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24 maggio 2023
Negata la cittadinanza all’istante se la prole ha commesso reati
Secondo il TAR Lazio, nonostante la richiedente sia incensurata, la sussistenza di rapporti filiali testimoniano l'esistenza di un legame stabile e duraturo, e pertanto tale stabilità parentale e affettiva potrebbe indurre l'interessata ad agevolare l'operato illecito della prole.
La Redazione
La controversia trae origine dal rigetto della domanda di cittadinanza da parte del Ministero dell'Interno, il quale aveva rinvenuto pregiudizi di carattere penale a carico dei due figli dell'istante.

Avverso tale decisione la richiedente propone ricorso al TAR, il quale con sentenza n. 7144 del 26 aprile 2023 lo rigetta. 

Difatti, il Collegio osserva che l'acquisizione della cittadinanza è oggetto di un provvedimento di concessione che vede un'ampia discrezionalità in capo all'Amministrazione ai sensi dell'art. 9, comma 1, della L. n. 91/1992.
In particolare, spetta all'Amministrazione valutare l'inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, dal momento che la concessione della cittadinanza oltre a comportare ampi diritti comporta anche doveri nei confronti dello Stato-comunità. 
Pertanto, l'inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire soltanto quando l'Amministrazione ritenga che quest'ultimo sia in possesso di ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, attraverso un giudizio prognostico che escluda che l'istante possa successivamente creare problemi all'ordine e alla sicurezza nazionale. 
 
Nel caso di specie, il TAR Lazio ribadisce l'importanza di soffermarsi sui pregiudizi penali a carico dei figli, in quanto essi rappresentano un chiaro indice di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, a causa delle innumerevoli violazioni dell'ordinamento giuridico italiano volte a proteggere valori fondamentali per la Comunità.
Pertanto, nonostante la richiedente sia incensurata, i numerosi precedenti penali in capo ai figli rappresentano una situazione “critica”, in quanto i rapporti filiali mostrano l'esistenza di un legame stabile e duraturo, con la conseguenza che proprio la stabilità parentale e affettiva potrebbe indurre la richiedente ad agevolare, anche soltanto per ragioni affettive, comportamenti ritenuti in contrasto con l'ordinamento giuridico, che minano le prospettive di ottimale inserimento in modo duraturo nella comunità nazionale.
Di conseguenza, il TAR Lazio ha ritenuto di non concedere la cittadinanza alla richiedente in esame, in quanto la concessione avrebbe potuto recare danno alla comunità nazionale, a causa dell'estensione ai familiari della richiedente di alcuni diritti. 
Infatti, l'acquisto della cittadinanza da parte di un familiare comporta non solo benefici indiretti anche per gli altri membri della famiglia, come l'impossibilità di espellere i parenti entro il secondo grado e la possibilità di ottenere un permesso per motivi familiari, ma anche l'estensione di tale status ai figli minorenni conviventi e al coniuge.
 
Per questi motivi, la valutazione dei pregiudizi penali a carico dei figli non può non rilevare nella valutazione del procedimento concessorio, in quanto l'Amministrazione deve verificare la sussistenza della coincidenza dell'interesse pubblico con quello del richiedente, tenendo conto delle conseguenze che discendono dal conferimento della cittadinanza.

Tali osservazioni supportano il giudizio negativo a cui è pervenuta l'Amministrazione nel caso in esame in ordine ai reati valutati rispetto ai principi della convivenza sociale e alla tutela anticipata dell'ordine pubblico, che potrebbe essere pregiudicata dalla concessione della cittadinanza a favore dei figli dell'istante.