; TAR Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012). Applicando le coordinate tracciate al caso in esame, ritiene il Collegio infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione dell’odierna ricorrente dando rilievo ai pregiudizi penali a carico dei figli, che rappresentano un chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano volte a proteggere valori ritenuti fondamentali per la Comunità. In tale prospettiva, la circostanza che i numerosi precedenti penali vagliati dall’Amministrazione non riguardino specificatamente la ricorrente, bensì i figli della stessa, non intacca a giudizio del Collegio la legittimità del diniego impugnato, risultando i rapporti filiali indici dell’esistenza di un legame stabile e duraturo che fonda le proprie radici nella famiglia e nei suoi connessi aspetti affettivi, con la conseguenza che proprio la stabilità parentale e affettiva potrebbe indurre l’interessata ad agevolare, anche soltanto per ragioni affettive, comportamenti ritenuti in contrasto con l’ordinamento giuridico, che ne inficiano le prospettive di ottimale inserimento in modo duraturo nella comunità nazionale. Confermano, in particolare, una situazione “critica” nell’ambito del contesto familiare, le plurime segnalazioni penali a carico del figlio -OMISSIS- per i reati di ricettazione, furto e uso di sostanze stupefacenti. Non può infatti non tenersi conto del notevole disvalore che l’ordinamento penale attribuisce ai suddetti reati, in particolare a quelli di ricettazione e furto, che combinati tra loro comportano l’inserimento del reo in una rete facente capo ad gruppi criminali che organizzano la distribuzione commerciale di prodotti provenienti dalla commissione di altri gravi delitti (rapina e, appunto, furto, anche aggravati) - che quindi vengono indirettamente favoriti dall’attività dei soggetti impiegati in tali traffici – di cui lo straniero costituisce uno dei principali anelli della catena criminosa. In senso contrario non vale l’invocato principio della personalità della responsabilità penale, in quanto, nel caso di specie, il diniego impugnato non estende alla richiedente le conseguenze penali dei reati commessi dai figli, ma impedisce che la concessione della cittadinanza (sebbene a persona diversa da quella responsabile penalmente) possa comunque recare danno alla comunità nazionale, per effetto dell’estensione ai familiari della richiedente delle previsioni relative ai parenti del cittadino italiano. È noto, infatti, che l’acquisto della cittadinanza da parte di un familiare comporta non solo, come comunemente si ritiene, benefici indiretti anche per gli altri membri del nucleo, tra i quali l’impossibilità di espellere i parenti entro il secondo grado (cfr. art. 19, comma 2, lett. c del d.lgs. 286/1998) e la possibilità di ottenere un permesso per motivi familiari – cioè una protezione che è comunque agli stessi soggetti assicurata già dal riconoscimento dello status di lungo soggiornante UE di cui all’art. 9 d.lgs. 286/1998, che godono di analoga garanzia della posizione di radicamento sul territorio acquisita (cfr. art. 19, comma 2, lett. b), del d.lgs. 286/1998) e del diritto fondamentale alla vita familiare – ma comporta, altresì, l’estensione di tale status sia ai figli minorenni conviventi, sia al coniuge, che ha un vero e proprio diritto soggettivo al riconoscimento di tale status, ai sensi dell’art. 5 delle legge n. 91/1992, salvo sussistano i fattori ostativi tassativamente indicati dall’art. 6 della stessa legge. La valutazione dei pregiudizi penali a carico dei parenti non può, quindi, non rilevare nella valutazione del procedimento concessorio, in quanto l’Amministrazione deve verificare la sussistenza della coincidenza dell’interesse pubblico con quello del richiedente, tenendo conto delle conseguenze che discendono dal conferimento della cittadinanza, come sopra specificate. Quanto esposto vale, pertanto, a supportare il negativo giudizio cui è pervenuta l’Amministrazione in ordine ai reati valutati rispetto ai principi fondamentali della convivenza sociale e alla tutela anticipata dell’ordine pubblico, che, come si è chiarito sopra, potrebbe essere pregiudicata dalla concessione della cittadinanza a favore del congiunto, sicché, in tale prospettiva a nulla rilevando la solo labialmente dedotta infondatezza della notizia di reato per (violenza privata ex art. 610 c.p.) addebitata all’altro figlio, risultato anch’egli, non a caso, destinatario di provvedimento di rigetto della cittadinanza -OMISSIS-del 4 settembre 2020, proprio in ragione dei reati ascritti al fratello. Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio, che liquida in € 1.500,00 oltre oneri ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.